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Discussione: Storia Della Padania

  1. #1
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    Cool Storia Della Padania

    Una indagine solo superficiale può fare pensare che la Padania non sia mai esistita come soggetto storico autonomo. In verità invece, approfondendo le informazioni ed eliminando tutte le incrostazioni lasciate dalla storiografia ufficiale (e dalle banalità scolastiche da questa derivate) si arriva a scoprire che poche regioni al mondo possono vantare una storia comune altrettanto omogenea».

    Si è già visto quali fossero i popoli che abitavano la terra padana quando questa si è affacciata sulla storia scritta e si è anche detto di come tali popoli fossero molto simili fra di loro e come convivessero senza particolari problemi, al punto che la loro somiglianza e il loro grado di integrazione li rendeva spesso indistinguibili agli osservatori esterni, per i quali hanno finito per diventare semplicemente "Galli cisalpini", distinti dai loro fratelli europei solo per la diversa collocazione rispetto alla catena alpina.

    Quel che realmente accumunava tutti quei popoli
    11) Ancora oggi, a 50nnidalla caduta del fascismo, i testi scolastici sono un patriottico tripudio di romanit,i: in un comune libro di storia per la scuola media si possono trovare decine di pagine dedicate alle vicende degli Assiri, degli Egizi e dei Greci, centinaia di pagine su Roma e salo poche righe sui popoli padani ("f Romani soggiogarono l'Italia settentrionale vincendo le tribu galliche che vi erano discese-).
    Cfr. Silvio Lupo, “La storia si ripete, la Conquista romana della Gallia Cisalpina C, su Quaderrni
    Padani, N.41996 Pagg. 18-21.


    non erano solo l'aspetto fisico, i costumi e la cultura (abbiamo visto che solo la lingua li differenziava in parte) ma era soprattutto la struttura organizzativa della società. Si trattava infatti sempre di comunità piuttosto limitate nel numero degli individui e nelle dimensioni del territorio occupato, di tribù o di grossi clan di famiglie guidate da capi scelti per le loro doti (con un sistema che oggi si definirebbe di democrazia meritocratica) e non su base ereditaria. Queste comunità non erano omogenee neppure per dimen¬sione: c'erano tribù piuttosto numerose (come gli Insubri o i Senoni) che occupavano estensioni considerevoli e c'erano gruppi piccoli o piccolissimi (come gli Statielli o i Victimuli) che difendevano con vigore la propria diversità e libertà.

    Tutte queste comunità erano molto legate alle loro particolarità culturali locali e fortemente gelose delle proprie autonomie: non è mai esistita una struttura statuale al di sopra delle entità tribali, non c'è mai stato un coordinamento istituzionalizzato (salvo che non fosse temporaneo per gestire emergenze comuni) fra le varie comunità celtiche, venete o liguri. Quando capitava che per ragioni belliche si dovessero unire, lo facevano sempre in termini di confederazioni o leghe temporanee e solo per coordinare l'attività militare«.
    Per il resto si trattava di una serie di orga¬nizzazioni totalmente autonome, spesso scoordinate ma in pace fra di loro: non si hanno infatti notizie
    (2) anche gli Eh-uschì, l'unico popolo “foresto”che ha avuto una parte rilevante° nella storia padana antica, erano sintomaticamente organizzati su di una struttura di tipo federale che univa le varie autonomie locali (Lucumonìe).
    Anche per questa ragione, Padania ed Etruria hanno sempre avuto rapporti privilegiati non a caso sfociati in alleanze militari.
    Cfr. la voce "Federalismo Etrusco" su: Luigi Marco Bassani, William Stewart e Alessandro
    Vitale, I concetti del Federalismo (Milano: Giuffrè, 1995), pagg.193-195.
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    a e
    r
    documentarie riè evidenze archeologiche di duri scontri fra quelle popolazioni se non nell'ambito delle macchinazioni politiche e della penetrazione militare romana. È stata proprio questa loro larga autonomia che paradossalmente ha finito per favorire l'impe¬rialismo latino che, organizzato su rigidi schemi gerarchici, ha tratto il massimo vantaggio dalla disorganizzazione, dallo spirito di autonomia e dalle divisioni delle varie tribù. Si è allora per la prima volta verificato lo scontro fra il più bieco centralismo e una società, di fatto federalista, che ha visto prevalere l'oppressione organizzata sulla libertà disorganizzata, i rigidi schemi da caserma (e da prigione) di Roma sulla "sventatezza" delle libere comunità.

