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  1. #1
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    Predefinito 10 agosto - San Lorenzo, diacono e martire



    Nella Passio Polychronii (gli Atti del martirio di S. Lorenzo) si legge che il martire, prima di essere steso sulla graticola e messo a bruciare sui carboni ardenti, volle pregare per Roma. La città gli è stata grata di questo atto d'amore dedicandogli ben trentaquattro chiese, la prima delle quali è stata eretta, secondo la consuetudine, sul luogo del martirio, « in agro Verano », l'attuale cimitero romano. Tanto onore non hanno avuto gli stessi patroni principali di Roma, S. Pietro e S. Paolo. Come spiegare, dunque, l'incontestabile popolarità di questo martire (a Roma fino al secolo scorso la sua festa era di precetto) senza dar credito alle notizie forniteci dalla Passio e da scrittori del IV secolo, che a questi racconti attingono abbondantemente?
    La sua immagine, aureolata di leggenda già negli scrittori molto vicini alla sua epoca (come Prudenzio), ci è familiare nel gesto, fissato dagli affreschi del B. Angelico nella cappella vaticana di papa Niccolò V, di distribuire ai poveri le collette dei cristiani di Roma. Questa era infatti una delle mansioni dei diaconi, e Lorenzo, creato arcidiacono da papa Sisto II, era stato preposto alla comunità dei diaconi romani. L comprensibile quindi che nell'incalzare della persecuzione di Valeriano, lo stesso papa, arrestato e condotto al martirio, abbia dato incarico al suo diacono di distribuire quanto aveva ai poveri. Quando l'imperatore - si legge sulla Passio - impose a Lorenzo di consegnargli i tesori di cui aveva sentito parlare, questi radunò davanti a Valeriano un gruppo di indigenti esclamando: « Eccoli i nostri tesori, che non diminuiscono mai, e fruttano sempre e li puoi trovare dappertutto! ».
    A questa arguta e sapiente risposta fanno eco le ultime parole del martire, che posto ad arrostire sui carboni ardenti e già rosso come un tizzone, avrebbe trovato il modo di fare dello spirito: « Ecco, da questa parte sono cotto. Rivoltatemi». L'eroica testimonianza di fede resa dal martire è stata effìcacemente ricordata da papa Damaso: « Verbera, carnifices, fiammas, tormenta, catenas... »: le fruste, i carnefici, le fiamme, i tormenti, le catene nulla poterono contro la fede di Lorenzo. Il papa, che « ammirava le virtù del martire glorioso », gli eresse la seconda chiesa, sulle rovine del teatro di Pompeo, facendo per lui la prima eccezione: nessun martire aveva avuto, prima di lui, una chiesa in un luogo diverso da quello del martirio. Secondo la Depositio mar rum, il diacono Lorenzo subì il martirio il 10 agosto 258.

  2. #2
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    Lorenzo fu il primo diacono di Roma, con il compito di distribuire ai poveri quanto raccolto fra cristiane della città. La tradizione ci tramanda le vicende legate alla sua morte, di come abbia incontrato Papa Sisto II condotto al martirio, di come abbia rifiutato di consegnare i "tesori" della Chiesa a lui affidati e di come abbia subito il supplizio della graticola, che è divenuto il suo motivo iconografico peculiare unto in realtà, sulla base della rescritto che Valeriano mandò in senato e che ordinava l'esecuzione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi mediante decapitazione, è quasi certo che Lorenzo sia stato un martirizzato il 10 agosto come il suo vescovo, che secondo S. Damaso, venne decapitato in un cimitero insieme a sei diaconi.

  3. #3
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    « Eccoli i nostri tesori, che non diminuiscono mai, e fruttano sempre e li puoi trovare dappertutto! ».

  4. #4
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    « Verbera, carnifices, fiammas, tormenta, catenas... »
    Papa Damaso


    le fruste, i carnefici, le fiamme, i tormenti, le catene nulla poterono contro la fede di Lorenzo

  5. #5
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    Predefinito Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

    Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397

    Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell'altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione. San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, verso il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L'ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambio quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte.
    Anche noi, fratelli, se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell'imitazione del Cristo, che «patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2, 21). Con questa frase sembra quasi che l'apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all'effusione del sangue, fino a rassomigliarli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si é inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto.
    Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l'edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all'effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L'Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Quale sublimità!
    «Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2, 7-8). Quale abbassamento! Cristo si é umiliato: eccoti, o cristiano l'esempio da imitare. Cristo si é fatto ubbidiente: perché tu ti insuperbisci? Dopo aver percorso tutti i gradi di questo abbassamento, dopo aver vinto la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo l'Apostolo che dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3, 1).



