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    Predefinito 2 settembre (16 agosto) - S. Stefano d'Ungheria, re

    Dal sito SANTI E BEATI (con aggiunte mie):

    Santo Stefano di Ungheria, Re

    16 agosto - Memoria Facoltativa

    Esztergom (Ungheria), ca. 969 - Buda (attuale Budapest), 15 agosto 1038

    Di nobilissima famiglia, e gli ricevette da bambino una profonda educazione cristiana. Consacrato re d'Ungheria nella notte di Natale dell'anno mille con il titolo di "re apostolico", organizzò non solo la vita politica del suo popolo, riunendo le 39 contee in unico regno, ma anche quella religiosa gettando le fondamenta di una solida cultura cristiana. Egli divise il territorio in diocesi, eresse chiese monasteri, fra cui quello famoso di San Martino di Pannonhalma, ed appoggiò il clero servendosi come collaboratori di Benedettini di Cluny. Aveva sposato una principessa, la beata Gisella di Baviera, sorella dell'imperatore S. Enrico II di Baviera, che lo sostenne nella sua opera e che alla sua morte si richiuse nel monastero benedettino di Passau. Suo figlio, S. Emerico, educato da San Gerardo, morì giovane durante una caccia, ferito da un cinghiale. Così S. Stefano, rimanendo senza eredi, offrì l'Ungheria alla protezione della Vergine, che in questo modo è diventata patrona d'Ungheria.
    Particolarmente venerata è la reliquia della sua mano destra. Durante le rivolte in seguito alla morte (naturale) di S.Stefano, il suo corpo fu trasferito per motivi di sicurezza dal sarcofago riccamente decorato in una tomba di pietra. Un monaco di nome Mercurius separò la mano destra dal corpo e la portò di nascosto nel proprio monastero. Quando S. Ladislao, re, fece aprire la tomba nel 1083 per eseguire la santificazione autorizzata dal papa, scoprì il fatto. La reliquia fu recuperato poi da lui stesso recatosi al monastero come pellegrino. Finalmente ha potuto eseguire la santificazione nella cattedrale di Székesfehérvàr.
    Durante il dominio turco la mano sparì, poi fu ritrovata in Dalmazia (Ragusa - oggi Dubrovnik - che prima faceva parte dell'Ungheria), e ci voleva la pressione dell'imperatrice Maria Teresa per farla tornare in patria. Prima affidata alle monache, poi custodita nella Basilica, dove si trova attualmente (La corona invece viene esposta nel Museo Nazionale). La reliqua viene portata in processione ogni anno in occasione della festa del santo il 20 agosto (16 agosto in Italia). Questo giorno è anche festa nazionale (fondazione dello stato ungherese) e festa del nuovo pane.

    Di nobilissima famiglia, egli ricevette da bambino una profonda educazione cristiana. Consacrato re d'Ungheria nella notte di Natale dell'anno mille con il titolo di "re apostolico", organizzò non solo la vita politica del suo popolo, riunendo le 39 contee in unico regno, ma anche quella religiosa gettando le fondamenta di una solida cultura cristiana. Egli divise il territorio in diocesi, eresse chiese monasteri, fra cui quello famoso di San Martino di Pannonhalma, ed appoggiò il clero servendosi come collaboratori di Benedettini di Cluny. Aveva sposato una principessa, Gisella di Baviera, che lo sostenne nella sua opera e che alla sua morte si richiuse nel monastero benedettino di Passau.

    Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco

    Martirologio Romano: Santo Stefano, re d’Ungheria, che, rigenerato nel battesimo e ricevuta da papa Silvestro II la corona del regno, si adoperò per propagare la fede cristiana tra gli Ungheresi: riordinò la Chiesa nel suo regno, la arricchì di beni e di monasteri, fu giusto e pacifico nel governare i sudditi, finché a Székesfehérvár in Ungheria, nel giorno dell’Assunzione, la sua anima salì in cielo.
    (15 agosto: A Székesfehérvár in Pannonia, nell’odierna Ungheria, anniversario della morte di santo Stefano, re di Ungheria, la cui memoria si celebra domani).

    Martirologio tradizionale (2 settembre): Santo Stefano, Re degli Ungheresi e Confessore, il quale si riposò nel Signore il quindici Agosto.

    (15 agosto): Così pure ad Alba Reale, in Ungheria, il natale di santo Stefano, Re degli Ungheresi e Confessore, il quale, adorno di virtù divine, per primo convertì gli Ungheresi alla fede di Cristo, e dalla Vergine Madre di Dio, nello stesso giorno della sua Assunzione, fu ricevuto nel cielo. La sua festa, per disposizione del Papa Innocenzo undecimo, si celebra specialmente il due di Settembre, giorno nel quale la munitissima fortezza di Buda, per intercessione del santo Re, fu valorosamente ricuperata dall'esercito cristiano.

    Padre e figlio battezzati insieme da S. Adalberto di Praga: sono Geza, principe dei Magiari, e suo figlio Vaik (di dieci anni), che prende il nome di Stefano; l’anno è il 973/974. Ancora pochi decenni prima, i Magiari o Ungari atterrivano l’Europa con le loro micidiali spedizioni di preda, troncate poi nel 955, con una strage, dal futuro imperatore Ottone I di Sassonia. Geza avvia un’opera di enorme difficoltà: radicare nella terra questo popolo che vi era stato sempre attendato; sostituire la tenda con la casa, il lavoro nelle terre proprie al saccheggio di quelle altrui. Morto lui, tocca a Stefano l’impresa di dare agli Ungari uno Stato con indipendenza garantita. Qui è fondamentale l’aiuto di Silvestro II, il papa dell’anno Mille, che si fa patrono dell’Ungheria con un segno chiarissimo: manda a Stefano da Roma la corona regia, insieme al titolo di “re apostolico” (che durerà fino alla caduta dell’Impero austroungarico, nel 1918).
    L’opera di Stefano richiederebbe lo sforzo di generazioni: è duro sostituire il nomadismo con la stabilità. Il re deve inventare un’amministrazione dello Stato, e si ispira al modello occidentale dei “comitati” o contee; sviluppa ancora l’opera di suo padre per la diffusione del cristianesimo, creando subito una struttura di vescovadi e di monasteri (questi, con la regola di Cluny) e tenendo d’occhio personalmente la disciplina del clero. Buoni successi ottengono i missionari cechi, molto popolari (sono compatrioti del grande Adalberto di Praga, che ha dato la cresima a Stefano). Stefano si rivela un sovrano avanzato per il suo tempo anche con le Admonitiones, che sono un apprezzato vademecum del buongoverno.
    Ma deve fare i conti con resistenze durissime alla sua legislazione e al suo sforzo per una cristianizzazione rapida. Ha contro di sé anche alcuni parenti, che aspettano soltanto la sua morte per ribellarsi. E Stefano non ha un erede diretto, perché il suo unico figlio, Emerico, è morto in giovanissima età.
    Morendo, designa allora a succedergli un mezzo italiano, suo nipote dal lato materno: Pietro Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II. Il nuovo Stato ungherese c’è, e fra gli alti e bassi della storia vedrà compiersi il suo primo millennio. Ma alla morte di Stefano incomincia una stagione torbida, per motivi politici e per motivi religiosi. Il nuovo re Pietro Orseolo, poco dopo la proclamazione, viene già spodestato. Recupera poi il trono con l’aiuto tedesco, e infine nel 1046, ancora sconfitto, sarà accecato e ucciso. Le lotte continuano in varie parti del Paese, anche con l’uccisione di missionari cristiani, tra cui quella di san Gerardo e dei suoi compagni. Ma al ritorno della tranquillità il cristianesimo è già profondamente radicato in gran parte del Paese. Nell’anno 1083 (nel giorno in cui si festeggia l’Assunta da lui venerata), re Stefano viene canonizzato insieme al figlio Emerico.