    Nonostante tutto ciò, l'occupazione romana della Padania è stata tutto tranne che una facile passeggiata: dalla battaglia di Semino (295 aC) con la quale i Romani si sono affacciati per la prima volta in Padania (in particolare sull'Ager Gallicus, le attuali Marche settentrionali) alla (solo) formale sottomissione dei Leponzi dell'alta Ossola (100 dC) sono passati quasi 400 anni di lotte sanguinose, di vicende alterne, di dure resistenze, di massacri e di guerriglia. Pur compor¬tandosi in Padania come conquistatori brutali (non è azzardato il paragone con la conquista del West, per i sanguinari metodi di sterminio impiegati e per i carat¬teri delle civiltà che si sono confrontate)(3) i Romani non sono in definitiva riusciti ad avanzare in tutto il
    (3) II parallelo fra la conquìsta romana dello Padania e quella Statunitense del West è impressionante: si trattava di stati centralisti contro comuniita locali fortemente autonome, di macchine militari poderose contro il coraggio di guerrieri eroici ma disorganizzati (con un corollario di violenze, dìstruzioni di villaggi e massacri dì popolazioni inermi), di socìetà dotate di un alta potere di modifica del terntono contro popolazioni che vivevano di rispetto per la natura. E’ a quest'ultimo proposito, sconvolgente I'identità di esecuzione fisica tra la centuriazione romana e l’ Homestead act americano del 1862 che hanno steso un reticolo regolare di maglie quadrate sulterritorio facendo Piazza pulita di tutti gli elementi naturali o antropici esistenti.

    complesso delle loro offensive militari (e con la loro efficientissima macchina bellica) che poco più di un chilometro l'anno: avevano già sottomesso la Spagna quando hanno conquistato definitivamente Milano (196 aC), avevano già conquistato la Grecia e l'Anatolia quando hanno occupato la Carnia e il Piemonte, avevano già soggiogato la Gallia e la Cirenaica quando sono entrati ad Aosta e in Valtellina ed erano già arrivati da tempo in Britannia e in Mauritania quando hanno sottomesso i Cozii delle Alpi occidentali e i Leponzi dell'Ossola. In realtà però, essi non hanno mai soggiogato completamente i popoli padani: rivolte sono infatti continuate praticamente fino alla caduta dell'impero e una guerriglia endemica da parte di tribù montanare celtiche e liguri (che è sempre stata la forma di lotta più diffusa fra i popoli padani nel corso di tutta la loro storia fino ai nostri giorni) ha sempre impedito ai Romani di controllare completamente i valichi alpini e appenninici(4) . Nelle valli più alte (ma anche nei boschi che, perciò, hanno sistematicamente abbattono) i conquistatori ci sono sempre entrati malvolentieri, solo a legioni compatte, quando il sole era alto, nella bella stagione e affidandosi a tutto il loro mediterraneo repertorio di aruspici e di scongiuri(s).

    In altre parole: ci hanno messo lo stesso tempo (e
    (4) Un ininterrotto filo rosso lega la guerriglia dei Colti e dei Liguri (fatta di imboscate e di rapidi colpi, di mano contro centri,installazioni e colonne in movimento ) alla guerriglia dei Dolciniani, alle insorgenze artigiacobine e antì-bonapartiste dei "barbetti", e alla lotta partigiana.
    (5) Non è un caso che una delle più brucianti sconfitte inflitte dai Celti alle legioni romane sia proprio avvenuta all'interno di una foresta. Nel 216 aC, due legioni comandate dal pletore Lucio Postumio furono attaccate dai Boi all'interno della Selva Litana (sulle pendici romagnole dell'Appennino) e completamente massacrate E torse nata in quella occasione la leggenda degli °alberi guerrieri' che combattevano a fianco dei Celti. I Romani ripeteranno la triste esperienza due secoli dopo nella Selva di Teutoburgo (Anselmo Calvetti, I Celti in Romagna,, (Ravenna: Longo Editore, 1991, pagg,44-50. e Bernard Briais e Marcel Laverdet Les Galois Mythes et Lègendes. f (Paris, I Hachette, 1989),

    pagg.-7-8.
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    la stessa fatica) a conquistare sia tutto il loro sterminato impero che la sola Padania (Tav. 7).

    C'è da riflettere su cosa sarebbe potuto succedere se i Celti cisalpini (e i Liguri e i veneti) fossero stati uniti in una sola struttura organizzativa (o in una federazione permanente) e non invece in tante piccole autonomie, neppure sempre tutte animate dal necessario spirito antiromano. È infatti noto che i Veneti e (meno sistematicamente) i Cenomani non abbiano combattuto i Romani ma che si siano posti in una situazione di non-belligeranza quando non (in un. paio di tristi occasioni) addirittura in condizione di supina accettazione della presenza straniera(6).

    Tutte quelle lontane vicende e le modalità e i tempi con le quali si sono svolte hanno comunque

    avuto una decisiva influenza sulla formazione di quel

    clima di continuità etno-linguistica che abbiamo visto

    essere caratterizzante la regione padana.

