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  1. #1
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    Predefinito E' il c.d. neo-tomismo davvero cristiano?

    Qualche volta in passato ho avuto modo di toccare, sia pur incidentalmente, questo tema, avanzando seri dubbi sui novelli - si fa per dire - "seguaci" di S. Tommaso.
    Alludo a personaggi come Jacques Maritain, ma anche a suoi allievi e sodali come Mounier, ed in Italia, Dossetti - quest'ultimo fattosi "frate" ... ringhiante sino alla morte.
    Ebbene, delle idee maritainiane, già Civiltà Cattolica, sin dal 1956, aveva invitato a diffidare, ravvisando nel c.d. umanesimo integrale non già un umanesimo dell'uomo rigenerato dalla Grazia - come sarebbe stato se ci si fosse autenticamente fondati su S. Tommaso - bensì un naturalismo integrale (Civ. Catt., III, 449-463). Questo è quanto scriveva autorevolmente in quegli anni il direttore Padre Messineo, considerato allora portavoce di Pio XII.
    E l'errore del c.d. umanesimo integrale cosa ha portato se è vero che dai frutti si riconosce l'albero?
    A parte un deciso allontanamento dalla dottrina cattolica, è derivato nei fatti un'apertura dei cattolici al mondo contemporaneo ed in special modo al comunismo, al laicismo, con un'autodemolizione della cultura cattolica. Questo ha comportato nelle c.d. società più avanzate ad una cessazione delle conversioni prima di massa, ad una caduta delle vocazioni religiose ed a colossali defezioni nei grandi ordini religiosi (in primis gesuiti e domenicani), ad una caduta dei membri dell'Azione Cattolica (che dai tempi di Gedda, quando contava su tre milioni di associati a soli seicentomila). Non solo. Ha portato alla netta scissione, tra i politici cattolici, tra fede ed azione, quasi che l'una non dovesse invadere ed entrare nell'altra.
    L'errore di Maritain e della sua scuola è assai insidioso, in quanto questo filosofo - che, per la sua storia personale, proveniva dalle file rivoluzionarie, convertitosi (si fa per dire) nel 1905 - non si rese conto che la presenza di una verità o di un valore o di una virtù cristiana in un contesto ideologico anticristiano o latu sensu non cristiano, lungi dal costituire una piattaforma d'incontro coi cristiani, rafforza la pericolosità dell'ideologia avversaria. La logica conseguenza che siffatto modo allora è presto detta: dato che Lucifero, il capo della ribellione angelica e cioè il capo dei demoni fu, secondo la tradizione cristiana, il più dotato e il più bello di tutti gli angeli e, quindi, il più simile a Dio fra tutti gli esseri creati, ne conseguirebbe che i cristiani dovrebbero collaborare pure con lui più che con chiunque altro ... . L'idea di questa "nuova cristianità", che preconizzava una "nuova città celeste", si staccava dunque dall'insegnamento perenne della Chiesa, dal momento che spingeva a cercare delle verità e delle virtù cristiane, cioè "prigionieri dell'errore", ma a suo dire sempre cristiani, nel patrimonio culturale ed ideologico di gruppi avversi alla Chiesa, segnatamente dei comunisti e dei laicisti radicali, dei quali il filosofo francese prospettava ed auspicava l'inclusione nella "nuova cristianità", sulla base appunto di tale presunto patrimonio comune.
    Da un punto di vista politico questo ha dato luogo alle aperture dell'allora partito politico cristiano, la D.C., a realtà palesemente anticristiane, come la sinistra rappresentata dal P.C.I. dando luogo a quelli che oggi chiameremmo i cattocomunisti e, nell'ambito dell'Azione Cattolica, alla c.d. scelta religiosa, che porterà quell'associazione, un tempo gloriosa, ad assumere posizioni disobbedienti nei riguardi del Magistero. Basti pensare alla posizione assunta da Carlo Carretto nei riguardi del referendum antidivorzista. Questi, il 7 maggio 1974, sul quotidiano La Stampa, in un articolo, affermava testualmente: "Voto no ... E Tu, Signore, per chi voti? Mi par di saperlo dalla pace che sento dentro di me". Carretto, a dire il vero, ritratterà pubblicamente, anche se in maniera ambigua, da come si deduce leggendo l'intervento contenuto nella sua autobiografia (Cittadella editrice, 1992, 337-340), il 3 aprile, giovedì santo del 1975, nella cattedrale di Foligno, davanti al vescovo Mons. Siro Silvestri, ma intanto il danno, indubbiamente elevato, si era prodotto, atteso che il referendum si era svolto nel maggio 1974. Insomma, si trattò di una sorta di ripensamento ... ex post.
    Ma gli esempi, anzi i pessimi esempi, si potrebbero moltiplicare. Io mi fermo, per il momento, qui.

  2. #2
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    Predefinito

    Mi ha sorpreso recentemente la scoperta delle strane frequentazioni del filosofo Maritain.
    Secondo un autore ben informato, Raïssa Maritain, moglie del filosofo, nata ebrea e «penetrata di chassidismo [la mistica o càbala ebraica supria, nda]» (così J. L. Barré, Jacques e Raïssa Maritain. Da intellettuali anarchici a testimoni di Dio, Paoline, Milano, 2000, 50), ebbe un influsso notevole sul suo sposo Jacques. Attorno ai Maritain circolava, a quanto è dato sapere,
    un circolo di intellettuali, esteti, misticoidi. Uno di essi fu Léon Bloy «la cui influenza sarà importante sulla coppia Maritain» (ibidem), un altro è «Charles Péguy, che dopo Bloy, è stato uno dei grandi ispiratori del filosemitismo in ambiente cristiano» (ibidem), e in fine il futuro cardinale Charles Journet. Raïssa, nacque Umanshoff, in Russia donde emigrò dieci anni dopo la sua nascita (1883), incontrò Jacques nel 1901, nei primissimi anni del Novecento conobbero Léon Bloy, «bisogna rivivere il clima di tensione e di esaltazione in cui li ha immersi [la conoscenza di Bloy, nda], per capire meglio le ragioni che hanno spinto nel 1906 i Maritain a riesumare a proprie spese un libro di Bloy così strano e complesso come Le salut par les juifs» (ivi, pag. 88). Bloy rivela a Raïssa che tra cristianesimo e giudaismo postbiblico «non c’è che unità, continuità, perfetta armonia» (ibidem). Seguendo il consiglio di Bloy, «Jacques e Raïssa hanno pregato a lungo N.S. di La Salette... essi credevano fermamente al suo terribile segreto... considerato con grande sospetto dalla Chiesa, il segreto costituisce per Bloy un evento di un significato e di una bellezza eccezionali» (ivi, 88-89). Il 21 dicembre 1915 «un decreto del S. Uffizio... proibisce di parlare del segreto di La Salette [non dell’apparizione, nda] sotto qualsiasi pretesto o forma» (ivi, 169), dato il suo contenuto millenarista e gioachimita, che poteva far intravedere la fine del Nuovo Testamento e l’aurora della terza alleanza o èra dello Spirito Santo, senza più Chiesa gerarchica né sacerdozio. Jacques nel 1926 lesse "La vita e le rivelazioni di Marie des Valées" di Emile Dermenghem, colui che ha scoperto per primo gli scritti inediti di Maistre ed ha fatto conoscere al pubblico il pensiero esoterico e nascosto del Savoiardo, legando la visione millenarista del conte alle rivelazioni di Maria delle Valli (che in sé non contengono nulla di eterodosso, ma possono essere mal interpretate, come effettivamente è successo nel Novecento, ad opera di una setta brasiliana: la TFP). Attorno ai coniugi Maritain, ma sotto la ferrea direzione di Raïssa, si forma un cenacolo di artisti, dacché Raïssa pensava che la cultura e l’arte assieme alla mistica chassidica luriana, potessero rinnovare il tomismo, il cristianesimo e la cristianità (demolendoli). Gran parte di questi personaggi esteti e bizzarri erano dei deviati (Jean Desbordes, François Mauriac, Julien Green e Jean Cocteau erano omosessuali dichiarati, qualcuno era tossicomane e scrivevano romanzi incitanti alla perversione morale), essi hanno creato uno stato di spirito e un atteggiamento mentale, decadente, dandy, pieno di disfacimento intellettuale e morale, dacché si pensa come si vive. Purtroppo da tale cenacolo è uscito l’Umanesimo integrale (1936), e il neo cattolicesimo-liberale o democrazia-cristiana sillonista; assieme al “cristianesimo”-giudaizzante o giudaismo talmudico (definito da Jacques Maritain, sin dal 1906 “la razza primogenita di Dio” (ivi, 386) che, pian piano, dagli anni Venti si è sviluppato sino a crescere e a primeggiare negli anni successivi.
    Davvero curiosa queste rilettura della filosofia di Maritain, ma che forse plausibilmente spiega l'origine della sua filosofia nient'affatto cristiana.