    Autore: Domenico Agasso





    Reliquia della mano destra del Santo re, Basilica di S. Stefano, Budapest


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    Joseph Szabo, S. Stefano, re d'Ungheria

    Gian Lorenzo Bernini, Erma di S. Stefano, re d'Ungheria, XVII sec., Tesoro della Cattedrale, Zagabria

    Franz Anton Maulbertsch, S. Stefano offre la sua corona alla Vergine Maria, 1772-74, Magyar Nemzeti Galéria, Budapest

    Maestro sconosciuto ungherese, S. Stefano, 1600 circa, Magyar Nemzeti Galéria, Budapest

    Maestro sconosciuto ungherese, La Vergine estende il suo patronato sull'Ungheria su richiesta di S. Stefano, 1666-67, Plébániatemplom, Árpás

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    Predefinito Dalle «Esortazioni al figlio» di santo Stefano

    In primo luogo questo ti consiglio, ti raccomando e ti impomgo, figlio carissimo; fà onore alla corona regale, conserva la fede cattolica e apostolica con tale diligenza e scrupolo da essere di esempio a tutti quelli che da Dio ti sono stati sottoposti, perché tutte le persone dabbene giustamente ti indichino come un praticante autentico del Vangelo. Senza di questo, sappilo per certo, non sarai cristiano né figlio della Chiesa. Nel palazzo reale dopo la fede in Cristo, viene quella nella Chiesa, la quale, piantata dapprima dal nostro capo, Cristo, fu poi trapiantata e solidamente costruita e diffusa per tutto il mondo dalle sue membra, ossia dagli apostoli e dai santi padri.
    Questa Chiesa non cessa mai di generare ovunque nuovi figli, anche se in diverse regioni data la sua antica introduzione, in un certo senso si potrebbe considerare vecchia. Nel nostro regno però, o figlio carissimo, essa é ancora giovane, in quanto nuova e annunziata da poco. Per questo ha bisogno di persone che la custodiscano con maggior impegno e vigilanza, perché, quel bene, che la divina bontà ha elargito a noi, senza alcun nostro merito, non vada perduto e ridotto al nulla per tua ignavia, pigrizia e negligenza. Figlio mio carissimo, dolcezza del mio cuore, speranza della mia futura discendenza, ti scongiuro e ti comando di farti guidare in tutto e per tutto dall'amore, e di essere pieni di benevolenza, non solo verso i parenti e i congiunti, siano essi principi, condottieri, ricchi, vicini o lontani, ma anche verso gli estranei e tutti quelli che vengono da te.
    Se praticherai la carità, arriverai alla suprema beatitudine. Sii misericordioso verso tutti gli oppressori. Abbi sempre presente nel cuore il modello offerto dal Signore quando dice: «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Mt 9, 13). Sii paziente con tutti, non solo con i potenti ma anche con i deboli. Infine sii forte, perché non ti inorgoglisca la prosperità, né ti abbatta l'avversità. Sii anche umile, perché Dio ti esalti ora e in futuro. Sii moderato e non punire o condannare alcuno oltre misura. Sii mite e non voler metterti mai in oppisizione con la giustizia. Sii onesto, perché non abbia mai a procurare volutamente disonore ad alcuno. Sii casto, perché tu abbia ad evitare, come spine di morte, le sollecitazioni malvage.
    Tutte queste cose, qui sopra elencate, danno splendore alla corona regale, mentre, senza di esse, nessuno é in grado di regnare come si conviene quaggiù, né di giungere al regno eterno.

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    GIOVANNI PAOLO II

    EPISTOLA APOSTOLICA
    DIRETTA AL POPOLO CATTOLICO DI UNGHERIA
    A COMPIMENTO DEL "MILLENNIO UNGARICO"


    Al Venerato Nostro Fratello
    Cardinale LASZLO PASKAI
    Arcivescovo di Esztergom-Budapest
    Primate di Ungheria

    1. L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore (Lc 1,46). Nella prossima solennità dell'Assunzione della Vergine Maria con speciale devozione sarà innalzato nella basilica di Esztergom-Budapest il suo cantico di lode a Dio, quando il popolo ungherese ricorderà il glorioso evento del battesimo dei suoi antenati avvenuto mille anni fa ad opera di santo Stefano. Tale ricordo senza dubbio indurrà gli animi a ringraziare per gli innumerevoli benefici ricevuti durante questo millennio per intercessione della grande Signora degli Ungheresi. In quello stesso giorno anch'io, spiritualmente presente col clero e con i fedeli radunati nella basilica di Esztergom-Budapest, mi unirò al cantico della Vergine Santissima: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore.

    2. Il "Millennio Ungherese" diventa avvenimento ancor più illustre per il fatto che da voi viene celebrato nella solenne anniversaria memoria della morte di santo Stefano nella città reale di Esztergom, alla quale giunse un tempo la corona donata dal mio venerato Predecessore Silvestro II. Essa è ora conservata nella splendida basilica innalzata nel luogo stesso dell'incoronazione, dove converranno vivamente grati, insieme con una moltitudine di fedeli e molti responsabili della vita pubblica dello Stato Ungherese, il Presidente, il Primo Ministro della Repubblica, i Rappresentanti del Governo e del Pubblico Consiglio nonché i Magistrati di Esztergom.

    Questo antichissimo diadema per gli Ungheresi è simbolo della identità nazionale, della storia e della cultura millenaria del loro Regno, e insignito del titolo di Sacra Corona, dal popolo è venerato come reliquia. Tale profondo significato spirituale aiuti gli uomini della presente generazione ad edificare, sul fondamento delle istituzioni cristiane precedenti, un futuro pieno di significativi valori.

    3. A grande beneficio del Popolo Ungherese la Provvidenza divina dispose che, mille anni fa, un uomo di straordinaria prudenza, dotato di eccezionale ingegno e grande sapienza, ricevesse da Papa Silvestro la corona con la quale fu incoronato nella solennità del Natale dell'anno mille. In breve tempo avvenne che lo Stato Ungherese diventasse indipendente e si aggiungesse al numero dei Regni d'Europa.

    Stefano accettò la corona non come onore, ma come servizio: pertanto in tutte le circostanze cercò sempre il bene della comunità a lui affidata, sia organizzando e difendendo il Regno, sia promulgando nuovi decreti come anche curando lo sviluppo delle due culture, quella umana e quella divina.

    Il re Stefano per nulla contaminato dal fascino di vantaggi e successi propri, dopo aver superate le lusinghe del suo tempo, trovò una viva sorgente attingendo alla quale rinforzò l'animo per guidare il suo popolo con un fedele servizio. Tale sorgente spirituale con indovinata concisione così viene sintetizzata da uno scrittore: Presentandosi sempre come se si trovasse davanti al tribunale di Cristo, la cui presenza contemplava con gli occhi interiori e un volto tale da incutere rispetto, dimostrò di avere Cristo sulle labbra, di portarlo nel cuore ed in tutte le azioni.[1]

    4. Il re Stefano nel corso di questi mille anni è sempre apparso luminoso esempio di vita familiare. Dei suoi figli uno solo, Emerico, raggiunse l'adolescenza; santo Stefano curò in modo speciale la sua istruzione e vigilò perché fosse arricchito della scienza allora necessaria. Con sollecitudine si preoccupò della sua formazione, per la qual cosa lo affidò ad illustri maestri - tra i quali san Gerardo, futuro Vescovo di Szeged-Csanad -, e volle fosse preparato a sua utilità un libretto che riportasse le sue riflessioni e regole di vita. Per mezzo di queste preparò il figlio alla vita in modo tale da renderlo degno di governare il Regno sia per scienza che per condotta di vita. Ma poiché morì ancor giovane, non poté succedere al padre.

    La famiglia del re Stefano si impose veramente per santità. Onorata dalla sposa beata Gisela e dal santo figlio Emerico, poté diffondere tale virtù nel succedersi delle generazioni da far giustamente ritenere che la casa Arpadiana ha dato alla Chiesa innumerevoli santi e beati. Tali splendide luci di cristianesimo ancora ci spingono perché con retto cammino seguiamo le vestigia di Cristo. A distanza di dieci secoli sono ancora di monito alla nostra generazione perché le virtù della vita familiare siano grandemente stimate e non venga trascurata la missione di educare i figli. Perciò opportunamente ripeto ciò che dissi agli uomini di cultura e di scienza in occasione della mia visita pastorale in Ungheria: "Nella cultura umana grandissima è l'importanza dell'educazione. Questa poi vuole che alle future generazioni sia consegnato il complesso dei ritrovati scientifici e delle invenzioni tecniche [...]. Con eguale, anzi maggiore sforzo si deve operare nel campo dell'educazione. Infatti una concezione ristretta dell'uomo può recare immenso danno all'istruzione".[2]

