Originariamente Scritto da
MrBojangles
Legge Pecorella, la Cdl tenta il blitz in Senato
Ma al Csm fa mancare il numero legale
23 Dicembre 2005
GOVERNO E MAGGIORANZA hanno fretta di approvare, al Senato la «legge Pecorella», ormai all’ultimo passaggio parlamentare. Il ddl prevede l'inappellabilità delle sentenze, in caso di assoluzione, da parte del pm. Un'altra delle leggi care a Berlusconi e ai suoi. Così ieri, appena intascata la finanziaria, con una decisione-lampo il provvedimento è stato portato in aula nel tentativo di votarlo definitivamente, prima ancora della legge sul risparmio. Decisamente contraria l'opposizione, che ha tentato di interrompere l'iter chiedendo il numero legale e presentando quattro pregiudiziali di incostituzionalità. La Cdl, come sempre in occasione di leggi vergogna è rimasta compatta (più tardi, per il ddl sul Consiglio universitario, il quorum è mancato più volte) e tutte le proposte dell'Unione sono state respinte. Non se l'è sentita, però, la Cdl di forzare oltre ed ha deciso di rinviare all’11 gennaio.
Anche il plenum del Csm, che doveva riunirsi ieri sullo stesso argomento, è stato rinviato per l'assenza di consiglieri laici della Cdl: la Commissione Riforma aveva stroncato il provvedimento sostenendo che porterà la Cassazione al «collasso», che presenta profili di incostituzionalità e contrasta con il principio della ragionevole durata dei processi. Se ne riparlerà l'11 gennaio, lo stesso giorno nel quale l'esame del ddl riprenderà a Palazzo Madama.
Molto dura la reazione dei senatori dell'Unione. «Siamo in una svendita natalizia, nei saldi di fine stagione - ironizza il Dl Roberto Manzione - sull'inappellabilità la Cdl si vende l'anima». «Con un bricolage istituzionale - dice il responsabile giustizia Ds, Massimo Brutti - si interviene sul processo penale, senza una visione complessiva».
Nando Della Chiesa, Margherita, ha maliziosamente ringraziato il direttore di «Libero» che ha ricordato a Berlusconi che «tutte le leggi ad personam sono state approvate, quelle nell'interesse del Paese si sono arenate fra mille ostacoli».
Nedo Canetti
Legge sul risparmio, passa la fiducia.
Il falso in bilancio non esiste quasi più
Un testo pensato in origine per tutelare i truffati dai crac Cirio e Parmalat attenua le pene per chi trucca i conti
23 Dicembre 2005
di Bianca Di Giovanni / Roma
PRIMO VIA LIBERA alla riforma del risparmio che oggi sarà votata in Senato. Anche a Palazzo Madama, come ieri alla Camera, si imporranno tre voti di
fiducia, di cui due relativi all’articolo sul falso in bilancio. Dopo due anni di stop-and-go, marcia verso l’approvazione una delle riforme più attese dai risparmiatori truffati dagli scandali Cirio e Parmalat. Tra le norme anche l’attenuazione delle pene per il reato di falso in bilancio, che stava all’origine proprio di quegli scandali. Potere del paradosso. I manager e dirigenti che falsificano i bilanci delle società saranno puniti con la reclusione fino a due anni e non più 5. La punibilità è esclusa se l'illecito comporta una variazione del risultato di bilancio inferiore al 5% o dell'1% del patrimonio netto, al massimo si prende una contravvenzione e l'interdizione degli incarichi societari. Nel caso delle false comunicazioni sociali «in danno delle società, dei soci e dei creditori» le pene vanno da sei mesi a tre anni. Anche i termini di prescrizione rimangono molto contenuti (3 anni). «Due voti di fiducia per rendere impunibile il falso in bilancio. Dopo due anni la Camera dice sì a una legge che lascia mano libera a chi vorrà continuare a falsificare i bilanci - commenta Sergio Gambini (Ds) - Soltanto per questo Berlusconi e Tremonti hanno obbligato il Parlamento all'ennesimo voto di fiducia, evitando qualche sussulto di coscienza di qualche parlamentare del centrodestra. La nuova legge sul risparmio non è quella che abbiamo voluto, né che abbiamo tentato di disegnare nella prima fase di stesura bipartisan del provvedimento. Non c'è chiarezza sui ruoli di Consob, Antitrust e Bankitalia, non ci sono le norme per impedire che possano riverificarsi scalate finanziarie che finiscono sui tavoli dei magistrati, manca una vera difesa dei risparmiatori». Insomma, per dirla con Fausto Bertinotti, il governo ha agito nel peggiore dei modi sia con la fiducia che con la depenalizzazione del falso in bilancio. Si introduce comunque il reato di nocumento al risparmio.
Le modifiche più pesanti introdotte dagli ultimi due emendamenti targati Tremonti riguardano senza dubbio la Banca d’Italia, che finisce rivoluzionata dalla riforma soprattutto sull’onda delle indagini giudiziarie su caso Fiorani. Viene modificato il mandato a termine per il governatore che sarà di 6 anni rinnovabile una sola volta e non più di 7 anni non rinnovabile come aveva deciso Domenico Siniscalco e come il Senato aveva votato. Si introducono nuovi criteri di nomina per il numero uno di Via Nazionale e si rafforzano i poteri dell'Antitrust sulla concorrenza bancaria, poteri che l’ex governatore Antonio Fazio aveva tentato in tutti i modi di mantenere. Sulla proprietà dell'Istituto centrale, invece, viene introdotta una moratoria di 3 anni prima del trasferimento delle quote azionarie allo Stato. L’emendamento Siniscalco prevedeva invece il passaggio delle quote al Tesoro con un esborso di 800 milioni di euro complessivi. Una cifra che le banche non avevano mai considerato congrua. Il mandato a termine viene esteso anche agli altri membri del direttorio. Ma per il direttore generale e i due vicedirettori generali attualmente in carica viene stabilita una fase transitoria per evitare la decadenza integrale di tutti i vertici dell'Istituto e garantirne così la continuità organizzativa.
Sulla nomina del governatore viene ribaltata la sequenza delle vecchie modalità. La designazione e la revoca è disposta con decreto del Capo dello Stato su proposta del governo, sentito il Consiglio superiore della Banca d'Italia. Fino ad oggi era il Consiglio superiore a nominare e revocare il governatore. La riforma introduce la collegialità e la motivazione delle decisioni. La competenza sugli atti che hanno rilevanza esterna passa dal governatore al direttorio, che vota a maggioranza. Tutti gli atti emessi devono avere forma scritta ed essere motivati.