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    Predefinito 10 settembre - S. Nicola da Tolentino

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Nicola da Tolentino, Sacerdote

    10 settembre - Comune

    Castel Sant’Angelo (ora Sant’Angelo in Pontano, Macerata), 1245 - Tolentino (Macerata), 10 settembre 1305

    Nacque nel 1245 a Castel Sant'Angelo in Pontano nella diocesi di Fermo. A 14 anni entrò fra gli eremitani di sant'Agostino di Castel Sant'Angelo come oblato, cioè ancora senza obblighi e voti. Più tardi entrò nell'ordine e nel 1274 venne ordinato sacerdote a Cingoli. La comunità agostiniana di Tolentino diventò la sua «casa madre» e suo campo di lavoro il territorio marchigiano con i vari conventi dell'Ordine, che lo accoglievano nell'itinerario di predicatore. Dedicava buona parte della sua giornata a lunghe preghiere e digiuni. Un asceta che diffondeva sorriso, un penitente che metteva allegria. Lo sentivano predicare, lo ascoltavano in confessione o negli incontri occasionali, ed era sempre così: veniva da otto-dieci ore di preghiera, dal digiuno a pane e acqua, ma aveva parole che spargevano sorriso. Molti venivano da lontano a confessargli ogni sorta di misfatti, e andavano via arricchiti dalla sua fiducia gioiosa. Sempre accompagnato da voci di miracoli, nel 1275 si stabilì a Tolentino dove resterà fino alla morte il 10 settembre 1305. (Avvenire)

    Etimologia: Nicola = vincidore del popolo, dal greco

    Emblema: Cesto di pane, Pane, Stella

    Martirologio Romano: A Tolentino nelle Marche, san Nicola, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che, dedito a una severa astinenza e assiduo nella preghiera, fu severo con se stesso, ma clemente con gli altri, e spesso imponeva a sé le penitenze altrui.

    Martirologio tradizionale (10 settembre): A Tolentino, nel Piceno, la deposizione di san Nicola Confessore, dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino.

    Intorno a lui c’è sempre un’aura di prodigio, che comincia dalla nascita, avvenuta quando i genitori parevano destinati a non avere figli. Nel processo per la canonizzazione, aperto vent’anni dopo la sua morte, 371 testimoni verranno a parlare dei suoi moltissimi miracoli. Sappiamo inoltre che Nicola è anche un maestro di rigore ascetico, cioè di severità con sé stesso. Un insieme di elementi certo eccezionali, ma piuttosto staccati dal vivere comune della gente, incapace di miracoli e non ghiottissima di penitenza. Invece Nicola – a dispetto delle controindicazioni – è un santo sempre popolarissimo proprio tra la gente comune, di secolo in secolo: è l’amico dei giorni feriali, che viene in casa portando la festa.
    A 14 anni (è l’epoca dello scontro tra re Manfredi, figlio di Federico II, e papa Alessandro IV per i territori pontifici) entra fra gli Eremitani di Sant’Agostino di Castel Sant’Angelo, suo luogo natale, come “oblato”: cioè ancora senza obblighi e voti. Più tardi entra nell’Ordine e nel 1274 viene ordinato sacerdote a Cingoli. La comunità agostiniana di Tolentino diventa la sua “casa madre”; e suo campo di lavoro è il territorio marchigiano con i vari conventi dell’Ordine, che lo accolgono via via nell’itinerario di predicatore.
    Anche le regole monastiche più severe alleggeriscono di solito certi obblighi (lunghe preghiere, digiuni) per chi è in viaggio o fuori sede. Lui invece non si fa mai sconti, perché dappertutto si sente a casa sua: dunque, preghiere e penitenze sempre. E alla gente quasi non sembra vero, perché all’ingrosso s’immagina l’asceta in un quadro di severità e di mestizia. Padre Nicola, invece, è un asceta che diffonde sorriso, un penitente che mette allegria. Lo ascoltano predicare, lo ascoltano in confessione o negli incontri occasionali, ed è sempre così: lui viene da otto-dieci ore di preghiera, dal digiuno a pane e acqua, e immediatamente fa il gesto e dice le parole che spargono sorriso. Molti vengono da lontano a confessargli ogni sorta di misfatti, e vanno via arricchiti dalla sua fiducia gioiosa.
    Nel 1275 si stabilisce a Tolentino, dove resterà fino alla morte, sempre accompagnato da voci di miracoli. Ma un prodigio continuo è lui stesso, "sommamente straordinario nelle cose ordinarie", come scriverà il suo biografo, Agostino Trapé. Ai poveri, ai malati e disperati, non gli basta portare l’aiuto: vuole essere l’aiuto, anche con la sua persona, con la sua sommessa capacità di eccezionale promotore della comunicazione e della convivenza, che lo renderà attuale anche nel XX secolo.
    La canonizzazione tarderà fino al 1446 per le vicende della Chiesa (Avignone, scisma d’Occidente). Ma la “notizia” della sua santità corre per le Marche e l’Italia molto tempo prima. E continua dopo, come mostrano le visite alla basilica di Tolentino che custodisce il suo corpo.

    Autore: Domenico Agasso










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    Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, S. Antonio da Padova tra i SS. Antonio abate e Nicola, particolare, 1530 circa, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia

    Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, S. Nicola da Tolentino, 1637, Museo della Santa Casa, Loreto

    Gian Giacomo de Alladio detto Macrino d’Alba, Madonna in adorazione del Bambino con i SS. Giuseppe, Nicola da Tolentino, Agostino, Gerolamo e tre putti musicanti, 1508, chiesa di S. Giovanni Battista, Alba

    Giovanni di Paolo, S. Nicola da Tolentino, 1456, chiesa di S. Agostino, Montepulciano

    Carlo Ceresa, S. Nicola da Tolentino e un angelo, 1674, chiesa di S. Alessandro della Croce, Bergamo

    Pietro Ricchi, S. Nicola da Tolentino intercede per la cessazione della pestilenza, con Cristo tra due angeli, 1637-38, chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, Gavardo

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    Giovanni di Paolo, Esaltazione di S. Nicola sotto lo sguardo di S. Agostino, 1446-1455, Metropolitan Museum of Art, The Robert Lehman Collection, New York

    Ambito di Bonifacio Bembo (Maestro di Monticelli), S. Nicola da Tolentino, 1460-1470, Iscrizioni: “Regnum / mundi / contempsit / propter / amorem // Domini / mei Yeshu / Christi / Amen” (sul libro), Museo Civico Ala Ponzone, Cremona

    Jacopo Loschi, Triplice incoronazione di S. Nicola, 1495 circa, Museo Civico, Carpi

    Luca Giordano, Miracolo delle pernici, 1682 circa, Galleria Corsini, Firenze

    Antonio Maria Carpenino, Triplice incoronazione di S. Nicola, 1539, Museo Diocesano, Civiche raccolte d’arte, La Spezia

    Maestro dai Fondi Giallini, TrGraduale agostiniano, 1460-1470, Archivio Storico Diocesano, cod. XV, Cremona

    Fonte: Mostra "Immagine e mistero: il sole, il libro, il giglio. Iconografia di S. Nicola da Tolentino nell’arte italiana dal XIV al XX secolo" nel VII centenario della morte di S. Nicola da Tolentino, Braccio di Carlo Magno, Piazza S. Pietro, Vaticano, 8 giugno – 9 ottobre 2005.