    5. Di questo uomo meraviglioso nel governare lo Stato, ricordiamo la particolare indole, dalla quale fu spinto ad affrontare con felice esito i gravissimi impegni connessi con l'organizzazione del regno. Gli storici della sua vita riferiscono che Stefano ebbe un animo sempre dedito alla preghiera e che trovò sempre il tempo di pregare nonostante fosse oberato dai molti negozi del governo. Questo suo animo appare nel Piccolo libro sulla formazione dei costumi, scritto per il figlio Emerico: "L'osservanza della preghiera è la più grande conquista della salute reale... La preghiera continua è purificazione e remissione dei peccati. Tu poi, figlio mio, ogni volta che ti rechi al tempio di Dio, fa' in modo di adorare Dio con Salomone, figlio del re, e tu stesso, come re, dì sempre: «Manda o Signore la sapienza dall'alto della tua grandezza, perché sia con me e con me lavori, affinché io sappia che cosa sia gradito davanti a te in ogni tempo»".[3]

    Specialmente voglio sottolineare questa caratteristica, cioè che grandemente stimo la promozione dello spirito di preghiera all'inizio del nuovo millennio, come ho scritto nella mia recente Lettera apostolica: "Per questa pedagogia della santità c'è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell'arte della preghiera. [...] E' necessario infatti imparare a pregare. [...] Specialmente di fronte alle numerose prove che il mondo d'oggi pone alla fede, essi [cioè, i cristiani comuni] sarebbero non soltanto cristiani mediocri, ma "cristiani a rischio". Correrebbero, infatti, il rischio insidioso di veder progressivamente affievolita la loro fede, e magari finirebbero per cedere al fascino di "surrogati", accogliendo proposte religiose alternative e indulgendo persino alle forme stravaganti della superstizione".[4]

    6. Santo Stefano viene presentato mentre tiene con le mani la sacra corona e consacra il Regno ed il suo popolo alla grande "Signora degli Ungheresi". A tale gesto di dedizione il Popolo Ungherese fino ai giorni nostri aderì tanto fortemente che il culto mariano è diventato caratteristica nazionale. Perciò con gioia ricordo che dieci anni fa in occasione della mia Visita pastorale in Ungheria dopo la Messa celebrata a Budapest nella Piazza degli Eroi, insieme con tutto il Popolo Ungherese ho rinnovato questa offerta della vostra Patria alla grande "Signora degli Ungheresi": è opportuno che ora, avvicinandosi la conclusione del "Millennio Ungherese", rinnoviate, con la stessa preghiera, la medesima offerta.

    La protezione della Beatissima Vergine Maria, Grande Signora degli Ungheresi, che il vostro Popolo tante volte ha esperimentato nella sua storia, guidi i vostri Governanti ecclesiastici e civili e la Patria vostra in questo millennio lungo la via dello sviluppo, del progresso, delle virtù cristiane, della solidarietà e della pace! A voi tutti poi, in questa insigne festa del Popolo vostro, imparto volentieri la Benedizione Apostolica.

    Da Castel Gandolfo, 25 luglio dell'anno 2001, ventitreesimo del mio Pontificato.

    GIOVANNI PAOLO II
    -----------------------------------------------------------------------------
    [1] Legenda maior S. Stephani, c. 20. Scrittori della storia Ungherese al tempo dei comandanti e dei re della stirpe Arpadiana, stampato a cura di E. Szentpétery, I-II, Budapest 1937-1938, 11 392.

    [2] GIOVANNI PAOLO II, Discorso agli uomini di cultura e di scienza, 17 agosto 1991, n. 6: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV 2, 1991.

    [3] S. Stefano, Libellus de institutione morum ad Emericum ducem, c. 9: Scrittori della storia Ungherese, n. 1, 11 626.

    [4] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica "Novo millennio ineunte", 6 gennaio 2001, nn. 32.34; AAS 93 (2001).

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    GIOVANNI PAOLO II

    MESSAGGIO IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI
    DEL MILLENNIO DI SANTO STEFANO D’UNGHERIA


    Budapest, 20 agosto 2000

    Carissimi Fratelli e Sorelle in Cristo!
    Amato Popolo Ungherese!

    1. Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur! Queste gioiose parole dell'inno Te Deum ben si addicono alla solenne celebrazione del primo Millennio dell'incoronazione di Santo Stefano. In quest'ora di grazia il pensiero va a quell'evento chiave che segna la nascita dello Stato ungherese. Con cuore riconoscente, desideriamo lodare Dio e ringraziarlo per le grazie ricevute dal popolo d'Ungheria in questi mille anni di storia.

    E' una storia che inizia con un Re santo, anzi con una "famiglia santa": Stefano con la moglie, la Beata Gisella, ed il figlio Sant'Emerico costituiscono la prima famiglia santa ungherese. Sarà un seme che germoglierà e susciterà una schiera di nobili figure che illustreranno la Pannonia Sacra: basti pensare a San Ladislao, a Sant'Elisabetta ed a Santa Margherita!

    Guardando poi al tormentato secolo ventesimo, come non ricordare le grandi figure del compianto Card. József Mindszenty, del Beato Vescovo martire Vilmos Apor e del Venerabile László Batthyány-Strattmann? E' una storia che si snoda nei secoli con una fecondità che a voi spetta di continuare ed arricchire con nuovi frutti nei vari campi dell'attività umana.

    Nello scorrere del suo glorioso passato, l'Ungheria è stata anche baluardo di difesa della cristianità contro l'invasione dei tartari e dei turchi. Non mancarono certo, in così ampio arco di tempo, momenti oscuri; non mancò l'esperienza amara di arretramenti e sconfitte, su cui è doveroso ritornare con un esame critico che metta in luce le responsabilità e induca a ricorrere, in ultima analisi, alla misericordia di Dio, il quale sa trarre il bene anche dal male. Nel suo insieme, tuttavia, la storia della vostra Patria è ricca di splendide luci sia nell'ambito religioso che in quello civile, così da suscitare l'ammirazione di quanti ne intraprendono lo studio.

    2. Agli albori del Millennio si staglia la figura del Santo Re Stefano. Egli volle fondare lo Stato sulla pietra salda dei valori cristiani, e per questo desiderò ricevere la corona regale dalle mani del Papa, il mio Predecessore Silvestro II. In tal modo, la Nazione ungherese si costituiva in profonda unità con la Cattedra di Pietro e si legava con stretti vincoli agli altri Paesi europei, che condividevano la medesima cultura cristiana. Proprio questa cultura fu la linfa vitale che, permeando le fibre della pianta in formazione, ne assicurò lo sviluppo ed il consolidamento, preparandone la futura, straordinaria fioritura.

    Nel cristianesimo il vero, il giusto, il buono, il bello si ricompongono in mirabile armonia sotto l'azione della grazia, che tutto trasforma ed eleva. Il mondo del lavoro, dello studio e della ricerca, la realtà del diritto, il volto dell'arte nelle sue molteplici espressioni, il senso dei valori, la sete - spesso inconscia - di cose grandi ed eterne, con il bisogno di assoluto che è presente nell'uomo, trovano il loro estuario in Gesù Cristo, che è la Via, la Verità, la Vita. E' quanto rilevava Agostino, quanto affermava che l'uomo è fatto per Dio, e per questo il suo cuore è irrequieto finché non riposa in Lui (cfr Confess. I, 1).

    In questa inquietudine creativa pulsa tutto ciò che esiste di più profondamente umano: il senso di appartenenza a Dio, la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la sete ardente d'amore, la fame di libertà, la nostalgia del bello, lo stupore del nuovo, la voce sommessa ma imperativa della coscienza. Proprio questa inquietudine rivela pertanto la vera dignità dell'uomo, il quale nel più profondo del suo essere avverte come il proprio destino sia indissolubilmente legato a quello eterno di Dio. Ogni tentativo di elidere o di ignorare questo insopprimibile bisogno di Dio riduce ed immiserisce il dato originale dell'uomo: il credente, che di ciò è consapevole, deve farsene testimone nella società, per servire anche in questo modo l'autentica causa dell'uomo.

    3. E' a tutti noto che la vostra nobilissima Nazione si è formata sulle ginocchia materne della Santa Chiesa. Purtroppo nelle due ultime generazioni, non tutti hanno avuto la possibilità di conoscere Gesù Cristo, nostro Salvatore. Tale periodo della storia è stato segnato da tribolazioni e sofferenze. Ora spetta a voi, cristiani ungheresi, il compito di portare il nome di Cristo e di annunciare la sua Buona Novella a tutti i vostri cari concittadini, facendo loro conoscere il volto del nostro Salvatore.

    Quando Santo Stefano scrisse i suoi Ammonimenti al figlio Emerico, è a lui soltanto che egli si rivolgeva? E' questa la domanda che vi ponevo, nel corso del mio primo viaggio pastorale in Ungheria, durante l'indimenticabile celebrazione avvenuta nella Piazza degli Eroi, il 20 agosto del 1991. Osservavo allora: "Non ha forse il Santo Re scritto i suoi Ammonimenti per tutte le future generazioni degli Ungheresi, per tutti gli eredi della sua corona? Il Re che voi venerate, cari figli e figlie della Nazione ungherese, vi ha lasciato come eredità non soltanto la sacra corona, ricevuta dal Papa Silvestro II, ma vi ha lasciato anche un testamento spirituale, un'eredità di valori fondamentali e indistruttibili: la vera casa costruita sulla roccia".