  3. #3
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    COMPLIMENTI AUGUSTINUS!

    Non conoscevo questo tuo post, ma condivido completamente. Pensavo di essere l'unico "matto" a non stravedere per il neo-tomismo e per maritain in particolare, ma noto con piacere che non è così.
    E' un 3d che merita il rilievo e l'aggiornamento frequente!!
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  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da Eymerich
    E' un 3d che merita il rilievo e l'aggiornamento frequente!!
    Vuoi dedicarti tu a questo compito, che sei più autorevole di me al riguardo?
    Se ne avverte la necessità.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Eymerich
    COMPLIMENTI AUGUSTINUS!

    Non conoscevo questo tuo post, ma condivido completamente. Pensavo di essere l'unico "matto" a non stravedere per il neo-tomismo e per maritain in particolare, ma noto con piacere che non è così.
    E' un 3d che merita il rilievo e l'aggiornamento frequente!!
    Complimenti!!!!!!!

    Sarò un assiduo quanto avido lettore di questo post!!!!

    Ad maiora

  6. #6
    EUROSIBBERIANO CONVINTO
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  7. #7
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    Predefinito Autour de La Salette: Massignon, Leon Bloy, Maritain et les melanistes.

    Per la serie: "Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei"
    Le pessime amicizie di Maritain.

    Parte prima: Louis Massignon.


    "C'est la faute à Massignon". L'eminente teologo sunnita che mi riceve all'Università di Damasco è convinto che, nel bene e nel male, tutti i problemi della Siria moderna derivino dalle attività dello studioso cattolico dell'islam Louis Massignon (1883-1962). Lo stesso concetto mi viene ripetuto all'Istituto Francese di Damasco - che su Massignon conserva importanti documenti -, al patriarcato melchita, dai francescani cattolici.

    Figlio di una madre devotissima e di un padre celebre scultore e libero pensatore, Massignon è segnato nella giovinezza dalla frequentazione di un grande amico di famiglia, lo scrittore belga Joris-Karl Huysmans (1848-1907), passato dal decadentismo a un fervente cattolicesimo. Huysmans introduce il giovane Massignon nella cerchia discreta dei "melanisti", che origina dalla divulgazione da parte della veggente dell'apparizione mariana di La Salette (1846), Mélanie Calvat (1831-1904), di un "segreto di La Salette" non riconosciuto come autentico e anzi condannato dalla gerarchia ecclesiastica, che pure aveva riconosciuto i fatti del 1846. Il più acceso dei melanisti è lo scrittore cattolico francese Léon Bloy (1846-1917), che introduce al melanismo Jacques Maritain (1882-1973), il filosofo da lui convertito - un grande amico di Massignon - e numerosi altri intellettuali.

    Il presunto segreto di La Salette minaccia avvenimenti apocalittici, castigo divino per l'infedeltà dei sacerdoti (diventati "cloache di impurità") e di una borghesia cattolica insensibile al grido di dolore dei poveri. Preannuncia anche una restaurazione della giustizia concessa da Dio grazie alla "sostituzione" di anime che si offrono come vittima per espiare i peccati. Molti melanisti pensano a una restaurazione della monarchia e sono più o meno segretamente naundorffisti: credono cioè alla pretesa dell'avventuriero Louis Naundorff (1785-1845) di essere Luigi XVII, il figlio di Luigi XVI (1754-1793) e di Maria Antonietta (1755-1793) - a sua volta considerata una santa da Massignon -, miracolosamente sopravvissuto alla prigione del Tempio.

    Di Massignon, come in una canonica di Damasco mi ripete un vecchio francescano, non si capisce nulla senza il riferimento a La Salette. Così la sua avversione per la dinastia degli Omayyadi, i primi califfi sunniti che avrebbero conculcato il giusto diritto di ‘Ali (morto nel 661), cugino del Profeta e suo genero in quanto marito della figlia prediletta Fatima, nasce da un parallelo fra i discendenti di ‘Ali e la famiglia Naundorff, e vede nelle ingiustizie contro i figli di ‘Ali e Fatima una "figura" delle ingiustizie della Francia contro i discendenti di Luigi XVI. Pure non insensibile ai magnifici monumenti omayyadi di Damasco, Massignon si accosta alla rivendicazione dei partigiani di ‘Ali, gli sciiti, e per primo in Occidente studia le sette dette iper-sciite che considerano ‘Ali non solo una vittima delle ingiustizie sunnite ma un'incarnazione divina e il rivelatore di dottrine esoteriche. Tra questi iper-sciiti ci sono gli alauiti siriani, minoranza (12%) in un paese all'ottanta per cento sunnita. Massignon non solo li fa conoscere, ma tesse una trama di relazioni che contribuisce in modo decisivo a farne i migliori amici della Francia nel complicato scenario siriano. Sarà grazie all'appoggio francese che gli alauiti - e in particolare i membri della famiglia Assad - occuperanno posizioni decisive nell'Esercito il che permetterà loro, dopo l'indipendenza, di impadronirsi del potere.

    Massignon aveva sfogato nell'islamistica la sete di conoscenza religiosa che - quando era ancora un libero pensatore come il padre - l'influenza di Huysmans gli aveva trasmesso, diventando prima il più brillante laureato (con una monumentale tesi sul mistico sufi Hallaj, 858-922, crocifisso come eretico), poi uno dei più giovani docenti della Sorbona. Ma era anche un patriota francese, che lavorava per i servizi segreti. Amico di Charles de Foucauld (1858-1916), che il Papa si appresta oggi a beatificare, gli era unito da un'istintiva simpatia per i musulmani, ma la differenza fra i due militari - Foucauld uomo dell'esercito e Massignon dei servizi - spiega anche qualche divergenza. Nel 1908, imprigionato nel corso delle sue attività spionistiche in Irak, Massignon ha una visione mistica da cui emerge convertito al cattolicesimo e deciso a rinunciare anche a un aspetto della sua vita su cui molti biografi pudicamente tacciono: la bisessualità e il legame omosessuale con lo scrittore spagnolo convertito all'islam Luis de Cuadra (1877-1921), che morirà suicida e per la cui anima l'islamologo francese continuerà a offrirsi come "sostituto" per tutta la vita.

    Sposato con una cugina e padre di tre figli, nello stesso tempo legato all'intellettuale cattolica di rito melchita Mary Kahil (1889-1979) da un affetto espresso in lettere così appassionate da far dubitare a più di un biografo che si trattasse solo e sempre di amore spirituale, Massignon continua a riflettere sulla "questione omosessuale". Vi vede tra l'altro l'origine in Occidente dell'iniziazione e dell'esoterismo che nascerebbero da società segrete che stabiliscono legami fra uomini da cui le donne sono escluse. La tesi è storicamente insostenibile, ma non vuole essere un attacco agli esoteristi, perché prima di passare all'atto - questo sì per il Massignon convertito "contro natura" - la tendenza omosessuale mirerebbe più o meno consapevolmente al nobile scopo di riparare alla ferita inferta all'umanità con la divisione costituita dalla scissione di Adamo in se stesso e dalla nascita di Eva dal suo costato. Tesi di sapore gnostico, inaccettabile in un ambiente cattolico che pure discretamente accoglie la proposta di Massignon di lanciare una campagna di preghiere per gli omosessuali, in particolare tramite messe celebrate dal 1942 a Parigi, senza troppa pubblicità, dal futuro cardinale Jean Daniélou (1905-1974).

    Il Massignon uomo di intelligence e diplomatico sta alla Francia e alla Siria come Thomas Edward Lawrence (il famoso "Lawrence d'Arabia", 1888-1935) sta alla Gran Bretagna e alla penisola arabica. Quando nel 1916 sono conclusi gli Accordi Sykes-Picot, che dividono il Medio Oriente in zone d'influenza attribuendo alla Francia la Siria e il Libano e alla Gran Bretagna la penisola arabica e l'attuale Iraq, sono Massignon e Lawrence i principali esperti che partecipano alle trattative.

    La visione dei musulmani di Massignon - la si condivida o no - è diventata a partire dalla Seconda guerra mondiale il punto di partenza per tutta la riflessione cattolica sull'islam. Massignon non dimentica di essersi convertito al cattolicesimo grazie all'esempio di fede vissuta offerto dai musulmani. Nel 1934 decide con Mary Kahil di fondare la Badaliya ("Sostituzione"), società di preghiera cattolica modellata sulle confraternite sufi e che impegna i membri a una serie di preghiere e atti, soprattutto in terra islamica, con cui si offrono a Dio "sostituendo" la loro opera a quella dei musulmani che rifiutano il cristianesimo. Il membro più illustre (e discreto) della Badaliya sarà il cardinale Giovanni Battista Montini (1897-1978), futuro Papa Paolo VI. Le nozioni di sostituzione e di ospitalità (una virtù sottolineata dall'islam) sono al servizio di un'idea di evangelizzazione dei musulmani che in Massignon non passa per la tradizionale missione ad gentes ma per l'esempio silenzioso (che possono dare anzitutto gli ordini religiosi, specie contemplativi, operando in terra islamica) e per un delicatissimo sforzo che miri a far maturare i "germi di cristianesimo" che esisterebbero, nascosti, nell'islam.

