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    Predefinito 21 settembre - S. Matteo, apostolo ed evangelista

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Matteo, Apostolo ed evangelista

    21 settembre - Festa

    I secolo dopo Cristo

    Matteo, chiamato anche Levi, viveva a Cafarnao ed era pubblicano, cioè esattore delle tasse. Seguì Gesù con grande entusiasmo, come ricorda San Luca, liberandosi dei beni terreni. Ed è Matteo che nel suo vangelo riporta le parole Gesù:"Quando tu dai elemosina, non deve sapere la tua sinistra quello che fa la destra, affinché la tua elemosina rimanga nel segreto... " Dopo la Pentecoste e gli scrisse il suo vangelo, rivolto agli Ebrei, per supplire, come dice Eusebio, alla sua assenza quando si recò presso altre genti. Il suo vangelo vuole prima di tutto dimostrare che Gesù e il Messia che realizza le promesse dell' Antico Testamento, ed è caratterizzato dal 5 importanti discorsi di Gesù sul regno di Dio. Probabilmente la sua morte fu naturale, anche se fonti poco attendibili lo voglio non martire di Etiopia.

    Patronato: Banchieri, Contabili, Tasse

    Etimologia: Matteo = uomo di Dio, dall'ebraico

    Emblema: Angelo, Spada, Portamonete, Libro dei conti

    Martirologio Romano: Festa di san Matteo, Apostolo ed Evangelista, che, detto Levi, chiamato da Gesù a seguirlo, lasciò l’ufficio di pubblicano o esattore delle imposte e, eletto tra gli Apostoli, scrisse un Vangelo, in cui si proclama che Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, ha portato a compimento la promessa dell’Antico Testamento.

    Martirologio tradizionale (21 settembre): In Etiopia il natale di san Matteo, Apostolo ed Evangelista, il quale, predicando in quella regione, patì il martirio. Il suo Vangelo, scritto in lingua ebraica, per rivelazione dello stesso Matteo, fu ritrovato insieme col corpo del beato Barnaba Apostolo, al tempo dell'Imperatore Zenone.

    (21 settembre): In Etiopia santa Ifigénia Vergine, la quale, battezzata dal beato Matteo Apostolo e consacrata a Dio, con santa fine si riposò.

    (6 maggio): A Salerno la Traslazione di san Matteo, Apostolo ed Evangelista, il cui sacro corpo, già trasferito dall'Etiopia in diverse regioni, e finalmente portato in quella città, ivi, in una chiesa, dedicata al suo nome, fu con sommo onore riposto.

    Non si capisce subito il disprezzo per i pubblicani, ai tempi di Gesù, nella sua terra: erano esattori di tasse, e non si detesta qualcuno soltanto perché lavora all’Intendenza di finanza. Ma gli ebrei, all’epoca, non pagano le tasse a un loro Stato sovrano e libero, bensì agli occupanti Romani; devono finanziare chi li opprime. E guardano all’esattore come a un detestabile collaborazionista.
    Matteo fa questo mestiere in Cafarnao di Galilea. Col suo banco lì all’aperto. Gesù lo vede poco dopo aver guarito un paralitico. Lo chiama. Lui si alza di colpo, lascia tutto e lo segue. Da quel momento cessano di esistere i tributi, le finanze, i Romani. Tutto cancellato da quella parola di Gesù: "Seguimi".
    Gli evangelisti Luca e Marco lo chiamano anche Levi, che potrebbe essere il suo secondo nome. Ma gli danno il nome di Matteo nella lista dei Dodici scelti da Gesù come suoi inviati: “Apostoli”. E con questo nome egli compare anche negli Atti degli Apostoli.
    Pochissimo sappiamo della sua vita. Ma abbiamo il suo Vangelo, a lungo ritenuto il primo dei quattro testi canonici, in ordine di tempo. Ora gli studi mettono a quel posto il Vangelo di Marco: diversamente dagli altri tre, il testo di Matteo non è scritto in greco, ma in lingua “ebraica” o “paterna”, secondo gli scrittori antichi. E quasi sicuramente si tratta dell’aramaico, allora parlato in Palestina. Matteo ha voluto innanzitutto parlare a cristiani di origine ebraica. E ad essi è fondamentale presentare gli insegnamenti di Gesù come conferma e compimento della Legge mosaica.
    Vediamo infatti – anzi, a volte pare proprio di ascoltarlo – che di continuo egli lega fatti, gesti, detti relativi a Gesù con richiami all’Antico Testamento, per far ben capire da dove egli viene e che cosa è venuto a realizzare. Partendo di qui, l’evangelista Matteo delinea poi gli eventi del grandioso futuro della comunità di Gesù, della Chiesa, del Regno che compirà le profezie, quando i popoli "vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi del cielo in grande potenza e gloria" (24,30).
    Scritto in una lingua per pochi, il testo di Matteo diventa libro di tutti dopo la traduzione in greco. La Chiesa ne fa strumento di predicazione in ogni luogo, lo usa nella liturgia. Ma di lui, Matteo, sappiamo pochissimo. Viene citato per nome con gli altri Apostoli negli Atti (1,13) subito dopo l’Ascensione al cielo di Gesù. Ancora dagli Atti, Matteo risulta presente con gli altri Apostoli all’elezione di Mattia, che prende il posto di Giuda Iscariota. Ed è in piedi con gli altri undici, quando Pietro, nel giorno della Pentecoste, parla alla folla, annunciando che Gesù è "Signore e Cristo". Poi, ha certamente predicato in Palestina, tra i suoi, ma ci sono ignote le vicende successive. La Chiesa lo onora come martire.