    Resta, inoltre, sempre attuale quanto il Santo Re, in quel testo venerando, ricordava al figlio: "Un paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove" (Ammonimenti, VI). Come non ammirare la lungimiranza di un simile monito? Vi è delineata la concezione di uno Stato moderno, aperto verso le necessità di tutti, alla luce del Vangelo di Cristo.

    4. La fedeltà al messaggio cristiano porti oggi anche voi, carissimi Fratelli e Sorelle ungheresi, a coltivare i valori del rispetto reciproco e della solidarietà, che hanno nella dignità della persona umana il loro indistruttibile fondamento. Sappiate accogliere con animo riconoscente verso Dio il dono della vita e difendetene con intrepido coraggio il valore sacro a partire dal concepimento fino al suo termine naturale. Siate consapevoli della centralità della famiglia per una società ordinata e florida. Promuovete, pertanto, sapienti iniziative per proteggerne la saldezza e l'integrità. Solo una Nazione che possa contare su famiglie sane e solide è capace di sopravvivere e di scrivere una grande storia, come è stato nel vostro passato.

    Non manchi poi tra i cattolici d'Ungheria la volontà di coltivare con gli aderenti alle altre confessioni cristiane rapporti di sincero ecumenismo, per essere autentici testimoni del Vangelo. Mille anni fa, la Cristianità non era ancora divisa. Oggi si sente con forza sempre maggiore la necessità di ricomporre la piena unità ecclesiale fra tutti i credenti in Cristo. Le divisioni degli ultimi secoli devono essere superate, nella verità e nell'amore, con impegno appassionato ed insonne.

    Favorite ed appoggiate, inoltre, ogni iniziativa volta a promuovere la concordia e la collaborazione all'interno della Nazione e con le Nazioni vicine. Avete sofferto insieme durante i lunghi periodi di prova che si sono abbattuti su voi e sugli altri popoli; perché non dovreste poter vivere insieme anche nel futuro? La pace e la concordia saranno per voi fonte di ogni bene. Studiate il vostro passato e cercate di trarre dalla conoscenza delle vicende dei secoli trascorsi l'insegnamento di cui è ricca la storia, magistra vitae anche per il vostro futuro.

    5. Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae! Con questa invocazione, che ancora il Te Deum pone sulle nostre labbra, ci rivolgiamo al Signore per implorarne l'aiuto sul nuovo Millennio che si apre. Lo chiediamo per l'intercessione della Vergine Maria, la Magna Domina Hungarorum, la cui venerazione ha tanta parte nella preziosa eredità del Re Santo Stefano. A Lei egli aveva offerto la sua corona, quale segno di affidamento del popolo ungherese alla sua celeste protezione. Quante immagini che rievocano questo gesto si trovano nelle vostre chiese! Seguendo l'esempio del Santo Re, sappiate anche voi porre il vostro futuro sotto il manto di Colei a cui Dio affidò il suo Unigenito Figlio! Voi porterete oggi solennemente in processione per le vie della vostra Capitale la Mano Destra di Santo Stefano, quella mano con cui egli offrì la corona alla Beata Vergine Maria: la santa mano del vostro antico Re accompagni e protegga sempre la vostra vita!

    Con questi pensieri intendo rendermi spiritualmente presente alle vostre solenni celebrazioni, porgendo un saluto deferente al Signor Presidente della Repubblica ed a tutte le Autorità della Nazione, al Signor Cardinale Arcivescovo e a tutti i Confratelli nell'Episcopato ed ai loro collaboratori, alle illustri Delegazioni convenute a Budapest per la solenne circostanza, come a tutta la nobile Nazione ungherese.

    Nell'anno del Grande Giubileo dell'incarnazione del Figlio di Dio e nel solenne millennio della vostra Nazione invoco su voi tutti la più larga benedizione di Dio Padre ricco di misericordia, di Dio Figlio nostro unico Redentore, di Dio Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose. A Lui gloria e onore nei secoli dei secoli!

    Da Castel Gandolfo, il 16 Agosto del 2000, ventiduesimo di Pontificato.

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    PAULUS PP.VI

    LITTERAE APOSTOLICAE

    DILECTIS ECCLESIAE CATHOLICAE FILIIS IN HUNGARICA NATIONE


    DILECTI FILII, SALUTEM ET APOSTOLICAM BENEDICTIONEM

    SANCTI STEPHANI ORTUM et ab eo susceptum sacrum baptisma aemula certatione magnaque animorum laetitia vos, Venerabiles Fratres ac dilecti filii, recolere paratis, duorum scilicet praegrandium eventuum, quorum bisce annis decies saecularis recensetur memoria. Hae autem celebritates prorsus incidunt in mille annorum exactum spatium a rite constituta in Hungaria Catholica Ecclesia, quae sanctissimum regem ut suum veneratur conditorem.
    Qua est Nostra in nobilem et inclitam Hungarorum gentem diligentia, singulari oblectamento percepimus vocem Venerabilium sacrorum Antistitum, qua id poscebant, ut Nos quoque efficeremur participes gaudii, spei, gratiarum Deo solvendarum actionum, quo intimo pietatis sensu in praesenti vos omnes afficimini.
    Hic completus mille annorum orbis sponte naturaque sua ante omnia ad illustrandum locupletissimum thesaurum domesticorum institutorum historiae vestrae studiosos impellit; potissimum autem eo spectat, ut S. Stephani fortia facta et immortalia beneficia in nitentiore lumine ponantur.

    S. Stephanus editus est in lucem, Pannoniae sidus rutilantissimum, cum gens vestra in ancipite discrimine rerum versabatur. Principes enim Vestri paulo postquam experti erant calamitosas et immanes incursiones, quibus regiones Occidentis vastatae sunt, coacti fuerunt conficere praevias condiciones, ut cum finitimis populis pacifici convictus rationes inirent. Quam ob causam, cum mutua officia prudenter cauteque intercedebant, in Hungariam Evangelii primi praecones advenerunt.
    Quod tunc contingebat patriae vestrae, ferax fuit novarum rerum, ac illius temporis flexilis status, qui quidem videbatur e precariis adiunctis rerum enatus esse, manifesto contra apparuit almi Spiritus Sancti opus, qui divinae suae actionis gratia perenniter renovat faciem terrae. Verumtamen quasi origo et caput tanti ac faustissimi profectus merito aestimantur ortus et sacrum baptisma Stephani, sanctimonia et sapientia spectatissimi Principis; hoc quidem historiae vestrae definite claudit seriem, ac novum frugiferumque aperit christianae humanitatis aevum, cuius nunc conditur millesimus numerus annorum.
    Spiritualis assecla S. Adalberti, piissimus rex firmiter viam christianae legis insistens, quam plene et plane persolvit id ad quod faciendum a Deo erat delectus, nempe novensili Hungarorum Nationi commonstravit et indicavit primariam viam, qua ducitur non modo ad bonorum externorum copiam, sed ad summi etiam pretii opes, ad animorum cultum et ad supernaturalem gratiam pertinentes!
    Fidelis custos et rector suae gentis, quam liberam neque ulli esse obnoxiam volebat, eandem traducere studuit in Nationem congenerem, in unum corpus redactam. Civitatis formam sui iuris ei attribuit, legibus et normis eam temperans, quae e christianae religionis praeceptis manabant. Simul autem in sui regni finibus condidit prima ecclesiastica instituta, fundamenta iacens iuridicae-pastoralis disciplinae, atque adeo Ecclesiae in Hungaria fructuosum incrementum provexit. Enimvero praeter Archidioecesim Strigoniensem, Ecclesiae in Hungaria sedem primatialem, is fundavit Archidioecesim Calocensem et alias octo dioeceses. Peculiaribus privilegiis munivit monasterium, quod iam extabat, a S. Martino in Monte Pannoniae, condidit monasteria Vesprimense et Quinque Ecclesiarum, Canonicorum Collegia Budense, Nitriense, Albaregalense; extruenda quoque promovit monasteria quibus vulgata nomina sunt Zalavár, Bakonybél, Aracsa, Oroszlános, Sár, Tata, Ják. Haec ecclesiastica instituta praeterquam quod civili administrationi valido erant adiumento, sedes compararunt, ubi divinw cultus floreret et missionale opus ferveret; eadem domicilia fuerunt ubi, christianae humanitatis afflatu et auspicio, disciplinae et artes excolerentur et etiam res oeconomica-socialis praesertim agrorum cultura progressiones faceret.

