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  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito L'etica ripugnante del capitalismo

    di Lucio Manisco

    Cosa avrebbe fatto Max Weber dopo avere ascoltato le dichiarazioni di Alan Greenspan al congresso Usa? Gli avrebbe tirato sulla testa il suo volume sull'Etica protestante e lo spirito del capitalismo o sarebbe caduto in un'ennesima crisi depressiva come quella che lo colpì nel 1898? Certo è che il presidente della Federal Reserve, la banca Centrale statunitense, di tutto ha parlato fuorché di una razionale organizzazione della produzione e del mercato, della trasparenza dei costi e dei profitti, di quell'etica calvinista che secondo quel povero illuso di Max Weber avrebbe assicurato legalità, razionalità ed efficienza al sistema capitalistico.

    Posto di fronte al caos e ai crolli alterni dei mercati azionari, alla corruzione sistemica dei "Chief Executive Officers", dei dirigenti delle più grandi corporazioni, che hanno operato con la collusione della precedente Amministrazione democratica e con una spartizione degli illeciti profitti da parte della presente amministrazione repubblicana, Alan Greenspan non si è limitato a ripetere il ritornello sui "fundamentals" dell'economia Usa che sono sani, anzi sanissimi, ad asserire, non proprio alla Tremonti ma quasi, che dopo i colpi ricevuti negli ultimi mesi l'economia stessa si avvia "su schemi di crescita sostenibile". Uscendo allo sciopero, fuori dal linguaggio oscuro che caratterizza tutti i suoi interventi, il Greenspan ha detto qualcosa di molto più importante per gli speculatori, i corrotti, i beneficiari delle "stock options", i "Ceo" della Emron, della WorldCom, della Xerox e di altre dozzine di grandi corporazioni: ha detto loro di stare tranquilli perché non c'è alcuna necessità di nuove leggi restrittive o punitive come quelle prese in esame dal Congresso e persino adombrate in termini evasivi la scorsa settimana dallo stesso presidente George "Dubya" Bush in un momento di paura per le sue frodi finanziarie nella compagnia Harkem o per quelle del suo vice Cheney quando dirigeva la Halliburton Co.

    Niente manette quindi per chi ha rubato a pieni mani "cooking the books", falsificando i bilanci, alimentando fraudolentemente le bolle speculative sui titoli delle imprese, per poi portarle in rovina con l'attiva, proficua collaborazione degli "auditors", di chi doveva controllare il loro operato. Fino a quando ha parlato di qualche mela marcia o di alcune circostanze speculative che avevano reso troppo attraente negli anni Novanta la fuoriuscita dalla legalità di pochi corrotti, i titoli azionari della Dow Jones avevano continuato a registrare le flessioni delle precedenti ventiquattro ore, perdendo 240 punti.

    Poi la battuta magica del presidente della Federal Reserve, quella sull'inutilità di nuove leggi o di una riforma strutturale dei mercati, ha invertito i corsi e la Dow Jones ha riguadagnato il terreno perduto. Max Weber si rivolti pure nella sua tomba: l'etica è ripugnante per il capitalismo moderno il cui spirito, oggi più che ieri, è basato sulla rapina. Il problema rimane per i gonzi che si sono fatti rapinare, che hanno perduto i loro posti di lavoro e le pensioni investite nei fondi azionari, che nella definizione ora di moda "sono usciti dal mercato".

    Sono milioni e milioni di piccoli risparmiatori che hanno creduto a quanto veniva assicurato loro dai guru del "capitalismo estremo", dai James Cramer, dai James Glassman e dai loro tristanzuoli epigoni del giornalismo nostrano, fino a ieri esaltati assertori di un'inesorabile e irreversibile ascesa dei titoli, di una Dow Jones sopra quota 36mila. Speriamo almeno che un giorno a questi milioni di caduti sul campo venga eretto un monumento al Piccolo investitore ignoto. Anche se quantificare l'impatto negativo della loro assenza dai mercati azionari è pressoché impossibile (nel 1999 si parlava di 80 milioni di individui), la decimazione di questo macroscopico parco buoi a partire dallo scorso anno è un dato di fatto ampiamente rispecchiato dalle caotiche flessioni dei titoli della New Economy.

