Intervista a Fausto Bertinotti sull' Unità 9-8-02

Cofferati mi ha deluso, pensa al partito democratico Usa"

ROMA L'intervista di Sergio Cofferati al "Corriere della Sera" ha fatto molto discutere la sinistra. Finora ci sono state reazioni prudenti. Sia da parte della Margherita, sia della maggioranza dei Ds, sia della minoranza. Mi pare che dalla minoranza ds - cioè dalla sinistra del partito - siano giunte osservazioni critiche: ma moderate, contenute, e non da tutti. Bertinotti, l'intervista di Cofferati segna quella che in politichese di chiama una "ricollocazione" del capo della Cgil, cioè una attenuazione delle sue posizioni più radicali assunte negli ultimi dieci-dodici mesi?
Sulla base dell'impegno sindacale e politico di Cofferati, e della Cgil, e considerando il ruolo fondamentale che Cofferati e la Cgil avevano assunto in questi mesi - su una linea di rianimazione dei conflitti sociali, di ribadita autonomia, di colloquio con i movimenti e di sollecitazione di una opposizione parlamentare più radicale - sulla base di tutto questo credo che nel nostro immaginario ci fosse uno sbocco politico diverso da quello che Cofferati ha delineato nell'intervista al Corriere.
Quale sbocco immaginava?
Io credevo di aver capito che Cofferati lavorasse alla costruzione di un partito solidamente laburista, o potremmo dire socialdemocratico, e cioè a qualcosa di nuovo, perché in Italia non c'è mai stata un vero e forte partito socialdemocratico. Anche chi, come me, non aveva mai creduto alla possibilità di creare in Italia un'esperienza di questo genere (per un milione di motivi che adesso è troppo complicato analizzare, compreso il fatto che da noi non è mai esistita una cultura socialdemocratica) , anche noi "scettici", tuttavia, guardavano con interesse a questa linea di Cofferati. E con qualche speranza. Poteva rappresentare una modifica importante nella collocazione di una parte della sinistra. Invece mi sembra che in questa intervista - che è la prima intervista di politica generale che Cofferati concede - l' ipotesi laburista svanisce. Per far posto ad un'altra idea: un'idea "ulivista" che ha una organicità senza precedenti. Mi sembra che nemmeno gli ulivisti convinti della prima ora avessero un'idea così totalizzante dell'Ulivo. Chissà, forse solo Cofferati, con alle spalle un anno di lotte sociali così vaste e profonde, poteva permettersi questa posizione. Come dire, era l'unico non-sospetto...
Perché dice che è più ulivista degli ulivisti della prima ora?
Perché lui propone una rifondazione completa dell'Ulivo. Sulla base di una dialettica diretta tra un'élite intellettuale e i movimenti della società civile. E indica questa strada come la via per un progetto e la realizzazione di una forza e di una politica. I partiti dove stanno? La linea di Cofferati prevede l'eclissi completa dei partiti. E infatti accompagna la sua idea politica con una idea istituzionale: una legge maggioritaria più rigorosa, una forzatura sul bipolarismo, che per la prima volta viene ipotizzato quasi come bipartitismo perfetto. Americano. Ho l'impressione che la linea che propone Cofferati vada molto nella direzione del modello americano. E che l'Ulivo che ha in testa assomigli al partito democratico americano, con un addio definitivo all'ipotesi e alla tradizione socialdemocratica.
Ha creato polemica anche l'atteggiamento un po' di chiusura nei vostri confronti. Per tutta l'estate si era discusso della possibilità di nuove collaborazioni e di nuova unità tra centro-sinistra e Rifondazione, invece mi sembra che Cofferati delinei una distinzione di ruoli.
Sì, delinea una distinzione di ruoli. Molti miei amici in questi giorni mi hanno detto frasi polemiche verso questo aspetto della posizione di Cofferati. Dicono che è una posizione di apertura verso il centro e di chiusura verso sinistra. Il che fondamentalmente è vero. Io capisco queste polemiche. Però ho un'opinione un po' diversa, meno negativa. Io dico: se l'Ulivo è quello indicato da Cofferati, anche il rapporto con Rifondazione non può essere altro che quello indicato da Cofferati. Distinzione netta, ipotesi strategiche molto diverse, patti di alleanza tattica possibili e auspicabili. Punto. Perciò non faccio nessuna critica alla parte dell'intervista dedicata ai rapporti con noi. Io credo che l'errore di Cofferati sia nel suo obiettivo di rifondare in quei termini l'Ulivo. L’errore non è nelle alleanze successive e nel modo come le delinea. Quelle sono una conseguenza logica.
Perché dice errore? È una scelta. In politica si fanno le scelte, ci si schiera...
Dico che è un errore perché è in contraddizione con la premessa. Se la premessa di Cofferati è quella di sottolineare la ripresa delle lotte sindacali, la nascita dei movimenti no-global e dei movimenti nella società civile (girotondi ed altro), la necessità di opporsi ai radicalismi della destra, la costruzione di un nuovo protagonismo politico di massa, se la premessa è questa, la conclusione è in contraddizione clamorosa. Quella premessa non può portare ad una soluzione politica come rifondazione dell'Ulivo, l'eliminazione dei partiti e un certo spostamento moderato. Sono idee in contraddizione: tutto qui. Non possono convivere. Per questo parlo di errore.