    Paulo postquam incohavit huiusmodi temperationem, misit Romam legatum suum Astricum, Quinque Ecclesiarum coenobii Abbarem, ut consilia et coepta Apostolicae Sedi adprobanda proponeret. Quam cum omni observantia coleret - id meminisse iuvat - apud Sepulcrum S. Petri Apostoli sacram aedem et hospitalem domum pro gente sua instituit.
    Inde initium habuerunt mille per annorum decursum necessitudines, semper boni exitus feraces, inter Apostolicam Sedem et Hungarorum Nationem, necessitudines, inquimus, quas fidei obsequium et devota observantia inspiraverunt, mutuum praesidium et auxilium utrimque exhibentes.
    At vero id, quo Hungari penitus commoti sunt et catholicam i;dem atque christianae vitae disciplinam sunt amplexi, fuerunt S. Stephani eximia pietas erga Deum et consona ei in actione vitae absolutissima ratio et spectatissimum eius familiae exemplar, quod beata Gisela uxor et S. Emericus filius praebuerunt. Ex hoc contigit, ut gens, olim «christianorum flagellum» votata, missionalium ministerio et ope, conversa sit in populum, qui christianae religionis fidelis cectator per saeculorum aetates strenuissimi defensoris nomine nobiliraretur.
    In praesentibus saecularibus celebritatibus, quibus S. Stephani ortus honoratur, placet sane in lumine ponere, recordari, admirari, piis effusis laetitiis, spirituales thesauros, quos Ecclesia in Hungaria, inaestimales veluti fodinas auri gemmasque, tam longam per aetatum seriem congessit: cumprimis praeter celsitatem et magnanimitatem S. Stephani, missionales S. Adalbertum et S. Gerardum Martyrem, castitatis lilium S. Emerici, Hungarorum adulescentium patroni. Quibus digno cum laudis praeconio adduntur S. Ladislai fortis et strenua Constantia, S. Elisabeth radians et amabilis misericordia, S. Margaritae supplicis expiationis oratio. Hi et alii bene multi Caelites sunt hodie lucidum decus praesidiumque nobilis vestrae Nationis pariter ac universalis Ecclesiae.

    Eiusdem Nationis per saecula aliae post alias progenies secutae sunt et nunc quoque sequuntur vestigia horum Sanctorum, in iis sibi statuentes imitari magno animo Iesum Christum et eius vivere vitam, secundum indolem et consuetudines vestrae regionis et prout variata temporum adiuncta poscunt.
    Quis vero possit aequato humano eloquio significare, quantum Ecclesia in Hungaria contulerit ad Nationis vestrae politiorem humanitatem et cultum provehendum? Eiusdem antiqua instituta, leges, artes, litterae satis superque testantur, quantum hauserint e pulcherrimis christianae religionis formis vestratum ingenia ad exigendam praestantem molem operum, quam cuncti domi forisque admirantur. Quis praeterea aequo perpendat, quantum catholicae scholae, praesertim Congregationum religiosarum in disciplinis tradendis sedulitas, praesto fuerint tot per saecula vestratibus honeste et liberaliter educandis?
    Metiri denique minime possumus, quantum Christi fides, virtus fortium, suppetias venerit Nationi vestrae inter ardua discrimina, procellosas calamitates, quibus historia docet saepe Nationem vestram esse conflictatam.
    Quotiescumque ex annalibus hasce eruimus memorias, animus Noster habet causam, cur in gratiarum actiones erumpat provvidentissimi Dei Numini, quod per tot casus et vicissitudines vos sustinuerit, servaverit, tutatum sit, firmos in fide S. Stephani, eius patrocinio obtectos, neque frustra in exspectationem melioris aevi eidem confisos.

    Dum autem vos, Venerabiles Fratres et dilecti filii, in magna admiratione estis, vobiscum considerantes opimam frugem iustitiae, lectorum fructuum messem, quam edidit a patribus vestris tradita fides, usque a S. Stephani temporibus, Spiritu intelligentiae et scientiae permoti, certatim conferte studium, ut fides, fundamentum et radix omnis iustificationis, «sine qua impossibile est piacere Deo» (Hebr. 11, 6), purgata erroribus in sua sinceritate integra et illibata in vobis permaneat. Autumant pro dolor nonnulli - utinam pauci sint - qui omni vento doctrinae circumferuntur (Cfr. Eph. 4, 14), fidem ex se labilem et mutabilem formam vitae exprimere, prorsus coniunctam cum peculiaribus adiunctis temporum, quorum irremeabilis est decursus et amplius non revertitur. Hoc plane verum est: habitus externi et praesentes casus vitae, in societate et communitate civium sine dubio valuerunt et in posterum valebunt ad mutanda postulata et proposita, quae ad eruditionem, doctrinam, socialem progressum pertinent. At vero immutata exstat et exstabit fides, inaestimabile donum Dei: natura sua inconcussa consistit in rupe, quae Christus est, innixa, Ecclesia, communitas scilicet «eorum, qui in Iesum, salutis auctorem et unitatis pacisque principium credentes aspiciunt» (Lumen gentium, 11, 9), siquidem, ut monet S. Paulus Apostolus, «Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula» (Hebr. 13, 8. ). Reapse fides minime dicenda est conflata compago, repercussa quaedam imago socialis condicionis status, quae ohm fuit, sed donum est Spiritus Sancti; rationabile et liberum obsequium est, quo homo generosius Deo respondet, Dei ad se arcessentis voci obsequitur; fides est supernaturalis certitudo nostrae cum Deo coniunctionis, eaque spe vivit et operatur resurrectionis et vitae aternae. Fides, quae est necessitudo cuiusque nostri cum Deo aeterno, et communitas credenrium, Ecclesia scilicet, non sunt remotae antiquitatis superstites reliquiae, sed aliquid vivum, verum, vibrans, palpitans, siquidem «Unicus mediator Christus Ecclesiam suam sanctam fidei, spei et caritatis communitatem in terris ut compaginem visibilem constituit et indesinenter sustentat ... quae humano et divino coalescit elemento ... crucem et mortem Domini annuntians donec veniat» (Lumen gentium, 1, 8).