    Autore: Domenico Agasso










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    Predefinito Dai Discorsi di Giovanni Taulero.

    Semon 64, sur st. Matthieu, Sermons de Tauler, trad. Hugueny, Théry, Corin, "La vie spirituelle", Parigi, 1935, t. III, 105‑108.

    Gesù uscendo da Cafarnao, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzo e lo seguì (Mt 9, 9).
    Questo Apostolo ed Evangelista cosi amabile, di cui oggi celebriamo la festa, serve da esempio inesauribile per tutti gli uomini. Come lui stesso racconta nel suo vangelo, egli divenne uno dei più insigni amici di Dio, dopo essere stato dapprima un emerito peccatore. Non appena il Signore parla al cuore di Matteo, questi all'istante abbandona tutto per seguire il Signore.Ce è qui condensato quanto anche noi dobbiamo fare se vogliamo seguire Cristo: mettere in atto l'abbandono autentico e radicale da ogni cosa che non sia Dio. Dobbiamo tagliar corto con tutto quanto possediamo nel nostro fondo, si tratti di ciò che concerne il realizzarsi della nostra personalità o di quello che ci tocca sul vivo.

    La via che seguono gli amici di Dio è totalmente buia e sconosciuta. Le si addicono bene le parole di Giobbe che fanno riferimento a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato (Gb 3, 23). Quando uno si e messo per questo cammino lungo e ignoto, deve perseverare in una intera abnegazione; staccandosi da tutti gli oggetti che possono presentarsi a lui interiormente.
    Quest'uomo udrà Dio che gli dice continuamente: "Seguimi, oltrepassa ogni cosa, perché io non sono nulla di tutto ciò. Cammina, avanza e seguimi".
    Se l'uomo domanda: "Chi sei, Signore, perché io debba seguirti per una via cosi profonda, solitaria e desolata?", il Signore potrà rispondergli: "Sono Dio e uomo ad un tempo

    Colui che tende verso la trasformazione nell'Essere sovressenziale, deve rigettare tutte le immagini ricevute nelle sue facoltà. Deve smettere di sapere, di conoscere, di sentire quello che fa, quello che tocca, quello che egli è.
    Paolo vide Dio quando non vide più nulla (At 9, 3‑8). Elia si tirò il mantello sugli occhi al passaggio del Signore (1 Re 19, 11.13). Allora si infransero le rocce, cioè a questo punto tutto quello su cui la mente umana può riposare deve scomparire. E quando in un uomo queste forme si dileguano completamente, allora egli comincia a trasformarsi e dovrà perseverare in questo distacco.
    Il Signore ce lo insegna attraverso Geremia, quando esclama: Voi mi direte: Padre mio e non tralascerete di seguirmi (Ger 3, 19). Ciò significa: "Tu penetrerai sempre più in avanti; ti immergerai maggiormente nelle profondità dell'abisso sconosciuto e innominato che io sono. Ti perderai oltre tutti i modi, le immagini, le forme e le facoltà. Farai astrazione da tutto, spogliandoti di tutti codesti fantasmi".

    In questa perdita totale all'uomo non resta che il suo fondo sostanzialmente sussistente, la sua vita, cioè la sua essenza una e semplice. In questo stato, si può dire ch'egli sia privo di conoscenza, di amore, di attività, di mente. Simile trasformazione non avviene certo in virtù di una disposizione naturale, ma sotto l'effetto della grazia. Lo spirito creato dell'uomo è allora plasmato dalla bontà dello Spirito increato, ma anche dallo sconfinato abbandono dell'uomo e dalla sua consegna senza riserve.
    Di queste persone si può dire che Dio si conosca, si ami e si goda in loro, perché ormai c'è soltanto un'unica vita, un unico essere e una sola operazione, benché l'anima rimanga creatura. Se però uno si mettesse per questa strada con un'erronea libertà o esaminandosi sotto una falsa luce, finirebbe nello stato più pericoloso che si possa concepire qui in terra.
    Per raggiungere la meta descritta, unico è l'itinerario da percorrere: quello tracciato dalla vita e dalla passione di nostro Signore Gesù Cristo. E' lui la via, e per lui dobbiamo camminare.