  6. #6
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    Predefinito INNO IN ONORE DELLA PASSIONE DI S. LORENZO, DIACONO E MARTIRE

    E' l'inno scritto da Aurelio Prudenzio Clemente, nato a Calahorra (Spagna) nel 348.
    L'inno è il testo più ampio, più ricco di particolari e più attendibile sul martirio di S. Lorenzo.

    Antiqua fanorum parens,
    iam Roma Christo dedita,
    Laurentio victrix duce
    ritum triumfas barbarum...


    Così inizia l'inno
    in testo latino:
    segue traduzione
    di Giuseppe Micunco

    Madre antica di templi,
    Roma già a Cristo sacra,
    col trionfo di Lorenzo
    hai vinto i culti barbari.

    Re superbi vincesti
    e popoli domasti,
    ora mostruosi idoli
    soggioghi col tuo impero.

    Questa gloria mancava
    alla Città togata:
    che vinta ogni ferocia
    domasse il sozzo Giove.

    Ne vinser con la forza
    Cosso, Camillo o Cesare,
    ma il martire Lorenzo
    con non incruenta guerra.

    Lottò armata la Fede
    del proprio sangue prodiga:
    vinse morte con morte,
    si immolò per se stessa.

    Il pontefice Sisto
    in croce lo predisse
    al vedere Lorenzo
    sotto la croce piangere:

    "Smetti il dolore e il pianto
    per la mia dipartita!
    Ti precedo, fratello,
    tu verrai fra tre giorni".

    La parola del vescovo
    gli preannunziò la gloria,
    né si sbagliò: la palma
    venne il giorno predetto.

    Con che voce o che lodi
    canterò la sua morte?
    qual canto sarà degno
    d'una tale passione?

    Questi primo fra i sette
    che servono all'altare,
    levita d'alto grado
    e degli altri più nobile,

    di sacre porte a capo
    della casa celeste,
    le fide chiavi aveva,
    dispensando le offerte.

    Il prefetto di Roma
    ha fame di denaro,
    servo d'un folle capo,
    d'oro e sangue esattore.

    Vuol con forza strappare
    il denaro nascosto:
    nei luoghi sacri immagina
    talenti e mucchi d'oro.

    Fa arrestare Lorenzo,
    cerca la cassa piena
    di ricchi mucchi e i monti
    di monete nascoste.

    Dice: "Vi lamentate
    che troppo atroci siamo,
    se i corpi dei cristiani
    nel sangue laceriamo.

    Non giustizia severa
    voglio con atti atroci;
    dolce e calmo ti interrogo,
    tu dovresti parlare.

    E' nei vostri misteri
    costume e usanza - dicono -,
    che per il patto i presuli
    libino in coppe d'oro.

    Fuma in vasi d'argento
    - dicono - il sacro sangue;
    e nelle veglie i ceri
    sono infissi nell'oro,

    E devono i fratelli
    - voci e fama la attestano -
    vendere i campi e offrire
    migliaia di sesterzi.

    I poderi degli avi,
    venduti a turpi patti,
    rimpiange il figlio erede:
    non santi ha i genitori!

    Si occulta il frutto in angoli
    nascosti delle chiese,
    e gran pietà si crede
    spogliare i dolci figli.

    Tira fuori i tesori,
    che con chiacchiere e imbrogli
    tu conservi ammucchiati
    e chiudi in antri bui.

    Lo chiede il bene pubblico
    ed il fisco e l'erario,
    può col denaro il principe
    stipendiare i soldati.

    So che avete un precetto:
    'rendi a ciascuno il suo'.
    Riconosce, ecco, Cesare
    sui soldi la sua immagine.

    Ciò che tu sai di Cesare
    rendi a Cesare: è giusto!
    Se non sbaglio, il tuo Dio
    non segna soldo alcuno.