    Replicantibus igitur annales Catholicae Ecclesiae in Hungaria persuasissimum vobis esto hasce memorias et glorias non transiisse, sed in praesens reviviscere. Vestrum igitur sit honoris plenum officium non tantum eas singillatim revocare, sed potissimum testari huiusmodi antiquam ac semper novam fidem et a patribus habitam sacram hereditatem post futuris puras et illaesas servandas et tradendas feliciter esse.
    Quapropter animo firmo fidentique aggredimini opus Deique gratia freti huic obsequimini hortationi: «Mementote praepositorum vestrorum, qui vobis locuti sunt verbum Dei, quorum intuentes exitum conversationis, imitamini fidem» (Hebr. 13, 7).
    Vos estis quasi vinculum, quo in patria vestra praeteritum tempus iungitur futuro. Itaque de officio Vestro, quod inde exoritur, coram Deo atque prospicientes saecula, quae venient, recogitate. Oportet vos, ut filios Ecclesiae et membra mystici Corporis Christi, esse «cooperatores veritatis» (Cfr. 3 Io. 8); vestrum scilicet munus eo pertinet, ut veritas Evangelii annuntietur; vestrum est id agere, ne verbum Christi obliteretur. Ipse enim Paulus Apostolus dicit: «Quomodo credent ei, quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante?» (Rom. 10, 14).
    Providentissimo ergo Deo assiduas enixasque preces adhibete, ut vocationes apostolicas, sive sacerdotales, sive religiosas et laicas, excitet, sanctos videlicet administros Ecclesiae, fidos discipulos Magistri Divini, servos Dei eiusque Populi magnanimos, alacres, immemores sui.
    Vos praesertim Christifideles ex ordine laicorum, nunc cum maxime supplete, quaesumus, quod fratribus in sacerdotio deest (Cfr. Apostolicam actuositatem, 10, 17); date operam, ne Evangelii lumen in domibus vestris, in vestris familiis, apud homines, quos inter conversamini, restinguatur. Quae quidem testificatio interdum animi fortitudinem, incommoda, sui rerumque postulat abdicationem; sed horum omnium praemium accipietis amplissimum, quod Christus Dominus promisit: «Omnis quicumque confessus fuerit me coram hominibus et Filius hominis confitebitur illum coram Angelis Dei» (Luc. 12, 8).
    Haec vero spiritualis ratio seu facies fidei christianos nequaquam a munere avertit his ipsis temporibus mundum aedificandi procurandique bonum communitatis, quod ad rem socialem attinet animique cultum; quin immo fides nos incitat atque impellit, ut officia terrena sollerter exsequamur, quibus novum efficiamus ordinem rerum, qui iam hic in terris civitatis aeternae perfectionem absolutionemque praefiguret (Cfr. Gaudium et spes, 39); siquidem Christifideles officio, quod est nefas defugere, devinciuntur hunc transformandi mundum, quem Deus hominibus propter hoc ipsum commisit, ut secundum eiusdem consilia sibi subicerent.
    Christiano igitur non licet illam neglegere sollicitudinem, qua eo contendat, ut civitas terrena in meliorem formam redigatur; ipse vero vocatur, ut sua operositate in ea imprimat legem divinam, legem, qua omnes filii Patris communis esse iubemur, fraternitatem christianam, quae est in nomine «primogeniti in multis fratribus» (Rom. 8, 29; Col. 1, 18); ut ingerat eo praeterea amorem, re comprobatum, erga proximum, cuius personam Iesus induere voluit dicens: «quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis» (Matth. 25, 40); ut inducat etiam respectum vitae humanae, cuius, vixdum conceptae, solus ac summus dominus est ipse Deus, reverentiam humanae dignitati debitam, libertatem conscientiae, iustitiae socialis profectum, voluntatem bono communi serviendi, veram iustamque pacem.
    Fides autem aequis postulationibus et appetitionibus humanis non refragatur, immo ea «personae humanae dignitatem sanat et elevat, humanae societatis compaginem firmat, cotidianam hominum navitatem profundiori sensu et significatione imbuit» (Gaudium et spes, 40). Christianus supernaturali certitudine magis quam ceteri fruitur, qua persuasum habet «conamen fraternitatem universalem instaurandi non esse inane» (Ibid., 38), cum haec in communi paternitate Dei, quae est verissima, innitatur.
    Hac magnanimitate christiana ducti, eo etiam quod civilia officia rectissime et exemplum aliis praebentes impletis, illam testari studete vim, animos allicientem, lucis, quae est Christus: «Sic luceat lux vestra coram hominibus, ut videant opera vestra bona, et glorificent Patrem vestrum, qui in caelis est» (Matth. 5, 16).
    His, quibus vitam degimus, temporibus - quemadmodum praeteritis quoque et quibusdam Ecclesiae aetatibus evenit - Ecclesia in terra peregrinans multiplicibus difficultatibus, internis atque externis, est obnoxia; sunt enim qui certam viam non dispiciunt, qui animis inter se dissociantur, quorum fides est imminuta vel caritas frigescit. Quodsi propter hoc maximo afficimur maerore, tamen ne turbari nos patiamur; siquidem Ecclesia, quae ut hominum societas huiusmodi acerbitatibus potest quidem aflligi, verum e divinae auctoritatis oraculo scit se deficere non posse, cum Divinus eius Conditor dixerit: «In mundo pressuram habebitis: sed confidite, ego vici mundum» (Io. 16, 33). Hoc Iesu promisso suffultis Christifidelibus id ipsum causa sit, cur magis sui conscii fiant atque secundum nova vitae requisita sese spirituali renovent ratione.
    Venerabiles Fratres ac dilecti filii, vos solos atque a ceteris seiunctos non esse noveritis in assiduo labore eo spectante, ut fides, quae opere et studio S. Stephani singularem vim ac robur in populo Vestro acceperit, non modo integra servetur, sed etiam novo quodam vigore in vitae usu florescat novisque augeatur formis, quas nova inferant humanae consortionis adiuncta. Persuasum habeatis vos, utpote membra mystici Corporis Christi, fratres esse in universali Ecclesia, quae cuiusque filii sui sollicitudini, gaudio, spei, animo amanti, sociatur.

    S. Stephanus, cum mortem instare sentiret, regnum et populum suum maternae tutelae ac praesidio Beatae Mariae Virginis, «Patronae Hungariae», commisit. Haec quippe decem saecula vitae religiosae gentis vestrae pietate mariali, impensa, candida, animis penitus inhaerescente, fuerunt insignia.
    Fidem et fiduciam S. Stephani imitantes, hanc pietatis formam, qua Almam Deiparam ut filii veneramini, nunc renovate, quemadmodum maiores Vestri anteactis temporibus fecerunt, cum gravis momenti rebus urgebantur. Maria autem, quae omnium necessitates amplissimo quodam miseratur affectu, numquam defuit nec deest colentibus se iisque exorabilem se praebet atque clementissimam.
    Itaque vosmet ipsos et Ecclesiam vestram potentissimae eius intercessioni commendate, bisce eam verbis invocantes: Monstra Te esse matrem! Ea vos praesentissima ope adiuvet, ut vere filii eius sitis eiusque hereditas nunc et futuris quoque temporibus. Ea largiatur vobis, ut iterum laetantes testemini Deum vobis per ipsam, Magnam Dominam vestram, benedixisse!
    Haec animum pulsant Nostrum, dum una vobiscum hos eventus historiae vestrae eosque praeclarissimos, qui ante mille annos feliciter contigerunt, commemoramus.
    Ut autem huius memoriae celebratio salutarior evadat fructuque uberior, haec munera spiritualia, de thesauro Ecclesiae deprompta, hasque facultates ultro libenterque tribuimus; scilicet concedimus: 1. Indulgentiam Plenariam semel lucrandam ab omnibus Hungaricae Nationis Christifidelibus, sive in patria sive alibi commorantibus, qui paenitentiae sacramento rite expiati, sacra Synaxi refecti et ad mentem Nostram «Pater» et «Ave» vel aliam orationem recitantes, quamvis paroecialem ecclesiam visitaverint ibique «Pater» et «Credo» recitaverint, die festo S. Stephani Regis vel Dominica antecedenti vel subsequenti; 2. Indulgentiam Plenariam ab omnibus Christifidelibus semel acquirendam, si ecclesiam, ubi bracchii S. Stephani Reliquiae cultui fidelium proponuntur, uti supra dispositi pie visitaverint, ibique pariter «Pater» et «Credo» recitaverint; 3. Facultatem pro singulis Episcopis Hungaricae Nationis, ex qua opportuniore die, cum millesimum anniversarium praecipue celebratur, in sua quisque dioecesi impertire valeant, ritu praescripto, Benedictionem Papalem cum adnexa Indulgentia Plenaria lucranda a Christifidelibus qui, uti supra dispositi, eandem Benedictionem devote acceperint.
    Hisce demum Litteris finem imponentes, omnes vos, Venerabiles Fratres ac filii dilectissimi, sincera caritate complectimur, cuius testis sit Benedictio Apostolica, quam libentissime vobis impertimus.

    Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die VI mensis Augusti, in festo Transfigurationis D.N.I.C., anno MCMLXX, Pontificatus Nostri octavo.

    PAULUS PP. VI

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    Santo Stefano, primo re cristiano degli ungheresi

    JÓZSEF TÖRÖK - Docente di storia della Chiesa alla Facoltà di Teologia di Budapest

    Le celebrazioni dell'anno 2000 coincidono con quelle del millesimo anniversario dell'esistenza dello Stato cristiano ungherese. Fu infatti nell'autunno del 1000 che Papa Silvestro II inviò la corona a re santo Stefano. Il granduca ungherese venne consacrato re ed incoronato in occasione del Natale del 1000 ad Esztergom, dove, sulla Cittadella, già a quel tempo, esisteva la chiesa dedicata al protomartire santo Stefano.