    Massignon è uno studioso troppo raffinato per farsi illusioni: egli definisce l'islam un mondo di pura fede, privo di speranza e di carità, il Corano un libro che stabilisce al contrario del Vangelo una barriera invalicabile fra il Creatore e la creazione, la stessa esperienza del Profeta una via che volontariamente si arresta, senza entrarvi, sulle soglie di un rapporto personale con Dio. Massignon non è un cripto-musulmano. Tuttavia egli pensa che l'islam faccia parte della storia della salvezza biblica grazie alla discendenza diretta degli arabi (che per Massignon - contro i lettori storico-critici della Bibbia, con cui è insieme severo e ironico - è un fatto storico) da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava egiziana Agar, esiliato nel deserto per ordine di Dio ma pur sempre oggetto di una speciale benedizione divina (Genesi 21, 13). L'islam è la realizzazione nella storia della benedizione di Ismaele. Dal momento che "regredisce fino a prima di Mosé e della Rivelazione", non si tratta per Massignon di un'eresia postcristiana ma di uno "scisma abramico". L'islamologo francese chiede alla teologia cattolica di riconoscere per l'islam quello che altri chiedono per l'ebraismo: ammettere che c'è un tempo teologico che non coincide con il tempo storico, e che, come gli ebrei, i musulmani vivono in un loro tempo particolare che non coincide con quello dei cristiani e in cui resta in vigore per gli islamici il patto fra Dio e Abramo relativo alla progenie di Ismaele.

    Un tentativo in questo senso è fatto da vescovi e cardinali al Concilio Vaticano II con un apposito emendamento della Lumen Gentium, che è però respinto a maggioranza. La tesi di Massignon che include l'islam nella storia della salvezza è stata oggetto di severe critiche sul piano storico e teologico, e i discepoli più fedeli dell'islamologo francese oggi ammettono che è stata implicitamente respinta dal magistero cattolico con la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus del 2000 e con la Notifica del 2001 della stessa Congregazione che condanna una serie di tesi del gesuita Jacques Dupuis. Dopo questi documenti, firmati entrambi da quel cardinale Joseph Ratzinger che è oggi Papa Benedetto XVI, sembra impossibile sostenere che l'islam è via ordinaria alla salvezza e il Corano un libro rivelato nel senso teologico del termine. Non se ne sarebbe stupito più del tanto lo stesso Massignon, che spesso riconosceva il carattere dubbio della sua posizione, ammettendo di non essere un teologo.

    Ma non si fermava qui. Mentre vedeva nell'islam sunnita il custode dell'ortodossia e quindi della benedizione di Ismaele, era - per così dire - problematicamente affascinato dal sufismo e dalle eresie. Nel sufismo trova infatti un tentativo di superamento della barriera invalicabile fra Creatore e creature eretta dal Profeta e dal Corano; e nelle eresie - oltre che nella devozione popolare - una serie di ipotesi e di leggende in qualche modo aperte verso il cristianesimo. La sua attenzione si appunta sulla venerazione di Fatima, che considera figura di quella Vergine Maria apparsa - per Massignon, non casualmente - dopo La Salette in una località portoghese che si chiama appunto Fatima, e soprattutto sulla figura di Salman Pak, un cristiano persiano che fu barbiere e consigliere del Profeta e che secondo alcune leggende pur riconoscendo in Muhammad l'inviato di Dio non avrebbe mai abiurato il cristianesimo. Presso le eresie iper-sciite, in particolare gli alauiti, Salman Pak forma addirittura con ‘Ali e Muhammad una trinità nessuno dei cui membri è considerato "Dio per essenza" ma cui è attribuita (Dio essendo ineffabile e inconoscibile) una "deificazione per partecipazione". Il culto di Salman Pak nelle corporazioni di mestiere arabe, conosciuto in Occidente dopo le Crociate, avrebbe influenzato secondo una (dubbia) tesi di Massignon anche la nascita della massoneria.

    Il rovescio meno simpatico di queste teorie è l'idea che funzione provvidenziale dell'islam sarebbe anche denunciare ai cristiani il volto oscuro dell'ebraismo e del sionismo, nemici degli oppressi e dei poveri. In questa chiave si comprende come negli ultimi anni della sua vita un mistico come Massignon sfili per i diritti dei palestinesi (nonché degli algerini e degli immigrati) in compagnia dei comunisti e di Jean-Paul Sartre. Il suo antisionismo ha spesso accenti di autentico antisemitismo, con invettive contro "l'usuraio ebreo succhiatore del sangue del povero, come avrebbe detto Léon Bloy". Massignon crede anche - nonostante tutte le smentite della critica storica - al mito dell'omicidio rituale, da parte degli ebrei, di cristiani di cui berrebbero il sangue, e rivendica in particolare la storicità dell'assassinio rituale da parte di ebrei siriani di padre Tommaso da Calangianus (1766-1840), cappuccino scomparso a Damasco nel 1840. È oggi storicamente certo che di quel delitto la comunità ebraica era innocente: tuttavia nella chiesa dei francescani di Damasco una lapide ricorda ancora padre Tommaso come "assassinato dagli ebrei". Mi si dice che non si può toglierla perché non lo vuole l'attuale governo siriano, che continua a stampare opere antisemite sul caso del 1840. Ma anche che Giovanni Paolo II, in visita a Damasco nel 2001, non volle commemorare nella chiesa che custodisce la lapide antisemita gli otto francescani martiri di Damasco del 1860, che vi sono sepolti e di cui certamente si conoscono gli uccisori - musulmani -, e preferì ricordarli altrove.

    Ma Massignon torna sempre a La Salette: per lui il riferimento di Mélanie ai preti "cloache di impurità" si riferisce sia ai sacerdoti cattolici imborghesiti sia al "popolo sacerdotale", gli ebrei. Del resto, secondo l'islamologo, sarebbe per la scarsa pietà per gli oppressi della Terra (tra cui i musulmani) che "la tentazione del crimine rituale non ha sempre potuto essere vinta da Israele né dal clero" cattolico. Per quest'ultimo il riferimento è alle Messe nere celebrate da "preti indegni" descritte dal primo maestro di Massignon, Huysmans, il quale peraltro lasciò anche in eredità all'islamologo strani documenti sui pericolosi contatti fra ambienti melanisti e preti ai limiti del satanismo come Joseph-Antoine Boullan (1824-1893).

    E tuttavia, sempre ispirato dall'idea secondo cui nella sofferenza "sostitutiva" si può riscattare ogni tipo di peccato, Massignon vuole diventare egli stesso prete nel 1950. Contrariamente a quanto riportano molti biografi, non è ordinato come sacerdote nel rito melchita, che accetta a particolari condizioni gli uomini sposati (ma con il consenso formale della moglie, che nel suo caso manca), grazie a una speciale dispensa della Santa Sede. Alla richiesta del patriarcato melchita il Vaticano risponde negativamente: ma la risposta arriva quando i melchiti, stanchi di attendere, hanno interpretato il silenzio come assenso e ordinato Massignon, così che a Roma non resta che accettare il fatto compiuto.

    Accademico, mistico, diplomatico, prete, spia Massignon resta il nume ispiratore di una lobby islamofila cattolica, che però spesso ne riprende gli aspetti meno condivisibili - una teologia dell'islam avventurosa, un anti-americanismo tipicamente francese, un antisionismo pericolosamente vicino all'antisemitismo - senza avere né la sua prodigiosa erudizione né la sua consapevolezza delle difficoltà insormontabili nel dialogo con i musulmani, e spesso senza la sua disponibilità a pagare di persona, oggetto insieme di indagini del Sant'Uffizio e di fatwa dell'Università al-Azhar del Cairo che lo denunciano come cripto-missionario. Quanto al medio siriano, sa che Massignon e i suoi consigli, ascoltati, alla diplomazia francese c'entrano molto con il dominio che la minoranza alauita continua a esercitare sulla maggioranza sunnita. Ma ignora da quale strano impasto, che va da Mélanie al barbiere del Profeta passando per una soluzione mistica della questione omosessuale e per il culto di Maria Antonietta, partano questi consigli. In fondo, quando un ex-amico, Pierre Klossowski (1905-2001), attaccherà Massignon nel 1950 nel romanzo La vocazione sospesa, in cui allude anche in modo trasparente alle sue tendenze bisessuali, nasconderà l'islamologo sotto lo pseudonimo "La Montagna". Un'allusione non ai monti del Libano ma alla montagna dell'apparizione della Madonna a La Salette.