    La boccata di ossigeno o per meglio dire la respirazione bocca a bocca elargita ieri sera da Alan Greenspan alla speculazione che non verrà colpita da leggi speciali potrebbe essere di breve durata anche perché non è detto che fermerà l'attività dei legislatori alle prese con le elezioni di medio termine e cioè con degli elettori fuori dalla grazia di dio. Perché la crisi di Wall Street riflette la più vasta, sistemica crisi del capitalismo Usa, sta investendo o ha già investito le grandi banche che non possono più contabilizzare come "assets" posizioni debitorie in miliardi di dollari non più redimibili, ha reso insostenibile l'astronomico indebitamento privato; al di fuori del settore edilizio sta colpendo i consumi, e quel che è più foriero di tempeste sta accelerando la fuga dei capitali stranieri principalmente europei e giapponesi. Se è vero che dell'acquisita parità dell'Euro agli operatori economici americani non importa un fico secco o tutt'al più interessa marginalmente per i suoi riflessi sul calo delle importazioni, un accentuato rimpatrio dei capitali esteri fa rizzare i capelli in testa anche ai più temerari esponenti del Dipartimento del Tesoro ed a tutti i governatori della Banca centrale: da decenni gli Stati Uniti la hanno fatta franca con questo ingente continuo influsso di denaro solo in parte contabilizzato dalla bilancia pagamenti, che ha praticamente alimentato a costo zero il mercato creditizio interno e, per usare un termine pesante, "ha succhiato sangue" ad una economia mondiale sempre più vincolata e subalterna a quella statunitense.

    Come si esce allora dalla crisi? Come ci si ferma sull'orlo del baratro senza precipitare nel ciclo di una depressione economica che potrebbe far impallidire il ricordo di quella degli anni trenta? La riposta l'ha data ieri l'ineffabile George Bush che ha smesso di parlare della moralizzazione dei mercati ed ha ripreso a parlare invece del "clear and present danger", di quel pericolo chiaro e presente rappresentato da Bin Laden, di un nuovo programma presidenziale volto ad impedire i suoi tentativi di diffondere la peste bubbonica in Alaska o di cospargere Brooklyn con una pioggia radioattiva grazie all'assistenza diretta di quel satanasso di Saddam Hussein.

    Fino a quando i mass media - primi tra tutti quelli italiani - continueranno a spacciare per vere queste panzane ed a preparare l'opinione pubblica ad una seconda, più devastante aggressione contro l'Iraq, alla crisi del capitalismo Usa potrà essere messa la sordina di un'economia di guerra, una guerra più o meno permanente da finanziare con i sacrifici di tutti i cittadini dell'Impero, ad eccezione naturalmente dei "Ceo" entro e fuori la Casa Bianca ai quali Alan Greenspan ha offerto ieri l'impunità.

    Liberazione 17 luglio 2002
    http://www.liberazione.it

  2. #2
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    Predefinito Un ottimo articolo, un ottimo compagno

    Ottimo l'articolo del compagno Manisco, apparso l'altro giorno su Liberazione.
    Mi sbaglio o il compagno Manisco sta ritornando a poco a poco con noi (come feci io...) ?

    Marco

  3. #3
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    Sì, bravo Manisco. Speriamo che ora legga Max Weber sul serio e butti via le panzane marxiste con le quali è cresciuto, che non ha ben digerito ne' tanto meno capito, e passi a paralrci dei sistemi sociali che più hanno visto il dominio della corruzione sistematica, della distruzione della natura, dell'incapacità di prudurre ricchezza (se non attraverso la repressione e la schiavizzazione della manod'opera forzata), e soprattutto incapacità di produrre livelli pur minimi di libertà civile, sociale, politica e di democrazia: i sistemi socialisti o comunque "post-capitalisti". La NOrd Corea è ridotta al cannibalismo, altro che storie!!!

    Cordiali saluti

  4. #4
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    da www.corriere.it :


    Autocritiche delle distorsioni del turbocapitalismo americano sul fronte della destra più conservatrice.


    " «America, hai un dollaro al posto del cuore»

    Kevin Phillips si schiera dalla parte dei poveri e disperati. Ma lo fa da conservatore


    DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Tra il 1980 e il 2000, il ventennio del «boom», il dieci per cento più povero degli americani, trenta milioni di persone, vide diminuire il suo reddito dell'8 per cento in termini reali, e l'un per cento più ricco, tre milioni di persone, lo vide aumentare del 175 per cento. I trenta massimi patrimoni individuali e familiari si decuplicarono, e quello di Bill Gates, il nuovo Creso, divenne 1 milione e 400 mila volte superiore a quello medio. Un secolo fa, la fortuna di John Rockefeller, il vecchio Creso, lo divenne di 1 milione e 250 mila volte. Neppure nell'«Età dorata» pertanto, come Mark Twain chiamò la fine dell'Ottocento, quando le ferrovie e il petrolio realizzarono il primo miracolo economico americano, la ricchezza si moltiplicò e concentrò così in poche mani. I Rockefeller, i Vanderbilt, i Carnegie, gli Astor, i Morgan di ieri, i cosiddetti «robber barons» del secolo XIX, o baroni del latrocinio, scompaiono contro i Gates, i Buffett, i Dell, gli Ellison e i Soros di oggi, i despoti della nuova economia.
    Questi dati vengono citati, assieme a molti altri, non da un «liberal» o da un sindacalista, ma dal «guru» repubblicano Kevin Phillips, un ex consigliere del presidente Nixon, in un libro che sta spaccando in due l'America: Wealth and Democracy (Ricchezza e democrazia), edito dalla Broadway books . La tesi di Phillips è che la ricchezza, male o affatto ridistribuita, mette a rischio la democrazia, trasformando a poco a poco la Superpotenza in una plutocrazia: essa premia, dice, l'avanguardia del capitale, non quella del lavoro. «Restiamo la più polarizzata e ineguale delle nazioni occidentali», scrive Phillips «ostaggio delle corporation , governata a vantaggio dei potenti». Il politologo è un maestro di provocazioni, ma ha una certa fama di profeta, avallata dagli eventi: nel '69, quando la politica Usa fu in mano alla sinistra, anticipò la rinascita della destra; e nel '90, dopo il trionfo della «reaganomics», la spietata politica economica del presidente Reagan, ammonì che essa avrebbe demolito le conquiste sociali del rooseveltismo e kennedismo.
    Per i conservatori, che lo accusano di fomentare «la psicosi dell'invidia» dell'uomo della strada, il libro è un’eresia, ma i suoi dati sono impressionanti. Le corporation (società) che mezzo secolo fa versavano allo Stato il 26,5 per cento di tutte le tasse e il 45 per cento di tutte le imposte immobiliari ne versano adesso appena il 10 per cento e il 16 per cento rispettivamente: è ciò che l'economista democratico Bob Reich, ex ministro del lavoro del presidente Clinton, chiama «corporate welfare», stato assistenziale delle società anziché dei cittadini.
    Nell'ultimo ventennio, il guadagno annuo dei dieci massimi manager americani è cresciuto da 3,5 milioni di dollari a 159 milioni di dollari; quello del più pagato è cresciuto addirittura da 5 milioni a 290 milioni (il dipendente medio intasca 29 mila dollari). Un altro economista democratico, Paul Krugman, ha verificato se la loro performance giustificasse le vertiginose cifre, scoprendo che metà dei manager avevano danneggiato la loro impresa.
    Secondo Phillips, è la smentita di due miti: che l'America sia il Paese delle eguali opportunità per tutti e che la condizione dei suoi poveri sia molto migliorata. Nel 1850, prima della guerra civile, riferisce Phillips, nelle metropoli il 95 per cento della ricchezza apparteneva alle famiglie o agli individui più eminenti, e questa realtà non è stata corretta dalla successiva rivoluzione industriale né dall'attuale rivoluzione finanziaria. Per il politologo il motivo è chiaro: da due secoli c'è un rapporto incestuoso, gestito dalle «lobbies» o gruppi di pressione, tra il denaro e la politica, tra le corporations e il Congresso e il governo. E' falso, afferma Phillips, che l'America sia un libero mercato: le ferrovie private, la spina dorsale del Paese, ad esempio, furono finanziate con 100 milioni di dollari dei contribuenti, somma allora enorme, e con donazioni di terreni sterminati; e oggi le commesse del Pentagono costituiscono il massimo carrozzone pubblico che sia mai esistito. I ricorrenti scandali non hanno mai portato trasparenza.
    Phillips è particolarmente critico di quella che definisce la finanzializzazione dell'economia americana, che ha relegato in secondo piano le banche oltre che l'industria. Nel '70, rileva, i fondi d'investimento totalizzavano 48 miliardi di dollari, adesso totalizzano 7.800 miliardi, più dei due terzi del prodotto interno lordo. Si dice che metà dei cittadini possiedano azioni, ma è una finzione: l'85 per cento dei titoli è in mano al 10 per cento dei ricchi (il 42 per cento è in mano all'1 per cento). L'ossessione dell'aumento del profitto trimestrale, sostiene il politologo, spinge le società alle speculazioni e alle frodi di bilancio. E si scaglia contro il Partito: «Dalla Casa Bianca al Congresso, i repubblicani si comportano da sicofanti. La Commissione finanze della Camera concede alle lobbies favori che farebbero arrossire una tenutaria di bordello. Il Presidente e la sua famiglia sono coinvolti nell’ascesa della Enron, la società bancarottiera del Texas simbolo dei recenti eccessi di Wall Street».
    Perché questo libro? Non per apostasia, proclama Phillips, ma per lealtà. I repubblicani devono cambiare, devono tornare alle origini, ad Abraham Lincoln «che anteponeva il lavoro al capitale» e a Theodore Roosevelt «che difese il pubblico interesse dalle corporations ». Phillips ricorda che nel 1900 i democratici, ciechi a scandali e a ingiustizie simili agli attuali, dopo una crisi sociale ed economica pagarono a caro prezzo la loro ignavia, perdendo il potere per dodici anni. A suo parere, i repubblicani sono oggi nella stessa situazione: «Gli americani incominciano ad averne abbastanza. I democratici lo hanno capito e indossano il manto populista». Il politologo cita il successo ottenuto dal senatore repubblicano ribelle John McCain, dal verde Ralph Nader e da altri alle elezioni del 2000 «con gli attacchi all’asservimento del governo alla finanza e alla perversione del codice fiscale». Allora, conclude, riscossero gli applausi del 40 per cento degli elettori. Domani, potrebbero riscuoterli della maggioranza .