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    Predefinito Dai Discorsi di san Pietro Crisologo

    Sermo 30, in PL 52, 284‑286.

    Uscendo da Cafarnao, Gesù vide un uomo (Mt 9, 9). Lo vede con i suoi occhi divini più che con i suoi occhi umani. Vede l'uomo per non scorgere i peccati di quest'uomo, vede in lui la propria opera, per distogliere lo sguardo dalle opere del peccatore.
    Dio vede quest'uomo, perché l'uomo veda Dio. Cristo fissa il pubblicano, perché costui non veda più dove ha nascosto il denaro. Cristo vede quest'uomo seduto, incapace di rialzarsi tanto è oppresso dal peso della sua cupidigia.
    Questo disgraziato pubblicano, seduto al banco delle imposte, giace in una situazione peggiore di quella dei paralitico steso sulla barella e di cui il vangelo ci riferisce la guarigione prima della conversione di Matteo. Questi era paralizzato nel corpo, l'altro nell'anima. Uno aveva le membra sconquassate, nell'altro tutto l'ordine della sensibilità era sconvolto. Il paralitico giaceva prigioniero nella carne; il pubblicano stava seduto, ma con anima e corpo legati.
    Gesù esorta il paralitico dicendogli: Coraggio figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati (Mt 9, 2). Infatti l'infermo soffriva causa delle sue colpe. Invece al pubblicano Gesù ingiunge: Seguimi, come a dire: "Espierai i tuoi peccati seguendomi".

    Mentre Gesù è a mensa in casa di Matteo, i farisei interpellano i discepoli: Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori ? (Mt 9, 11).
    Dio è accusato di chinarsi sull'uomo, di accostarsi al peccatore, di aver fame della sua conversione e sete dei suo ritorno. Si mette sotto accusa il Signore perché prende il piatto della misericordia e il calice della pietà.
    Fratelli, Cristo è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati, perché i condannati a morire vivano con la Vita. La Risurrezione si è chinata, perché coloro che giacciono si levino dalle tombe. La Bontà si è abbassata, per elevare i peccatori fino al perdono. Dio è venuto all'uomo, perché l'uomo giunga a Dio.
    Il Giudice si è seduto alla mensa dei colpevoli, per sottrarre l'umanità alla sentenza di condanna. Il Medico è venuto dai malati, per guarirli mangiando con loro. Il buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecora smarrita all'ovile di salvezza.

    Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? (Mt 9, 11).
    Ma chi è peccatore, se non colui che rifiuta di riconoscersi tale? Non voler ammettere di essere un peccatore non significa forse affondare nelle proprie colpe e identificarsi con esse? Chi è ingiusto, se non colui che si stima giusto? Eppure, fariseo, hai ben letto la parola del salmo: Nessun vivente davanti a te e giusto (Sal 142, 2). Fintantoché siamo rivestiti del corpo mortale, la fragilità domina in noi; anche non peccando con le azioni, non possiamo vincere i peccati in pensieri, ne sfuggire a ogni ingiustizia.
    Possiamo, si, evitare le colpe materiali e vincere il male nella nostra coscienza, ma come potremo distruggere le negligenze e i peccati d'ignoranza?
    Fariseo, confessa il tuo peccato e potrai sedere alla mensa del Signore. Cristo si farà pane per te, quel pane che sarà spezzato per il perdono dei tuoi peccati. Cristo diventerà per te il calice che sarà versato per la remissione dei tuoi peccati.

    Suvvia, fariseo, mangia alla mensa dei peccatori, e Cristo la dividerà con te.
    Entra con i peccatori al banchetto del tuo Signore e potrai non essere più peccatore. Entra col perdono di Cristo nella casa della misericordia, in modo che la tua propria giustizia non ti escluda da questa dimora. Riconosci Cristo, ascolta Cristo. Ascolta il tuo Signore, ascolta il medico celeste. Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9, 12). Se vuoi essere guarito, riconosci la tua malattia e ascolta Cristo che ti dice: Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori (Mt 9, 13). Cristo non rifiuta i giusti, ma senza di lui nessuno sulla terra è immune da peccato. Il Signore non trascura i giusti, ma quaggiù ha trovato soltanto peccatori. Ascolta la Scrittura: Il Signore dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio: se c'è uno che cerchi Dio. Tutti hanno traviato., sono tutti corrotti; più' nessuno fa il bene, neppure uno (Sal 13, 2‑3). Fratelli, confessiamoci peccatori, per non esserlo più grazie al perdono di Cristo.