    Venendo non portò
    con sé Filippi d'oro,
    ma parole e precetti,
    e con la borsa vuota.

    Fate fede al messaggio,
    vostro vanto nel mondo:
    date i soldi con gioia,
    siate ricchi in parole!".

    Per nulla aspro Lorenzo
    o irato a ciò risponde,
    ma ottemperante annuisce,
    come pronto a obbedire.

    "E ricca, non lo nego
    - dice - e ha la nostra Chiesa
    molte ricchezze e oro,
    né c'è più ricco al mondo.

    Tanti scrigni d'argento non
    ha neanche l'Augusto,
    signore dell'impero,
    su ogni moneta inciso.

    Ma non sdegno tradire
    del ricco Dio la cassa;
    parlerò e mostrerò
    quali tesori ha Cristo.

    Solo questo ti chiedo,
    un po' di dilazione,
    per adempiere meglio
    al dono che ho promesso,

    finché tutti per ordine
    scriva i beni di Cristo;
    va cantata la somma,
    e annotato il totale."

    Lieto e gonfio di gioia
    è il prefetto, e assapora
    l'ora d'avere l'oro,
    come se già l'avesse.

    Tre giorni stabilirono;
    con lodi è rilasciato
    Lorenzo, e garantisce
    per sé e per il tesoro.

    Tre giorni la Città
    percorre, e di malati
    schiere e di mendicanti
    raduna e mette insieme.

    C'era chi cieco aveva
    gli occhi entrambi cavati
    e al bastone affidava
    il passo vacillante.

    C'era chi andava zoppo
    per il ginocchio rotto
    o la gamba troncata
    o per piede più corto.

    C'era chi aveva gli arti
    d'ulcere putrefatte,
    e chi arida la mano e il
    braccio rattrappito.

    Cerca in tutte le piazze
    quelli cui provvedeva la
    chiesa madre, noti
    a lui, il dispensiere.

    Registra uno per uno
    e ne trascrive i nomi;
    li invita a sistemarsi
    davanti al tempio in ordine.

    Venne il giorno prescritto;
    fremeva avido il giudice,
    era in ansia e chiedeva
    di scioglier la promessa.

    Ed il martire: "Vieni,
    e i beni vedrai esposti,
    che il nostro ricco Dio
    ha nei suoi luoghi santi.

    Il grande atrio vedrai
    splender di vasi d'oro,
    e nei portici aperti
    ben schierati i talenti".

    Spudorato lo segue.
    Giunti alla sacra porta,
    caterve, ecco, di poveri,
    schiere turpi a vedersi.

    Si alza un grido di suppliche:
    s'atterrisce il prefetto,
    e rivolto a Lorenzo
    lo guarda minaccioso.

    E quello: "Perché fremi
    e minacci scontento?
    sozza, vile e spregevole
    ritieni questa gente?

    L'oro che ardente brami
    nasce in scavati ruderi,
    e da miniere buie
    col lavoro forzato.

    Torrenti e fiumi torbidi
    misto a sabbia lo portano;
    pieno di terra e sporco,
    va messo nel crogiolo.

    E l'oro che corrompe
    l'onestà ed il pudore,
    che uccide pace e fede,
    anche la legge uccide.

    Avvelena ogni gloria:
    perché lo stimi tanto?
    Cerca un oro più vero:
    oro è la Luce, gli uomini.

    E' "figlio della Luce" chi ha
    il corpo infermo e debole:
    la salute del corpo gonfia
    d'orgoglio l'animo.

    Sloga il morbo le membra,
    ma forza e vita ha l'animo;
    invece in membra sane
    è ferita la mente.

    Se il sangue arde al peccato,
    meno forze fornisce,
    e un fervore fiaccato
    è un veleno che snerva.

    Se mai potessi scegliere,
    vorrei grande dolore
    nella membra patire,
    ma dentro essere sano.

    Metti insieme le pesti
    e continui contagi:
    e della carne un'ulcera
    più turpe che dell'animo?

    Questi, negli arti infermi,
    dentro son sani e belli;
    sono puri nei sensi
    senza alcuna fatica.

    I vostri corpi sani
    hanno dentro una lebbra;
    la colpa vi fa zoppi
    e la frode vi acceca.

    Chi tu vuoi dei tuoi nobili,
    splendenti in volto e in vesti
    dimostrerò più debole
    di ognuno dei miei poveri.

