di Rina Gagliardi
«Non si pasce di cibo mortale \chi si pasce di cibo celeste. \ Altra cura più grave di queste \, altra brama quaggiù mi guidò». I quattro versi della scena XIX del Don Giovanni di Mozart \Da Ponte, citati ieri mattina dal segretario della Cgil alla fine della sua introduzione, configurano in realtà una risposta durissima all'invito a cena di Berlusconi. Ho ben altro da fare che venire a mangiare con te, dice in sostanza Cofferati al Premier. E, se per caso venissi chez toi, non sarebbe certo per ragioni gastronomiche, ma per buttarti giù, cioè per trascinarti all'inferno.
Seguiamo la storia "originale", sapendo che il parallelo don Giovanni-Berlusconi e commendatore-Cofferati sono solo relativamente proprie e oltre un certo punto non reggono. Nel capolavoro mozartiano, Don Giovanni, ricco aristocratico di Siviglia, infaticabile seduttore di donne, peccatore incallito, uccide in duello il Commendatore, dopo aver tentato invano di stuprarne la figlia, donna Anna. Più tardi, nel corso di una scorribanda notturna al cimitero, incontra la statua funebre dello stesso Commendatore e, per irriderlo, lo invita a cena. Contro ogni scettica previsione, il Commendatore - appunto il «Convitato di pietra» - si presenta all'appuntamento, nella sontuosa dimora di Don Giovanni. Mentre tutti son terrorizzati all'apparire del fantasma («Ah padron siam tutti morti!» grida il servo Leporello), Don Giovanni non perde il suo sangue freddo e ordina subito che si porti all'insolito ospite «un'altra cena»: a questo punto il Commendatore spiega (e la musica di Mozart sperimenta qui tonalità speciali, "celesti", quasi un anticipo della moderna dodecafonia) che chi vive nell'aldilà non ha più bisogno di nutrirsi, e che, comunque, sono ben altre le ragioni che lo hanno spinto ad accettare l'invito. Quali sono queste ragioni? Molto semplici: appunto portarsi Don Giovanni all'inferno. Segue un dialogo straordinario tra i due antagonisti: «Pentiti, cangia vita. E' l'ultimo momento!» «No, no, ch'io non mi pento, vanne lontan da me» replica Don Giovanni. «Pentiti scellerato!» «No, vecchio infatuato!». (Si noti l'allusione al Patto firmato da Cisl e Uil). Don Giovanni, che non fa il pentito nemmeno sull'orlo dell'abisso infernale, assurge da quel momento a figura universale: non più "el Burlador" di Siviglia, non più l'implacabile e ossessivo cacciatore di femmine, ma il coraggioso libertino che sceglie la libertà, e ne paga il prezzo. Siamo, non per caso, nel 1787, a due passi dalla Rivoluzione francese. E da questo momento che il parallelo con Berlusconi non regge più.
Berlusconi e il suo mondo incarnano, se mai, proprio una secca regressione della ragione critica, laica, "libertaria" così cara al musicista di Salisburgo e all'avventuriero Da Ponte. Così, per una volta, il verdiano doc Cofferati si è fatto mozartiano. Sempre più universale.
Liberazione 12 luglio 2002
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