Cofferati non ha indicato solo soluzioni di schieramento e di metodo. Ha anche indicato una linea di programma. Ha fatto riferimento al piano Delors. Lei cosa pensa di questa idea di programma.
Penso che sia la prova di quella contraddizione di cui parlavo. Il piano Delors mi pare che sia del 1993. Di nove anni fa. Fu stilato ai tempi di Maastricht. Prima dell’attuazione del trattato di Schengen sull'abolizione dei confini europei, prima della moneta unica, quando era appena avviata la rivoluzione informatica, prima dell'avvio della attuale fase della globalizzazione capitalistica, prima della fase di espansione economica di metà anni novanta e prima della recessione di adesso, prima della vittoria dei partiti riformisti in tutto l'occidente e del loro accesso al governo e prima della loro sconfitta e del ritorno del governo delle destre, prima dell'11 settembre, prima delle guerre dei Balcani e dell'Afghanistan... Devo continuare? Al di là del giudizio che si vuole dare, storicamente, su quel piano Delors - che ora non interessa- chiunque capisce che è un documento politico datato e inutilizzabile. Perché si sceglie quel piano? Proprio perché è vecchio, precede l'accesso al potere delle socialdemocrazie europee: tornare ai primi anni 90 ci permette di evitare di fare i conti su tutto quello che è successo negli anni 90, su come è stata gestita la politica, sugli errori che sono stati commessi e che non vanno più ripetuti e sulla sostanza delle linee politiche da cambiare. Il piano Delors qualcuno lo giudicava buono qualcuno meno buono. Ma se era buono valeva per i primi anni 90. È passato un secolo.
Bertinotti, in questa nuova situazione il suo partito che fa? Resta a guardare, aspetta, ha delle proposte da avanzare ad altri settori dello schieramento politico di sinistra? Per esempio alla sinistra Ds...
Sì, noi proponiamo che ad autunno si ricominci a parlare a sinistra senza rete. Un grande dibattito sui giudizi di fondo. Quando ero bambino, c'era un gioco: uno apriva il palmo della mano e gli altri ci mettevano un dito sotto; poi quello chiudeva la mano e cercava di afferrare quante più dita possibile. Non ha nessuna importanza di chi sia la mano, ha importanza che prenda molte dita. Autoconvochiamoci. In autunno potremmo fare un grande meeting di tutte le forze, gli uomini, le organizzazioni che hanno voglia di discutere sul futuro della sinistra partendo da due discriminanti. La prima è il no alla guerra, la seconda è la critica al neoliberismo e la lotta per la difesa dell'articolo 18. E poi discutiamo senza schemi e senza soluzioni in mente. Esaminiamo tutti i problemi, vediamo se riusciamo a indicare vie d'uscita sulle quali siamo d'accordo, a delineare percorsi, strade, esprimenti da fare. Cioè ridiamo vita a una possibilità di pensiero comune, di senso comune che ci tenga insieme, e anche di ricerca comune e di teoria.
Con una soluzione organizzativa? Cioè pensando a nuove aggregazioni, a nuovi partiti?
No. Non è questo il momento di precipitare le cose, i tempi. E non è il momento di mettere sempre l'organizzazione davanti alla politica. Chi dirige? con quali regole? chi è il leader? Per quanto tempo? Quando cambia? Quali sono le squadre? Io con chi sto? Basta. La politica è un'altra cosa. Non può vivere solo di tattiche e di lotta per gli assetti degli stati maggiori. Anzi, io credo che sarebbe ora di aprire una grande battaglia culturale contro il leaderismo del quale la politica italiana è ammalata da tanti anni. E che ha fatto guai seri. Costruiamo gruppi dirigenti e troviamo le idee. Lasciamo stare la mania di inventare leader e poi metterli in lotta tra loro.
Tornano i rumori della guerra. Non si capiscono bene i tempi, ma sembra che Bush sia intenzionato ad attaccare l'Irak con una vera e propria guerra guerreggiata. Non sono molto chiare ancora le posizioni dei paesi europei e neanche quelle della sinistra europea, anche se sembra che in gran parte sia contraria. Non crede che lo scontro su un tema cruciale, come la guerra, possa cambiare molte cose nella politica europea, e anche definire nuovi schieramenti?
La situazione di fronte al rischio della guerra è fluida e confusa. Ci sono due soli punti fermi. Il primo è la volontà dell'America di fare la guerra, il secondo è la volontà dei pacifisti di opporsi con tutte le proprie forze. L'esito di questa contrapposizione dipenderà da come si schiereranno, e con quanta nettezza, tutte le componenti - statuali e politiche - che stanno in mezzo tra queste due posizioni. È una partita importantissima. L'America - cioè il potere americano, non solo Bush - vuole la guerra e non può farne a meno perché è un passaggio obbligato di questa globalizzazione. L'America di oggi è costretta alla guerra infinita. Se salta la guerra saltano tutti gli equilibri politici ed economici della globalizzazione. Cambia il mondo. E io penso che noi qui in Europa, qui in Italia, dobbiamo trasformare l'autunno in una straordinaria stagione contro la guerra. Cercando di allargare il fronte quanto più possibile, trasformando la battaglia perl pace nella nostra principale battaglia strategica. Non solo una battaglia di principio, una battaglia da vincere.