    Si tratta di peculiarità di cui gli stessi Romani

    hanno preso atto e che li hanno costretti a suddividere

    il territorio in unità amministrative (Regioni), che

    hanno dovuto rispettare nella sostanza le situazioni

    preesistenti, e - con Diocleziano - a riunire nel 298 dC.
    (6) L'alleanza di questi popoli con Roma è quasi sempre stata passiva. Solo in pochissime occasioni hanno preso parte attesa alle campagne di conquista latine e non senza gravi contrasti inten,iai Cenomani Palleania militare con Roma che avrebbe portato alla vittoria sugli Insubri al Mincio e,, in particolare, costata la rivolta —dei ceti giovani attratti dalla solidarìeta gallica".
    Or, Enrico Campanile, I Celti d’Italia(Pisa: Giardini, 1981), pag22.
    Anche la tanto esaltata amicitia dei Veneti nei confronti di Roma (addirittura giustificata da fantasiose comuni origini troiane) sarebbe, secondo la stonografia moderna, in gran parte senza fondamento e il risultato di una "nobilitante proiezione del passato' effettuata da autori telo-romani o animati da volonteroso patriottismo italianista.
    Cfr. Loredano Capuis, I Veneti Società e cultura di un popolo dell’Italia preromana(Milano_ Longanes, 1993), pagg265 266
    Non e un caso che vengano oggi riproposte fittizie divisioni che ricalcano in qualche modo quelle antiche rivalità: l’insistenza delle fonti romane e ''patriottiche'' nel sottolineare i carattere speciali del cosiddetto "fenomeno Nord -Est" non è che un tentativo eseguito con la stessa logica del divide et impera e con lo stesso obiettiso di impedire unione dei popoli padani e di conculcarne la libertà
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    la Padania nella diocesi dell'Italia annonria, contrapposta all'Italia suburbicaria, a sud.
    Per tutto il periodo successivo alla caduta dell'impero, la Padania ha seguito lo stesso destino politico mantenendo la propria unità sotto sovrani Goti, fino ai tentativi di conquista bizantina.
    L'unità viene subito ricomposta dai Longobardi e in particolare con Liutprando che riunisce tutta la regione con le sole marginali eccezioni delle valli di Aosta e Susa, della laguna veneziana, dei dintorni di Ravenna e dell'Istria (Tav. 8). La comunità longobarda era strutturata in maniera molto simile a quella pre¬romana; essa si basava sulle Fare, gruppi di famiglie che costituivano entità autonome; la più significativa e positiva differenza era costituita dal fatto che fra i capi (Duchi) delle Fare veniva eletto il re di tutti i Longobardi. Dall'insediamento di queste comunità autonome nei centri abitati (e dal loro ruolo rivitalizzante delle antiche istituzioni pre-romane) sono di fatto nati i Comuni. Questo ordinamento faceva del Regno longobardo una sorta di confede¬razione fortemente caratterizzata da autonomie locali e riunita in una struttura di coordinamento. Si crea in quell'epoca la complessa situazione amministrativa che caratterizza i secoli a venire e con la quale la regione affronta il periodo di lotte contro il Barbarossa, formalmente unita nel Regno d'Italia ma in realtà "compattamente" sbocconcellata in cento autonomie comunali (o comunque locali) estremamente decise a mantenere le proprie peculiarità ma anche (forse memori delle cattive esperienze di più di un millennio prima) capaci di unirsi in federazione temporanea (la Lega Lombarda) per combattere un nemico comune e - in definitiva - per difendere le proprie differenze che,
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    ancora una volta, assumono una valenza unificante.

    Giova ricordare che in ogni caso, sotto una unità solo formale, si è creata una comunità formata da un variegatissimo mosaico di forti autonomie locali di origine pre-romana che neppure il burocratismo imperialista latino aveva scalfito e che è stato sicuramente rinvigorito dalla struttura comunitaria autonomista dei Longobardi.

    Tale unità formale resterà sostanzialmente invariata sotto il cosiddetto Regno d'Italia (in realtà comprendente solo la Toscana e la Padania con l'eccezione di Venezia) inglobato nell'Impero Romano¬

    Germanico fino al XVII secolo(7).

