Si apre domani a Barcellona la XIV Conferenza Internazionale

SABINA MORANDI

Di cosa ha bisogno una malattia per proliferare? Certamente le sono utili guerre, siccità e carestie. Quando poi gli ospedali vengono chiusi, i medici licenziati e le medicine vengono rese inaccessibili, i microbi fanno festa. Ma il meglio lo si ottiene dando in pasto ai patogeni organismi talmente denutriti da essere privi anche delle difese naturali di cui sono dotate le persone in buona salute. Con queste premesse, che sono la sostanza degli aggiustamenti strutturali imposti ovunque dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, non è certo una sorpresa vedere l'epidemia di Aids espandersi a macchia d'olio, soprattutto nei paesi poveri, dove ormai risiede il 95 per cento dei sieropositivi del mondo. Ed è esattamente per questo motivo che la Fao, in occasione della XIV Conferenza Internazionale sull'Aids che si terrà a Barcellona, dal 7 al 12 luglio, sottolinea l'aspetto non solo sanitario del problema.

L'Aids dei poveri…
«E' una questione di cifre», spiega Marcela Villareal, capo del Servizio Popolazione e Sviluppo della Fao, «Dei 40 milioni di persone affette dall'Aids nel mondo, 28,1 milioni vivono in Africa. Oggi il costo annuale del trattamento, anche al suo livello più basso, è di 350 dollari a persona, una cifra che supera il reddito medio annuo per abitante in molti dei paesi più colpiti». E stiamo parlando dei prezzi stracciati offerti dalle ditte farmaceutiche indiane, prezzi contro cui Big pharma ha scatenato tutta la potenza di fuoco del suo apparato mediatico e dei suoi avvocati. Ma evidentemente ancora non basta. Con l'espandersi dell'epidemia è cambiata anche la composizione sociale dei malati, con una discesa inarrestabile verso i più poveri, i più isolati e i meno alfabetizzati, ovvero i contadini.

Se, fino a qualche anno fa, l'Aids era prevalentemente un problema urbano, nei paesi in via di sviluppo si è andato estendendo alle aree rurali, devastando gran parte delle comunità agricole e lasciando ai sopravvissuti impoveriti appena quanto basta per alimentarsi. Le più recenti statistiche del Programma della Fao sull'Aids riferite all'Africa subsahariana, la regione più colpita dalla malattia, confermano la portata delle conseguenze dell'epidemia nelle campagne: dal 1985 l'Aids ha causato la morte di circa sette milioni di lavoratori agricoli nei 25 paesi africani più gravemente colpiti e potrebbe uccidere altri 16 milioni di persone prima del 2020.

L'Africa del Sud rischia di restare in mano a una generazione di orfani che non hanno fatto in tempo ad acquisire le conoscenze agricole dei padri, abbandonati in mezzo a una campagna ormai priva di manodopera. E quando la terra non riesce più a nutrire i suoi abitanti ecco che comincia l'esodo verso le baraccopoli delle città, dove la prostituzione è l'unica fonte di reddito. Alla fine arriva il contagio e il circolo vizioso, che non si può sperare di spezzare con qualche sconto sulle medicine, è chiuso.

Le previsioni del Global Hiv Prevention Working Group, pubblicate sulla rivista medica Lancet in occasione della Conferenza di Barcellona, sono alquanto fosche: 45 milioni di sieropositivi nei prossimi otto anni, per la maggior parte situati in paesi che non hanno quasi nessuna possibilità di accedere alla terapia sia per motivi economici sia perché, come nel caso della Cina, si tratta di terapie progettate sul ceppo occidentale, e mai testate su quello cinese. Il caso della Cina, con la sua epidemia sommersa, a lungo negata dal governo e alimentata dall'instabilità sociale causata dalle riforme economiche, rischia di diventare una vera e propria catastrofe se, con l'entrata nel Wto, il paese dovesse accettare l'indiscriminata privatizzazione dei servizi prevista dagli accordi Gats. A quel punto i venti milioni di sieropositivi cinesi stimati entro il 2010, potrebbero perfino raddoppiare.