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    Predefinito Dai Discorsi di Dionigi il Certosino.

    Sermo II in hoc festo. Opera omnia, Tornaci, 1906, t. 32, 408‑409.

    Nel vangelo di questo giorno abbondano sante dottrine e misteri divini. Già in apertura traluce l'infinita misericordia del Salvatore, quando Gesù chiama il pubblicano a divenire discepolo e poi apostolo.
    Infatti lo Spirito soffia dove vuole e la grazia di Dio non conosce frontiere. Anzi, capita spesso che li laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5, 20).
    Ecco perché Cristo chiama il pubblicano Matteo al discepolato e poi al ministero apostolico, per aprire la speranza del perdono a qualsiasi peccatore.
    Nel medesimo intento, Cristo chiama Paolo, allorché questi stava compiendo un'impresa scellerata, allo scopo di perseguitare i fedeli. D'altronde Paolo confessa a Timoteo: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me per primo. tutta la sua longanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna (1 Tm 1, 15‑16).
    Per tale motivo, il vangelo di Matteo, i salmi del profeta Davide, le lettere di Paolo sono particolarmente lette e celebrate nella Chiesa.

    Il vangelo di questo giorno ci mostra il potere immenso delle parole di Gesù Cristo, specialmente delle parole interiori proferite dalla sua divinità eterna.
    Infatti la parola del nostro salvatore Gesù Cristo: Seguimi basta per trafiggere il cuore di Matteo e produce un tale ribaltamento da trasformare quest'uomo avaro e mondano in qualcuno che disprezza le cose terrene, ama le realtà spirituali e si converte radicalmente a Dio.
    Una simile potenza nelle parole del Signore non stupisce. Egli è infatti l'unica ed eterna parola di Dio Padre, colui che la Scrittura presenta cosi: In principio ere il Verbo (Gv 1, 1), cioè la Parola di Dio.
    D'altro canto, le parole di un uomo sono tanto più cariche di forza quanto più ardente è l'amore, più luminosa la santità e più benefica la sapienza da cui provengono. Ora Cristo, nella sua natura umana, è pieno di incomparabile santità, di amore incandescente e di perfetta sapienza. Egli è l'unico capace di cogliere l'essenza della deità nella luce più chiara e di goderne sino in fondo. nelle potenze superiori della sua anima.

    Quando vuole, Cristo può far brillare sul suo volto lo splendore della propria santità. Da qui nasce la forza speciale di cui si caricano le sue parole, capaci di smuovere gli uditori.
    Ad esempio, quando durante la passione egli domandò ai pagani e ai giudei: Chi cercate? essi gli risposero: Gesù il Nazareno. Egli disse loro: Sono Io (Gv 18, 4‑6). Quella sola parola li fece stramazzare al suolo, certamente perché il fulgore di un fuoco divino balenò sul suo volto e il potere della sua divinità era all'opera. Accadde lo stesso quando egli represse e atterri i cuori di quelli che scacciò dal tempio.
    D'altra parte, le parole di nostro Signore erano tanto più efficaci quanto più cresceva la sua fama e i suoi miracoli diventavano strepitosi. A questo punto, nessuno, per debole o malvagio che sia, venga a dire: "Non posso convertirmi, non posso lasciare questo o quel peccato, non posso fare questo o quel bene". Si lanci invece nell'attenta meditazione dell'infinita misericordia e onnipotenza del nostro Dio, perché nella mano del Signore stanno i cuori dei figli degli uomini ed egli li guida come e dove vuole.
    Esclamiamo perciò con l'apostolo Paolo: Tutto posso in colui che mi dà la forza (Fil 4, 13). Ognuno faccia dunque quanto è in suo potere, restando disponibile alla grazia di Dio e invocando senza posa il suo aiuto.