    Infatti la struttura politica non cambia nominalmente fino all'ingresso sulla scena padana di potenze imperialiste straniere (Francia, Spagna e Austria) non più legittimate da una sovranità formale (come l'imperatore romano-germanico) ma agenti per interessi decisamente particolari. Per meglio comprendere le ragioni della sopravvivenza di questa frantumazione del potere politico padano (ma anche toscano e germanico) giova comunque ricordare che si stima la popolazione della Padania del XII secolo in circa 8 milioni di abitanti su un totale europeo di 45-50 milioni e che quindi ogni piccolo comune-stato padano aveva in realtà le dimensioni demografiche di alcuni regni europei e che in ogni caso possedeva con larga evidenza tutte le risorse umane e culturali per autosostenersi: non è un caso che la grande esplosione culturale ed economica rinascimentale si sia verificata nelle valli del Po e dell'Arno(B).
    (7) La Padania non soggetta a Venezia continua a fare` (pur solo) formalmente- parte dellìmpero fino alla pace di Vestfalia (, 1648).
    (8) Terre G Jordan, Geografia culturale dell’Europa op. cit., pagg.85-87.
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    Si delineano con chiarezza nel Medioevo le autonomie locali che formano i soggetti politici destinati a perpetuarsi nei secoli futuri. I Comuni dell'epoca erano entità articolate che univano i centri urbani pricipali col loro territorio in termini organici, sia culturali che economici; molto spesso i confini di queste entità coincidevano in maniera significativa con l'area abitata dalle antiche tribù pre-romane (o dalle Fare longobarde) di cui avevano ereditato peculiarità e caratteri.
    Occorre notare come il vitale agglomerato di autonomie e di diversità che è la Padania abbia sempre avuto (nel suo complesso) abbondanti contatti con tutti i grandi centri culturali contemporanei (si pensi a Genova e Venezia e alle loro politiche commerciali) ma soprattutto con le aree più simili per contiguità etno¬linguistica e per struttura comunitaria.
    Ne è perciò derivata una lunga famigliarità con l'Occitania (e la Catalogna) da una parte (man mano affievolita dalla amebica crescita degli imperialismi francese e spagnolo) e dall'altra con il mondo centroeuropeo (soprattutto con le autonomie svizzere e basso-tedesche, ma anche con Vienna e con i grandi centri commerciali del centro e del nord d'Europa). Verso meridione, i contatti sono sempre stati strettissimi con la vicina Toscana (un ricordo dell'antico rapporto privilegiato con gli Etruschi) e più formali con Roma o, meglio, con la sede papale.
    Si tratta delle tre grandi direttrici che (con pesi variabili nel tempo) hanno sempre indirizzato i grandi interessi e le comunanze della comunità delle autonomie padane.
    Dal Rinascimento in poi la Padania conserva solo un barlume di unità formale quale parte di un sempre
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    più evanescente Impero romano-germanico e si trova frammentata e in balìa di potenze straniere che la trattano come terra di conquista. Per un lunghissimo periodo, solo le Repubbliche di Genova e di Venezia difendono con fermezza e accrescono la propria autonomia (e prosperità) e testimoniano dell'inesausta vocazione all'indipendenza e alle libertà della storia padana.

    Una forte unità di intenti e una robusta testimonianza di attaccamento alle proprie autonomie si ha con le lotte di resistenza dei "barbettí" contro l'occupazione giacobina e bonapartista fra il 1793 e il 1814.

    La Padania ha poi ritrovato parziale unità solo agli inizi del XIX secolo, con la Repubblica Cisalpina, con il napoleonico Regno d'Italia e con il Lombardo- Veneto.

    In realtà la situazione della penisola, ancora appena prima degli avvenimenti risorgimentali, presentava una condizione di grande frammentarietà ín Padania in contrapposizione con la presenza di due grandi blocchi uniformi al centro e al sud(9).

    II riconoscimento delle grandi diversità esistenti nella penisola (vocazione alle autonomie al nord e propensione per le grandi strutture centraliste al sud) era stato sottolineato anche dall'originario accordo di Plombières che prevedeva l'unità della Padania in un unico regno (o unione di sovranità) eventualmente federato con gli altri stati italiani (Tav. 9).

    Gli avvenimenti che sono da allora successi hanno però - come è noto - seguito tutt'altra direzione
    (9) Appena prima della Ricoluiione Francese, la Padania e la Toscana erano divise in I5 stati diversi (con esclusione delle terre appartenenti alla Svizzera e all'Austria). Nel resto della penisola c'crano ,solo lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicìlie.
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    e hanno finito per generare uno stato unitario e centralista che nessuno diceva di volere(10). Con l'eccezione di qualche isolato forsennato, tutti i "padri della patria" volevano infatti costruire una federazione basata sulle più ampie autonomie e non su di una "ideologia italiana" che era del tutto estranea al popolo e anche alla stessa classe dirigente piemontese che apparteneva fra l'altro allo stato meno "italiano" di tutti, che aveva sempre avuto più intime connessioni con il mondo occitano e francese che con quello mediterraneo.

    Nei vari progetti di costruzione istituzionale era quasi sempre presente l'idea di creare uno stato padano o un regno dell'Alta Italia. Erano di questo avviso, non solo i federalisti più convinti, ma anche gran parte dei migliori pensatori risorgimentalisti: Giacomo Durando parlava di Eridania, Massimo D'Azeglio voleva "uno stato solo sul Po", Gino Capponi sosteneva che occorreva aggiungere al Piemonte la valle del Po, cioè tutta la parte dell'Italia che "per geografia, per la somiglianza delle razze" e per molti altri motivi era la sola in grado di unirsi bene. Dello stesso avviso era Cavour che aveva scritto (in francese) al marchese di Villamarina: "La razza cis¬appenninica non ha nessuna analogia con la razza etrusca. Non si saprebbe come fonderle insieme. Ciò che farebbero i trattati in questo senso sarebbe presto distrutto dalla forza delle cose"«>>. Allo stesso modo si esprimevano Luigi Torelli, Vincenzo Savagnoli e tutte
    (10) Tutti i più lucidi pensatori risorgimentali mìravano (sia pur con diverse modalita) alla creazione di uno stato federale. Ad una struttura ampiamente decentrata guardavano Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Antonio Rosmini, Giuseppe Ferri , Marco Minghetti, Luigi Carlo Farini e cento altri, oltre che-naturalmente-Carlo Cattaneo. Ctr. Gianfranco Morra,Breve storia del pensiero federalista (Milano: mondadori 1993). (Il) Aurelio Lepre, Italia addio?, op. cit, pagg. 19 e 20.
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    le persone ragionevoli che rifiutavano le posizioni di irresponsabili come Mazzini e Garibaldi. In perfetta coerenza con queste idee, il trattato stipulato nel 1858 a Plombières prevedeva la formazione di un Regno dell'Alta Italia comprendente la sola Padania. Vale sicuramente la pena di ricordare che anche i primi cospiratori anti-austriaci (Federico Gonfalonieri, Luigi Porro Lambertenghi e altri finiti allo Spielberg o in esilio) volevano dare vita a un Regno dell'Alta Italia emancipato dal dominio asburgico02).