    Ennio Caretto
    "


    Saluti liberali

  5. #5
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    Predefinito Re: L'etica ripugnante del capitalismo

    Originally posted by Roderigo
    di Lucio Manisco

    Cosa avrebbe fatto Max Weber dopo avere ascoltato le dichiarazioni di Alan Greenspan al congresso Usa? Gli avrebbe tirato sulla testa il suo volume sull'Etica protestante e lo spirito del capitalismo o sarebbe caduto in un'ennesima crisi depressiva come quella che lo colpì nel 1898? Certo è che il presidente della Federal Reserve, la banca Centrale statunitense, di tutto ha parlato fuorché di una razionale organizzazione della produzione e del mercato, della trasparenza dei costi e dei profitti, di quell'etica calvinista che secondo quel povero illuso di Max Weber avrebbe assicurato legalità, razionalità ed efficienza al sistema capitalistico.
    Manisco è alquanto ignorantello.

    Si può anche non leggere Weber; ma, almeno, si dovrebbe leggere qualcuno che sia in grado di spiegare quel che ha detto Weber.

    Weber non ha mai detto che l'"etica calvinista avrebbe assicurato legalità, razionalità ed efficienza al sistema capitalistico".

    Ha detto altre cose, verissime. In particolare due.

    1) Che lo "spirito del capitalismo" consiste soprattutto nel cercare il benessere personale attraverso lo svolgimento di un'attività economica legittima.

    2) A proposito del socialismo, predisse che i fini che il socialismo si prefiggeva sarebbero stati incompatibili con i mezzi che esso voleva adottare per raggiungerlo, e che la fase della "liberazione" dopo la "temporanea" soppressione delle "libertà borghesi" non sarebbe mai arrivata.

    Altro che "povero illuso"; dopo Weber (che, a differenza di Marx, su questo ha avuto ragione) è per essere comunisti che bisogna essere "poveri illusi".

    Anche se, a dire il vero, essere poveri è condizione sufficiente, ma non necessaria, per essere comunisti; la storia ha ampiamente dimostrato che il comunismo ha una straordinaria capacità di impoverire la massa della popolazione e di distruggere il benessere, ed anche la civiltà, di paesi che, nel corso dei secoli, avevano raggiunto entrambi; a parziale vantaggio della nomenklatura comunista.

    Una volta comunisti, di propria spontanea volontà o per costrizione esterna, poveri si diventa senz'altro.

    E' solo questione di tempo.

    Originally posted by Roderigo
    Niente manette quindi per chi ha rubato a pieni mani "cooking the books", falsificando i bilanci, alimentando fraudolentemente le bolle speculative sui titoli delle imprese, per poi portarle in rovina con l'attiva, proficua collaborazione degli "auditors", di chi doveva controllare il loro operato. Fino a quando ha parlato di qualche mela marcia o di alcune circostanze speculative che avevano reso troppo attraente negli anni Novanta la fuoriuscita dalla legalità di pochi corrotti, i titoli azionari della Dow Jones avevano continuato a registrare le flessioni delle precedenti ventiquattro ore, perdendo 240 punti.
    A parte che si dice Dow Jones, maschile e non femminile.