    Questi, in seta superbo,
    tutto tronfio sul cocchio,
    dentro ha un'idropisia
    che la fa gonfio e pallido.

    Questo avaro ha contratte
    le mani curve e piega
    nel palmo le unghie adunche,
    e i nervi più non stende.

    Questi il piacere fetido tra
    meretrici pubbliche
    di fango e fogna inquina,
    e sozzi stupri cerca.

    E quell'altro che si agita
    e bolle e brama onori,
    è in preda a febbre ed ansima:
    ha il fuoco nelle vene.

    Quello non sa tacere,
    brama tradir segreti:
    freme e si rode il fegato
    e ha la scabbia nell'animo.

    E non dirò le ghiandole
    gonfie degli invidiosi?
    le piaghe dei maligni
    livide e purulente?

    E tu, che Roma reggi
    e Dio eterno disprezzi,
    se adori i sozzi demoni,
    hai il male regale.

    E questi che superbo
    disprezzi e stimi immondi,
    pasta non avranno ulcere,
    le membra avranno incolumi,

    e dalla carne inferma
    sciolti e liberi, infine,
    splenderanno beati
    nella casa del Padre,

    non insozzati o deboli,
    come ti appaiono ora,
    ma con vesti di porpora
    e con corone d'oro.

    Vorrei esser capace
    di mostrare costoro
    davanti agli occhi tuoi
    tra i signori del mondo.

    Son coperti di cenci,
    sporchi di moccio al naso,
    di saliva sul mento,
    hanno cisposi gli occhi.

    Però d'un peccatore
    niente è più sozzo e fetido;
    brutta ferita è il crimine
    e puzza come il Tartaro.

    Sono afflitti nell'animo
    da turpe corruzione
    coloro che nel fisico
    apparivano belli.

    Ed ecco i soldi d'oro
    che t'avevo promesso:
    non può il fuoco distruggerli,
    né un ladro può rubarli.

    Vi aggiungo ora le gemme
    (non è povero Cristo),
    gemme di chiara luce,
    che ornano questo tempio.

    Le consacrate vergini vedi
    e le caste vedove
    (morto il primo marito,
    non ebbero altro amore):

    gioielli della chiesa!
    di queste gemme è adorna;
    dote che piace a Cristo,
    così orna l'alto capo.

    Ecco i talenti, prendili:
    potrai ornarne Roma
    ne arricchirai il principe;
    sarai anche tu più ricco"

    "Di noi si ride - esclama
    il prefetto furioso -
    con giochi di parole
    (e questo folle è vivo.

    Furfante, impunemente
    pensi d'aver composto
    queste strofe da mimi,
    presentando la farsa?

    Ti sembrò bello e a modo
    trattarci con gli scherzi?
    Fui io, ai lazzi esposto,
    della festa il buffone?

    Severità non hanno
    né più giustizia i fasci?
    Così si è rammollita
    la scure dello Stato?

    Dici: 'Morrò con gioia:
    sacro e il sangue del martire,
    - avete, lo sappiamo,
    tale vana opinione -.

    Vorresti; ma non ordino
    che d'una morte rapida
    ti si appresti la fine:
    non morrai tanto presto.

    Ti protrarrò la vita
    tra estenuanti supplizi;
    una morte difficile
    prolungherà i dolori.

    Stendete brace tiepida,
    perché il troppo calore
    non divori il ribelle
    nel volto o nelle viscere.

    Resti il fumo a languire,
    e con soffio leggero
    gli temperi i tormenti
    del corpo abbruciacchiato.

    E' bene che tra tutti,
    lui addetto ai misteri,
    lui solo dia l'esempio
    di cosa è da temere.

    Sali sul rogo pronto,
    sul letto di te degno,
    poi, se hai voglia, sostieni
    che nulla è il mio Vulcano".

    Cosi dice il prefetto
    ed aguzzini truci
    tolgon la veste al martire,
    legan le membra tese.

    Brillò di luce il volto,
    splendette di fulgore;
    tal tornando dal monte
    mostrò Mosè il suo volto,

    e i rei Giudei, pallidi
    per il vitello d'oro,
    temettero e si volsero,
    vedere Dio non ressero

    Tale volto di gloria
    splendente mostrò Stefano,
    vedendo i cieli aperti,
    mentre lo lapidavano.

