di Stefano Folli

Se il numero delle firme raccolte è quello che sembra, Fausto Bertinotti ha in mano un’arma che nessuno potrà sottovalutare. Tanto meno il segretario della Cgil nel momento in cui si pone il problema del nuovo Ulivo. Il referendum sull’estensione dell’articolo 18, ora che ha raggiunto le 500 mila richieste, si avvia a essere una delle grandi variabili politiche dell’autunno; certo non l’unica, ma forse la più insidiosa nel dibattito che travaglia il centrosinistra. Tutto si lega. Sergio Cofferati nell’intervista al Corriere ha fatto un passo avanti nella sua strategia politica. Una strategia il cui primo bersaglio è - come dice Massimo Cacciari - il «solito noto»: ossia D’Alema e il dalemismo. Niente di nuovo sotto il solo della sinistra, si potrebbe dire. Salvo il fatto che i nodi stanno venendo al pettine. La massa d’urto di cui dispone il leader sindacale, ossia la sua capacità di mobilitazione popolare, è ormai deposta sul fragile tavolo del partito, la Quercia. E lo fa scricchiolare.
Cofferati si è proposto come «ulivista» a tutto tondo, nonché come riformista storico, ma in grado di parlare all’arcipelago dei «movimenti» e della nuova sinistra. Così facendo è riuscito, una volta di più, a essere percepito come interlocutore delle altre forze del centrosinistra. In particolare di Romano Prodi e del gruppo a lui più vicino. Cofferati usa il linguaggio giusto: appunto quello dell’Ulivo che D’Alema, nonostante gli sforzi, non è mai riuscito a parlare in modo convincente.
Bada, il leader sindacale, a non farsi confinare nel recinto della «grande sinistra», in una sorta di antitesi rispetto al progetto ulivista. Non ne ha bisogno perché ritiene che la sinistra comunque lo seguirà. E soprattutto il partito dovrà rimodellarsi dietro di lui. O perire. Le sue saranno anche «importanti ovvietà», come le definisce ancora Cacciari, ma sono dirompenti proprio perché a dirle è l’uomo capace di emozionare le masse.
Si capisce allora che le tesi di Cofferati possano piacere agli amici di Prodi, a cominciare da Parisi, e molto meno non solo a D’Alema (che non si è pronunciato), ma persino alla nomenklatura del «correntone». La quale senza dubbio vede il rischio che il partito sia destabilizzato, insieme a quegli equilibri di cui la minoranza dei ds si sente parte.
Ne deriva che Cofferati si renderà conto di non essere privo di nemici a sinistra. «Correntone» a parte, sarà soprattutto Bertinotti la sua spina nel fianco, nel momento esatto in cui il capo della Cgil prende la via dell’Ulivo e non della «grande sinistra».
Ed è qui, appunto, che la strategia cofferatiana s’incrocia con il referendum di Bertinotti. Cioè con il classico sassolino che può inceppare l’ingranaggio. Se Cofferati è capace di sovrastare il «partito dei quadri», ossia la dirigenza dei ds, parlando al cuore della base, che cosa può metterlo in difficoltà? Forse solo un’altra mobilitazione di massa, parallela e concorrenziale, benché in formato ridotto rispetto alla Cgil. Il partito bertinottiano ha dimostrato di essere questa forza parallela e concorrenziale, difficile da assorbire e neutralizzare. Tanto è vero che Cofferati, con realismo, propone futuri accordi elettorali tra forze (il centrosinistra e Rifondazione) destinate comunque a rimanere distinte.
Ma non è così semplice. «Le nostre opposte visioni sull’Ulivo», come dice Bertinotti, si riflettono in scelte concrete. Proprio il nodo del referendum, sostenuto dai rifondatori ma non dalla Cgil, è destinato a incidere nel rapporto tra il Cofferati politico e la sua base sociale. L’uomo ha i mezzi per superare le insidie, ma non potrà ignorare il segnale che comincia ad arrivare dalla sua sinistra. Non a caso qualcuno ha già cominciato a rimproverargli la tendenza élitaria.

Corriere della Sera 7 agosto 2002