Dal carcere il leader del Pkk commenta la decisione di Ankara di abolire la pena di morte
Ocalan: "Non sarò impiccato e vorrei tornare in Italia"
"Il mio rientro da voi segnerà l'inizio di un nuovo movimento per la libertà"
dal nostro inviato MARCO ANSALDO
MUDANYA - "Me lo sentivo che non sarei stato impiccato. Ho un buon sesto senso e l'avevo capito. Nessuno ci credeva, né gli intellettuali né i miei avvocati né il Pkk. L'abolizione della pena di morte in Turchia è un passo importante, che apre un nuovo periodo basato sulla libertà. Continuerò a fare politica e un giorno tornerò a Roma: tornerò da dove mi hanno cacciato e fonderò un nuovo movimento per la libertà" .
Abdullah Ocalan, tre anni dopo la sua condanna a morte, esulta per l'abolizione della pena capitale in Turchia. Da Imrali, la minuscola isola nel Mar di Marmara, dove vive confinato dal momento della cattura in Kenya, la sua voce torna a farsi sentire dopo un lungo periodo di silenzio. Ma bisogna venire fino a Mudanya, il porto più vicino dove parte l'unico traghetto per Imrali, per raccogliere le impressioni del leader del Pkk dopo la storica svolta di Ankara.
E Apo, nell'impossibilità di un incontro personale, vietato dalle autorità, accetta volentieri di rispondere alle domande di Repubblica che gli sono state fatte avere in carcere. Senza più i baffi che l'hanno reso celebre, con indosso i pantaloni blu di una tuta sportiva, una maglietta verde militare e ciabatte ortopediche ai piedi, Ocalan è apparso in buona salute a chi lo ha incontrato. I problemi che per lungo tempo lo hanno afflitto sembrano in parte superati, e Apo appare energico e con il morale alle stelle. Soffre, comunque, per il fatto di essere l'unico ospite della prigione: un piccolo appartamento a due piani dove il capo curdo che per 15 anni ha combattuto la Turchia in una guerra che causò 30 mila morti, si muove in 13 metri quadrati stipati di libri, controllato notte e giorno attraverso i vetri e le telecamere.
Abdullah Ocalan, la Turchia ha deciso che non verrà giustiziato: è una svolta per lei, ma anche per Ankara?
"Io non so se bisogna chiamarla una predizione. Credo però che sia il mio sesto senso. Mi accadde lo stesso quando mi portarono qui in aereo dopo la cattura. Non mi avevano drogato, ma in quel frangente provai la stessa sensazione: che non mi avrebbero eliminato. L'ho detto fin dall'inizio: se vedo anche un filo di luce, lo seguo. E con la storia della pena di morte è successa la stessa cosa. Nessuno ci credeva: gli intellettuali, i miei avvocati, il Pkk. Eppure con caparbietà ho portato avanti il processo di pace. Nemmeno la stampa credeva che queste leggi sarebbero state approvate. Perfino i deputati ne dubitavano. Eppure avevo ragione" .
Che cosa significa per la Turchia l'abolizione della pena di morte?
"Cancellare l'impiccagione è la decisione più importante della storia della Repubblica turca da ottanta anni a oggi. Significa annullare la tradizione di eliminare fisicamente i nemici politici che c'è in questa parte di mondo da cinquemila anni" .
Cosa ha da dire ad Ankara adesso?
"Che è una svolta determinante. In passato in Turchia sono stati uccisi così, adducendo motivi politici, poeti e ribelli. Erano la voce del popolo, e venivano giustiziati. Ultima la decisione di eliminare il rivoluzionario di sinistra Deniz Gezmish (uno dei capi del movimento Dev-Sol, ndr). Il mio processo nell'isola di Imrali paradossalmente ha tolto di mezzo la pena di morte: ormai non era più molto attuale, aveva perso di importanza. Mi compiaccio con la Turchia per la decisione. Questo rafforzerà l'amicizia, i legami tra i popoli e le culture. E invece di una politica dura, basata sulla lotta frontale, ci sarà una politica moderna, basata sui compromessi e gli accordi tra le parti" .