    Questa luce ai fratelli
    purificati splende,
    che il battesimo ha resi
    portatori di Cristo;

    gli occhi ciechi degli empi,
    avvolti dalla notte,
    cinti da oscuro velo,
    non vedono il chiarore.

    Già la piaga d'Egitto
    i barbari alle tenebre
    condannava e agli Ebrei
    mostrava giorno e luce.

    L'odore, anche, che sale
    dalla carne ustionata
    sentono ben diverso:
    chi il bruciato, e chi nettare.

    Così alla percezione
    l'aria appare diversa:
    fa orrore e raccapriccio,
    o accarezza piacevole.

    E il Dio del fuoco eterno -
    ché Cristo è vero fuoco -
    riempie di luce i giusti,
    mentre i malvagi brucia.

    Poi che il calore lento
    bruciò il fianco riarso,
    egli dal rogo il giudice
    brevemente interpella:

    "Gira dall'altro lato
    la parte ormai bruciata;
    vedi di che è capace
    il tuo ardente Vulcano".

    Girar lo fa il prefetto,
    e quello: "E cotto: mangia!
    assaggia se è più dolce
    la parte cruda o cotta".

    Detto questo per scherno,
    al cielo si rivolge,
    geme e prega pietoso
    per la Città di Romolo:

    "O Cristo, unico nome,
    luce e forza del Padre,
    creator dell'universo
    e autor di queste mura,

    tu che del mondo intero
    desti a Roma lo scettro,
    e dei Quiriti a tutti
    toga ed armi imponesti,

    sì che di tante genti
    costumi, usanze, lingue
    ingegni e riti fossero
    sotto un'unica legge:

    sotto il regno di Remo
    ridotta, ecco, è ogni gente,
    hanno tutti una lingua,
    tutti la stessa mente.

    Fu questo destinato
    perché il nome cristiano
    ogni angolo del mondo
    legasse a un solo vincolo.
    Sia, Cristo, ai tuoi Romani
    cristiana la Città:
    per essa a tutti gli altri
    desti un'unica fede.

    Hanno un unico simbolo
    di qui tutte le membra
    cede suddito il mondo,
    ceda il capo supremo!

    Porta a terre lontane
    Roma l'unica grazia;
    abbia le fede Romolo
    e sia credente Numa!

    Troia fa errare ancora
    la curia dei Catoni:
    nel fuoco occulto venerano
    frigi esuli Penati.

    Giano bifronte e Sterculo
    i senatori adorano:
    temo a dire quei mostri
    ed il vecchio Saturno.

    Scaccia, o Cristo, lo sconcio!
    manda il tuo Gabriele:
    la cecità di Iulo
    conosca il vero Dio!

    Ed abbiamo i garanti
    già di questa speranza:
    qui già regnano i due
    principi degli apostoli.

    Uno chiamò i gentili,
    l'altro la prima cattedra
    tenendo apre le porte
    eterne a lui affidate.

    Va' via, Giove adultero,
    che tua sorella stupri!
    lascia libera Roma
    e il popolo di Cristo!

    Di qui ti scaccia Paolo
    ed il sangue di Pietro
    contro di lui Nerone
    armasti, e ne hai condanna.

    Vedo in futuro un principe,
    che al servizio di Dio
    non lascerà che Roma
    serva infamanti dei;

    che sbarrerà i templi
    e le porte d'avorio,
    chiuderà le empie spoglie
    con chiavistelli bronzei.

    Puri allora del sangue
    risplenderanno i marmi;
    staranno innocui i bronzi,
    ora adorati idoli".

    Finita la preghiera,
    cessò d'esser nel corpo,
    ed insieme alla voce
    con gioia uscì la spirito.

    Ne portarono il corpo
    a spalle alcuni nobili,
    che un uomo tanto libero
    spinse a seguire Cristo.

    Spirò nuova natura
    nei cuori e per amore
    costrinse del Dio altissimo,
    a odiar le antiche favole.

    Da quel giorno scemò
    degli empi dèi il culto:
    poca gente nei templi,
    tanti al seggio di Cristo.

    Lorenzo per combattere
    non si cinse la spada,
    ma ritorcendo il ferro
    lo volse nel nemico.

