Sfida cruciale nel momento più difficile della Casa Bianca
L’OMBRA DI ROOSEVELT
Nonostante i guadagni di ieri a Wall Street, guadagni inattesi e clamorosi, propiziati dall’annuncio dell’accordo tra il Congresso e la Casa Bianca sulla legge antifrodi, è ormai chiaro che la crisi della finanza americana non è dovuta a poche «mele marce», come sostiene George Bush, ma ai suoi eccessi, favoriti da una deregolamentazione che ha spezzato gli equilibri stabiliti dopo il crac del 1929. Non trascorre, infatti, settimana senza che scoppi un nuovo scandalo (ieri è stato il turno dell’Adelphia) e che la finanza globale, quella europea innanzitutto, ne risenta. Gli ultimi tentativi del presidente di frenarla, uno ogni tre giorni, si sono mostrati controproducenti, come testimoniano le sedute al cardiopalma dei mercati, in reazione ai suoi proclami circa un «futuro radioso». La sua debolezza fa temere che la crisi, dopo aver bruciato oltre 8 mila miliardi di dollari (i due terzi del prodotto interno lordo), provochi una deflazione, e quindi una recessione in tutto il mondo.
Sere fa, a una tavola rotonda in tv, il moderatore ha chiesto all’ottuagenario storico Arthur Schlesinger se Bush saprà imitare Franklin Roosevelt, che risollevò l'America dalla depressione e la guidò alla vittoria nella Seconda guerra mondiale.
Schlesinger ha risposto che né la crisi finanziaria né la guerra contro il terrorismo sono paragonabili ai terribili eventi degli anni Trenta e Quaranta. Ma ha messo in dubbio che il presidente possa restituire al Paese la fiducia nella finanza, impresa fallita anche dal governatore della Federal Reserve, la banca centrale americana, Alan Greenspan, il cui mito comincia a vacillare.
La risposta di Schlesinger riflette gli interrogativi di una crescente maggioranza degli americani sulla credibilità di Bush, che riuscì a unificarli e mobilitarli dopo le stragi dell'11 settembre, ma che non riesce oggi a essere altrettanto credibile e efficace contro la corruzione interna.
Nei sondaggi, la popolarità del presidente rimane molto alta, tra il 62 e il 63%. Ma sono 20-25 punti in meno dello scorso ottobre. E criticarlo non è più «antipatriottico», come ammoniva il vicepresidente Richard Cheney ancora un mese fa. Da più parti si invoca un rimpasto di governo, lamentando l'impotenza del team finanziario ed economico, dal ministro del tesoro Paul O'Neill al capo della Sec, la Commissione di controllo della Borsa, Harvey Pitt.
I motivi della perdita di ascendente di Bush sono palesi. Come scrive il New York Times, il presidente è un prodotto della «finanza della cintura del sole», ossia del Sud, dove sono nate società tipo la Enron, che diede la stura agli scandali con una bancarotta da falsi di bilancio. La sua elezione nel 2000 fu promossa dal grande capitale. I suoi trascorsi di dirigente della Harken a cavallo del 1990 non sono limpidi, nonostante l’assoluzione per mancanza di prove della Sec, come non lo sono quelli del vicepresidente Cheney, sotto inchiesta della Commissione. Sarà un caso, ma nei suoi interventi sulla «corporate responsibility», l'onestà aziendale, è mancata la passione dei moniti contro Al Qaeda e Bin Laden. Ma soprattutto sinora Bush non ha sorretto le parole con i fatti. C'è persino chi sospetta che voglia attaccare l'Iraq anche per distogliere l'attenzione dal malcostume di Wall Street.
Recuperare il terreno perduto non sarà facile per il presidente, qualunque sia l'andamento della Borsa. Accusato dai critici di negligenza nella crisi - intende prendersi un mese di vacanza - e, peggio, di mentire sul proprio passato, Bush dovrà cambiare rotta. Da un lato è chiamato a risanare la finanza, dall'altro a dimostrare trasparenza personale, una virtù da lui abilmente contrapposta in campagna elettorale all'etica disinvolta di Bill Clinton. Trasparenza che comincia da un chiarimento sulle sue operazioni alla Harken e da una concreta presa di distanza dal mondo degli affari e degli affaristi. Il modello da seguire, dice Schlesinger, è quello di Teddy Roosevelt, che un secolo fa ridimensionò il potere delle grandi società. Ma Roosevelt era un populista, mentre Bush fa parte di un’élite.
Ennio Caretto
Corriere della Sera 25 luglio 2002