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    G. Galassi, S. Nicola protettore della Chiesa militante e purgante, seconda metà XIX sec., Roma

    Benozzo Gozzoli, S. Nicola da Tolentino, 1464-65, Cappella absidale, chiesa di S. Agostino, S. Gimignano

    Pietro Perugino, Madonna con Bambino e Quattro Santi (SS. Nicola da Tolentino, Bernardino da Siena, Girolamo e Sebastiano), 1500, Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia

    Pietro Perugino, S. Nicola da Tolentino, 1507, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Piero della Francesca, Polittico di S. Agostino: pannelli dei SS. Giovanni evangelista e Nicola da Tolentino, 1460-65, Frick Collection, New York (primo pannello) e Museo Poldi Pezzoli, Milano (secondo pannello)

    Alessandro Algardi, Visione di S. Nicola da Tolentino, 1651-55, Chiesa di S. Nicola da Tolentino, Roma

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    Predefinito Altra biografia (con lievi mie modifiche)

    Abbiamo detto recentemente che l’Archidiocesi di Fermo è una culla di santi, tanto che ne ha anche di “esportazione”. Abbiamo accennato al Beato Giovanni della Verna, così chiamato per essere vissuto a lungo in quel santo luogo ricordato da Dante “Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno // Da Cristo prese l’ultimo sigillo” (Par. XI, 106/7). Qui San Francesco ebbe le stimmate. Ma il Beato Giovanni della Verna era di Fermo. Qui nacque nel 1259; a 13 anni entrò tra i frati minori e dopo la professione, fu mandato dallo stesso San Bonaventura alla Verna dove rimase fino alla morte avvenuta il 10 agosto 1322.
    Oggi ricordiamo San Nicola da Tolentino, nato a Castel Sant’Angelo, oggi Sant’Angelo in Pontano, allora uno dei castelli maggiori dello Stato di Fermo (con Grottammare, Servigliano, Montefiore dell’Aso, Loro Piceno, Petritoli, Falerone, Mogliano). Era il 1245, Sant’Angelo in Pontano allora come ora apparteneva all’Arcidiocesi di Fermo. Il paese natale di San Nicola era quindi legato con duplice vincolo a Fermo Stato e Diocesi.
    San Nicola è patrono del suo paese natio e anche di Monterubbiano. Di quest’ultima località era il suo coetaneo e primo biografo: Pietro da Monterubbiano. Nicola, compiuti i primi studi nella parrocchia (allora non c’erano le elementari statali), entrò tra gli Agostiniani del paese natìo. Andò poi al Noviziato a San Ginesio (MC) e quindi a Cingoli, per gli studi di filosofia e grammatica. Qui nel 1269 fu ordinato sacerdote dal vescovo di Osimo San Benvenuto. San Nicola ebbe modo di conoscere molte località marchigiane. Fu a Pesaro, Recanati, Fermo, dove fu maestro dei novizi. In questa città, nel monastero di Santa Maria di Jacopo (pianura del Tenna) vi era, superiore dei Canonici Regolari di Sant’Agostino, un suo cugino. San Nicola un giorno andò a trovarlo. Appena il cugino lo vide magrissimo e macilento, lo invitò a trasferirsi colà: Nicola fu per un momento titubante, ma sentì un coro di voci dolcissime che dal Cielo cantavano: “A Tolentino, a Tolentino. Qui è la tua dimora; rimani nello stato in cui sei chiamato; vi troverai la salvezza”. Era il 1275. Nicola rimase a Tolentino fino al 10 settembre 1305, anno della morte. Molto devoto delle anime del Purgatorio, operò innumerevoli prodigi e miracoli. La stessa bolla di canonizzazione di papa Eugenio IV del 1° febbraio 1446 faceva menzione di 301 miracoli che erano stati raccolti a riprova della sua santità.
    Risuscitò una giovinetta di Fermo; nel 1479 fece cessare l'incendio del Palazzo Ducale di Venezia; nel secolo XVII sedò una tempesta nel Porto di Genova; restituì la vista ad un cieco di San Ginesio, ecc.
    Negli ultimi mesi prima della morte, Nicola vide in sogno una stella luminosa che rischiarava con i suoi raggi il suo paese natio Sant'Angelo in Pontano; poi si spostava e giungeva fin sopra l'Oratorio di Sant'Agostino a Tolentino. Poi non la vide più in sogno, ma nella realtà: quando celebrava la stella rimaneva immobile sopra l'altare. Ciò ispirò poeti, prosatori e pittori. L'iconografia del Santo ce lo rappresenta con una stella sul petto, il libro delle regole ed il giglio.
    Morì, come detto, il 10 settembre 1305. Dopo 40 anni, per motivi sconosciuti, vennero recise le braccia dal corpo ancora incorrotto; vi fu un notevole flusso di sangue che venne raccolto in tovaglie e teche ancora oggi esistenti e conservate in teche d'argento. Dal XV secolo, comunque, le braccia ebbero periodiche effusioni di sangue. Ciò contribuì al diffondersi del culto del santo in Europa e nelle Americhe.
    Il processo di canonizzazione incominciò nel 1325, venti anni dopo la morte, ma si protrasse a causa delle tumultuose vicende di quel periodo. Solo nel 1446 fu proclamato santo da Papa Eugenio IV (1431 - 1447). Nel secolo XIV gli venne eretta una maestosa basilica. Celebre è il Cappellone di Tolentino che il poeta Giorgio Umani di Ancona ( + 1965) indica tra le meraviglie delle Marche. E' decorato da un meraviglioso ciclo di affreschi, una delle più alte manifestazioni di pittura trecentesca marchigiana.
    Monterubbiano e Sant'Angelo in Pontano celebrano il 10 settembre la festa del loro patrono. Per quella di Monterubbiano riportiamo un sonetto del Dott. Centanni che "dipinge" lo svolgimento della festa: "Te sveja a l'arba u' sparu de bommette // e tre o quattro fioretti de campane; // le donne già scutura le sottane // e lu concertu è prontu pe' le sette.
    Una fila de messe venedette // 'rmette l'anama in pace a le paesane; // li preti corre comme pentecane // e a minzudì se spiega le sarviette.
    Verso le quattro c'è la compagnìa, // ppo' la carriera e li globi areostati. // Quanno sta pe' sona' l'avemaria
    la vanda fa li pezzi concertati. // Per utomo li fochi, e sbornie e botte // e se rvà a casa dopo menzanotte. (1920).
    Quanto sopra può valere anche per Sant'Angelo in Pontano. Le feste paesane sono simili tra loro.

    Gabriele Nepi

    FONTE


  6. #6
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    PABLO PANEDAS

    San Nicolás de Tolentino

    El primogénito de la familia agustiniana

    1. LOS TIEMPOS QUE ENTONCES CORRÍAN


    San Nicolás no ha pasado a la historia como hombre ilustre por sus escritos o su ciencia; ni fue predicador renombrado, o un personaje memorable por sus dotes de gobierno. Al contrario, fue más bien un fraile llano, que nunca salió de su tierra natal de Las Marcas, la región centroitaliana que mira al Adriático; un fraile que vivió la mayor parte de su vida en la pequeña ciudad de Tolentino, al margen de los grandes núcleos y movimientos ciudadanos del siglo XIII.