    Questo anniversario ha offerto una ottima occasione agli storici che conducono ricerche relative al Medio Evo ungherese, perché possano nuovamente riassumere tutti i dati finora conosciuti grazie alle fonti storiche a disposizione, nonché completarli con le loro ipotesi. Alcuni degli storici che dedicano i loro studi a santo Stefano ed alla sua epoca, di volta in volta, si ispirano ad una teoria dei precedenti decenni - che non è in tutto e per tutto fondata - secondo cui santo Stefano avrebbe costretto il popolo ungherese con la forza ad accettare la fede cristiana. Per dimostrare la veridicità di tale tesi esagerano nel sottolineare gli episodi della vita di Stefano che si riferiscono al fatto che il primo re ungherese fu pronto a difendere il nuovo ordine sociale cristiano anche con le armi. Ma grazie alle critiche delle fonti storiche, nel corso dell'ultimo decennio è divenuto sempre più evidente il fatto che l'opera di santo Stefano - sebbene abbia significato una svolta decisiva nell'abbracciare il cristianesimo! - può essere considerata piuttosto come la felice conclusione di un processo abbastanza lungo e non tanto come il complesso di decisioni e di lotte senza precedenti, dettate dall'assolutismo reale. Sebbene esistano opinioni secondo cui santo Stefano fosse nato nel 980, la data di nascita tradizionale, cioè il 969-970 è maggiormente credibile in base alle fonti a disposizione. Quando nel 997 Stefano ereditò da suo padre il potere di granduca, il giovane sovrano fu caratterizzato da una assai ferma risolutezza dal momento in cui percorse dalla Fortezza di Nyitra, sede del principe ereditario, l'itinerario che lo condusse ad Esztergom, da dove proseguì a capo delle sue schiere - composte da ungheresi e tedeschi - verso la città di Veszprém. Infatti, non si delinea affatto la figura di un giovane diciassettenne trascinato dalla corrente degli avvenimenti, costretto a rimettersi ai suoi consiglieri. Ma si profila un sistema omogeneo nelle manifestazioni dell'esercizio del potere che nel corso del suo regno di quattro decenni si traduce in una vera e propria opera di vita.

    Come le due facce di una medaglia coniata in un metallo nobile rappresentano due figure diverse, anche se formano un'unica opera, così anche nel caso di re Stefano la fondazione dello Stato e l'organizzazione della Chiesa si fusero in una indivisibile unità anche se ambedue si poterono appoggiare su seri precedenti. Dallo Stato di un popolo nomade, che ereditò da suo padre, in tre anni (997-1000) formò un regno cristiano che poteva essere opera solo di un carismatico personaggio maturo, pronto a saper governare, il quale da quando venne portato sugli scudi (verso i primi anni del 990) si era consapevolmente preparato al suo compito da realizzare. Il giovane granduca educato da cristiano parlava ancora la lingua delle steppe, e così seppe rivolgersi anche a coloro che comprendevano solo questa. Secondo le usanze turco bulgare, ereditate ancora nel corso delle migrazioni per le steppe, la salma di Koppány, che perse la vita nella battaglia decisiva del 997, venne dilaniata dai guerrieri e su ordine del vincitore portata in quattro fortezze del Paese (Veszprém, Gyõr, Székesfehérvár, Gyulafehérvár) ed inchiodata sulle porte di esse. Questo fatto, dal punto di vista cristiano ritenuto un vilipendio dei cadaveri, secondo la pratica giudiziaria turco bulgara, scritta e non scritta, era una soluzione ammessa in caso di crimini che gridavano vendetta ed era di insegnamento a tutti coloro che mancavano di comprensione. Grazie a ciò, Stefano, nel corso del suo lungo regno (997-1038), solo due volte dovette ancora ricorrere ad interventi militari tra i confini del suo Paese, nei confronti di ungheresi. Il transilvano Gyula, suo zio materno con sede centrale a Gyulafehérvár, e Ajtony con sede principale a Marosvár, costituirono una Signoria regionale che mise in pericolo il concentramento del potere indispensabile all'organizzazione dello Stato. Quando nel 1003 re santo Stefano entrò in guerra contro Gyula si riuscì ad evitare lo spargimento di sangue, perché quando le schiere di Stefano affluirono in gran numero, le varie parti della Transilvania si arresero e si sottomisero al suo potere. Mentre il condottiere Ajtony, sulla fascia sud est delle frontiere del Paese, nel 1028 (o forse già nel 1008) reagì con le armi e «... chi di spada ferisce di spada perisce ... », Ajtony venne sconfitto da Csanád, condottiere di Stefano. Il fatto che ambedue i Signori delle due regioni beneficiarono del battesimo di rito bizantino, non ebbe particolare importanza: infatti, a quel tempo, il cristianesimo Orientale ed Occidentale erano ancora uniti. La fondazione dello Stato e l'organizzazione della Chiesa erano due processi in stretta correlazione e coloro che collaborarono alla loro realizzazione (le fonti ricordano solo alcuni nomi) non seppero e non vollero separare le loro attività. Re Stefano nonché i suoi collaboratori presero atto della collocazione territoriale della popolazione ancora assai multiforme, che in misura sempre maggiore si stava insediando in dimore fisse, e vararono le decisioni in merito alla costituzione delle sedi vescovili e regionali, cioè delle castellanie. Il re seguì il modello bavarese e ben presto fece coniare le prime monete tra le quali è degno di attenzione il denaro che su una delle facce raffigura in mezzo alla leggenda «Lancea regis» («la lancia del re») la «manus Dei» («il braccio di Dio») che emerge da una nuvola e tiene nella mano una lancia con uno stendardo. La moneta la cui leggenda è «Regia civitas» («città regia») probabilmente vuol fare riferimento alla città di Esztergom dove venne aperta la prima zecca. In quest'epoca venne formulato il primo codice in base ai modelli Carolingi. Gli articoli delle leggi definirono i compiti, le sfere di attività ed i privilegi di cui godevano nell'ambito della giurisdizione i Vescovi e le gerarchie ecclesiastiche. I patrimoni della Chiesa godevano della protezione regale, la proprietà privata e reale era inviolabile. Anche la messa in pratica della fede cristiana venne formulata con la prescrizione dell'osservanza delle domeniche, delle festività, dei digiuni e delle celebrazioni dei sacramenti. Le leggi proibivano gli atti in contrasto con i Dieci Comandamenti (l'assassinio, la violazione di fede, il ratto delle giovani, la lussuria, gli incendi dolosi, la magia, la ciarlataneria); allo stesso tempo tutelavano le diverse forme del diritto alla libertà precisate dettagliatamente. La deposizione della prima pietra dell'organizzazione ecclesiastica ungherese venne effettuata nel corso del Concilio di Ravenna tenuto in occasione della Pasqua nel 1001, quando in presenza di Papa Silvestro II, che nel corso dell'autunno precedente aveva inviato la corona, e dell'imperatore del Sacro Impero Romano Germanico, Ottone III, che aveva assecondato con un cenno affermativo, con gli aiuti ed il beneplacito del Pontefice, nacque il grande progetto: l'organizzazione delle Diocesi sotto l'egida dell'Arcidiocesi di Esztergom. La città di Esztergom, sin dagli inizi, aveva avuto un ruolo guida, in qualità di «Mater et caput» («Madre e Capo»). La tesi tradizionale, secondo cui il Papa avrebbe inviato al re la croce con i bracci corti raddoppiati, cioè la croce di Lorena o patriarcale, perché potesse svolgere anche un'attività «apostolica», non regge alla luce della critica della storia. La presenza della Croce patriarcale potrà invece essere riscontrata solo dal regno di re Béla III (1172-1196). Nella fortezza di Veszprém, residenza della regina, dove la moglie di santo Stefano, la beata Gisella, spesso si tratteneva, parallelamente a ciò venne organizzata la Diocesi, sebbene a buon diritto si può supporre che dall'inizio dell'anno 970 la cittadina di Veszprém fosse il centro di attività e il luogo di residenza invernale di uno o di più Vescovi missionari i cui nomi sono sconosciuti. Nella cittadina di Kalocsa, che era considerata sede delle proprietà terriere della famiglia reale, venne fondata la Diocesi nel 1002. Malgrado ciò, entro un decennio l'alto prelato di Kalocsa viene insignito già del titolo di Arcivescovo. Così sin dagli inizi il Paese ebbe due Arcidiocesi. Diocesi vennero costituite ad Eger verso il 1004, a Gyõr prima del 1009, a Pécs nel 1009, ed in quei tempi esisteva già anche la Diocesi della Transilvania con sede a Gyulafehérvár. Dunque nel primo decennio del secondo millennio vennero organizzate sette Diocesi di cui due Arcidiocesi. In seguito, verso il 1025, venne fondata la Diocesi di Bihar, la cui sede venne insediata nella Fortezza di Bihar, residenza del principe ereditario sant'Emerico. Questo centro ecclesiastico, più tardi, venne spostato a Nagyvárad da re san Ladislao (1077-1095). Dopo la vittoria riportata sul condottiero Ajtony, nella parte meridionale del Paese, sulle rive del fiume Maros, a Marosvár (più tardi denominato Csanád), nel 1030 venne fondata una nuova Diocesi che ebbe come primo Vescovo san Gerardo giunto da Venezia, il quale fu martirizzato dai pagani nel 1046. Entro il 1038 l'ultima Diocesi venne costituita a Vác. Merito imperituro di santo Stefano e dei suoi collaboratori fu l'aver creato un sistema di Diocesi che si era esteso su tutto il Bacino dei Carpazi, su tutto il territorio dell'Ungheria storica che, tutto sommato, rimase invariato fino al sec. XX. Il regno di santo Stefano ebbe una tragica fine. Infatti il principe ereditario, suo figlio Emerico, morì nel 1031. Re santo Stefano, malgrado la tragedia umana e politica, seppe a chi rivolgersi ed offrì alla Beata Vergine Maria la sua corona ed il suo Paese.

