Dicono che avrebbe pagato i giudici per fregare 670 miliardi allo stato italiano, guadagnando insieme ai suoi due soci il 10%, (67 miliardi) che ha trasferito alle Bahamas.
A ottobre il tribunale dovrebbe decidere, finalmente. A meno di gradevoli novità apportate dalla Gazzetta Ufficiale.
Rogatorie: da Nassau la verità su Previti
Dopo cinque anni il governo delle Bahamas risponde alle domande dei magistrati italiani, indicando proprio Previti come il titolare di due conti sui quali sarebbero finiti i soldi della causa Imi-Sir.
MILANO - Due conti correnti aperti a Nassau, capitale delle Bahamas, vero paradiso fiscale per costituire società off-shore di ogni tipo. Due conti correnti che arriverebbero come un fulmine a ciel sereno a ipotecare i risultati di una delle inchieste più scottanti tra gli ultimi fascicoli della stagione di Mani Pulite, quella che riguarda la maxitangente pagata dal defunto industriale Nino Rovelli per la causa tra l'Imi, l'istituto mobiliare italiano, e la sua Sir.
Nell'inchiesta, come "gran mediatore" dell'affare, è coinvolto Cesare Previti, ex ministro della Difesa e numero due del partito di Silvio Berlusconi. E quei conti, secondo quanto riferito dalla banca di Nassau che ha finalmente risposto ai magistrati italiani, sarebbero intestati proprio a lui.
Secondo l'accusa, 67 miliardi di lire sarebbero usciti dalle casse della famiglia Rovelli, così come disposto dallo stesso Nino, prima che morisse, agli inizi degli anni Novanta, per "saldare" il conto di una sentenza favorevole che assegnava ai Rovelli un risarcimento di 670 miliardi nella causa che la opponeva all'Imi.
I pm ricostruiscono puntigliosamente il percorso di quei soldi. Secondo le accuse che formuleranno in aula, sarebbero passati per le mani di Previti e di un avvocato civilista del suo studio romano, Attilio Pacifico, per dividersi poi in diversi rivoli. Grazie alle risposte ottenute alle rogatorie internazionali i pm accertano che i soldi dei Rovelli arrivano sul conto "Filippo" della Sbs di Ginevra proprio una settimana prima che il "falco" di Forza Italia venga eletto al Senato e successivamente riceva l'incarico per il Dicastero della Difesa. Da qui escono verso una società di Vaduz, e verso i conti delle Bahamas.
Cesare Previti, del quale la procura chiede l'arresto, si difende sia in Parlamento che in interrogatorio: ai pm spiega dapprima che quei soldi sono frutto di una parcella, guadagnandosi però così l'accusa di evasione fiscale per non averli denunciati, per poi sostenere di aver avuto dallo stesso Rovelli l'incarico fiduciario di pagare alcuni professionisti dei quali, per deontologia professionale, non vuole fornire i nomi. Di fatto però, il primo smacco per le difese arriva quando, condannando un suo coimputato in un filone parallaelo del processo, i giudici affermeranno che la società di Vaduz alla quale viene versata una tranche di denaro, nata nel '94, non poteva essere conosciuta da Rovelli, morto in precedenza.
Il secondo, giunge invece proprio dalle Bahamas. Quei conti, mette nero su bianco il governo di Nassau nella risposta alle rogatorie, non appartengono ad alcuno sconosciuto cliente di Rovelli, bensì proprio a Cesare Previti.
Per le difese il colpo è duro. Soprattutto perché lo stesso Previti aveva dichiarato di non poter rivelare l'identità del titolare di quei conti perfino alla Camera, che doveva decidere sul suo arresto e che impedì ai giudici di far scattare le manette.
I legali di Cesare Previti si mostrano comunque sicuri: "Questo dimostra che quei soldi non servirono per corrompere i giudici" dicono. E su quelle che sembrano vere e proprie menzogne che Previti avrebbe pronunciato in Parlamento e sotto interrogatorio, anticipano la nuova linea difensiva: "Davanti a un pm particolarmente zelante - dice l'avvocato Sandro Sammarco - l'imputato ha diritto di proteggersi ed evitare il rischio teorico di addebiti di natura fiscale".
Non a caso, l'arrivo in Italia delle rogatorie, è stato permesso anche dalla rinuncia della difesa Previti, dopo cinque anni di battaglie legali, a rinnovare l'opposizione. Rinuncia condizionata però, al divieto, per la magistratura italiana, di usare quelle carte per addebiti fiscali.
(6 GIUGNO 2002, ORE 7.21)