    Nada de ello fue obstáculo para que el Santo de Tolentino se convirtiera en el prototipo del religioso agustino. Debido, en primer lugar, a su temprana fama de santidad y a su gran popularidad como taumaturgo. Cosa que no habría conseguido de haber vivido en otra época.

    Porque, en efecto, en el tiempo que le toca en suerte se dan cita dos fenómenos de gran importancia. Por una parte, en la Italia del siglo XIII, va tomando cuerpo un nuevo modo de vivir que se aparta del medieval. El campo empieza a perder importancia, en beneficio de la ciudad. La agricultura deja de ser la ocupación casi exclusiva, y cede el paso a la industria y el comercio, que enseguida toman fuerza.

    Por otra parte –y debido principalmente a las transformaciones sociales que decimos– surge en la Iglesia una concepción nueva de la vida religiosa. Hasta ahora era el monje, apartado del mundo y dado por entero a la contemplación, el representante casi único de la vida religiosa eclesial. Al cambiar la fisonomía social de Occidente, también la Iglesia busca nuevas maneras de presencia y apostolado. Con el nacimiento en el siglo XIII de las llamadas órdenes mendicantes, se abre camino una nueva forma de vida religiosa. Los «frailes» surgen para predicar el evangelio en el nuevo mundo que se alumbra. Su campo de acción está en las ciudades, más que en el campo. Los medios que emplean son los adecuados para contrarrestar los efectos nocivos de la nueva cultura: al florecimiento del comercio y de una nueva clase rica, enfrentan la total pobreza personal y comunitaria; contra una civilización centrada sobre los valores terrenos y del hombre oponen la ascesis como modo de resaltar la soberanía de Dios sobre el mundo.

    La orden agustina es una de las mendicantes. Se constituye como tal en 1256, en una «Gran Unión» de grupos eremíticos preexistentes. Y la santidad de Nicolás es la prueba de garantía del carisma que se ha empezado a vivir. Por eso, lo representarán siempre con el libro de las reglas en la mano; libro que, en ocasiones, mostrará abierto en la leyenda: «Observé siempre los preceptos de mi padre san Agustín».

    Es natural, así, que, en la gran expansión que van a conocer, los agustinos propaguen la fama y el culto del Santo de Tolentino, y conviertan su figura en estandarte ondeado ante el mundo.

    Como es natural, por otra parte, que san Nicolás sea punto de referencia de todos los movimientos y momentos de reflexión y reforma a lo largo de la historia de la Orden. Observancias y recolecciones han tratado siempre de volver a los orígenes, y siempre han visto en este santo la personificación más lograda del carisma agustiniano.

    2. INFANCIA Y JUVENTUD

    Sant’Angelo in Pontano


    Así se llamará el pueblo natal del Santo. Está situado, ya lo hemos dicho, en el centro de Italia, en una zona que es un auténtico vivero de santos; cerca de Sant’Angelo están ciudades como Asís, Foligno, Montefalco, Casia o Nursia, por citar sólo algunas que completan el nombre de santos universales. Se trata de una población cuya única nota de distinción está en su magnífica colegiata de San Salvador, atendida por los llamados «canónigos regulares». Estos, a diferencia de los monjes, eran sacerdotes dedicados a la actividad pastoral, pero vivían en común siguiendo el ejemplo y la regla de san Agustín.

    También había en el pueblo un convento agustiniano. Lo llamamos así tan sólo porque observaba la regla de san Agustín; que aún faltan unos años para que nazca la orden agustina. Formaba parte de la llamada «congregación de Bréttino», una de tantas en que se asociaba la multitud de núcleos eremitas y monásticos tan abundantes sobre todo en la Italia central.

    La casa de Compagnone

    Los padres del futuro santo tienen nombres muy al gusto de la época; nombres que, ya de por sí, dan al hogar un cierto ambiente cálido y afectivo: su madre se llama Amada; el padre, Compagnone, «Compañero» en su equivalencia castellana.

    En lo económico, no pasaban apuros; vivían, más bien, con desahogo y tranquilidad. Eran, por lo demás, buenos cristianos, de fe sencilla y honda, muy dados a las prácticas de oración y caridad.

    Por eso, cuando los años de matrimonio iban pasando sin que tuvieran descendencia, Amada y Compagnone, preocupados, decidieron encomendarse a san Nicolás de Bari, uno de los santos más populares en aquel entonces. Le prometieron, incluso, consagrar a solo Dios el hijo tan deseado, para lo cual fueron en peregrinación a Bari, casi en el extremo sur de Italia. Pronto tuvieron un niño, que atribuyeron a la intercesión del santo, por lo que le pusieron su nombre. Así vino al mundo el año 1245 el futuro Nicolás de Tolentino; y, tras él, al menos dos hermanos más con que el cielo colmó de felicidad a aquella pareja ejemplar.

    Las pocas noticias que tenemos referentes a la infancia de Nicolás, nos hablan de un niño formal y piadoso. Y nos conservan un detalle muy significativo: él era en casa el encargado de dar la limosna a los pobres. No podía haber tenido mejor escuela de humanidad. Desde temprana edad se le enseña a escrutar con mirada de fe la cruda realidad de la vida. Sus padres le empujan así a desarrollar el sentido de la solidaridad con los necesitados. Seguramente es aquí donde adquiere la capacidad, tan característica suya más tarde, de tratar a los menesterosos con toda naturalidad, como quien desde siempre se ha movido entre ellos

    Desde niño en el convento

    El temperamento dulce y profundo del niño, lo mismo que los ánimos y el ambiente que en casa encontraba, lo empujaban al convento; su aspiración era vivir retirado para Dios, al estilo de los ermitaños agustinos de su pueblo. De modo que asistió a las clases que daba a los chiquillos el capellán de la colegiata y, en cuanto pudo, solicitó entrar en el convento. Apenas conocemos nada de esta decisión del santo; los testigos son pocos y, además, no concuerdan. Contentémonos con saber que Nicolás, a sus doce años, entra como «oblato» en el convento. Era costumbre muy extendida entonces: la enseñanza era muy elemental y no obligatoria; la impartía un sacerdote en la escuela parroquial. Quien quisiera estudiar más, tenía que ingresar como oblato –«interno» diríamos hoy, quizá– en un convento; sólo que se comprometía a profesar como monje, tras unos años. Es el camino que sigue Nicolás; y lo hace a gusto porque, en él, se dan cita dos aspiraciones, el estudio y la vida religiosa, ciencia y caridad en toda su plenitud.

    Nicolás daba así un paso definitivo. Aunque fuera en calidad de oblato, había entrado en el monasterio. En adelante, iba a dedicar su tiempo y sus fuerzas a forjarse una personalidad sólidamente madura para el amor a Dios y a los hombres.

    Después de tres años como oblato, con toda convicción y ánimo, dio el paso siguiente. A sus quince años, comenzó el noviciado. Estamos en 1260, y la orden agustiniana existe como tal sólo desde hace cuatro años; en 1256 la Santa Sede ha unido en un sólo grupo las fuerzas dispersas en los desiertos de Italia, y les ha dado un nuevo plan y una nueva misión. Los primeros tiempos son de ilusión y empuje, y Nicolás se empapará de ellos, hasta personificar el espíritu de la Orden recién nacida. A vivir este ideal se consagrará mediante su profesión religiosa el día 4 de marzo de 1261.