    Il demonio sfidò
    il campione di Dio,
    ma lui cadde trafitto,
    e ora giace in eterno.

    La morte del pio martire
    fu dei templi la morte;
    Vesta, vinta, i Palladii
    si vide abbandonare.

    Ed i Quiriti assidui
    alla coppa di Numa,
    agli atri di Cristo riempiono,
    innni al martire cantano.

    E i primi del senato
    un dì luperci e flamini,
    baciano ora le soglie
    di apostoli e di martiri.

    Vediamo case illustri,
    nobili d'ambo i sessi,
    d'amore in pegno
    offrire i carissimi figli.

    Le bende del pontefice
    fanno posto alla croce,
    e al tuo tempio, Lorenzo,
    entra Claudia Vestale.

    Tre, quattro, sette volte
    beato chi a Roma abita,
    che da vicino venera
    e te e le tue ossa;

    che può presso prostrarsi,
    bagnar di pianto il luogo,
    premere a terra il petto
    e mormorare voti!

    Da voi l'Ebro dei Baschi
    e due Alpi ci separano:
    siamo oltre le Alpi Cozie
    e i Pirenei nevosi.

    Si sa appena da noi
    quanti santi abbia Roma,
    quanti sacri sepolcri
    nel ricco suol fioriscano.

    Non tali beni abbiamo,
    né è dato visitare
    le vestigia dei martiri:
    guardiamo allora al cielo.

    E così, san Lorenzo,
    la tua passione amiamo:
    hai due templi: del corpo
    qui, dell'anima in cielo.

    E là, chiamato a capo
    di una Città ineffabile,
    hai in una curia eterna
    la civica corona.

    Vedo di chiare gemme
    risplendere quell'uomo
    che la Roma celeste
    scelse a perenne console.

    Quanto potere e onore
    ti sia data, la prova
    la gioia dei Romani
    le cui preghiere ascolti.

    Ciò che un supplice chiede
    l'ottiene in abbondanza;
    chiedono oranti, supplicano,
    nessuno torna triste.

    Sii sempre propizio,
    e i tuoi figli di Roma
    nutri di latte al seno
    nel tuo paterno amore.

    Odi, onore di Cristo,
    anche il rozzo poeta,
    che le colpe confessa
    e ti offre ogni sua azione.

    Riconosco che è indegno
    che Cristo l'esaudisca,
    ma i protettori martiri
    gli ottengano il perdono.

    Benigno odi le suppliche
    del reo Prudenzio, o Cristo:
    del corpo ancora è schiavo,
    sciogli del mondo i vincoli.


    In secoli tormentati che segnano a fine del mondo antico e preannunciano una nuova età, Prudenzio, questo grande poeta latino, definito dalla critica il Virgilio cristiano, prepara vie nuove.
    Persuaso che anche la poesia abbia piena cittadinanza nella casa del Padre, l'autore delinea in versi mirabili il rapporto tra la cultura pagana e la cultura cristiana, l'amore per i poveri e la splendida figura di S. Lorenzo. Leggerli può servire ad operare con discernimento tra veri e falsi valori nelle attuali temperie culturali di fine millennio.

  7. #7
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    Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». (Matteo 11, 28-30)

  8. #8
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    In occasione della festa di S. Lorenzo, riporto in rilievo questo thread.

    Augustinus

    Siciolante da Sermoneta, Martirio di S. Lorenzo, XVI-XVII sec., Pinacoteca. Abbazia di Casamari

    G. Serodine, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, XVII sec., Pinacoteca. Abbazia di Casamari

  9. #9
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    Bernardo Strozzi, La carità di S. Lorenzo, 1639-40, S. Niccolò da Tolentino, Venezia

    Beato Angelico, Ordinazione diaconale di S. Lorenzo da parte del Papa Sisto II, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

    Beato Angelico, S. Lorenzo riceve le ricchezze della Chiesa dal Papa Sisto II, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

    Beato Angelico, S. Lorenzo distribuisce le ricchezze della Chiesa ai poveri, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

    Beato Angelico, S. Lorenzo dinanzi all'imperatore Valeriano, 1447-50, Cappella Nicolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

  10. #10
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    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Lorenzo Diacono e martire