    Cosa vuole dimostrare ManEsco: che l'avidità e la corruzione esistono e che spesso trovano delle sponde politiche?

    Grazie, lo sapevamo già, NOI.

    Originally posted by Roderigo
    Poi la battuta magica del presidente della Federal Reserve, quella sull'inutilità di nuove leggi o di una riforma strutturale dei mercati, ha invertito i corsi e la Dow Jones ha riguadagnato il terreno perduto. Max Weber si rivolti pure nella sua tomba: l'etica è ripugnante per il capitalismo moderno il cui spirito, oggi più che ieri, è basato sulla rapina. Il problema rimane per i gonzi che si sono fatti rapinare, che hanno perduto i loro posti di lavoro e le pensioni investite nei fondi azionari, che nella definizione ora di moda "sono usciti dal mercato".
    Lo spirito del capitalismo "basato sulla rapina"!?

    E invece, lo spirito del comunismo professato da ManEsco su cosa è basato?

    Sulla soppressione delle libertà, sulla menzogna, sull'ipocrisia, sulla sopraffazione, sulla violenza, sullo sterminio degli avversari veri o presunti, sulla criminalizzazione del dissenso, sull'arbitrio elevato a sistema di potere?

    Oppure su tutte queste cose messe insieme?

    Consiglio a ManEsco una bella curetta di fosforo.

    Originally posted by Roderigo
    Sono milioni e milioni di piccoli risparmiatori che hanno creduto a quanto veniva assicurato loro dai guru del "capitalismo estremo", dai James Cramer, dai James Glassman e dai loro tristanzuoli epigoni del giornalismo nostrano, fino a ieri esaltati assertori di un'inesorabile e irreversibile ascesa dei titoli, di una Dow Jones sopra quota 36mila. Speriamo almeno che un giorno a questi milioni di caduti sul campo venga eretto un monumento al Piccolo investitore ignoto. Anche se quantificare l'impatto negativo della loro assenza dai mercati azionari è pressoché impossibile (nel 1999 si parlava di 80 milioni di individui), la decimazione di questo macroscopico parco buoi a partire dallo scorso anno è un dato di fatto ampiamente rispecchiato dalle caotiche flessioni dei titoli della New Economy.
    Mi apisce dirlo: ma chi ha "creduto" di potersi arricchire in questo modo ha sbagliato; e, in un certo senso, sono affari suoi.

    Discorso diverso per chi è stato truffato.

    Originally posted by Roderigo
    La boccata di ossigeno o per meglio dire la respirazione bocca a bocca elargita ieri sera da Alan Greenspan alla speculazione che non verrà colpita da leggi speciali potrebbe essere di breve durata anche perché non è detto che fermerà l'attività dei legislatori alle prese con le elezioni di medio termine e cioè con degli elettori fuori dalla grazia di dio. Perché la crisi di Wall Street riflette la più vasta, sistemica crisi del capitalismo Usa, sta investendo o ha già investito le grandi banche che non possono più contabilizzare come "assets" posizioni debitorie in miliardi di dollari non più redimibili, ha reso insostenibile l'astronomico indebitamento privato; al di fuori del settore edilizio sta colpendo i consumi, e quel che è più foriero di tempeste sta accelerando la fuga dei capitali stranieri principalmente europei e giapponesi. Se è vero che dell'acquisita parità dell'Euro agli operatori economici americani non importa un fico secco o tutt'al più interessa marginalmente per i suoi riflessi sul calo delle importazioni, un accentuato rimpatrio dei capitali esteri fa rizzare i capelli in testa anche ai più temerari esponenti del Dipartimento del Tesoro ed a tutti i governatori della Banca centrale: da decenni gli Stati Uniti la hanno fatta franca con questo ingente continuo influsso di denaro solo in parte contabilizzato dalla bilancia pagamenti, che ha praticamente alimentato a costo zero il mercato creditizio interno e, per usare un termine pesante, "ha succhiato sangue" ad una economia mondiale sempre più vincolata e subalterna a quella statunitense.
    Sono decenni che, ad ogni bolla speculativa, escono fuori i beccamorti del capitalismo: ogni crisi, ogni recessione, è sempre "sistemica" e definitiva. Loro "l'avevano detto".

    E, mentre lo dicevano, gli è caduto in testa il muro di Berlino.