    In verità, il nuovo stato italiano ha poi finito per nascere molto centralista proprio perchè nessuno lo voleva tale e perchè pochi lo volevano in assoluto: non avendo forza di convinzione propria (ne presupposti, ne motivazioni reali), non essendo nata dalla volontà popolare ma dalle macchinazioni di pochi intellettuali, di consorterie massoniche e di potentati economici, l'unità d'Italia ha dovuto essere garantita e conservata con la forza e con la creazione di una struttura burocratica e poliziesca estremamente centralizzata e
    autoritaria(73).
    (12) .Marco Meriggi Breve Storia dell’Italia settentrionale(Roma: donzelli Editore 1996pag3t. (13) 'Bettino Rìcasoli, presidente del consiglio dopo la morte di Cavour nel giugno precedente estese per decreto a tutto il paese la legge con cui Urbano Rattazzi avena applicato alla Lombardia, nell’ottobre 1859 il regime annninistrativo, fortemente centralizzato, delle provincìe piemontesi. Riistituito ìl prefetto, rappresentante del governo nelle provincie del regno, ha abbandonato il modello inglese e adottato, con una radicale inversione di fronte, il modello francese. Moriva, ancor prima di nascere, lo stato decentrato che Minghetti avevva prefigurato nei decreti del marzo precedente, e nasceva al suo posto lo Stato napoleonico. ( Che cosa era accaduto, tra il marzo e l'ottobre del 1861 perché il paese imboccasse ìmprovvisamente una strada così radicalmente diversa da quella che il partito vincente avevaa immaginato per il tuturo7
    Era morto Cavouur, era scoppiata la guerra del brigantagpio, era emersa con evidenza la precaneta nazionzle e internazionale dello Stato unitario. Dopo over miracolosamente raggiunto traguardi che nessuno si era prefisso, il governo dovette improvvisamente misurarsi con l’ostilità del clero, I"indifferenza di una larga parte dell'opinione pubblica delle regioni annesse, la diffidenza di alcune grandi potenze, la distanza economica e civile tra il nord e il sud, le condizioni dell'ordine pubblico nelle province meridionali. La risposta del governo alle minacce che insidiavano il nuovo Stato fu il regime prefettizio."


    Sergio Kornano, Finis Italiae, op.cit, pagg. 10-12
    He)


    La paura che la nuova costruzione si sfasciasse sotto le forti richieste di autonomia o per sollevazioni popolari contro le vessazioni unitarie (leva obbli¬gatoria, guerre, pressione fiscale, perdite di antichi privilegi locali), o per la resistenza delle popolazioni meridionali all'occupazione piemontese (brigantaggio) o per la mai sopita opposizione dei cattolici all'unità, hanno costretto anche i federalisti più convinti a costruire una struttura fortemente centralizzata e in grado di esercitare il proprio potere in periferia mediante una incrostazione oppressiva di burocrati e di questurini. A questo scopo sono stati riesumati tutti gli strumenti creati dal peggiore statalismo giacobino o ripresi (anche nelle denominazioni) dai sottoscala della romanità: province, prefetti, questori.

    È così solo - e proprio - con l'unità d'Italia si arriva per la prima volta alla negazione sistematica delle autonomie storiche e delle differenze locali: tutto viene schiacciato sotto il burocratico manto di una pseudo-razionalizzazione amministrativa costruita su necessità dì gestione (fiscale, amministrativa ma anche poliziesca) del territorio(14).