    Apenas conocemos detalles de este tiempo, ni de los años siguientes, que Nicolás debe dedicar a la formación filosófica y teológica. Sí podemos decir que va forjando su mente y su espíritu para la vida sacerdotal y religiosa; y, en fin, que su físico alcanza la plenitud y se hace el de un joven notablemente más alto de lo normal –de unos 173 ó 175 cms. de talla–, de manos delicadas y dedos bien formados, con un rostro perpetuamente abierto a la sorpresa a través de grandes ojos almendrados.

    Primicias sacerdotales

    Había llegado el tiempo de la cosecha. Concluida su formación, Nicolás fue ordenado presbítero en 1269; lo consagró un santo obispo de la época: san Benito de Cíngoli. Se extendían ante él los anchos sembrados de Dios en el mundo; misión suya será esforzarse por recoger la mies, y ofrecerla sobre el altar al Dueño de ella.

    De los seis primeros años de Nicolás como sacerdote sólo sabemos con seguridad una cosa: que cambió de residencia muchas veces. En su proceso de canonización declaran testigos que, durante este periodo, lo han conocido en al menos diez conventos distintos repartidos por toda la región de Las Marcas.
    La explicación más probable de esta falta de estabilidad es que los superiores dedicaron a nuestro Santo a la predicación. Se usaba entonces seleccionar algunos religiosos que predicaran cuaresmas y advientos por las poblaciones de la región. Estos misioneros no tenían residencia fija, sino que eran asignados por temporadas a distintos conventos, según dónde les tocara predicar.

    Apenas conocemos particulares de este primer ministerio suyo. Sí sabemos por declaración de un testigo que Nicolás era de trato afable, muy accesible y caritativo; y que todos le apreciaban y honraban.

    Sin embargo, su salud era frágil, hasta el punto de no resistir las incomodidades y continuos cambios de este ministerio. Por ello, seguramente, los superiores lo apartaron de la predicación durante un año, y lo dedicaron al más reposado cargo de maestro de novicios.

    Fuera que el Santo no se repuso convenientemente o que los superiores cambiaron de planes respecto a él, lo cierto es que, en 1275, Nicolás es destinado de forma estable al convento de Tolentino, donde residirá los treinta años que faltan hasta su muerte.

    Tolentino era entonces una pequeña ciudad de Las Marcas, con unos dos mil habitantes en todo su término. Pero, a la postre, era ciudad, con todo lo que ello significaba; venía experimentando una fuerte expansión territorial y económica, basada sobre todo en el robustecimiento de los gremios –el de la construcción y los de canteros y carpinteros– y en la riqueza del municipio. A pesar de lo cual, se puede decir que el noventa por ciento de la población de Tolentino vivía al día, cuando no pasaba hambre. En esta ciudad residirá Nicolás, en el convento para 12 ó 14 frailes que los agustinos regentaban desde hacía más de treinta años.

    3. ASCETA

    El Nicolás por excelencia, el santo, el que ha quedado como modelo, es el de Tolentino. Aunque de esta última y larga etapa suya tampoco conozcamos mucho, en Tolentino es donde se revela como personificación de una nueva espiritualidad y de toda una familia religiosa.

    El ambiente

    Lo primero que de nuestro Santo hay que decir es que es fruto y paradigma de su tiempo. En su persona se dan cita dos influencias ambientales, una general y otra más propia. Desde hacía tiempo, recorrían la piel de Europa escalofríos de ascetismo: bandadas de mendigos y penitentes vagaban por campos y poblados reclamando una Iglesia evangélica y pobre. De este fermento nacen las órdenes mendicantes. Nicolás de Tolentino, atento a los signos de los tiempos, será ante todo un asceta ejemplar.

    No sólo el humus social; la propia raíz de su corporación le llevará a san Nicolás a las prácticas ascéticas. En 1256, año en que él entra en el convento de su pueblo, nace como tal la orden agustina, de la unión de varios grupos eremíticos. El convento de Sant’Angelo y los demás de Las Marcas pertenecían a los ermitaños de Bréttino, los más dados a los ayunos y a la austeridad. Aunque agustino durante toda su vida, Nicolás no ha podido eludir el influjo de la congregación madre. Muy al contrario, es heredero directo de su mejor tradición; la ha vivido en los conventos bretinenses, y la ha sorbido de los hermanos antiguos que ha conocido.

    Su dieta

    Para hacerse una idea del espíritu mortificado de san Nicolás, bastaba observarlo a la mesa. De no ser en caso de enfermedad grave, ayunaba cuatro veces por semana: los lunes, miércoles, viernes y sábados; estos días se permitía tan sólo una única comida, a pan y agua. Ni que decir tiene que a estas fechas de ayuno añadía todas las de adviento y cuaresma; con el agravante de que, en cuaresma, la atención al confesonario sólo le permitía desayunarse por la tarde.

    Y, cuando no ayunaba, sano o enfermo, su alimentación era extremadamente parca, a base de verduras, legumbres y algo de pan.
    Que sepamos, en los últimos treinta años de su vida al menos, no probó la carne, ni leche, pescado o fruta. Con la particularidad añadida de que, para quitarle el gusto a la comida, cargaba aposta la mano en los condimentos y le añadía una buena porción de agua fría.

    Especialmente reacio se mostraba a comer carne. A pesar de cuanto le insistían lo mismo frailes que seglares, mirando por su salud. Salía del paso trayendo a colación un razonamiento suyo muy particular, no inspirado precisamente en las normas de la dietética moderna: sería poca fe decía pensar que Dios, caso de quererlo sano y fuerte, hubiera dado virtud salutífera sólo a la carne, y no también al pan o a las verduras. Era tanto como invitarles a levantar la mirada hacia motivaciones y objetivos más altos; que el santo conoce el camino por donde va, y a quien le guía.
    Incluso, a veces, su instinto ascético entra en colisión con lo que la obediencia le ordena. En estos casos, fray Nicolás no tendrá inconveniente en humillar su parecer y probar la carne, como con hermosos relatos ilustran varios testigos. A no ser que, ingenuamente, haga imposible la obediencia mediante algún milagro. Tal ocurrió en la «florecilla» que de él se nos ha transmitido, una de las más características suyas: «Le llevaron un día, para comer, dos perdices asadas. Dirigiéndose a ellas, Nicolás les ordenó: –Seguid vuestro camino. E, inmediatamente, las perdices echaron a volar».

    Nadie podría haber pensado más segura garantía del proceder y la vida de nuestro santo.

    Otros ejercicios

    Junto con la abstinencia de comida, no podían faltar otras mortificaciones. Su dormir era poco, y en un saco de los usados para paja, diminuto para su corpulencia; sin almohada ninguna en ocasiones, una piedra, ni sábanas o ropa de abrigo, pues le bastaba, para taparse, el propio manto.

    Se flagelaba a diario con varas, disciplinas de cuerda o cadenillas de hierro. Asimismo gustaba habitualmente de otras prácticas de penitencia no menos tradicionales: la bolsa de habas sobre la cual se arrodillaba en su oración privada, o las losetas de mármol en que apoyaba brazos y rodillas mientras rezaba en invierno… Todo ello, desde luego, llevado a cabo con sigilo, porque así se disculpó una vez, al ser sorprendido «el padrenuestro debe decirse en secreto».

