di Giancarlo Lannuti

Il processo è senz'altro ancora lento ma la cieca politica del "pugno di ferro" portata avanti da Sharon sta suscitando dentro Israele crescenti critiche e interrogativi, e comincia forse a sgretolarsi il fronte di consenso di cui aveva finora goduto nella società civile. La gente comincia a rendersi conto - come riferito anche nelle corrispondenze dei nostri telegiornali - che la scelta "tutta militare" del primo ministro non è in grado di fermare i kamikaze e che bisogna riprendere la via del negoziato politico, per quanto difficile possa oggi apparire. Questo inizio di presa di coscienza è tuttavia ancora contraddetto dallo stesso Sharon, che continua con l'affondo militare contro i territori autonomi ed ha accettato che si svolgesse comunque il già previsto incontro fra il ministro laburista della difesa Ben Eliezer e il ministro degli Interni dell'Anp solo per chiedere (o tentar di imporre) ai palestinesi di farsi poliziotti per conto di Israele, senza avviare alcun dialogo di sostanza e relegando in un indeterminato e improbabile futuro la ripresa di un vero negoziato di pace, che è invece l'unica strada credibile per uscire dalla crisi e per mettere fine alla spirale della violenza. Lo conferma il nuovo blocco totale alle città della Cisgiordania e il nuovo assedio all'ufficio di Arafat, che ripete un copione ormai logoro, improduttivo e destinato a esasperare inutilmente la tensione.

Arafat ha esplicitamente accusato il primo ministro israeliano di essere direttamente responsabile dell'attuale ondata di violenza, innescata dalla barbara strage di innocenti (fra cui dieci bambini) a Gaza: una strage, va ricordato, attuata cinicamente nel momento in cui le organizzazioni palestinesi stavano rendendo pubblica la decisione di una vera e propria svolta nei metodi di lotta della nuova Intifada; esattamente come nel dicembre scorso l'assassinio di due dirigenti di Hamas fu perpetrato subito dopo che l'organizzazione islamica aveva aderito (per amore o per forza) alla tregua proclamata da Arafat. Ecco, il passo successivo per la opinione pubblica israeliana dovrebbe essere quello di rendersi conto che la politica militarista e repressiva di Sharon non solo non è in grado di "fermare il terrorismo" ma punta anzi volutamente ad incoraggiarlo, cogliendolo poi come pretesto per seppellire una volta per tutte ogni ipotesi ed ogni prospettiva di una pace basata sulla giustizia, e dunque sulla costituzione di uno stato palestinese davvero indipendente e sovrano. E' questa una politica tanto più grave e pericolosa in quanto incoraggiata pubblicamente dal presidente Bush, che da un lato chiama «tutte le Nazioni» a battersi contro «il terrorismo palestinese» ma non dice una sola parola sulle violenze quotidiane, sui crimini di guerra, e sulle rappresaglie collettive messe in atto da Sharon in violazione di ogni norma del diritto internazionale, e dall'altro continua a garantire in sede di Nazioni Unite un sostegno incondizionato al governo di Israele, qualunque cosa faccia. Le lacrime di coccodrillo non sono certo un viatico per la pace.

Liberazione 7 agosto 2002
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