Sulla falsa riforma federalista dello Stato.
Le giornate nere dei federalisti italiani sono due: l'8 marzo 2001 ed il 16 novembre 2005. La prima data si riferisce al periodo in cui stava per terminare la tredicesima legislatura (quella dell'Ulivo), quando il Senato approvò, in seconda lettura, a strettissima maggioranza e con la durissima opposizione del centro destra, il testo di riforma del Titolo V° della Costituzione italiana dedicato a "Le regioni, le province, ed i comuni". L'approvazione fu determinata dal fatto che la sinistra aveva bisogno della patente "federalista" da utilizzare nell'imminente campagna elettorale del 2001. Il testo fu definitivamente approvato il 7 ottobre 2001 con un referendum costituzionale al quale parteciparono solo il 34 % degli aventi diritto al voto; neppure nelle regioni rosse ottenne il 50%. La seconda data si riferisce alle modifiche costituzionali approvate dal governo di centro-destra e con tutta probabilità saranno abolite con un referendum costituzionale prima che entrino in vigore. Entrambe le riforme hanno suonato la campana da morto per il federalismo, perché stravolgono nell'opinione pubblica i principi ed i concetti sui quali si fonda ed hanno generato nella gente l'idea assurda che attraverso di esse l'Italia sia "federale", mentre il federalismo è cosa assolutamente diversa.
La prima riforma del titolo V° della Costituzione fu effettuata dal centro sinistra nel 2001. Con la modifica dell'art. 114 rendeva "..i Comuni, le province, le città metropolitane e le regioni.... enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi della Costituzione...", in evidente contraddizione con l'assetto centralista esistente dell'intero impianto costituzionale italiano. Con la riforma del centrosinistra, infatti, con l'art. 117 vengono elencate le materie di "esclusiva" competenza statale, per lasciare tutto il resto alla competenza "concorrente" regionale. Questo ha generato una valanga di ricorsi per le materie "concorrenti" in cui sia le Regioni sia lo Stato vogliono avere competenza.
Confrontando le due riforme si può dire che i recenti cambiamenti apportati dal centro destra rispetto al riforma della sinistra, da un punto di vista del federalismo, sono minimi ed insignificanti e si riferiscono sostanzialmente alle competenze degli infermieri, dei bidelli e della polizia amministrativa che dallo Stato dovrebbero passare alle Regioni. Gli altri cambiamenti apportati al Titolo V° non riguardano l'assetto federalista dello Stato e lasciano sostanzialmente invariato il centralismo statale al quale, soprattutto per merito della riforma voluta dalle sinistre, si aggiunge un marcato accentramento regionale, provinciale e comunale.
La diminuzione di 200 parlamentari della riforma presentata dal centro destra sarà compensata dall'aumento dei consiglieri regionali; la suddivisione delle funzioni e competenze resta sostanzialmente la stessa di oggi, mentre il capo del governo eletto dalla coalizione e la diminuzione del potere di garanzia del capo dello Stato non hanno alcuna relazione né col federalismo né con la garanzia costituzionale. Basta pensare alla diversa soluzione dei due problemi dati da federalismo americano e da quello svizzero.
Non vi è alcun dubbio che Gianfranco Miglio, il padre del federalismo italiano, avrebbe bocciato senza appello sia la riforma del centrosinistra, sia la riforma del centrodestra. Senza alcun pudore culturale, infatti, entrambe le riforme costituzionali non hanno esitato a mascherare la decentralizzazione (parola chiave del federalismo che significa "abolizione del centro"), con l' "autonomia" e la "devolution". La prima non tiene conto che il federalismo è il contrario di ogni sistema di autonomia; la seconda, la cui radice latina (devolutio) implica un movimento dall'alto verso il basso, mentre non c'è studioso serio del federalismo che non affermi il contrario, non tiene conto che il federalismo è il contrario dei sistemi decentrati e regionali, mentre il potere dello Stato è rigidamente suddiviso a diversi livelli istituzionali. Come giustamente sosteneva Miglio, senza una vera riforma federalista dello Stato nessun "federalismo fiscale è possibile" e questo renderà ancora una volta statica e passibile di violazione la nostra Costituzione, perché a differenza delle costituzioni federali che si basano su "garanzie", si basa su "principi" che ognuno può interpretare a suo modo, amplificando a dismisura le possibilità di alterazione di giudizio e di violazione delle garanzie.
La vera riforma federale della Costituzione potrà avvenire riscrivendo interamente la prima parte della Carta ed introducendo il concetto che "la democrazia rappresentativa sia equilibrata per mezzo della democrazia diretta" (sia Miglio sia Bobbio si sono espressi a favore di questa tesi). Elemento essenziale di tale "equilibrio e conciliazione" è, infatti il "contratto politico" o "di federazione". Questo genera lo Stato contrattuale (federale) o della libertà.
La discussione di questi temi attraverso i media, in tempi davvero lunghi, potrebbe rimediare alla falsità delle informazioni fino adesso fornite sul federalismo e potrebbe restituirgli la dignità che i partiti di governo e di opposizione gli hanno tolto. Purtroppo quando un mito, un pregiudizio, un'opinione o un'idea scientifica si è stabilito e radicato fra la gente, diventa molto difficile estirparlo. La difficoltà che s'incontra a disingannare la maggioranza delle persone da un'idea diffusa nel tempo dagli strumenti di comunicazione di massa, anche se appare palesemente errata, è impresa che né i libri, né i discorsi possono compiere in breve tempo. Radio, televisione e giornali hanno presentato alla gente un concetto falso, ambiguo o aberrante del federalismo di cui pochissimi conoscono la fondamentale natura "contrattuale". Le ragioni politiche di ciò sono diverse. La prima è che per frenare una possibile avanzata della Lega nord, che col federalismo aveva presentato un'idea geniale ed innovativa dello Stato, i vecchi partiti, usi a cambiare il pelo ma non il vizio, hanno indicato il federalismo, come "secessionista" e "razzista" e gli hanno voluto attribuire un carattere "nazionalista" (l'interesse nazionale) incompatibile con la sua natura. Due menzogne di incredibile portata da cui la Lega nord non ha saputo difendersi energicamente creando le condizioni per i compromessi che avrebbero in seguito snaturato lo spirito e la lettera del federalismo che voleva affermare.
Il federalismo, infatti, per sua natura risponde ad una logica di unione, mai di divisione, di solidarietà, mai di antagonismo, sia nei rapporti fra le persone, sia fra le persone e le istituzioni, quando esistono le condizioni che permettono ai "contraenti" di trarre reciproco vantaggio dall'azione comune.
Per le ragioni esposte il movimento che rappresento è a disposizione di chiunque voglia aprire un confronto serio ed approfondito sulla natura e sui contenuti del federalismo, considerando che l'attuale inganno prodotto nei confronti del popolo italiano serve solo ai partiti e non ai cittadini.
Ci scusiamo per la lunghezza e ringraziamo per l'eventuale attenzione e pubblicazione
Per l'Unione per l'Autogoverno, Paolo Bonacchi
http://www.autogoverno.org/
Ps. L'Unione per l'Autogoverno è stata fondata a Mantova il 13 settembre 1997 e registrata il 26 settembre dello stesso anno.
circolo federalista Gianfranco Miglio Parma circolo_gfmiglio@libero.it