    Hoy día, insensibles como somos a los valores de la mortificación, podemos no comprender las prácticas de san Nicolás. Quizá es poco razonable la lógica de los corazones inquietos que sólo encuentran descanso en Dios. Ascienden hacia El por medio de las criaturas, que aprecian y rebasan; el despojamiento de las cosas, la ascesis, no es en el santo otra cosa más que el vértigo de Dios.

    Lo mismo habría que decir de la pobreza que, pocos años antes, había desposado san Francisco de Asís el amante y cantor de las criaturas, paradójicamente. La misma pobreza que Nicolás lucía como uniforme de gala en su único hábito, todo él un puro aunque limpio remiendo; que él bien se aplicaba a recosérselo cuando era necesario.

    4. ORACIÓN

    Claro es que la ascesis no puede entenderse ni vivirse sin la oración, que es su savia vital. Sin ésta, la ascesis es sólo aspereza, mera contorsión. De ahí que, si san Nicolás fue un gran asceta, se debió a que era un orante extraordinario.

    No es difícil describir la jornada de oración de nuestro Santo. No tenía horario de rezos. En realidad, de pocos personajes se podrá decir tan fundadamente que toda su vida era oración. A tenor de las declaraciones de los testigos en el proceso de canonización, hemos de concluir que Nicolás de Tolentino consagraba a la oración no menos de 15 horas al día. Toda la jornada, a excepción de tres horas de sueño de 11 de la noche a dos de la madrugada–; otras tres –por la mañana, de 9 a 12– que dedicaba a confesar, hacer otros trabajos o leer y meditar en su celda; y, en fin, los tiempos correspondientes a las comidas, más algún rato de recreación comunitaria. Un horario tan sencillo como terrible.

    Jamás descuidó la asistencia al coro, al oficio divino, ni aun en lo más crítico de sus enfermedades. Era el primero en entrar y el último en salir. Ni dejó nunca la misa, su alimento. A veces llegaba al altar a duras penas, ayudándose de un bastón. Siempre, después de confesarse, cosa que hacía cada día. Lo que la eucaristía era para él lo entreveían las muchas personas que acudían a su misa, por ver al padre Nicolás, llorando, a cara descubierta ante su Dios.

    Descargaba luego los excesos del encuentro litúrgico en un sinfín de devociones y jaculatorias que le brotaban en cualquier momento y lugar.

    No es que el padre cumpla mejor o peor, o sea más o menos piadoso.
    Dios se ha apoderado de él; y la fiebre divina remite sólo en la oración. De modo que la oración va invadiendo todos los senos del alma y cada rincón de su vida. Y lo que nosotros juzgaríamos encogimiento o modestia timorata, en san Nicolás es entrega consciente y actual a Dios. Cuando por la calle, en la iglesia o en el confesonario lleva la capucha calada y los ojos bajos, hasta el punto de que penitentes asiduas confiesan no haberle visto nunca los ojos, ni aun la cara, no es por pusilánime o esquivo; tan sólo ocurre que está imantado en su más profundo centro.

    5. PERSONALIDAD

    Por cuanto queda dicho, se ve ya que san Nicolás de Tolentino no se alinea en la legión de ascetas montaraces que ha poblado desiertos y leyendas en la historia de la Iglesia. Muy al contrario, nuestro Santo era por temperamento de corazón esponjado y espíritu manso. Y aun diríamos, atendiendo a su estatura, que fue toda su vida un «niño grande», por emplear el apelativo con que él recriminaba cariñosamente.

    En la tradición agustiniana, san Nicolás ha quedado como el hijo más grande de san Agustín y el más parecido a él, justamente por su carácter afable y su exquisito trato de caridad. En esto coinciden los testimonios; todos ellos los reducimos a uno, de frases sencillas pero especialmente densas: «Era caritativo y comprensivo, y se apenaba mucho por las necesidades y enfermedades de los enfermos, y disfrutaba mucho con sus alegrías; y era muy afable y humano en el trato con los hermanos, y muy obediente no sólo al prior, como era su obligación, sino también a todos los religiosos del convento».

    Que obedecía pronta, alegre y generosamente, siempre con un «Con mucho gusto», lo declaran en el proceso sus antiguos priores. Su cariño por los otros religiosos queda de manifiesto en una simpática y curiosa preocupación suya: él, que apenas probaba bocado, estaba atento para sugerir al prior o al ecónomo la caridad de un plato extra o esmerado en la comida, cuando llegaba algún huésped o en días festivos o de más trabajo. «Y gozaba mucho viendo disfrutar a los frailes».

    Y con los seglares era lo mismo, acogedor y atento, por más enfermo que se encontrara. Sabemos que nunca tuvo buena salud; los testigos hablan de fiebres, gota, llagas varicosas… que le atormentaban y él soportaba con la sonrisa en los labios. Y los últimos años de su vida, sobre todo, debió guardar cama con frecuencia. Pues bien, a cuantos se acercaban a él o a su celda por lo normal, a pedirle oraciones los acogía siempre de buen humor, con muestras de comprensión y disponibilidad.

    6. APOSTOLADO

    Nos muestra la historia que, hasta el siglo XIII, el apostolado de la Iglesia se estructuraba en torno a dos centros, como eran la parroquia y la diócesis. En este siglo, las necesidades pastorales obligan a la Iglesia a introducir en su estrategia un cambio revolucionario: las órdenes religiosas que ahora surgen, las mendicantes, nacen como fuerzas de acción apostólica. Desde este momento, los religiosos no buscan sólo huir del mundo a parajes solitarios donde poder santificarse, sino que buscan el corazón de las gentes y la sociedad para transformarlo ellos –o viceversa–.

    La afabilidad como bandera

    Los autores sintetizan la misión de los mendicantes diciendo que traen lo que la Iglesia pedía y todos esperaban entonces: «amor al pueblo, deseo de mezclarse con él y vivir sus necesidades, ansias de compartir sus alegrías y sus penas». Y, si esto es así, como en efecto lo es, habrá que convenir en que san Nicolás de Tolentino bien puede ser tenido como prototipo del fraile mendicante.

    Y prototipo del mendicante agustino, por la entraña de cordialidad o caridad al estilo agustiniano que descubrimos en él. Lo hemos visto en su vida de comunidad, y lo comprobaremos en su apostolado.

    San Nicolás era persona sumamente afectiva y afectuosa. Eso lo dejaba traslucir en su actividad sacerdotal. Hay en el proceso una sabrosísima declaración que se refiere al talante del Santo como predicador. Un miembro de la nobleza relata cómo, en su juventud, las damas preferían escuchar los frecuentes sermones de fray Nicolás en vez de asistir a las competiciones en que los muchachos se exhibían ante ellas; confiesa que, en muchas ocasiones, él y sus compañeros se veían precisados –en un último recurso– a interrumpir al predicador hasta obligarle a callar, y así ser ellos objeto de la atención de las jovencitas. Añade el caballero que fray Nicolás, al revés que otros predicadores, nunca se enfadaba por ello; antes bien, cuando iban a pedirle perdón, lo encontraban muy afable y comprensivo.