    Le provincie assumono dimensioni omologanti e di uguale peso su imitazione delle prefetture giacobine (che erano delle costruzioni appositamente inventate per negare e sopprimere ogni diversità) «s> e struttura
    (14) In precedenza, tutti gli stati (ivi compresi gli imperi: spagnolo,e asburgico avevano sempre garantito e conservato Ie autonomie locali che si esprimevano in leggi e statuti speciali, nel riconoscimento di lingue culture, tradizioni e in varie forme di autogoverno.Si veda a chiesto proposito. Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionaleRoma Donzelli editore 1996.Pag 33 (15) La suddivisione amministrativa giacobina si era realizzata nella creazione dì dipartimenti che ricoprivano aree piuttosto simili per numero di abitanti e per estensione territoriale; tali divisioni non tenevano in alcun conto non solo i confini sconci ma neppure le essenziali differenze linguistiche o culturali delle popolazioni. I Dipartimenti (cui erano dati nomi di elementì gcogratui, quasi sempre di fiumi) dipendevano direttamente dal potere centrale, tramite i prefetti, senza corpi intermedi.
    L'Italia unitaria ha ripreso con pochissime modifiche le suddivisioni giacobime con il solo cambiamento dell’attribuzione del nome della Città capoluogo. Un ben misero riconoscimento , al valore delle antiche autonomie comunali..
    90

    di organi periferici di uno stato centrale che usa i prefetti come gli imperatori persiani usavano i satrapi e i romani - guarda caso - i praefecti (76).

    Giova ricordare, a proposito della concezione delle provincia unitarie, che le entità autonome organiche vere nulla hanno a che fare con numero di abitanti e dimensioni omogenei (e a volte neppure con la continuità geografica): all'epoca delle autonomie reali (Medioevo e dintorni) la carta geopolitica della Padania era una complessa, aggrovigliata e frastagliata commistione di macchie estremamente diversificate per forma, dimensioni e colori. Questa condizione caratterizzava (e ancora caratterizza) soprattutto la cosiddetta Europa Lotaringia, "quella nata dopo la spartizione dell'impero di Carlo Magno, col Trattato di Verdun dell'843. È l'Europa che va dalla Frisia e dal plat pays fiammingo fino a lambire le colline senesi, includendo soprattutto l'Alsazia Lorena, la Borgogna, un pezzo di Renania, la Svizzera, la Lombardia e tutta la Terza Italia. E un'Europa che per quasi un millennio ha difeso orgogliosamente la sua micro-statualità, garanzia di autonomia per una società civile evoluta e intraprendente. E la culla del capitalismo, custodita in una miriade di città-Stato e repubbliche democratiche di antichissime origini. È stata da tempo imme¬morabile la terra dello Stato minimo, della libertà d'impresa, delle poche tasse"(17).

    Analogo disorso vale per i Comuni post-unitari, non più espressioni di autonomie organiche (nate nel Medioevo e descritte dal Cattaneo come "principio ideale delle istoria italiane") ma mere cellule ammi¬
    (16) Praefectus è il participio passato di praeficere= mettere a capo, a comandare, a controllare. (17) Federico Rampini,Germanizzazione . Come cambierà l’Italia(Bari: La terza, 1996), pagg. l08-¬109.

    nistrative, terminali (spesso anche ridicolmente piccoli) di un potere tentacolare che si esercita con segretari comunali, stazioni dei carabinieri e - per un certo periodo - con Podestà di nomina pretettizia(18).

    Nè sono risultate molto diverse le Regioni create, prima solo come immagini oleografiche e poi come entità amministrative detentrici di finte autonomie. Le attuali Regioni sono state disegnate (accorpando provincie esistenti) mescolando assieme con tragica superficialità elementi storici, confini preunitari, reminiscenze classico-letterarie e bisogni di omoge¬neizzazione amministrativa: si pensi - ad esempio - alla fantasiosa creazione dell'Emilia che riprende un nome romano (oltre a tutto legato a lontane memorie di violenze) e che mette assieme aree che erano prima chiamate Lombardia, Legazioni, Romagne e che poco avevano in comune (sicuramente non l'esperienza storica) e dividendo comunità unite da secoli(19). Fra le altre regioni padane, solo la Liguria, il Veneto e il Friuli coincidono in maniera rappresentativa con entità

    storiche, culturali ed etnolinguistiche reali(20).

    Oggi che si parla di dare più poteri alle regioni, si
    (18) Ancora oggi, a cinquant'anni dalla caduta del fascismo quella di Sindaco è l’unica carica eletta direttamente dal popolo costretta a prestare giuramento nelle mani del Prefetto: la massima espressione di autonomia locale costretta a sottomettersi alla massima espressione del centralismo.
    I Segretari comunali sono una istituzione relativamente recente remote 1 primi sono stati nominati nelle province appena conquistate con la prima guerra mondiale per controllare gli amminìstratori tirolesi e slavi, o anche italiani sospetti di nostalgie asburgiche. La farsa ha funzionato talmente bene che nel 1926 il governo fascista ha deciso di estenderne l'attenta presenza a tutti i comuni d'Italia.
    Claus Gatterer, In lotta contro roma op. cif, pagg. 498 e 542.
    (19) Si è ad esempio, consumata la divisione della Lunigiana a di Carrara da Modena, interrompendo un sodalizio che - con alcune brevi interruzioni - risaliva al Medioevo. Dal processo di creazione delle regioni (inizialmente in 18 compartimenti" e solo dal 1912 "regioni" statistiche) da parte di Maestri e Correnti Cesare si occupa. Sergio Salvi, L’Italia non esiste , op. cit, pagg.151-161
    (20) Serve ricordare che ad un certo punto è stata istituita la regione del Triveneto (poi suddivìsa nelle stravaganti Venezia Euganea, Tridentina e Julia), mettendo assieme popoli che non erano mai stati uniti se non sotto la prima occupazione romana.