Ciò che non si coglie alle nostre latitudini, visto da Sud si vede benissimo. In una prospettiva globale è ovvio che qualsiasi iniziativa che si muova solo sul piano sanitario senza tenere conto della situazione economica in generale - magari proponendo sconti o donazioni per istituire l'ennesimo fondo - è priva di senso. Non si possono dare con una mano i soldi per arginare l'epidemia e poi toglierli con l'altra, imponendo ai paesi poveri di ridimensionare le spese sanitarie che, tradotto in una realtà già precaria, significa smantellare proprio le strutture necessarie a combattere la diffusione del virus.

Se davvero si vuole fare la guerra all'Aids - come a qualsiasi altra malattia - bisogna in primo luogo invertire la logica degli aggiustamenti strutturali, il cui impatto distruttivo è evidente, ma anche impugnare con decisione la questione dei brevetti e del finanziamento alla ricerca. Tutto il resto - fondi, donazioni, campagne mediatiche e via proponendo - sono soltanto parole.


… e quello dei ricchi
Nei paesi industrializzati l'Aids ha soprattutto il volto della tossicodipendenza. Se Barcellona purtroppo preannuncia poche novità in ambito scientifico, sarà invece un'occasione per mettere a confronto le strategie della società civile e di alcuni governi che negli ultimi anni hanno attuato interventi locali, dalla prevenzione all'accesso ai farmaci, dalla gestione delle terapie alle strategie sulla tossicodipendenza.

I migliori risultati sono stati raggiunti nell'ambito della politica detta della "riduzione del danno" - strategia a cui la Conferenza di Barcellona dedica un'apposita sessione - che ha dato luogo ad alcuni interessanti progetti europei. La Lila Cedius, che ovviamente parteciperà alla Conferenza, riporta i risultati ottenuti nell'ambito del progetto di sperimentazione di somministrazione controllata di eroina che si è tenuto in Olanda.

Gli utenti coinvolti nell'esperimento, cominciato nel '96, sono tossicodipendenti da eroina cronici, a cui lo stupefacente è stato somministrato in forma controllata da una Commissione Centrale per il trattamento dei tossicodipendenti da eroina, appositamente istituita. Dopo un anno di trattamento più della metà dei tossicodipendenti avevano abbandonato il mercato illegale e, di conseguenza, anche l'impiego di azioni illegali per procurarsi la sostanza. Si registrava inoltre un netto miglioramento delle loro condizioni di salute, unica speranza di porre un freno all'epidemia di Hiv fra gli eroinomani.

Anche in Svizzera, dove dal 1997 si porta avanti un'esperienza simile, i risultati sono stati positivi. Il tasso di mortalità dei tossicodipendenti coinvolti nello studio è sceso intorno allo 0,7 per cento, (mentre quello degli eroinomani non sottoposti a terapia si aggira intorno al 10 per cento), i reati connessi all'uso di droghe sono diminuiti del 52,6 per cento e, circa il 30 per cento dei tossicodipendenti che hanno partecipato all'esperimento sono passati ad altre terapie per una disintossicazione totale.

Ma i risultati, insieme al riconoscimento internazionale della validità delle strategie di riduzione del danno, sia per il recupero dei tossicodipoendenti che per arginare la marcia dell'Hiv, lasciano indifferente il nostro governo. In Italia viene infatti riproposto il vecchio modello di "ricovero coatto" malgrado moltissimi terapeuti ne mettano in discussione la validità. Senza contare la situazione carceraria del nostro paese: ogni anno 15 mila persone finiscono in carcere per possesso o per consumo di droga. Tossicodipendenti, sieropositivi o semplicemente in astinenza, che troveranno ben pochi medici ad accoglierli, visto che il passaggio dell'assistenza sanitaria dall'amministrazione penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, è stato nuovamente sospeso.

Liberazione 6 luglio 2002
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