    Los frutos de la predicación los recogía en el confesonario. Casi todo Tolentino se confesaba con él; por tanto, debía estar todo el día a disposición de cualquiera, y pasar muchas horas en el confesonario. Pues bien, al cabo de veinte años, todavía lo recuerdan con emoción sus penitentes, y nadie sabe de un gesto de impaciencia o una palabra que no fuera cálida. Muy al contrario, los testigos cuentan también cómo, sobre ser acogedor y entrañable, imponía penitencias mínimas; el propio confesor se encargaba de expiar después en su persona los pecados confiados.

    Solidario con los pobres

    Por temperamento, sensibilidad y ambiente social, Nicolás de Tolentino estaba llamado a ser un santo popular, durante su vida y después de su muerte. Hemos hecho mención de las características apostólicas de las órdenes mendicantes. Conocemos el carácter, entre humilde, ingenuo y tímido, de nuestro Santo. Cientos de testimonios ponderan su heroica caridad y su aura de cordialidad. San Nicolás tenía que ser popular por fuerza.

    No hablamos de la popularidad huera que podría haberle venido del origen ilustre, las gestas heroicas o la excelencia en artes o letras. El Santo de Tolentino es popular porque se preocupa del pueblo, está hecho al trato de tú por tú con los humildes, hace propias las alegrías y penurias cotidianas de la gente. A todos acoge en su celda, y en todas las casas es acogido con calor; por algo señalan los testigos que visitaba a los ricos cuando era invitado, mientras que no esperaba aviso para ir a casa de la gente llana.

    Porque la forma de apostolado social más de su gusto era la visita. Al cabo de veinte, treinta y hasta cuarenta años, algunos testigos en su proceso aún lo recuerdan recorriendo las zonas deprimidas de Tolentino, con frecuencia –debido a la enfermedad– ayudándose malamente con un bastón, o apoyado en un hermano joven que le hacía la caridad de acompañarle. Tan familiar era su figura benéfica que, a pesar del tiempo transcurrido, los declarantes llegan a nombrar más de cien asistidos frecuentemente por él: paralíticos, mendigos, abandonados, enfermos de todas clases… todos los pobres de Tolentino.

    ¿Qué hace con ellos? Les da lo que tiene. Les contagia su hondura de espíritu y les ensancha e ilumina los horizontes de la fe. Reza con ellos. Y, sobre todo, los bendice; así, bendiciendo, suelen recordarlo sus paisanos. Todos le pedían la bendición, una súplica compadecida al Padre; tenían experiencia sobrada de su eficacia. Y a fe que se cuentan muchas curaciones y milagros atribuidos a su intercesión.

    Para los muchos pobres de Tolentino habría multiplicado el pan. Aunque, a falta de pan, se multiplicaba él. Por experiencia sabe lo que es pedir limosna, que muchas veces es el encargado de hacer la cuestación para el convento. No es sólo que las limosnas sirvan para remediar una necesidad material. Lo importante es que, al dar limosna, la caridad se inflama y las personas maduran por dentro.
    Por eso, lo mismo reclama a los ricos limosna para los pobres, como a éstos les pide para el convento o para otros menesterosos, y a los frailes ayuda para todos. Y a todos les desvela la presencia de Cristo en el necesitado, y les inculca el agradecimiento como modo de fundirse todos en caridad.

    7. MUERTE Y GLORIFICACIÓN

    Después de 60 años de entrega espontánea y jubilosa a Dios y a los hombres, Nicolás estaba al límite de sus fuerzas. Como el bíblico ciervo sediento, venteaba la muerte cercana y la presencia plena del Amado.

    El anuncio de la estrella

    Una noche, tras larga oración, en duermevela mística, vio hacia oriente, en el cielo, una estrella muy brillante. Estaba justo sobre Sant’Angelo in Pontano, su pueblo natal. Absorto por el fenómeno, vio cómo la estrella descendía hacia el pueblo, al tiempo que aumentaba su fulgor. Luego volvió a levantarse y, trazando una parábola, vino a situarse sobre Tolentino, sobre el oratorio del convento. Así, varias noches, Nicolás siguió al ritmo de su corazón emocionado el curso de la estrella, idéntico siempre.

    El padre estaba perplejo: intuía que había de ser un signo importante, pero no sabía interpretarlo. Al fin se decidió a consultar a un religioso venerable. La respuesta de éste lo dejó atónito: «La estrella es símbolo de tu santidad. En el sitio donde se detiene se abrirá pronto una tumba; es tu tumba, que será bendecida en todo el mundo como manantial de prodigios, gracias y favores celestiales». Su humildad no le permitía dar crédito a la interpretación dada.

    A partir de este día no volvió a ver en sueños la estrella, sino despierto, y a la luz del día. Cuando iba a celebrar la eucaristía, la encontraba esperándolo a la puerta del oratorio. Lo precedía al altar y allí, sobre los candelabros, se mantenía toda la misa. Cuando el santo, tras la acción de gracias, se levantaba para salir, la estrella desaparecía.

    Estaba claro que la estrella marcaba el final de la carrera, el reposo en el Señor de la eucaristía. Nicolás, astro brillante de santidad, estaba llegando a la meta. Aunque la estrella no se extinguirá, porque procede del cielo. «A los veinte años de la muerte del santo –dirá su primer biógrafo, que escribe en este tiempo–, el día del aniversario aún se hacía visible sobre el altar la estrella, y miles de peregrinos acudían a contemplarla». En la iconografía y en la fe del pueblo, Nicolás de Tolentino será ya para siempre el Santo de la estrella. Desde entonces, este signo celeste de su santidad ha orientado hacia Dios muchas miradas, y hacia el cielo muchas vidas.

    Fallecimiento

    San Nicolás pronto dejó de ver la estrella. Pasada la fiesta de san Agustín, no pudo levantarse a celebrar. Sabía que la muerte le rondaba, y no cesaba de orar. A veces se quedaba absorto, con la mirada fija en la imagen que siempre presidió su celda: era la Virgen –la bendita María, como él la llamaba–, cuyo nombre había llevado a flor de labios toda su vida.

    Hasta la fiesta del nacimiento de la Virgen, el 8 de setiembre, se le vio inquieto, angustiado, sumiendo el cáliz amargo de la tentación. El día 8 se tranquilizó y pidió los sacramentos. En la madrugada del día 10 quiso despedirse de la comunidad y pedirle perdón.

    Inmediatamente suplicó al superior le trajera el lignum crucis; le tenía mucha veneración y le había costado muchas fatigas juntar limosnas para hacer, con sus propias manos, un valioso relicario donde todavía hoy se custodia. Lo recibió con júbilo, lo besó, se lo colocaron enfrente, donde pudiera verlo, clavó en él la mirada y ya no la apartó hasta que, enseguida, expiró. Era el día 10 de setiembre del año 1305.

    Santo amigo y protector de todos

    El santo popular no lo es por accidente, sino por carisma divino. Dios lo ha situado en un punto al que confluyen las miradas de los fieles; de modo que es un centro de vitalidad de la Iglesia, un ganglio linfático en el cuerpo místico de Cristo. Por eso rompe las barreras de la muerte. El pueblo llano lo ha visto próximo a sus preocupaciones y problemas diarios, y recurrirá a él después de muerto. El santo actuará compasivamente a las dos orillas de la muerte; la intercesión y el milagro son carismas que él ha recibido para servir a la Iglesia, en esta vida y en la otra.