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    Da "Il Timone" - Anno II, numero 6 - Marzo / Aprile 2000

    Cause di una rovina

    di Eugenio Corti

    Falso l' umanesimo che mette i cattolici al servizio del mondo.
    Il rimedio è nella coerenza cristiana.


    Tra le principali cause dell'attuale smarrimento di identità della cultura cristiana si deve collocare la comparsa, poco prima della seconda guerra mondiale, di un corpo di idee nuove, promosse dal filosofo cattolico francese Jacques Maritain.
    Costui, convertitosi nel 1905 dall'ateismo rivoluzionario al cattolicesimo, aveva in un primo tempo scritto opere antirivoluzionarie (come Antimoderno e i tre riformatori), e si era in seguito distinto per un efficace ammodernamento del tomismo, per il quale gli siamo debitori ancora oggi. Aveva insomma molto bene meritato nel campo della cultura cattolica, e glien'erano venuti ampi riconoscimenti e una straordinaria autorità. Per farsi un'idea della grande autorità acquisita da Maritain tra le due guerre e nel dopoguerra, si pensi a quella - nello stesso periodo di tempo - di Benedetto Croce nella cultura laica italiana: con la differenza che l'autorità di Maritain non si limitava all'ambito francese, ma si estendeva alla cultura cattolica del mondo intero.
    Prima della guerra, però, Maritain aveva formulato un suo grande progetto di "nuova cristianità", che si staccava non poco dall'insegnamento perenne della Chiesa, e l'aveva diffuso mediante un volume che divenne notissimo; Umanesimo integrale (uscito in Francia nel 1936, tradotto in italiano nel 1946). L'opera si caratterizzava per la ricerca delle verità e virtù, e valori cristiani "impazziti" - cioè delle verità e virtù, e valori cristiani "prigionieri dell'errore" ma pur sempre cristiani - che si trovano nel patrimonio culturale di determinati gruppi avversi alla Chiesa, segnatamente dei comunisti e dei laicisti radicali. Di questi gruppi Maritain prospettava l'inclusione nella "nuova cristianità", appunto sulla base di tale patrimonio comune.
    Le sue idee vennero severamente confutate dalla rivista dei gesuiti "Civiltà cattolica" (anno 1956, v. III, pagg. 449463) in un importante articolo del direttore padre A. Messineo, considerato allora portavoce di papa Pio XII: detto articolo si conclude con le parole: "L'umanesimo integrale non è l'umanesimo dell'uomo rigenerato dalla grazia... Nella sua sostanza l'umanesimo integrale è un naturalismo integrale".
    Malgrado questo, le idee di Maritain incontrarono sempre maggior credito e adesione tra i cristiani: qui in Italia il successo si fece un po' alla volta addirittura travolgente, favorito anche dagli stessi avversari, i quali, mentre non intendevano certo farsi inquadrare dai cristiani, vedevano pero in quel progetto un'occasione d'incontro che bloccasse l'avanzata allora in atto dei cristiani su piano nazionale.
    Va detto, per amore di verità, che diversi dei primi portatori delle idee di Maritain, e del suo discepolo e braccio destro in politica Mounier, erano persone colte, disinteressate e per più aspetti esemplari. Tali, del resto, erano gli stessi Maritain e Mounier; così qui in Italia Dossetti, Lazzati, La Pira e parecchi altri fino a Martinazzoli. Tuttavia il chiudere troppo a lungo gli occhi sulla realtà delle cose, il fare - anche se in buona fede - spazio all'errore, può comportare sbocchi molto gravi. Paradigmatico fu il caso di La Pira che, a quanto sembra, allorchè nel 1956 venne richiesto da Crusciov - col quale aveva notoriamente scambio di corrispondenza - di far conoscere in Occidente il suo famoso "rapporto segreto" al XX Congresso, in cui si denunciava e demoliva lo stalinismo, non ne volle sapere. La Pira cioè non avrebbe accettato di collaborare al ristabilimento di una verità comportante la liberazione dalla schiavitù per centinaia di milioni d'esseri umani; evidentemente perchè, se avesse accettato, avrebbe con ciò stesso implicitamente riconosciuto di avere costruita la propria testimonianza anche su una colossale menzogna. Viene spontaneo chiedersi fino a che punto si debba a questa omissione di La Pira - e ad altre consimili di personaggi "esemplari" come lui il fatto che tra i cattolici italiani l'enormità negativa dell'esperimento storico comunista venne recepita in modo del tutto inadeguato. Tanto che, al pari degli altri italiani, i cattolici vivono ancora oggi in uno stato di semi menzogna.
    Dice il Vangelo: "riconoscerete i falsi profeti dai loro frutti". Dai frutti, cioè dai fatti.
    Cos'è derivato nei fatti dall'apertura che tanti cattolici finirono col fare non soltanto al mondo contemporaneo in generale, ma specificamente al comunismo, al laicismo, e ad ogni genere di modernismo? Per cominciare, una spaccatura nella cultura cattolica che ha portato alla sua paralisi. Poi limitandoci ai soli accadimenti maggiori una cessazione, nell'ambito delle società più avanzate, delle conversioni al cattolicesimo, che prima si contavano ogni anno a centinaia di migliaia. Inoltre una crescente perdita della nostra identità, con conseguente caduta delle vocazioni religiose: nel giro di appena una decina d'anni i chierici nei seminari si ridussero alla metà, e in qualche diocesi addirittura a un quinto o a un sesto. Negli ordini religiosi si ebbero colossali defezioni: tra i gesuiti diecimila padri su trentaseimila abbandonarono lo stato religioso, tra i domenicani (altro ordine culturalmente avanzato) la percentuale delle defezioni fu ancora più elevata (si fa presto a dirlo: ma quando mai nella storia millenaria della Chiesa si era assistito a qualcosa di simile?). In pari tempo, l'Azione Cattolica italiana ha visto il numero dei propri membri precipitare da tre milioni a seicentomila.
    È ben noto il lamento di papa Paolo VI già nel giugno 1972: "Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una "giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio". E la sua precisazione (11.9.74): "Grande parte di essi mali non assale la Chiesa dal di fuori, ma l'affligge, l'indebolisce, la snerva dal di dentro. Il cuore si riempie di amarezza".
    Contemporaneamente, ha avuto luogo sul piano storico una nuova, tumultuosa avanzata della società secolarizzata, che si è affermata rapidamente nel costume (paganesimo sessuale, droga, scristianizzazione crescente del popolo), nonchè nell'ambito delle leggi (divorzio, aborto ed altre).
    Quanto a Jacques Maritain va ricordato che più tardi si è spaventato e ricreduto. Nel suo ultimo libro importante infatti, Il contadino della Garonna (1966; traduzione italiana ritardata al 1969), Maritain ha parlato, riprovandolo, di un "neo-modernismo" inaspettatamente scatenatosi nella Chiesa, confronto al quale quello che a principio secolo preoccupava tanto non fu che "un modesto raffreddore da fieno".
    Ma ormai il danno era fatto. I suoi seguaci non sono più tornati indietro: anzi, dopo che si è arrivati alla spaccatura del partito politico cristiano, essi si sono subordinati agli eredi del comunismo, dandogli modo di prendere la guida de1 governo.
    Che fare oggi, in tale situazione? Ci richiamiamo a un'altra affermazione di papa Paolo VI: "Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia". Il Papa aggiunge: "Ciò che manca in questo momento al cattolicesimo è la coerenza".
    Ecco: i cattolici che non si sono messi al seguito degli atei devono conservarsi coerenti, e conservare gelosamente la propria identità. Consci di quella promessa che è pegno di vittoria, fatta da Cristo ai suoi: "Io sarò con voi sino alla fine". Dobbiamo anche ricordare quel severo ammonimento del Vangelo: "Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il suo sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini" (Mt 5,13).

    Bibliografia

    Eugenio Corti, Le responsabilità della cultura occidentale nelle grandi stragi del nostro seco!o, Mimep-Docete, Pessano (Ml) 1998.
    Eugenio Corti, Breve storia della Democrazia Cristiana, con particolare riguardo ai suoi errori, Mimep-Docete, Pessano (Ml) 1995.
    Giovanni Cantoni, La "lezione italiana", Cristianità, Piacenza 1980.

    FONTE

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    "Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva. " (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Nazionale sulle “Missioni al popolo per gli anni '80", 6 febbraio 1981).

    "Sì, la Chiesa è in difficoltà. Ecco perfino alcuni suoi figli, che le hanno giurato amore e fedeltà, che se ne vanno; ecco non pochi seminari quasi deserti, famiglie religiose che trovano a stento nuovi seguaci; ed ecco fedeli che non temono più di essere infedeli . . . L’elenco di questi malanni, che affliggono oggi, nonostante il Concilio, la Chiesa di Dio, potrebbe continuare, fino a riscontrare che grande parte di essi non assale la Chiesa dal di fuori, ma l’affligge, l’indebolisce, la snerva dal di dentro. Il cuore si riempie di amarezza e di più tenera e forte affezione." (Paolo VI, Udienza generale, 11 settembre 1974).