    rischia di dare più poteri a delle invenzioni che poco o nulla hanno di organico.
    Da un esame di quasi tre millenni di vicende, si può affermare con sicurezza che la regione padana sia storicamente sempre stata caratterizata da una forte identità particolaristica che ha superato tempi e vicende politiche conservando e riproducendo le sue antichissime suddivisioni originarie. Esiste infatti in Padania una ininterrotta continuità di strutture autonomistiche dalla preistoria fino ad oggi.
    Si può perciò dire che l'unità della Padania sia principalmente costituita proprio dalla sua "omogenea disunità", nobilitata dalla sua plurimillenaria lotta di affermazione delle autonomie locali e in difesa dei condivisi e legittimi interessi di comunità di popoli liberi.
    Parafrasando quanto afferma Dahrendorf per l'Europa, si può significativamente ritenere che proprio la diversità sia l'essenza della Padania. Tale diversità non è casuale ma esiste all'interno di una sorta di riferimenti condivisi. Ai padani riesce meglio capire altri padani anzichè coloro che non appar¬tengono alla Padania«»
    (21)Ralf Dahrendorf.Diari europei,i (Bari Laterza, 1996pag. VI.)
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    Predefinito PER CONOSACERE MEGLIO LA PADANIA


  3. #3
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    A parte tutte le cose da te citate, che vorrei tanto avere il tempo di studiare, capire e verificare, ti faccio un solo paragone pratico, del perchè interi capitoli del libri di storia siano dedicati agli egizi, assisi, etruschi e romani, mentre nulla viene detto dei Padani...

    Il fatto e che dei Padani non si riscontra traccia !

    Io sono nato ad Aosta, e capirai che è un pochino difficile a non pensare Romano, quando 8 Monumenti su 10 presenti in città sono stati costruiti in Epoca Romana.
    Intorno alla città, è tutto un fiorire di opere anche monumentali, fino alla quota di 1300 mt, ...sempre di epoca romana.

    Ora abito in provincia di Biella, e anni fa (inizio anni '90), sul lago di Viverone vennero ritrovati dei resti di palafitte pre-romane appartenenti alle popolazioni autoctone, che tu "pomposamente" chiameresti Padane...
    Incuriosito andai a vedere di che si trattava, anche perchè le locali sezioni della Lega Nord (al tempo una forza notevole) avevano pubblicizzato la cosa...

    Miseria nera, che tristezza, ...trovarsi di fronte a 4 (ripeto QUATTRO) paletti marci piantati nel fango, che per quanto posso saperne io, potevano averceli piantati Borghezio & Company la settimana prima...

    Ora ti dico, ma con quale faccia e cultura vogliamo apparire CIVILTA', al pari delle altre sopra elencate ???

    Come diceva il buon Totò, che di sicuro non aveva aspirazioni Padane... "...ma mi faccia il piacere !!!"

    Saluti

  4. #4
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    Anche io voglio studiaremi e informarmi meglio sull'argomento.
    Ma, non si possono paragonare i resti romani con i resti celti per diversi motivi,
    I romani avevano come uso e costume di costruire monimenti, e infrastrutture, i celti no.Tanto e vero che neppure un paesi come l'Irlanda o il Galles o la Scozia dove le popolazioni celte sono arrivate piu' tardi e lasciate in pace fino alle prime incursioni vichinghe di resti celtici ne rimangono pochissimi,In Irlanda ad esempio oggigiorno rimangono in piedi "Newgrange"la collina di "Tara"
    I romani erano un popolo invasore.
    i celti un popolo invaso. quindi i primi avevano facolta di distruggere a loro piacimento.
    quindi non ci si puo' basare sul fatto di chi ha lasciato di piu per negare l'esistenza di un popolo.

  5. #5
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    Predefinito LONGOBARDIA

    Una presenza fondamentale fu quella dei Longobardi dai quali deriva " LOMBARDIA " .

    Grandissima fu la loro influenza in Italia e soprattutto nel Nord Italia.

    Financo nella gastronomia. Ancora oggi qui si mangia un loro tipico piatto fatto di verze ( crauti ) e maiale : la cosidetta in milanese " cazzeula " che potremmo definire " zuppa longobarda ".

    Arrivti da noi pagani diventarono cristiani trasformando loro divinita' in Santi cristiani: esempio san Michele !

    Il piu' bel monumento longobardo esistente e' un tempietto a Cividale del Friuli , a picco sopra il fiume Natisone.

    Se andate a Monza andate anche a vedere in Duomo la " Corona di ferro " con la quale venivano incoronati i Re longobardi.

  6. #6
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    Predefinito

    In Origine postato da steen
    I romani erano un popolo invasore.
    i celti un popolo invaso. quindi i primi avevano facolta di distruggere a loro piacimento.
    quindi non ci si puo' basare sul fatto di chi ha lasciato di piu per negare l'esistenza di un popolo.
    Steen non diciamo cazzate...