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    «Santa mano destra gloriosa...»: la reliquia del primo Re

    GÉZA SZABÓ - Parroco della Basilica di santo Stefano di Budapest

    «Santa Mano Destra gloriosa vista dagli ungheresi con anelito» echeggia da vari secoli il canto popolare ungherese che inneggia alla reliquia della mano destra di santo Stefano, primo re degli ungheresi. La reliquia, cioè la mano destra di santo Stefano, gode grande considerazione sia dal punto di vista religioso sia da quello della vita pubblica, sociale. La «destra» è una Reliquia nazionale; infatti è il pugno del nostro re Santo, fondatore del nostro Paese, rimasto tuttora tra di noi. La sua storia è articolata. Il nostro primo re, dopo la sua morte, ai sensi della sua ultima volontà, venne sepolto nella Basilica della Beata Vergine Assunta di Székesfehérvár da lui fondata. La sua salma imbalsamata venne messa in un sarcofago di marmo romano, che a sua volta venne sistemato al centro della Basilica davanti all'altare maggiore.

    Quando nel 1061 divampò nel Paese la rivolta pagana capeggiata da Giovanni, figlio di Vata, i sommi sacerdoti cattolici, il capitolare della Basilica della Beata Vergine Assunta ed i nobili religiosi deposero le spoglie mortali del re Santo in un sarcofago che venne riscolpito con motivi cristiani e lo nascosero in una camera sepolcrale sotterranea nelle vicinanze della Basilica. Questo sarcofago venne ritrovato nel 1803 nel corso dei primi scavi effettuati tra i ruderi, mentre la tomba, che si trova al lato sud-ovest della chiesa, venne rinvenuta dagli archeologi nel 1970.

    Nel 1061 la prima esumazione della salma

    Nel 1061, nel corso della prima esumazione e del secondo seppellimento della salma di re santo Stefano, i presenti, in base ad una decisione segreta, separarono il braccio destro dalle spoglie mortali del re. Questo venne portato da un religioso dal nome Mercurius (in ungherese Mérk) nella regione del Bihar, sul podere famigliare situato su una delle maggiori isole del fiume Berettyó, nel piccolo villaggio di Berekis, dove venne sistemato nella chiesa del monastero (secondo alcuni in una chiesa in legno) dove la preziosa reliquia del nostro primo re venne circondata dalla massima stima e devozione. Quando re Ladislao I, che onoriamo sempre in concetto di santità, il 20 agosto 1083, nel corso della solenne canonizzazione del nostro primo re, Stefano, con il permesso tassativo di Papa Gregorio VII, esumò le spoglie di Stefano, i presenti furono grandemente stupiti, anzi rimasero costernati per la mancanza del braccio destro del sovrano. Dopo la canonizzazione, nel 1084, re Ladislao seppe che il braccio destro di santo Stefano era al sicuro e custodito - circondato da grande devozione – a Berekis, nella regione del Bihar. Il re si recò in pellegrinaggio a Berekis il 30 maggio 1084. Questa data, nel calendario liturgico ungherese è la festività del ritrovamento, del traslazione e della glorificazione della Santa Destra. Re Ladislao fu clemente nei confronti del «pio ladro» Mérk, e gli perdonò. Denominò Szentjobb (cioè Santadestra) il piccolo villaggio di Berekis ed incaricò il principe Álmos di fondare nel villaggio una abbazia dei benedettini. Quando questa venne ultimata, primo abate naturalmente venne nominato Mercurius, cioè Mérk. La Santa Destra più tardi venne riportata a Székesfehérvár, presumibilmente nel sec. XV; infatti lo testimonia anche il ben noto oratore e teologo francescano Padre Laskai Osvát (1450-1511).

    La traslazione a Dubrovnik

    Dopo Berekis e Székesfehérvár la Santa Destra venne portata a Ragusa, oggi Dubrovnik (in Croazia). Infatti, quando nel 1541 i turchi misero a sacco la città di Székesfehérvár, su richiesta del capitolare furono i francescani, che veneravano con particolare stima la Santa Destra, a portarla in Dalmazia dove la custodirono nella città di Ragusa. Qui, fino al 1771 furono i padri domenicani ad avere cura di essa con grande orgoglio e pia devozione. L'imperatrice Maria Teresa, regina d'Ungheria, fece di tutto perché la reliquia di santo Stefano potesse finalmente tornare nella nostra patria. Come risultato di lunghe trattative diplomatiche la Santa Destra già il 16 aprile 1771 era stata portata a Vienna da dove, nell'ambito di solenni festeggiamenti, venne trasferita a Buda. La regina affidò la reliquia all'Ordine delle Dame Inglesi che la custodirono nella loro chiesa in un armadietto di argento in stile rococò, fatto costruire dall'imperatrice Maria Teresa. Dal 1777 la Santa Destra venne affidata all'Università trasferitasi a Buda. Poi, ai sensi di un decreto varato da Giuseppe II, furono i membri dell'Ordine della Santa Croce a custodirla fino al 1865, cioè fino alla cessazione del loro Ordine. In questo periodo, a spese dei Vescovi ungheresi, venne preparata l'attuale sontuosa reliquia in stile gotico, il cosiddetto «reliquiario di Lippert», in cui nel 1862 venne solennemente sistemata la mano destra di Santo Stefano dall'Arcivescovo di Esztergom, Cardinale János Scitovszky, Principe Primate d'Ungheria.

    La custodia del clero di Esztergom

    Dal 1865 furono i membri del clero dell'Arcidiocesi di Esztergom a custodire la Santa Destra. Fino al 1944 la mano destra del nostro re Santo era collocata nella cosiddetta Cappella Zsigmond del Palazzo Reale di Buda. Tra le vicissitudini della Seconda Guerra Mondiale la reliquia, che venne con viva forza portata all'estero, fu riportata a Budapest in rovina, la sera del 19 agosto del 1945, da Salisburgo, da un distaccamento dell'esercito statunitense - di cui fece parte anche un colonnello di origine ungherese, György Kovács. Il giorno dopo molte migliaia di fedeli accompagnarono la preziosa reliquia rientrata in Ungheria sulla piazza antistante alla Basilica di santo Stefano di Budapest. In seguito essa venne custodita di nuovo nella già menzionata chiesa delle Dame Inglesi. Nel 1950, dopo che le autorità statali avevano fatto sciogliere gli Ordini religiosi ungheresi, la Santa Destra venne portata nella canonica della Basilica di santo Stefano. Qui venne conservata in un tabernacolo chiuso e custodita nascosta ai fedeli. Nel corso dei quarant'anni di comunismo venne proibita la venerazione pubblica della Santa Destra. Una lieve distensione, che si era manifestata negli ultimi anni di questi decenni, rese possibile, secondo il desidero dell'Arcivescovo di Esztergom, il Cardinale László Lékai, Primate d'Ungheria (1976-1986), la sistemazione della Santa Destra sistemata nella cosiddetta Cappella di san Leopoldo della Basilica di santo Stefano di Budapest, la maggiore chiesa ed il maggior centro spirituale della capitale della nostra Patria, dove venne custodita in un tabernacolo realizzato in base ai progetti di György Dominek (sacerdote, scultore e architetto morto in giovane età). La nuova e degna sede venne realizzata sempre nella Basilica per il 20 agosto 1987. Essa venne benedetta dall'Arcivescovo di Esztergom Budapest, Cardinale László Paskai, Primate d'Ungheria.
    Il culto religioso di santo Stefano è strettamente legato alla reliquia della Santa Destra e dopo quarant'anni di regime comunista è stata ripristinata anche la tradizionale processione con essa, culmine delle celebrazioni del 20 agosto, festività di Santo Stefano e festa nazionale.

    FONTE

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    Scarsellino, La Vergine riceve S. Stefano d'Ungheria in Paradiso, Collezione privata

    Simone Martini, Madonna con Bambino tra i SS. Stefano e Ladislao d'Ungheria, 1318, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

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