Non è stata assolta come Safiya e Hafsatu, anche loro accusate di adulterio per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. No: nei confronti di Amina Lawal, la Corte d'appello islamica di Funtua, nel nord della Nigeria, ha confermato ieri la condanna a morte per lapidazione.
Amina, 30 anni, divorziata, ha avuto un terzo figlio da un uomo del suo villaggio, che aveva promesso di sposarla, ma non l'ha fatto. Questo, secondo la sharia, la legge islamica recentemente adottata da 12 dei 36 stati della repubblica federale della Nigeria, è sufficiente perché la donna sia infilata fino al collo in una buca, con le mani legate dietro la schiena, e uccisa a sassate. Avendo cura che gli esecutori della pena scelgano pietre né troppo grandi né troppo piccole, così che sia fatta giustizia né troppo presto né troppo tardi. Se si è donne in Nigeria, la parola araba "zina", adulterio, è una sentenza di morte.

Amina era stata condannata in primo grado alla lapidazione il 22 marzo scorso dal tribunale islamico di Bakoro, nello stato federale di Katsina, il giorno dopo che la corte federale nigeriana aveva dichiarata incostituzionale l'adozione della sharia e tre giorni prima che venisse assolta in appello Safiya Husseini, già candidata alla stessa pena, per la salvezza della quale si è mobilitata l'opinione pubblica, in Occidente e in Italia in particolare.

Le vicende di Safiya ed Amina, come quella della diciottenne Hafsatu - assolta cinque mesi fa per insufficienza di prove mentre anche per lei si profilava la morte per lapidazione - sono emblematiche della situazione venutasi a creare in Nigeria negli ultimi tre anni, da quando cioé gli stati del nord del paese, dove la popolazione è in maggioranza musulmana, hanno deciso di adottare la sharia, in aperta sfida con il governo federale ed il presidente Olusegun Obasanjo, un cristiano anglicano originario del sud. Inutilmente il nuovo ministro della giustizia Kanu Agabi ha sollecitato i governatori degli stati del nord, facendo presente che, anche se «la sharia si applica solo ai musulmani», è obbligatorio che «i diritti di queste persone siano salvaguardati come prevede la Costituzione» e quindi un «musulmano non potrà mai essere sottoposto a una punizione che non verrebbe applicata ad altri nigeriani per la stessa infrazione». Inutilmente il governo federale ha fatto appello alla necessità di salvaguardare i diritti comuni ai 115 milioni di abitanti della Nigeria, che formano un composito mosaico di gruppi etnici e fedi religiose. L'introduzione della legge islamica, brandita dai fondamentalisti come argine contro la corruzione e la criminalità dilagante, non ha affatto risolto questi problemi ma in compenso ha riacceso le antiche faide tra cristiani e musulmani - che hanno costantemente insanguinato il paese - provocando più di mille morti negli ultimi due anni.

Malgrado la conferma della condanna in appello, il caso di Amina non è chiuso. I suoi legali ricorreranno ancora, davanti alla Corte suprema della Nigeria, e forse riusciranno a spuntarla. La sentenza di Funtua suona tuttavia come un rifiuto dei dirigenti dei musulmani del nord ad accogliere le direttive del governo centrale, come un nuovo segnale di un braccio di ferro.


Liberazione 20 agosto 2002
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