    San Nicolás de Tolentino tiende este puente de unión principalmente en dos puntos, los que le han hecho más popular en la historia.

    Su solicitud por los pobres, enfermos y necesitados, el Santo la ha mantenido en la otra vida. Muchas poblaciones se han acogido a su patrocinio; en bastantes ocasiones, los artistas lo han representado atrayéndolas a sí, protector, al modo como la clueca cobija a sus pollos, o deteniendo con su mano sobre las ciudades las flechas de la ira divina.

    Claro está que donde Nicolás se muestra Santo propicio es sobre todo en Tolentino, su ciudad. Pocos años después de su muerte, llevadas por la fe, visitaban su sepulcro multitudes venidas de toda Italia. Los favores se sucedieron en cascada, y hubo que abrir proceso de canonización. Y el simbolismo y la profecía de la estrella siguieron cumpliéndose a lo largo de los siglos; buena prueba de ello son los exvotos que, desde el siglo XVII, se conservan en el convento de Tolentino, más los miles de ellos que se han perdido.

    No obstante, san Nicolás ha extendido su manto protector a toda la cristiandad. Como Santo sencillo que es, hecho al trabajo con los humildes, abre su mano al pueblo cristiano a través de los panecillos. Cuenta su biógrafo que cuando, en cierta ocasión, Nicolás yacía muy enfermo, al borde de la muerte, por inspiración divina pidió como medicina un trozo de pan de limosna empapado en agua. Una vez probado el pan, el enfermo sanó de repente.

    La fe sencilla y honda del pueblo llano ha imitado este gesto durante siglos. Todavía ahora, en todo el mundo, se bendicen y distribuyen los panecillos de san Nicolás el día de su fiesta; y los fieles buscan en el recuerdo del Santo la protección divina.

    Abogado de las ánimas

    No sólo se preocupa san Nicolás de quienes sufren penalidades en esta vida. Seguramente, su patrocinio más característico es el de las almas del purgatorio. Así lo representan normalmente los artistas, y así lo reconocen los cristianos: sumido en la celebración eucarística, mientras, por su efecto, salen del purgatorio racimos de almas.

    También en este caso, el instinto de fe del pueblo ha condensado la personalidad benéfica del Santo en un episodio que de él se cuenta; y ha personificado en el Santo de la familiaridad la doctrina de la comunión de los santos.

    Mucho han tenido que ver en ello las circunstancias. A Nicolás le toca vivir tiempos de especial sensibilización a esta verdad. El de la suerte de los fallecidos en amistad con Dios pero aún necesitados de purificación, es uno de los puntos doctrinales que en el siglo XIII está más de actualidad. Sobre él discutían con calor las Iglesias católica y ortodoxa. El interés de los teólogos y de la jerarquía pasará también al pueblo, y la doctrina sobre el purgatorio tomará forma en la espiritualidad y la piedad del pueblo fiel.

    En 1274, en el segundo concilio de Lyon, la Iglesia declara por primera vez de modo solemne la doctrina católica sobre el purgatorio: «después de esta vida existen penas purificadoras para los que no están suficientemente limpios de sus pecados; penas que las oraciones de los vivos pueden aligerar». Pues bien, justamente por estas fechas, Nicolás de Tolentino vive una intensa experiencia mística. Y por obra de este acontecimiento se va a convertir en personificación y símbolo de una doctrina y una espiritualidad en boga.

    Ocurrió poco antes de pasar a residir en Tolentino. Un sábado por la noche, caldeado en prolongada oración, fray Nicolás vio junto a sí el alma de un religioso que había sido compañero suyo. Venía a pedirle que celebrara por él la misa, pues estaba sufriendo las penas del purgatorio. Nicolás le hizo ver cómo, a pesar de su voluntad, no podía darle gusto, pues esa semana estaba encargado de celebrar por la comunidad. El compañero, entonces, le hizo ver el purgatorio: una inmensa llanada repleta de individuos de toda condición, edad y estado, que se retorcían en un mar de fuego.

    Conmocionado por la visión, Nicolás refirió al superior lo ocurrido y le pidió dispensa de la misa conventual. Obtenido el permiso, la semana siguiente se aplicó con oraciones y penitencias a interceder por los difuntos. A los siete días, se le apareció de nuevo el religioso, ahora resplandeciente de gozo y de gloria, para mostrarle la eficacia de sus súplicas y agradecerle la caridad.

    Junto a esta historia se recuerda también la oración de Nicolás por un hermano carnal suyo asesinado en circunstancias sospechosas; en este caso, la intercesión del Santo llega incluso a evitar la condenación de su hermano.

    Nicolás, Francisco, Antonio: tal para cual

    San Nicolás de Tolentino, en fin, ha recibido de Dios una misión concreta y perenne: la de encarnar el ideal agustiniano de la caridad entre la gente humilde; no la caridad reglamentada, uniformada o intelectualizada, sino la caridad espontánea y amable. La caridad ingenua.
    Nace el Santo de Tolentino veinte años después de muerto san Francisco de Asís. Y, sin embargo, nos recuerda a él. En realidad, vive en la región limítrofe con la de Asís, región que Francisco y sus frailes tenían como propia. Y, además, durante la vida de san Nicolás, a fines del siglo XIII y comienzos del XIV, se están componiendo las Florecillas, y, en buena parte, los campos en que transcurren sus escenas son los de Tolentino, los de Las Marcas.

    Esta, la de las Florecillas, es el aura que ambos, Nicolás y Francisco, tienen en común. Como también tiene sus «florecillas» populares un tercer santo de entonces próximo al de Tolentino, el franciscano Antonio de Padua. Aunque portugués de Lisboa, viene a instalarse por estas tierras benditas del centro de Italia. Muere en 1231, e inmediatamente es canonizado y elevado a personaje de leyenda: se convierte en el santo taumaturgo por excelencia. La iconografía lo representa con el mismo símbolo de san Nicolás, la azucena, que significa fineza de espíritu, simplicidad de alma.

    Los tres, Nicolás, Francisco y Antonio, son santos amables y populares; de rasgos delicados y colores claros. Los tres son ascetas, pero suaves al contacto de los pobres; de rostro terso y mirada dulce, sin entrecejo. No son de los hechos con raíces de árboles; antes, al contrario, son santos sin nudos ni rugosidades. En uno la principal virtud puede ser la pobreza; en otro, la fe sencilla que mueve montañas; en el tercero, quizá, la exquisita caridad. Si es que las tres cosas no son una misma, en realidad. Lo cierto es que en los tres vive Cristo, que se ofrece a lo largo de los siglos como pan al alcance de los pobres.