    Manesco ha ragione solo su un punto: bisogna mettere un freno agli eccessi speculativi, che sono dannosi da tanti punti di vista. Questo è quel che pensano anche molti democratici, gli svillaneggiati democratici statunitensi, quelli che sono troppo "moderati" per i comunisti nostrani.

    Dire, poi, che gli Stati Uniti hanno "succhiato sangue" all'economia mondiale è veramente pazzesco. Nessuno ha obbligato gli investitori italiani ad investire nel Nasdaq o a Wall Street; e, in questi anni, è stato proprio l'andamento positivo dell'economia statunitense a tirare l'economia del resto del mondo.

    Originally posted by Roderigo
    Come si esce allora dalla crisi? Come ci si ferma sull'orlo del baratro senza precipitare nel ciclo di una depressione economica che potrebbe far impallidire il ricordo di quella degli anni trenta? La riposta l'ha data ieri l'ineffabile George Bush che ha smesso di parlare della moralizzazione dei mercati ed ha ripreso a parlare invece del "clear and present danger", di quel pericolo chiaro e presente rappresentato da Bin Laden, di un nuovo programma presidenziale volto ad impedire i suoi tentativi di diffondere la peste bubbonica in Alaska o di cospargere Brooklyn con una pioggia radioattiva grazie all'assistenza diretta di quel satanasso di Saddam Hussein.
    Ah già...bin Laden non è mica un vero pericolo...l'11 settembre non c'è mai stato, dopo tutto, vero?

    Originally posted by Roderigo
    Fino a quando i mass media - primi tra tutti quelli italiani - continueranno a spacciare per vere queste panzane ed a preparare l'opinione pubblica ad una seconda, più devastante aggressione contro l'Iraq, alla crisi del capitalismo Usa potrà essere messa la sordina di un'economia di guerra, una guerra più o meno permanente da finanziare con i sacrifici di tutti i cittadini dell'Impero, ad eccezione naturalmente dei "Ceo" entro e fuori la Casa Bianca ai quali Alan Greenspan ha offerto ieri l'impunità.
    Di devastante, per l'Iraq, c'è soltanto il regime di Saddam Hussein; anche se, di per sé, questo non dà certo agli Stati uniti o ad altri il diritto di muovere guerra all'Iraq.

    Per il resto, chi vuole informarsi può scegliere fra tanti giornali, italiani o stranieri, di destra o di sinistra.

    Gli altri possono pure continuare a leggersi Liberazione.

  6. #6
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    Predefinito Re: L'etica ripugnante del capitalismo

    Originally posted by Roderigo
    di Lucio Manisco

    Cosa avrebbe fatto Max Weber dopo avere ascoltato le dichiarazioni di Alan Greenspan al congresso Usa? Gli avrebbe tirato sulla testa il suo volume sull'Etica protestante e lo spirito del capitalismo o sarebbe caduto in un'ennesima crisi depressiva come quella che lo colpì nel 1898? Certo è che il presidente della Federal Reserve, la banca Centrale statunitense, di tutto ha parlato fuorché di una razionale organizzazione della produzione e del mercato, della trasparenza dei costi e dei profitti, di quell'etica calvinista che secondo quel povero illuso di Max Weber avrebbe assicurato legalità, razionalità ed efficienza al sistema capitalistico.

    Posto di fronte al caos e ai crolli alterni dei mercati azionari, alla corruzione sistemica dei "Chief Executive Officers", dei dirigenti delle più grandi corporazioni, che hanno operato con la collusione della precedente Amministrazione democratica e con una spartizione degli illeciti profitti da parte della presente amministrazione repubblicana, Alan Greenspan non si è limitato a ripetere il ritornello sui "fundamentals" dell'economia Usa che sono sani, anzi sanissimi, ad asserire, non proprio alla Tremonti ma quasi, che dopo i colpi ricevuti negli ultimi mesi l'economia stessa si avvia "su schemi di crescita sostenibile". Uscendo allo sciopero, fuori dal linguaggio oscuro che caratterizza tutti i suoi interventi, il Greenspan ha detto qualcosa di molto più importante per gli speculatori, i corrotti, i beneficiari delle "stock options", i "Ceo" della Emron, della WorldCom, della Xerox e di altre dozzine di grandi corporazioni: ha detto loro di stare tranquilli perché non c'è alcuna necessità di nuove leggi restrittive o punitive come quelle prese in esame dal Congresso e persino adombrate in termini evasivi la scorsa settimana dallo stesso presidente George "Dubya" Bush in un momento di paura per le sue frodi finanziarie nella compagnia Harkem o per quelle del suo vice Cheney quando dirigeva la Halliburton Co.

