Fabrizio Giovenale

Ieri su queste pagine Ciro Pesacane e Stefano Zolea hanno sviscerato nei suoi dati concreti la questione dell'acqua nel sud, e in particolare dell'acquedotto pugliese. Così penso di potermi permettere in proposito una riflessione più (come dire...) spostata avanti nel tempo. Da ambientalista e "da sinistra". Convinto cioè: primo, che le risorse naturali rinnovabili non vanno né sprecate, e né sfruttate oltre il loro tasso di rinnovabilità; secondo, che le risorse necessarie alla vita come l'acqua non vanno considerate merci da vendere al migliore offerente ma vanno considerate un diritto di tutti. E perciò vanno messe in comune (sta qui per me - nella necessità di mettere in comune le risorse scarse - la motivazione più forte per il rilancio dell'idea comunista nel Terzo Millennio: da noi e nel mondo). Ma da un governo futuro del nostro Paese orientato nella maniera che a me sembra giusta mi aspetterei di più. Ecco come.
Torniamo all'acqua. A parte i problemi di malagestione, sprechi, racket mafiosi e quant'altro, è un fatto che con l'estensione della fascia desertica nordafricana, e l'effetto-serra in aggiunta, l'arsura va raggiungendo le nostre regioni meridionali. Perciò d'acqua ce ne sarà sempre di meno, a meno che non troviamo modo di fronteggiarlo, questo processo. Cosa possibile, secondo me, e che va comunque tentata: attraverso la ricostituzione dei manti boschivi originali di quelle terre. Più alberi, più umidità, più rugiade notturne, più piogge locali, più lente penetrazioni d'acqua nei terreni, più alimenti alle falde idriche sotterranee e alle sorgive. Come i disboscamenti hanno portato aridità in altri tempi, così oggi è possibile innescare i processi inversi di miglioramento di microclimi locali.

Una ricetta che vale dovunque c'erano boschi e sono scomparsi, e tanto più per il sud. Lunga e difficile da mettere in atto dovunque, certo, e difficilissima qui. Terreni come le Murge pugliesi e lucane, dilavate e scarnificate ormai per un secolo e passa, richiederebbero un lavoro improbo per decenni e decenni. "Essenze pioniere" per frantumare la roccia e ricostituire l'humus, aprire la strada a essenze durevoli. Tentativi falliti, ripetuti, falliti ancora, ripetuti ostinatamente. Tutto questo va messo in conto. Ma tornare ad avere tra Puglia e Lucania una dorsale boschiva che ricarichi di acque le pianure e le valli ai lati... un risultato simile varrebbe qualunque spesa e qualunque fatica.

Altro che Ponte sullo Stretto. Sono queste le Grandi Opere che migliorerebbero davvero il paese. Ma ditemi: un proposito simile, secondo voi, potrebbe mai venire in mente a questo governo? O a un qualunque governo di questi nostri tempi di Capitalismo Globale?

Vedete perché è giusto dire no alle privatizzazioni: degli acquedotti e di tutto il resto. Perché è giusto batterci contro, darci per obiettivo - come movimenti e come sinistre - la "messa in comune" della terra, delle acque e dei boschi: di questo mondo che, se tutti ci dobbiamo vivere sopra, deve essere di tutti.

Per utopistica che possa sembrare, ho idea che stia proprio qui la nostra scommessa.


Liberazione 13 luglio 2002
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