    10 agosto - Festa

    Martire a Roma, 10 agosto 258

    Fu il primo diacono di Roma, con il compito di distribuire ai poveri quanto raccolto fra cristiane della città. La tradizione ci tramanda le vicende legate alla sua morte, di come abbia incontrato Papa Sisto II condotto al martirio, di come abbia rifiutato di consegnare i "tesori" della Chiesa a lui affidati e di come abbia subito il supplizio della graticola, che è divenuto il suo motivo iconografico peculiare unto in realtà, sulla base della rescritto che Valeriano mandò in senato e che ordinava l'esecuzione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi mediante decapitazione, è quasi certo che Lorenzo sia stato un martirizzato il 10 agosto come il suo vescovo, che secondo S. Damaso, venne decapitato in un cimitero insieme a sei diaconi.

    Patronato:Diaconi, Cuochi, Pompieri

    Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino

    Emblema: Graticola, Palma

    Forse da ragazzo ha visto le grandiose feste per i mille anni della città di Roma, celebrate nel 237-38, regnando l’imperatore Filippo detto l’Arabo, perché figlio di un notabile della regione siriana. Poco dopo le feste, Filippo viene detronizzato e ucciso da Decio, duro persecutore dei cristiani, che muore in guerra nel 251. L’impero è in crisi, minacciato dalla pressione dei popoli germanici e dall’aggressività persiana. Contro i persiani combatte anche l’imperatore Valeriano, salito al trono nel 253: sconfitto dall’esercito di Shapur I, morirà in prigionia nel 260. Ma già nel 257 ha ordinato una persecuzione anticristiana.
    Ed è qui che incontriamo Lorenzo, della cui vita si sa pochissimo. E’ noto soprattutto per la sua morte, e anche lì con problemi. Le antiche fonti lo indicano come arcidiacono di papa Sisto II; cioè il primo dei sette diaconi allora al servizio della Chiesa romana. Assiste il papa nella celebrazione dei riti, distribuisce l’Eucaristia e amministra le offerte fatte alla Chiesa.
    Viene dunque la persecuzione, e dapprima non sembra accanita come ai tempi di Decio. Vieta le adunanze di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, esige rispetto per i riti pagani. Ma non obbliga a rinnegare pubblicamente la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la messa a morte di vescovi e preti. Così il vescovo Cipriano di Cartagine, esiliato nella prima fase, viene poi decapitato. La stessa sorte tocca ad altri vescovi e allo stesso papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. Si racconta appunto che Lorenzo lo incontri e gli parli, mentre va al supplizio. Poi il prefetto imperiale ferma lui, chiedendogli di consegnare “i tesori della Chiesa”.
    Nella persecuzione sembra non mancare un intento di confisca; e il prefetto deve essersi convinto che la Chiesa del tempo possieda chissà quali ricchezze. Lorenzo, comunque, chiede solo un po’ di tempo. Si affretta poi a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra la turba dei malati, storpi ed emarginati che lo accompagna, dicendo: "Ecco, i tesori della Chiesa sono questi".
    Allora viene messo a morte. E un’antica “passione”, raccolta da sant’Ambrogio, precisa: "Bruciato sopra una graticola": un supplizio che ispirerà opere d’arte, testi di pietà e detti popolari per secoli. Ma gli studi (v. Analecta Bollandiana 51, 1933) dichiarano leggendaria questa tradizione. Valeriano non ordinò torture. Possiamo ritenere che Lorenzo sia stato decapitato come Sisto II, Cipriano e tanti altri. Il corpo viene deposto poi in una tomba sulla via Tiburtina. Su di essa, Costantino costruirà una basilica, poi ingrandita via via da Pelagio II e da Onorio III; e restaurata nel XX secolo, dopo i danni del bombardamento americano su Roma del 19 luglio 1943.

    Autore: Domenico Agasso

    Gian Lorenzo Bernini, Martirio di S. Lorenzo, 1614-15, Collezione Contini Bonacossi, Firenze

    Agnolo Bronzino, Martirio di S. Lorenzo, 1569, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

    Caravaggio, Natività con i SS. Lorenzo e Francesco d'Assisi, 1609, San Lorenzo, Palermo

    Antoniazzo Romano, Natività con i SS. Lorenzo ed Andrea, 1480-85, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma





 

 
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