    Ma già Paolo VI, nel settembre del 1977, mostrava di essersi pentito della stagione conciliare, ma era troppo tardi. Diceva a Jean Guitton: «C'è un grande turbamento in questo momento nel mondo della Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di San Luca: "Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla Terra?". Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (Jean Guitton, Paolo VI segreto, ed. San Paolo, 1985, pp.152-153).

    "Si ha la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: «Non so, non sappiamo, non possiamo sapere». La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.
    Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza
    " (Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972).

    "In questi ultimi anni, infatti, in ambienti teologici ed ecclesiali è emersa una mentalità tendente a relativizzare la rivelazione di Cristo e la sua mediazione unica e universale in ordine alla salvezza, nonché a ridimensionare la necessità della Chiesa di Cristo come sacramento universale della salvezza.
    Per porre rimedio a questa mentalità relativistica occorre anzitutto ribadire il carattere definitivo e completo della rivelazione di Cristo
    " (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 28 gennaio 2000).

    "Il dialogo con il mondo è possibile solo sulla base di una identità chiara ... L’identità ferma e condizione dell’apertura. ... Mentre da parte di molti cattolici c’è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo allo stesso tempo in discussione le basi stesse del ‘depositum fidei’ che per molti non erano più chiare. Mostrerebbe di non conoscere né la Chiesa né il mondo chi pensasse che queste due realtà possono incontrarsi senza conflitto o addirittura identificarsi. ... Non sono i cristiani che si oppongono al mondo. E’ il mondo che si oppone a loro quando è proclamata la verità su Dio, su Cristo, sull’uomo. Dopo la fase delle ‘aperture’ indiscriminate, ... È tempo di ritrovare il coraggio dell’anticonformismo, la capacità di opporsi, di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà post-conciliare" (Card. Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, Ed. Paoline, 1985, 34-35)

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    LA CATTOLICITÀ DEL FILOSOFO CATTOLICO JEAN GUITTON, AMICO E CONSIGLIERE DI PAPA PAOLO VI.

    L’articolo è pubblicato su « Sì sì no no », n. 11 (anno XXV), giugno 1999.