    FONTE

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    St. Nicholas of Tolentino

    Born at Sant' Angelo, near Fermo, in the Hermits of St. Augustine -- a star above him or on his breast, a lily, or a crucifix garlanded with lilies, in his hand. Sometimes, instead of the lily, he holds a vial filled with money or bread. His parents, said to have been called Compagnonus de Guarutti and Amata de Guidiani (these surnames may merely indicate their birth-places), were pious folk, perhaps gentle born, living content with a small substance. Nicholas was born in response to prayers, his mother a model of holiness. He excelled so much in his studies that even before they were over he was made a canon of St. Saviour's church; but hearing a sermon by a hermit of St. Augustine upon the text: "Nolite diligere mundum, nec ea quae sunt in mundo, quia mundus transit et concupiscentia ejus", he felt a call to embrace the religious life. He besought the hermit for admittance into his order. His parents gave a joyful consent. Even before his ordination he was sent to different monasteries of his order, at Recanati, Macerata etc., as a model of generous striving after perfection. He made his profession before he was nineteen. After his ordination he preached with wonderful success, notably at Tolentino, where he spent his last thirty years and gave a discourse nearly every day. Towards the end diseases tried his patience, but he kept up his mortifications almost to the hour of death. He possessed an angelic meekness, a guileless simplicity, and a tender love of virginity, which he never stained, guarding it by prayer and extraordinary mortifications. He was canonized by Eugene IV in 1446; his feast is celebrated on 10 September. His tomb, at Tolentino, is held in veneration by the faithful.

    Bibliography

    Acta SS., Sept. III, 636; BUTLER, Lives of the Saints, III (Baltimore), 440; HAGELE in Kirchenlex., s.v.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. XI, New York, 1911

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    Da dom Prosper Guéranger, L’Année Liturgique - Le Temps après la Pentecôte, Paris-Poitiers, 1901, IV ediz., t. V, p. 210-213

    LE X SEPTEMBRE.

    SAINT NICOLAS DE TOLENTINO, CONFESSEUR.


    Marie enfant sourit au lis dont fait hommage à son berceau le représentant d'un grand Ordre. Admis dans la famille religieuse des Ermites de Saint-Augustin au moment où elle se groupait et se constituait sous la direction du Vicaire du Christ, Nicolas mérita d'en être le thaumaturge. Quand il mourut, en 13o5, l'exil d'Avignon commençait pour les Pontifes romains; sa canonisation, retardée près d'un siècle et demi parles troubles de ces temps, marqua la fin des lamentables dissensions qui suivirent l'exil.

    La paix perdue depuis tant d'années, la paix dont désespéraient les plus sages: c'était l'ardente prière, la solennelle adjuration d'Eugène IV, lorsque, au soir d'un laborieux pontificat, il confiait la cause de l'Eglise à l'humble serviteur de Dieu placé par lui sur les autels. Ce fut, au témoignage de Sixte Quint (1), le plus grand des miracles de saint Nicolas; miracle qui porta ce dernier Pontife à ordonner la célébration de sa fête sous le rit double, en un temps où pareil honneur était plus rare qu'aujourd'hui sur le Cycle.

    Lisons le récit, simple comme sa vie, consacré à la mémoire du bienheureux.

    Nicolas de Tolentino, ainsi appelé du nom de la ville où il demeura davantage, était né de parents pieux au bourg de Saint-Ange dans la Marche d'Ancône Le désir d'avoir des enfants ayant conduit par suite d'un vœu à Bari son père et sa mère, ils y reçurent de saint Nicolas l'assurance qu'ils étaient exaucés: d'où le nom qu'ils donnèrent ensuite à leur fils. Parmi les nombreuses vertus dont dès l'enfance il fut le modèle, brilla surtout l'abstinence; âgé de sept ans à peine, à l'exemple de son bienheureux patron, il commença de jeûner plusieurs jours de la semaine, coutume qu'il garda depuis, se contentant de pain et d'eau.

    Déjà inscrit dans la milice cléricale et chanoine, il était jeune encore, lorsque entendant un prédicateur de l'Ordre des Ermites de Saint-Augustin parler sur le mépris du monde, il fut tellement embrasé de son discours qu'il entra aussitôt dans cet Ordre. On l'y vit observer une forme si parfaite de vie religieuse, qu'il était la lumière de tous en charité, humilité, patience et toutes vertus, ne portant qu'un habit grossier, matant son corps par les disciplines et les chaînes de fer, s'abstenant de chair et de presque tous mets.

    Malgré les embûches de Satan qui cherchait à le troubler en diverses manières et parfois l'accablait de coups, il ne relâchait rien de son zèle pour l'oraison. Enfin, durant les six mois qui précédèrent sa mort, il entendit chaque nuit les concerts des Anges; c'était l'avant-goût des joies du paradis, et pénétré de leur douceur, il redisait souvent le mot de l'Apôtre: Je désire de mourir et d'être avec le Christ. Son désir s'accomplit le quatre des ides de septembre, ainsi qu'il l'avait annoncé aux frères. Il fut, après comme avant son trépas, illustré beaucoup de miracles: quels ayant été reconnus canoniquement, le Pape Eugène IV le mit au nombre des Saints.

    Serviteur bon et fidèle, vous êtes entré dans la joie de votre Seigneur. Il a brisé vos liens; et du ciel où vous régnez maintenant, vous nous répétez la parole qui fixa la sainteté de votre vie mortelle: N'aimez pas le monde, ni ce qui est dans le monde; car le monde passe, et sa concupiscence avec lui (2). Combien est puissant pour autrui l'homme qui semble ainsi oublier la terre, c'est ce que fait assez voir le don qui vous fut départi de soulager toute misère autour de vous, comme au séjour des âmes souffrantes; et le successeur de Pierre ne se trompait pas lorsque, vous décernant les honneurs des Saints, il comptait sur votre crédit au ciel pour ramener dans les voies de la paix la société longtemps troublée. Puisse donc la parole du disciple bien-aimé que vous venez de nous redire, vraie semence de salut, pénétrer dans nos âmes et y produire les fruits qu'elle produisit dans la vôtre: le détachement de ce qui ne doit pas durer toujours, l'aspiration vers les réalités éternelles, cette humble simplicité du regard de l'âme qui pacifie l'existence et conduit à Dieu, cette pureté qui fit de vous l'ami des Anges et le privilégié de Marie.
    -----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    1. Sixti V, Const. Sancta Romana universalis Ecclesia.

    2. 1 Johan. II, 15, 17.

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    Anonimo italiano, Madonna con Bambino tra i SS. Antonio da Padova e Nicola da Tolentino, 1515 circa, National Gallery, Londra

    Giovanni Martino Spanzotti, SS. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, 1496-1500, National Gallery, Londra

    Benvenuto Tisi da Gorofalo (Il Garofalo), S. Nicola da Tolentino resuscita le pernici, 1530 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

    Benvenuto Tisi da Gorofalo (Il Garofalo), S. Nicola da Tolentino resuscita un bambino, 1530 circa, Metropolitan Museum of Art, New York

    Piermatteao Lauro de' Manfredi (Maestro dell'Annunciazione di Gardner), S. Nicola da Tolentino, 1481, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia

    Miguel del Prado, S. Nicola di Tolentino, 1515-1520, Valencia

    Luca Giordano, Estasi di S. Nicola da Tolentino, 1658, collezione privata

    Simone Cantarini, Madonna in gloria e i SS. Giovanni Evangelista, Eufemia e Nicola da Tolentino, 1645-46, Pinacoteca Nazionale, Bologna

  10. #10
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    Messa di S. Nicola da Tolentino a favore delle anime purganti

    Lorenzo di Bicci, S. Nicola da Tolentino, fine '300, Cassa di Risparmio di S. Miniato, Firenze

    Nicolò di Pietro, S. Nicola da Tolentino, Musei Civici, Pesaro

 

 
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