    In bretagna i menhir, come a stonhege in cornovaglia come le piramidi in egitto, come tutti i templi greci ed i cimiteri etruschi non sono stati distrutti, non sarebbero stati distrutte le opere dei Celti Padani ...

    Il problema non è ciò che è stato distrutto, ma ciò che è sato costruito... NULLA !!!!

    Te lo ripeto... cerchiamoci una cazzzata con un fondamento, prima di Roma, in Padagna non esiste nulla di significativo, che non sia una sparuta combinazione !!!

    Io non riesco a capire questa ostinazione, mi sembrate, quei cannibali di americani, che per crearsi una storia, espongono al museo l'orinario del Generali Lee, in tutto uguale a miglioni di orinari, che in Italia, ma abbiamo usato per anni in giardino per raccogliere l'acqua piovana.

    Vogliamo parlare di secessione, di roma ladrone, di quanto i Savoia hanno "conquistato" della merda che dobbbiamo mangiare... tutti argomenti su cui si può discutere con basi, ma prima di ROMA, la Padagna, NON ESISTE, o se vogliamo essere moooolto realisti, su 10.000 parti, 5 sono pre epoca Romana, 9.995 sono direttamente collegate alla CIVILTA' ROMANA !




  7. #7
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    In Origine postato da Conterio
    Steen non diciamo cazzate...

    In bretagna i menhir, come a stonhege in cornovaglia come le piramidi in egitto, come tutti i templi greci ed i cimiteri etruschi non sono stati distrutti, non sarebbero stati distrutte le opere dei Celti Padani ...

    Il problema non è ciò che è stato distrutto, ma ciò che è sato costruito... NULLA !!!!

    Te lo ripeto... cerchiamoci una cazzzata con un fondamento, prima di Roma, in Padagna non esiste nulla di significativo, che non sia una sparuta combinazione !!!

    Io non riesco a capire questa ostinazione, mi sembrate, quei cannibali di americani, che per crearsi una storia, espongono al museo l'orinario del Generali Lee, in tutto uguale a miglioni di orinari, che in Italia, ma abbiamo usato per anni in giardino per raccogliere l'acqua piovana.

    Vogliamo parlare di secessione, di roma ladrone, di quanto i Savoia hanno "conquistato" della merda che dobbbiamo mangiare... tutti argomenti su cui si può discutere con basi, ma prima di ROMA, la Padagna, NON ESISTE, o se vogliamo essere moooolto realisti, su 10.000 parti, 5 sono pre epoca Romana, 9.995 sono direttamente collegate alla CIVILTA' ROMANA !



    :fru :fru
    La Padania NON e' mai esistita neppure ai tempi delle due leghe
    lombarde. Pavia stava con il Barbarossa e non era la sola ed e' solo un esempio !

  8. #8
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    Predefinito

    In Origine postato da Ferruccio
    La Padania NON e' mai esistita neppure ai tempi delle due leghe
    lombarde. Pavia stava con il Barbarossa e non era la sola ed e' solo un esempio !
    ESATTO

    CARLO RUSSO

  9. #9
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    [QUOTE]In Origine postato da Conterio
    [B]Steen non diciamo cazzate...

    In bretagna i menhir, come a stonhege in cornovaglia come le piramidi in egitto, come tutti i templi greci ed i cimiteri etruschi non sono stati distrutti, non sarebbero stati distrutte le opere dei Celti Padani ...

    Il problema non è ciò che è stato distrutto, ma ciò che è sato costruito... NULLA !!!!









    RILEGGI IL MIO POST PRCEDENTE PER LA RISPOSTA



    Te lo ripeto... cerchiamoci una cazzzata con un fondamento, prima di Roma, in Padagna non esiste nulla di significativo, che non sia una sparuta combinazione !!!

    Io non riesco a capire questa ostinazione, mi sembrate, quei cannibali di americani, che per crearsi una storia, espongono al museo l'orinario del Generali Lee, in tutto uguale a miglioni di orinari, che in Italia, ma abbiamo usato per anni in giardino per raccogliere l'acqua piovana.

    Vogliamo parlare di secessione, di roma ladrone, di quanto i Savoia hanno "conquistato" della merda che dobbbiamo mangiare... tutti argomenti su cui si può discutere con basi, ma prima di ROMA, la Padagna, NON ESISTE, o se vogliamo essere moooolto realisti, su 10.000 parti, 5 sono pre epoca Romana, 9.995 sono direttamente collegate alla CIVILTA' ROMANA !

    NON STO PARLANDO NE DI SAVOIA NE DI ROMA LADRONA NE DI SECESSIONE.





    :

  10. #10
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    Predefinito

    Ci fu la LONGOBARDIA ! Di Padania neppure l'ombra !
    neppure al tempo delle Leghe sulle quali ci sarebbe peraltro molto da dire.In sostanza questione di palanche ........
    e in questo forse............

 

 
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