    È morto recentemente Jean Guitton, famoso nel mondo per essere filosofo cattolico, all’età veneranda di 98 anni. Noi offriamo qui alcuni suoi pensieri che certo possono consigliare, sulla sua professata ortodossia, delle valutazioni più prudenti, più acconce al vero aspetto del pensiero guittoniano; di modo che i buoni fedeli, meglio ammaestrati, non raccolgano da lui il mal seminato.
    Per far questo, consideriamo insieme uno dei suoi più celebrati e apprezzati aforismi, che ha la peculiarità di concernere la fede al suo vertice: « In me ci sono due esseri: il credente e il non credente, che dialogano costantemente ». Aforisma successivamente ripreso e propalato anche dal Cardinale Martini, che non si è lasciato sfuggire l’occasione di contribuire direttamente a seminare il loglio del dubbio di mezzo a quel vastissimo gregge, che di lui raccoglie ogni goccia di sapere con una venerazione davvero idolatrica: « Nel cuore di noi cristiani convivono insieme due uomini: l’uomo che ha la fede e l’uomo che non ce l’ ha ».
    Tutto questo in ode al dubbio, che a parere di questi due incensati e ancora incensurati maestri sarebbe principio di un sano pensare perché metterebbe il cristiano sul piano del laico, sul piano dell’illuminista: tutto dubitando, costui pensa tutto, valuta tutto e di tutto si forma un’idea razionale, ben formata in quanto ben pensata.
    Difatti la spiegazione di Guitton rispecchia i più classici parametri razionalistici: « Il Guitton qui presente ha qualche merito - si compiace di dire il filosofo di se stesso - perché dubita, e perché è obbligato a ogni istante a vincere il dubbio del Guitton non credente [...] con un atto di libertà fondato con ottant'anni di studio della religione cristiana con degli esperti ». Il dubbio perenne è superato perennemente. Questo è bene. Ma da cosa? forse da un atto di fede cieca, onnicomprensiva, nell’autorità di Dio? No, ma da un atto derivato dallo studio della religione e delle sue ragioni, per cui essa religione, per via di questo studio previo, risulta più convincente, più ragionevole, che non, per esempio, le opinioni atee di Sartre.
    Sartre e Guitton: due filosofi, due teorie: « Le nostre sono esattamente due teorie opposte ». Non due fedi, ma due filosofie. E che la sua sia prima che una fede una filosofia, Guitton lo afferma costantemente: è una cosa a cui tiene molto.
    Su quale autorità, su quali « esperti » si fonda il cattolico Guitton, se non su quella di Dio? « Io aderisco alla filosofia di Heidegger ». Insomma: quella di Guitton, più che una fede, sembrerebbe piuttosto un’opinione, in questo somigliando a quei suoi amici protestanti e atei che tanto apprezza. D’altra parte, l’amicizia accomuna bene gli amici in qualcosa, per non essere arida.
    Tutto nasce da quella chiave del dubbio sistematico presentato in apertura: « Il Guitton credente - dice di sé il filosofo - è un Guitton che, a ogni istante, fa un atto di libertà strozzando il Guitton che dubita ».
    Non riusciamo a immaginarci Padri e Dottori della Chiesa come Agostino, Tommaso, Atanasio, Caterina, Ignazio, Leone Magno, o quant’altri che, nella dubitativa perenne, superata perennemente dall’atto meritorio, strozzino quei cattivi e petulanti alter ego che tutta la vita li assillano: nessun santo ha mai detto di sé di acquistare meriti su meriti, sistematicamente, utilizzando questo ingegnoso meccanismo di sfruttamento fino al midollo del dubbio. Anzi, risulta da ogni loro scritto, nei secoli, l’incitamento a rafforzare la fede tralasciando le questioni più spinose, fino a formulare col Manzoni l’agostiniano consiglio dell’“ignoranza utile”: utile alla propria anima. Certezza poi, questa, basata sul classico detto di Papa Gregorio IX: « Dubius in fide infidelis est ».
    Sulla dubitativa, difatti, va tenuto un atteggiamento mentale di prudenza: meglio un fedele ignorante sulle cose di fede, ma tutto adorante il suo Dio (prima di tutto, appunto, con la donazione del proprio intelletto, che si sacrifica specialmente quando riconosce davanti a Dio la propria incapacità di chiarire tutti i misteri), che un fedele filosofeggiante su tutto, su tutto chiarificatore ed esplicatore: costui preferirà presto all’insegnamento divino il proprio; diverrà presto “fedele”, sì, ma non ad altri che al proprio io.
    Il dubbio, certo, può nascere dalle interiori interrogazioni, quando i cristiani vogliono rettamente dirimere le questioni spinose che stringono da presso il dogma. Nel caso che Vescovi, teologi e fedeli fossero attaccati interiormente da proposizioni avverse alla Rivelazione, proposizioni ammantellate da vesti che ne darebbero sembianze ragionevoli, essi non tanto e non solo debbono pensare di trovare nella Rivelazione argomenti per difendersene, quasi che la Rivelazione sia qualcosa di espugnabile, quasi che sia sufficiente un buon argomentare per scuoterne le fondamenta e farla crollare.
    No: piuttosto è bene convincersi del contrario, convincersi cioè di poter trovare nella Rivelazione gli argomenti più adatti per espugnare i paralogismi da cui è attaccata, mortificandoli e mostrandone l’inconsistenza nella certezza che le ragioni degli irreligiosi e degli eretici non hanno nemmeno fondo razionale: Cristo, Ragione ultima di ogni ragione, non solo arma ogni argomento per spuntare gli avversari, ma dimostra che le armi avversarie sono già di per sé spuntate: fittizie, false, inconsistenti. La debolezza sostanziale delle sillogi irreligiose è verità di fede tanto quanto lo è la fortezza intrinseca delle verità della Rivelazione, come ricorda san Tommaso fin dai primi articoli della Summa: « Le prove che si portano contro la fede non sono delle vere dimostrazioni, ma degli argomenti solubili » (Summa Theol., I, q.1, a.8). Queste sono le vere colonne a sani convincimenti!
    Ben lontano da questo atteggiamento di castità di pensiero, e di purezza di intenzioni, il nostro forse troppo acriticamente riverito “tomista” Guitton ha concepito, formulato e propagato un pensiero che, per la verità, meno tomista non poteva concepirsi, formularsi e propagarsi. Nemmeno nel genere letterario del paradosso. E nemmeno, come abbiamo sopra fatto, “contestualizzando”, perché le parole ricevono il senso che hanno dal loro predicato, e il contesto solitamente non è necessario, ma contingente, solo utile a precisare la direzione di un senso già dato. La formula guittoniana quindi è valida solo per il parossismo della sua sconvenienza, solo per lo scuotimento che ottiene a causa della sua prevista indecenza.
    Già dalla radice del suo concepimento l’aforisma del Guitton è quindi assolutamente antitomista: difatti Tommaso d’Aquino, come tutti i teologi santi, non ha mai tentato di ammaestrare per le vie vanagloriose del parossismo, ma sempre e solo per quelle piane della silloge, del confronto delle cose tra le cose.
    Rispetto poi al contenuto, quanto l’asserzione sia inconsistente e sviante è presto detto. Innanzi tutto: “cosa è il dubbio”. « Dubbio è lo stato della mente che, tra due proposizioni contradditorie, non vede ragioni per aderire più all’una che all’altra. Quindi col dubbio avviene una sospensione del giudizio » (Dizionario di Teologia morale, Palazzini, voce dubbio).
    Che cosa è invece la fede? Tomisticamente, la definizione di fede aderisce alla sacra Scrittura, che la descrive come « sostanza di cose sperate e argomento delle non parventi » (Summa Theol., II-II, q.4, a.1). Vedremo come la virtù della fede, prima tra tutte le virtù e di tutte generativa, debba essere certa, viva, indefettibile, incrollabile. E vedremo come, per contro, mancando una di queste note, essa dallo stato supernaturale che le è proprio, scada nel limo di un’opinione psicologica, di uno stato d’animo.
    Percorriamo insieme gli articoli della Summa: « “Argomento delle verità non parventi”. Argomento sta per ferma adesione dell’intelletto alle verità di fede inevidenti, oppure sta per convincimento: poiché l’intelletto del credente viene convinto ad accettare le cose che non vede dall’autorità di Dio » (Pas. cit.).
    Quindi si deve desumere che a causa di questa autorità notevolissima, a lui superiore, l’uomo debba raccogliere il dovere di aderire a ciò che gli si dice anche se non vede direttamente l’evidenza dell’essere di ciò che gli si dice. Se l’autorità fosse inferiore all’uomo, non avrebbe senso che l’uomo le si pieghi. Ma, se gli è superiore, in che cosa si sviluppa la sua superiorità se l’uomo davanti alle sue affermazioni non le si piega? Come un fisico raccoglie conclusioni matematiche da un matematico, senza perlustrarne e verificarne i termini sillogizzanti, ma solo aderendo alle realtà mostrate dal matematico nelle conclusioni.
    Così anche l’uomo.
    « La fede è un abito intellettivo col quale si inizia in noi la vita eterna ». Ora, non può la vita eterna in noi iniziare, e anche non iniziare. Non può coesistere la fede con il dubbio, l’incredulità: certo, può formarsi, e (soggettivamente) essa può essere più grande e più piccola (« Signore, - si implora - aumenta la nostra fede! »), ma non può convivere con la sua negazione: « Fa parte del concetto stesso di fede, che l'uomo sia assolutamente sicuro delle cose che ritiene per fede. Questo perché la certezza costituisce la perfezione dell’intelletto, nel quale codesto dono risiede. Perciò chiunque abbia la fede, è certo di averla » (Summa Theol., I-II, q.112, a.5, ad 2).
    Tutte le definizioni di fede si stringono a questa sua caratteristica intrinseca, di possedere l’essere in grado elevato, indiscusso. Il Damasceno: « La fede è consenso indiscusso ». Altri: « La fede è certezza dell’animo su cose lontane, superiore all’opinione e inferiore alla scienza ». Qui si vede come chi aveva chiare quelle idee che debbono esser chiare, sapeva dare a ciascuna il posto legittimo: tenere l’opinione di qualcosa, per esempio, non è la stessa cosa che avere fede, perché l’opinione è un giudizio la cui certezza è minorata dalla mancanza di argomenti evidenti, che ne suffraghino tutti gli elementi, cosa invece che si ha quando l’argomento è la parola divina, il giuramento di Dio stesso.
    A riguardo della perfezione della fede, cioè dell’intrinseca sua necessità di tendere alla propria perfezione, vediamo che « si richiede: primo, il tendere infallibile dell’intelligenza verso il proprio oggetto, che è la verità; secondo, l’ordinazione infallibile verso l’ultimo fine, che spinge la volontà ad accettare la verità (escludendo la malizia del concupiscibile). Infatti è nella natura stessa della fede che l'intelletto tenda esclusivamente alla verità. Invece non è una virtù la fede informe, perché l’atto della fede informe (dubitativa, non viva) pur avendo la debita perfezione dal lato dell’intelletto, non la possiede dal lato della volontà » (ibidem, a.5).
    Da questo notevole passo si evincono almeno due cose. Primo, che la volontà è distolta dalla verità solo se alberga la malizia del concupiscibile. I dubitosi debbono quindi soppesare bene le origini dei loro dubbi, specie se tali dubbi sono persistenti. I maestri del dubbio sistematico poi, quali i cardinali e i filosofi di oggigiorno, ancor più debbono valutare se le persistenze che consigliano corrispondano o meno alla forma della virtù insegnata da Dottori di rilievo della Chiesa di cui fanno parte, quali per esempio san Tommaso.
    Secondo, si evince che appunto la fede dubitativa è fede ma non è virtuosa: è cioè passaggio (nemmeno necessario) alla fede formata, ma non suo fine. Pertanto l’invito a tenere accanto alla fede i dubbi sulla fede, sia pure per acquistare ogni giorno meriti davanti a Dio con il vincerli, è un invito da non seguire, da rigettare. Tanto più che la fede è costituita su una roccia solo intorno alla quale si sviluppano tutte le altre virtù, e non c’è virtù, nemmeno di carità, che non si sviluppi sul primo puntello, che è questo della fede. Anche per questa caratteristica, di essere il primo fondamento per costruire la propria salvezza, l’uomo è tenuto a riguardare la fede, proteggerla, preservarla in ogni modo.
    Per concludere, torniamo a quanto ci insegna il Cardinale Palazzini con il suo già citato Dizionario di Teologia Morale. Alla voce eresia leggiamo che « eretico non è soltanto chi assolutamente nega una verità rivelata, ma anche chi ostinatamente ne dubita: cioè chi, dopo aver riconosciuta una verità come insegnata dalla Chiesa quale rivelata, continua a dubitarne; non si tratta qui dunque di quei dubbi che sono piuttosto una sospensione momentanea del giudizio in caso di tentazioni contro la fede ».
    E’ bene meditare il Salmo, che recita: « Quelli che vanno per sentieri tortuosi, il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi. Pace su Israele » (Psal., 124, 10). Pace: quella pace che sopravviene quando il tarlo del dubbio è sconfitto alla sua radice, il desiderio di averlo e di coltivarlo.

    BREVE FLORILEGIO CRITICO DEL PENSIERO TEOLOGICO DI JEAN GUITTON.

    Abbiamo raccolto dall’ultimo libro del filosofo una breve antologia delle sue affermazioni più avventate. Questo libro 1 consiste in una lunga intervista che gli viene fatta da, cui il Guitton risponde riassumendo i pensieri di tutta una vita. Ci pare particolarmente indicativo per farsi un’idea oggettiva della sua filosofia, visto che è lo stesso Guitton a riassumere se stesso.
    Questo florilegio non farà che avvalorare i timori che noi abbiamo espresso sulla sua ortodossia date le premesse.
    Nel metodo abbiamo ritenuto conveniente seguire passo passo le pagine dell’intervista. Se questo comporta una evidente disorganicità, risulta però più filologica, nel senso che gli argomenti sono nell’ordine in cui escono dalla bocca dello stesso autore.

    Sul peccato. « Ho sempre avuto orrore della confessione e mi sono confessato il meno possibile. [...] Adesso, alla mia età, non posso più ammazzare nessuno, nemmeno posso più peccare, (di “quel” peccato? e perché no?) non amo quindi confessarmi perché non ho niente da dire » (pag.14). L’Apostolo ricorda invece che « se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi » (I Ioan.,I, 8).

    Le amicizie. « Senza dubbio, sono [i filosofi] che professano l’ateismo quelli che mi hanno dato di più » (pag. 17). Da dove ha raccolto il suo sapere il tomista Guitton? Lo afferma egli stesso: da Maurice Blondel, da Theilard de Chardin, da Martin Heidegger. Si circondava volentieri di modernisti, e per questo subito fu frequentato da Roncalli e da Montini, ancora poco più che studenti, che in lui vedevano la possibilità di ammantare sapientemente le loro avventate teologie (siamo negli anni ‘40). Ma di queste cattive frequentazioni, di queste vanesie amicizie, cosa avrebbe detto il Papa e Padre regnante, Pio XII, se ne fosse stato informato?

    Sugli atei. « [Spinoza] a mio avviso non era ateo, ma ebbro di Dio. Era un ateo mistico, proprio per questo mi interessa » (pag.18). Annientare lo spavento della contraddizione, a costo di risultare vanamente parossistici, è il primo obbiettivo di ogni buon modernista.