    Niente manette quindi per chi ha rubato a pieni mani "cooking the books", falsificando i bilanci, alimentando fraudolentemente le bolle speculative sui titoli delle imprese, per poi portarle in rovina con l'attiva, proficua collaborazione degli "auditors", di chi doveva controllare il loro operato. Fino a quando ha parlato di qualche mela marcia o di alcune circostanze speculative che avevano reso troppo attraente negli anni Novanta la fuoriuscita dalla legalità di pochi corrotti, i titoli azionari della Dow Jones avevano continuato a registrare le flessioni delle precedenti ventiquattro ore, perdendo 240 punti.

    Poi la battuta magica del presidente della Federal Reserve, quella sull'inutilità di nuove leggi o di una riforma strutturale dei mercati, ha invertito i corsi e la Dow Jones ha riguadagnato il terreno perduto. Max Weber si rivolti pure nella sua tomba: l'etica è ripugnante per il capitalismo moderno il cui spirito, oggi più che ieri, è basato sulla rapina. Il problema rimane per i gonzi che si sono fatti rapinare, che hanno perduto i loro posti di lavoro e le pensioni investite nei fondi azionari, che nella definizione ora di moda "sono usciti dal mercato".

    Sono milioni e milioni di piccoli risparmiatori che hanno creduto a quanto veniva assicurato loro dai guru del "capitalismo estremo", dai James Cramer, dai James Glassman e dai loro tristanzuoli epigoni del giornalismo nostrano, fino a ieri esaltati assertori di un'inesorabile e irreversibile ascesa dei titoli, di una Dow Jones sopra quota 36mila. Speriamo almeno che un giorno a questi milioni di caduti sul campo venga eretto un monumento al Piccolo investitore ignoto. Anche se quantificare l'impatto negativo della loro assenza dai mercati azionari è pressoché impossibile (nel 1999 si parlava di 80 milioni di individui), la decimazione di questo macroscopico parco buoi a partire dallo scorso anno è un dato di fatto ampiamente rispecchiato dalle caotiche flessioni dei titoli della New Economy.

    La boccata di ossigeno o per meglio dire la respirazione bocca a bocca elargita ieri sera da Alan Greenspan alla speculazione che non verrà colpita da leggi speciali potrebbe essere di breve durata anche perché non è detto che fermerà l'attività dei legislatori alle prese con le elezioni di medio termine e cioè con degli elettori fuori dalla grazia di dio. Perché la crisi di Wall Street riflette la più vasta, sistemica crisi del capitalismo Usa, sta investendo o ha già investito le grandi banche che non possono più contabilizzare come "assets" posizioni debitorie in miliardi di dollari non più redimibili, ha reso insostenibile l'astronomico indebitamento privato; al di fuori del settore edilizio sta colpendo i consumi, e quel che è più foriero di tempeste sta accelerando la fuga dei capitali stranieri principalmente europei e giapponesi. Se è vero che dell'acquisita parità dell'Euro agli operatori economici americani non importa un fico secco o tutt'al più interessa marginalmente per i suoi riflessi sul calo delle importazioni, un accentuato rimpatrio dei capitali esteri fa rizzare i capelli in testa anche ai più temerari esponenti del Dipartimento del Tesoro ed a tutti i governatori della Banca centrale: da decenni gli Stati Uniti la hanno fatta franca con questo ingente continuo influsso di denaro solo in parte contabilizzato dalla bilancia pagamenti, che ha praticamente alimentato a costo zero il mercato creditizio interno e, per usare un termine pesante, "ha succhiato sangue" ad una economia mondiale sempre più vincolata e subalterna a quella statunitense.

    Come si esce allora dalla crisi? Come ci si ferma sull'orlo del baratro senza precipitare nel ciclo di una depressione economica che potrebbe far impallidire il ricordo di quella degli anni trenta? La riposta l'ha data ieri l'ineffabile George Bush che ha smesso di parlare della moralizzazione dei mercati ed ha ripreso a parlare invece del "clear and present danger", di quel pericolo chiaro e presente rappresentato da Bin Laden, di un nuovo programma presidenziale volto ad impedire i suoi tentativi di diffondere la peste bubbonica in Alaska o di cospargere Brooklyn con una pioggia radioattiva grazie all'assistenza diretta di quel satanasso di Saddam Hussein.