Qual è il suo giudizio sul permesso di insegnare e trasmettere in curdo?
"Un passo storico per la libertà, la solidarietà e l'unità. Do un valore altissimo a questa decisione e mi congratulo. Turchi e curdi devono vivere insieme come un popolo fratello. Adesso un compito importante spetta proprio ai curdi, non devono sottovalutare quanto è stato fatto. Devono rispondere a questa decisione, e continuare a lavorare per una politica democratica, nella pace e nella fratellanza. Imparare a essere uniti fra loro sarà una questione di onestà".
Pensa mai all'Italia, ai due mesi trascorsi nella villa all'Infernetto, poco lontano da Roma?
"All'Italia penso spesso. L'ambiente che ho incontrato laggiù non era facilmente digeribile. Come sapete dalla storia, anche San Paolo finì a Roma. E lì gli tagliarono la testa. A Roma hanno tagliato la mia testa. Ma San Paolo non è morto: sulla sua eredità hanno fondato il papato. E anch'io non sono morto" .
Qualche giorno fa i Lupi grigi hanno detto: di questo passo ci ritroveremo Ocalan in Parlamento. Dopo la sua condanna a morte, la magistratura italiana le concesse l'asilo politico. Se in futuro lei riconquistasse la sua libertà vorrebbe tornare a Roma? Farebbe politica in Italia?
"L'Italia e la Grecia sono paesi che rientrano nella mia zona di interesse. So bene che la mia attenzione per la Grecia significherebbe una rivoluzione ad Atene. Ho questo potere. Verso l'Italia ho dei pensieri. Il mio ritorno a Roma segnerà l'inizio di un nuovo movimento, per l'umanità e la libertà. Entrerò a Roma leggendo le quartine dell'Eneide. I suoi fondatori provenivano infatti da Troia, dall'Anatolia. Sì, sull'Italia ho dei sogni, ma adesso non credo che sia ancora giusto parlarne".
Ora la Turchia è più vicina all'Europa?
"Le leggi approvate nei giorni scorsi sono certamente misure di adeguamento ai criteri europei. Ma non sono valide solo per l'ingresso di Ankara nell'Unione europea, ma anche per turchi e curdi, perché le due comunità vivano insieme. I curdi dovranno dialogare con gli elementi più progressisti del paese, sotto il tetto della Repubblica turca. Non si comportino con spirito di vendetta, ma con sentimenti di fratellanza e di unione".
Come ha vissuto gli avvenimenti dell'11 settembre?
"C'è una ferita che viene vissuta all'interno del Medio Oriente. E i contrasti che hanno colpito l'America sono i contrasti che covano in questa zona di mondo. In un certo senso, la questione fra arabi ed ebrei è scoppiata a New York. E questo spiega la profondità e la vastità del problema mediorientale".
Gli Stati Uniti progettano di attaccare l'Iraq: colpire il regime di Saddam Hussein può risolvere la questione curda?
"Fin dal tempo dei sumeri l'Iraq è stata la culla della civiltà. Gli avvenimenti di oggi non sono altro che la ripetizione del passato. In Iraq sta per rinascere una civiltà democratica. Le attuali condizioni conducono velocemente a questo. E sia io che i curdi ci troviamo dentro questo processo, e tutti preciseranno il loro ruolo. I curdi combatteranno assieme ai poteri democratici e saranno a favore della democrazia" .
La svolta della Turchia contribuirà a pacificare l'intera regione?
"I passi fatti non sono soltanto per Ankara: aiuteranno le relazioni con i curdi, che prima in Turchia, poi in Iraq e in Iran, infine in Israele e Palestina porteranno la pace e il consenso. Non c'è dubbio: questa è una svolta per tutto il Medio Oriente".
Repubblica (11 agosto 2002)