    Sulla missione cristiana. « Se io andassi a trovare un amico morente, non gli parlerei di Dio, tacerei, prendendogli le mani. E a un certo momento, lo bacerei sulla fronte senza più dire nulla » (pag. 19). Tale e quale, crediamo, a ciò che farebbe il suo alter ego Jean Paul Sartre, quello che ha scritto L’essere e il nulla.

    Il peccato di fede. Domanda: « Colui che non crede in Dio è colpevole? ». « Assolutamente no » (pag. 19). Non colpevole quindi né Spinoza né, in tutti i casi, l’alter ego di Guitton di quel peccato che san Tommaso considera secondo solo all’odio per Dio.

    Sulla religiosità. « Il mondo attuale è molto meno osservante di quello di un tempo, ma il sentimento religioso è più vivo. Paolo VI mi diceva: “Non ci ascoltano più, ma ci capiscono di più” » (pag. 21).Come si fa a essere meno osservanti quando il sentimento è più vivo, lo sa solo il Guitton. Come si fa poi a capire chi nemmeno si ascolta, lo sa solo Paolo VI, appunto, o forse ancora il Guitton. Beato quindi chi che capisce i paradossi dei modernisti.

    Come considerare Dio. Domanda: « La fede ci salva dalla barbarie? ». « La fede cattolica è una fede nella persona umana, in Dio considerato come persona, cosa che non è compatibile con la barbarie, che è un delirio » (pag. 24). Pur lasciandola nel suo contesto, questa affermazione chiarisce ogni dubbio: è Dio che riflette la persona umana, non è la persona umana che riflette Dio.

    L’antropocentrismo della Chiesa. « Per lungo tempo la Chiesa ha pensato che l’uomo fosse al centro del mondo » (pag. 28). No, amico Guitton: tutt’al contrario, mai la Chiesa ha messo l’uomo al centro del mondo, perché al centro del mondo ci può essere solo il suo Creatore, come ricorda il primo Comandamento. Solo ora al centro del mondo è messo l’uomo da tutti quei modernisti che, anche altissime autorità essendo, sovvertono l’assiologia che la Chiesa ha perennemente tenuto. Come notò anche il tuo amico e Papa Paolo VI, « questa è la civiltà dell’uomo », e non se ne sottrasse.

    Piccola teodicea guittoniana. « Dio non può indirizzarsi direttamente agli uomini per infondere il suo pensiero. Dio è obbligato a servirsi di filtri o di apparecchi di trasmissione che sono imperfetti: uno di questi è il linguaggio, l’altro è la mentalità » (pag. 28, di seguito).
    Dio non può? Dio è obbligato? Certo, di potenza relativa, osservando Egli per primo il principio di non contraddizione, Dio stesso non è “onnipotente”: perché Dio non può volere la creazione e contemporaneamente non volerla. Ma questa giusta silloge, questo giudizio, se applicata a riconoscere gli strumenti che Egli ha creato per avere dei rapporti con la Sua creazione, è un sofisma. In altre parole: è vero che Dio si dà degli strumenti (i « filtri e apparecchi di trasmissione » di Guitton) per parlare all’uomo, ed è vero che questi sono gli strumenti normativi per cui si fa conoscere e amare, ma è anche vero che questi strumenti non sono per Dio obbliganti, tanto che Egli stesso ha miracolosamente istituito l’Eucaristia come mezzo principe per comunicarsi all’uomo direttamente, intimamente e sostanzialmente, mezzo che in qualche modo prescinde dal linguaggio e da quella che il Guitton chiama la « mentalità ». In più, a quegli strumenti quotidiani Dio eccezionalmente deroga anche con altri miracoli: vedi le conversioni di empi come il fariseo Saulo.
    Piuttosto è vero il contrario: che Dio si indirizza anche interiormente agli uomini per infondere il suo pensiero, muovendoli dall’interno, fatto salvo il rispetto del loro volere, e Guitton avrebbe dovuto leggersi san Tommaso: il commento al Vangelo di san Giovanni (Lectio n.1108), o la Summa (I-II, q.68, a.1). O meditare sull’ Apostolo che dice: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal., II, 20). Le questioni della Grazia e della gnoseologia sono tutte annodate qui.
    Ma, nei casi eccezionali che abbiamo ricordato, Dio può compiere e in effetti ha compiuto delle forzature: « Nulla è impossibile a Dio » (Luc., I, 37).
    Riguardo poi alla seconda questione sollevata dal Guitton: che la scelta degli strumenti individuati da Dio per rivelarsi sarebbe inadeguata, il filosofo non avverte che l’inadeguanza che indica negli strumenti si ritorcerebbe tutta su Dio stesso, perché ne verrebbe una Rivelazione e una Redenzione azzoppate, imperfette già alla radice.
    Al contrario, Dio ha dato all’uomo gli strumenti più calibrati per farsi conoscere con certezza: linguaggio e psicologia, in quanto perfettamente atti, ambedue, a servire la verità, cioè a individuarla e a tenerla. Se la visione di Guitton fosse meno antropomorfica, capirebbe che linguaggio e psicologia sono ordinati non all’uomo, ma alla verità, e, così essendo, sono preparati adeguatamente a riconoscerla e sposarla. Ma Guitton è un modernista, e come tale viziato dall’ossessione per la grandezza dell’uomo, che gli incombe addosso: per lui, Dio stesso non riesce a vincere il linguaggio e la mentalità dell’ uomo. Vediamo allora, qui di seguito, lo sviluppo del pensiero del nostro umanista amico e consigliere dell’umanista e Papa Paolo VI.

    Se Dio sia un inetto. « Prendiamo l’esempio di Dio al tempo di Galileo: Egli parla servendosi di una mentalità, che è certamente sbagliata. [...] Dio ci parla in questo modo; così io, Guitton, che tento di capire la Chiesa e di giustificare la condotta di Dio, non condanno Lui, ma dico che Egli, per parlarmi, si serve di cattivi strumenti: cioè le mentalità » (pag. 28, di continuo dal precedente).
    Dio quindi, come abbiamo visto, si serve di strumenti inadeguati: per fortuna, il filosofo però capisce ciò che Dio vorrebbe dire, anche se lo strumento è deficiente, e di conseguenza lo corregge. A noi sembra, in ogni caso, che se il filosofo avesse potuto, non avrebbe agito come Dio, non avrebbe usato strumenti fuorvianti, zoppi. Ma corretti, come è bene che un Dio come si deve faccia.

    Sull’intelligenza e bontà della Chiesa prima del concilio Vaticano II. « [Prima del concilio, nella Chiesa] c’era un atteggiamento mentale piuttosto ottuso. Ma il concilio ha cambiato tutto ciò e così ho visto la Chiesa cattolica mutare di mentalità. E’ nata una nuova Chiesa, una Chiesa universale, ecumenica, e ho capito che quella che aveva preceduto il concilio era ancora infantile » (pag. 28).
    Questo è parlar chiaro. E qui siamo al punto. Apostoli, martiri, Padri, Dottori, Papi: tutti ottusi, tutti infantili. Questo pensiero soverchiante accomuna Guitton alle anche alte autorità neoteriche nella convinzione radicale che la Chiesa prima del concilio, anticaritatevole e non universale, è tutta diversa da quella nata dal concilio: la vecchia Chiesa è morta, « è nata una Chiesa nuova ». Siamo d’accordo anche noi, ovviamente, e lo diciamo da anni. Ma nel senso tutt’affatto contrario.

    Rapporti tra uomo, gerarchia e Dio. Domanda: « Poiché la Chiesa si è sbagliata di frequente, sarebbe preferibile un rapporto diretto tra il fedele e Dio, senza passare attraverso la Gerarchia ». « È un’idea di tutto rispetto ed è quella di tanti miei amici protestanti » (pag. 29). Se c’era ancora qualche perplessità sulla cattolicità del pensiero dell’amico e maestro di Papa Paolo VI, qui egli l’annienta definitivamente. Bisognerebbe meditare piuttosto su quell’adagio che parla degli amici dei tuoi amici…
    L’inferno. « Il concilio Vaticano II ha molto attenuato il senso [del dogma cattolico dell’inferno] così come era insegnato prima. [...] Con le sue sofferenze e con la sua passione, Cristo, insieme con tutte le anime sante, ha svuotato l‘inferno » (pag. 33). L’inferno sarà vuoto: certo dei santi; forse, pensa il ‘tomista” Guitton, anche dei demoni e di satana. L’apocatastasi è luogo topico del pensiero personalista: in tutto eguale a quella del Guitton è la teodicea di Maritain, l’altro famoso filosofo amatissimo da Gian Battista Montini fin dagli studi in seminario.