    Fino a quando i mass media - primi tra tutti quelli italiani - continueranno a spacciare per vere queste panzane ed a preparare l'opinione pubblica ad una seconda, più devastante aggressione contro l'Iraq, alla crisi del capitalismo Usa potrà essere messa la sordina di un'economia di guerra, una guerra più o meno permanente da finanziare con i sacrifici di tutti i cittadini dell'Impero, ad eccezione naturalmente dei "Ceo" entro e fuori la Casa Bianca ai quali Alan Greenspan ha offerto ieri l'impunità.

    Liberazione 17 luglio 2002
    http://www.liberazione.it
    Non voglio professarmi chissà chi ma sono molto dentro a queste cose per lavoro , ormai.
    Non so chi sia il giornalista , ma vedo che è molto ideologo e poco pragamtico.
    Sicuramente non conosce la finanza.
    Non perchè quello che dice è falso , per carità. Sappiamo tutti che i bilanci sono falsi e che il capitalismo USA ha bisogno di una riforma. Ma perchè Greenspan ha detto esplicitamente ciò che il disinformato pseudoesperto dice che abbia taciuto .
    Ha detto che le stock option saranno considerate un costo nei bilanci societari. La sera prima il congresso aveva già approvato una riforma dell'etica della professione degli analisti.
    Quindi l'articolo è una sommatoria di cose un pò tirate .
    L'attacco al capitalismo è , come al solito , inutile , perchè anche i muri sanno che è l'unico modo in cui l'uomo può e vuole vivere. La Nord Corea ci ha appena pensato , la Cina da più tempo.
    Capitalismo non significa non regole , tutt'altro ; è qui e solo qui che bisogna lavorare. Punto. Il resto sono chiacchiere da bar , come quelle sul parco buoi . La colpa non è solo delle Sim e dei promotori , al 50% è anche loro , di chi vuole cavalcare qualcosa ( mercati finanziari ) di cui ignora completamente leggi ed andamenti. Non è possibile , in Borsa chi va a caso è finito , vince chi ha un metodo , una logica e razionalità.
    Il resto sono chiacchiere da bar.


    ps : per i fondi pensione l'investimento azionario è tutto il contrario di una cosa negativa. E' proprio l'unica forma di allocazione del risparmio che consente rendimenti adeguati al livello di retribuzione che si vuole mantenere finito il lavoro. Questi sono dati reali , il resto sono parole al vento.

    Salve

  7. #7
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    Predefinito vi avevo detto

    cari compagni vi avevo detto di stare allegri perchè il capitalismo se la passava male, ma non addirittura di fa uscire dai ghiacci il mitico Manisco, che è ancora convinto che Breznev non è mai morto! E' comunque ammirevole per la disinvoltura con cui il nostro bevitore di vodka ha sintetizzato Weber. Comunque una cosa è vera: il capitalismo consente speculazioni affaristiche piratesche e la democrazia è un regime corrompibile. Ma entrambi hanno degli anticorpi sani e vitali: il legame tra proprietà, lavoro e capitale che richiede un'impegno particolare per il profitto e il voto popolare che può sempre mandare a casa i corrotti. Entrambe sono applicazioni etiche che il capitalismo consente e produce per la sua salvaguardia. Nella seconda occasione che volete dare al comunismo, ricordatevi queste due cosette. Potrebbero sempre tornare utili, un giorno.

  8. #8
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    Predefinito A dar dell'ignorante...

    A dar dell'ignorante si rischia di smarrire la possibilità concreta di creare una critica sincera ad un testo.

    Comunque, per conoscere meglio chi è e cosa fa il compagno Manisco (che personalmente stimo moltissimo!)
    www.luciomanisco.com

    Marco

  9. #9
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Re: vi avevo detto

    Originally posted by calvin
    Comunque una cosa è vera: il capitalismo consente speculazioni affaristiche piratesche e la democrazia è un regime corrompibile. Ma entrambi hanno degli anticorpi sani e vitali:
    Ma chi reagisce ad ogni critica con toni stizziti ed insultanti, si rifugia in paragoni con la Nord-Corea e pretende di vivere di rendita sul crollo del muro di Berlino, aspira ad essere un anticorpo sano e vitale?

    R.

  10. #10
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    Predefinito

    Critica? Uno che cita Max Weber con quegli spropositi? ma fammi il piacere.....
    Se ti da fastidio la Corea del Nord non è colpa mia. E lì il "muro" non è affatto crollato. Apposta muoiono letteralmente di fame.
    Altro che storie. E insultante sarà il compagno Marsico: insulta l'intelligenza dei suoi lettori.

    Saluti.

 

 
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