    Il vangelo di oggi ci mostra poi come pronta scattò l'obbedienza di Matteo nel seguire all'istante il nostro Salvatore. Bastò un comando solo, una paroletta; anzi, san Luca specifica: Egli, lasciando tutto. si alzo e lo seguì (Lc 5, 28).
    Matteo ci insegni perciò a rispondere a Dio conobbedienza risoluta e immediata; il suo esempio ci sproni a sottometterci alle sollecitazioni divine, ad ascoltare le ispirazioni angeliche, a seguire le parole della Scrittura, a mettere in atto gl'inviti dei superiori, come se venissero da Dio.
    Samuele afferma infatti: Ecco, l'obbedire e meglio del sacrificio. Poiché peccatodi divinazione è la ribellione, e iniquita e terafim l'insubordinazione (1 Sam 15, 22‑23).
    E' certo gravissimo opporsi ai comandamenti di Dio. Lo attesta Davide, dicendo al Signore: Tu minacci gli orgogliosi; maledetto chi devia dai tuoi decreti (Sal 118, 21).

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    Predefinito Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote

    Om. 21, in CCL 122, 149-151

    Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2, 6).
    «Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì» (Mt 9, 9). Non c'è da meravigliarsi che un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all'interno con un'invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili.
    «Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli» (9, 10). Ecco dunque che la conversione di un solo pubblicano servì di stimolo a quella di molti pubblicani e peccatori, e la remissione dei suoi peccati fu modello a quella di tutti costoro. Fu un autentico e magnifico segno premonitore di realtà future. Colui che sarebbe stato apostolo e maestro della fede attirò a sé una folla di peccatori già fin dal primo momento della sua conversione. Egli cominciò, subito all'inizio, appena apprese le prime nozioni della fede, quella evangelizzazione che avrebbe portato avanti di pari passo col progredire della sua santità. Se desideriamo penetrare più a fondo nel significato di ciò che è accaduto, capiremo che egli non si limitò a offrire al Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione materiale ma, con la fede e l'amore, gli preparò un convito molto più gradito nell'intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice: «Ecco, sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
    Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando, udita la sua voce, diamo volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo amore viene ad abitare nei cuori degli eletti, per ristorarli con la luce della sua presenza. Essi così sono in grado di avanzare sempre più nei desideri del cielo. A sua volta, riceve anche lui ristoro mediante il loro amore per le cose celesti, come se gli offrissero vivande gustosissime.

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    Caravaggio, S. Matteo e l'angelo, 1602, Formerly Kaiser-Friedrich-Museum, Berlino

    Caravaggio, Vocazione di S. Matteo, 1599-1600, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma

    Caravaggio, L'ispirazione di S. Matteo, 1602, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma

    Caravaggio, Martirio di S. Matteo, 1602, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma

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    Annibale Carracci, Madonna in trono con S. Matteo ed altri Santi (SS. Francesco d'Assisi e Giovanni Battista), 1588, Gemäldegalerie, Dresda

    Bernardo Ciuffagni, S. Matteo, 1410-15, Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

    Bernardo Gaddi, Madonna con Bambino con i SS. Matteo e Nicola, 1328, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Donatello, S. Matteo, 1428-43, Antica Sacrestia, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

    Domenico Ghirlandaio, S. Matteo, 1486-90, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze

    Benozzo Gozzoli, I quattro evangelisti, 1464-65, Cappella Absidale, Chiesa di S. Agostino, San Gimignano

    El Greco, S. Matteo apostolo, 1610-14, Museo de El Greco, Toledo

    Frans Hals, S. Matteo, 1625, Museum of Western European and Oriental Art, Odessa

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    Orcagna, S. Matteo e le storie della sua vita, 1367, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Nicolas Poussin, Paesaggio con S. Matteo e l'angelo, 1645 circa, Staatliche Museen, Berlino

    Marinus van Reymerswaele, Chiamata S. Matteo, 1536, Museum voor Schone Kunsten, Ghent

    Camillo Rusconi, S. Matteo, 1708-18, Basilica San Giovanni in Laterano, Roma

    Hendrick Terbrugghen, Chiamata S. Matteo, 1621, Centraal Museum, Utrecht

    Hendrick Terbrugghen, Chiamata S. Matteo, 1616 circa, Museum of Fine Arts, Budapest

    Hendrick Terbrugghen, Chiamata S. Matteo, 1620, Musée des Beaux-Arts, Le Havre

    Jean Auguste Dominique Ingres, Testa di S. Matteo, 1820 circa, Musée du Louvre, parigi

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    Carlo Dolci, S. Matteo scrive il suo Vangelo, 1670 circa, Getty Museum

    Giovanni Girolamo Savoldo, S. Matteo e l'angelo, 1534 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

    Tintoretto, Evangelisti SS. Luca e Matteo, 1557, Chiesa di Santa Maria del Giglio, Venezia

    Tiziano Vecellio, S. Matteo, Chiesa di Santa Maria della Salute, Venezia

    Paolo Veronese, S. Matteo, 1555, Chiesa di S. Sebastiano, Venezia

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