    Ancora sull’inettitudine di Dio (Dio e l’inferno). « Mi domando perché Dio ha creato il mondo sapendo che ci sarebbero stati dei dannati. Se non fossi persuaso, come le ho appena detto, che nessuno si trovi all’inferno » (pag. 34). Questo è il candore dei vecchi. Dei vecchi di oggi, s’intende, perché i savi di ieri non congetturavano proprie opinioni se non collimanti con la Rivelazione: quelle contrarie le rigettavano. Prima fra tutte, rigettavano l’opinione che ipotizza un Dio cattivo, crudele, che mette l’inferno; più ancora: un Dio imprudente, inetto, creatore dell’imperfezione sapendo che, appunto, l’imperfezione sarebbe stata determinante alla perfezione dell’universo. O Dio poteva dare una creatura perfetta che non fosse un altro Dio? Il supposto tomismo del nostro filosofo scema di pensiero in pensiero.

    Sul peccato originale. « Il peccato originale rimane per me un grande interrogativo al quale non ho ancora dato una risposta. Ho sempre riflettuto sulla parte di leggenda insita nella religione » (pag. 35). Una vita sprecata, si direbbe. Il peccato originale è per Guitton una leggenda. Che significato poteva avere allora la redenzione del Cristo? Solo i protestanti, amici del filosofo cattolico, hanno del peccato originale la concezione da lui proposta, di essere fatto inesplicabile così come illogica, enigmatica e irrazionale è una leggenda.

    Su un certo suo libro.... Domanda: « E’ vero che, a proposito di un suo libro, la censura del Vaticano l’ha considerata quasi un eretico? ». « Quanto mi chiede riguarda in effetti un libro che avevo scritto sulla Vergine e che era molto piaciuto a Giovanni Battista Montini, [...] il quale lo considerava il più bel testo mai scritto sulla Vergine. Montini, del resto, mi ha sempre detto che la sua amicizia per me era dovuta proprio a questo libro ». Affinità elettive tra modernisti: le idee peregrine di Guitton affascinarono d’un subito un Monsignore che già frequentava dalla giovinezza amicizie altrettanto pericolose come il Bonaiuti. Il sant’Uffizio però, allora, aveva ben tentato di stornare, anche in quell’occasione, la propalazione di idee aberranti, ma invano: « Montini fece molti sforzi per salvarlo, andò a parlare con il suo “capo”, Pio XII, per non farlo mettere al bando » (pag. 36). Come tutti sappiamo, il futuro Papa che cancellò il giuramento antimodernista riuscì nell’intento: salvò l’errante da quella che sarebbe stata provvidente e istruttiva censura e per 27 anni fece dell’errante il suo più intimo e ascoltato consigliere.

    Sull’Annunciazione. « Secondo me, c’è una sola Incarnazione, ma ci sono due Annunciazioni » (pag. 36). In sintesi: oltre quella da tutti risaputa, un’altra ve ne sarebbe stata dopo tre anni: a Nazareth. E’ in questa che verrebbe svelata a Maria la vera natura di Gesù. « L’idea delle due annunciazioni - continua l’intervistato - è però apparsa eretica al cardinal Parente che avrebbe voluto farmi condannare a causa della mia tesi » (pag. 37).
    Ma c’è il “lieto fine”. Domanda: « Questa amicizia con Paolo VI è forse il modo con il quale il buon Dio ha voluto ricompensarla per aver scritto un libro vero sulla Vergine? ». « E’ proprio quello che penso » (pag. 38). Come se Dio ricompensi col bene le male azioni. Forse invece il diavolo, visto che la sua zizzania allignava così radicatamente in quei due cuori fin chiosando malamente sulla sua acerrima nemica, la semprevergine Maria, non ha creduto vero poter allungare il viluppo di rami delle sue pianticelle moderniste fino a farle arrivare, ben rigogliose, alle sacre Stanze.

    Sul suo libro approntato perché esca postumo. « [Il libro che uscirà dopo la mia morte] ha un vantaggio e un inconveniente. [...] L’inconveniente è di svalutare la Rivelazione cristiana fondamentale, cioè la Rivelazione di Cristo » (pag. 45). Non basta a Jean Guitton nuocere da vivo. Deve farlo anche, e forse più, da morto. Ma cosa potrà mai fare di peggio, morto, dopo ciò che ha fatto da vivo?

    Ancora sulla Chiesa. Domanda: « Dopo il concilio Vaticano II la Chiesa si è allontanata dalle sue radici? ». « Evidentemente sì » (pag. 54). Le radici da cui la Chiesa si sarebbe allontanata sarebbero i suoi dogmi o la sua carità? In tutti e due i casi, il modernista Guitton nega implicitamente l’universalità, cioè la continuità della Chiesa nella storia e nel dogma e nella carità. In questo è seguìto, oggi, anche dal pontefice attuale, come abbiamo visto nel n. 18 di sì sì no no. Più che allontanamento, quello dopo il concilio, è una scissura.

    Sull’incarnazione. « Non posso immaginare che Cristo sia apparso solo sul nostro [pianeta]. È assolutamente impossibile. Io penso che Cristo si è incarnato migliaia di volte nell’universo » (pag. 65). Dove avrebbe dovuto avere un dubbio, non ce l’ha. Smentisce così anche se stesso, che precedentemente asseriva essere, l’incarnazione, una sola, e plurime solo “le Annunciazioni”. La lettura mancata del cattolico Guitton stavolta è quella, biblica e quindi dogmatica, dell’Apostolo: « Cristo, avendo offerto un solo sacrificio [...] una volta per sempre… » (Hebr., X, 12).

    Sulla creazione. « Prima della creazione del mondo, ci sono forse state un’infinità di creazioni analoghe, e quando la nostra Terra sarà scomparsa, che cosa impedirà a Dio di crearne delle altre? Non vedo perché non si dovrebbe ammettere quello che i filosofi chiamano l’eternità del mondo, sostenuta anche da Nietzche » (pag. 66). Nietzche. Ecco un maestro del tomista Guitton che avevamo trascurato. Il mondo è eterno, panteisticamente, come eterno è Dio, che pur è suo creatore.

    Le fantasie di Guitton. « Quando riposo nel mio letto, mi immagino un paese bellissimo con alberi e animali altrettanto belli, un mare splendido, donne meravigliose... » (pag. 67). Gli esaltati dalla mistica di Guitton si sono abbeverati a queste fonti per decenni. Ricordano da vicino il “paradiso” maomettano. Sempre per rimanere rigorosamente tomisti.

    L’aldilà. Domanda: « In che modo il tempo partecipa all’eternità? ». « Sotto forma di memoria. Inevitabilmente, nell’aldilà, sussisteranno i rimorsi, la memoria del male, ma anche quella del bene » (pag. 73). Dopo aver immaginato, nell’aldiqua, “donne meravigliose”, è facile pensare che effettivamente nell’aldilà persistano i rimorsi e la memoria del male. Preghiamo, sinceramente, che questi rimorsi siano vissuti, da Jean Guitton e dai suoi discepoli (Papi e non Papi), per lavarsi e purgarsi in vista della fruizione dell’eterno Bene, e che non siano invece rimorsi e memorie del male da scontare lontani da quel Bene a cui si può esser rimasti in vita troppo e troppe volte infedeli.
    Guitton non specifica in quale aldilà sussista poi la memoria del male e in quale quella del bene. D’altronde, l’indeterminatezza è stata sempre un punto forte dei modernisti, che da lì possono poi scegliere la successiva interpretazione da dare di volta in volta.

    Conclusione. Tutti questi convincimenti, erronei e persino bislacchi, non sono nascosti in segreti diari, in carte inedite: sono pensieri pubblici. Anzi: alcuni sono pensieri conosciuti e condivisi persino da Papi che se ne fecero mallevadori, protettori, avvocati. Pensieri come quelli sull’Annunciazione, pensieri che furono persino la causa della lunga amicizia e dell’ammirazione montiniane. Pensieri come quello sulla molteplicità delle morti e delle risurrezioni del Signore, pensati a dispetto delle Scritture che recitano, come abbiamo visto, « Cristo, avendo offerto un solo sacrificio [...] una volta per sempre… » (Hebr.,X, 12). E via dicendo.
    Nessun cristiano però si perita di alzarsi e di fare osservazione sulla falsità e sulla pericolosità delle dottrine propugnate nei libri di Jean Guitton, venduti in milioni di copie: né teologi, né vescovi, né sacri Dicasteri preposti alla tutela della fede. Ci domandiamo stupefatti se questo, che chiameremmo senz’altro peccato di omissione, sia peccato compiuto per proteggere solo l’onore di Guitton o anche, e piuttosto, per proteggere l’ onore e la credibilità dell’amico che lo protesse da Monsignore e da Papa, ammesso che sia protezione la preservazione dell’errante nella sua erratica strada, la condivisione della stessa, la sua mancata correzione.

    E. M. R.

    FONTE: AUREA DOMUS

 

 
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