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  1. #1
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    Predefinito 30 aprile (29 aprile) - S. Caterina da Siena vergine e Patrona d'Italia

    Dal "Dialogo della Divina Provvidenza" di santa Caterina da Siena, vergine (Cap. 13, libero adattamento; cfr. I. Taurisano, Firenze, 1928; I, pp. 43-45) Dio, abisso di carità

    Signore mio, volgi l'occhio della tua misericordia sopra il popolo tuo e sopra il corpo mistico della santa Chiesa. Tu sarai glorificato assai più perdonando e dando la luce dell'intelletto a molti, che non ricevendo l'omaggio da una sola creatura miserabile, quale sono io, che tanto t'ho offeso e sono stata causa e strumento di tanti mali. Che avverrebbe di me se vedessi me viva, e morto il tuo popolo? Che avverrebbe se, per i miei peccati e quelli delle altre creature, dovessi vedere nelle tenebre la Chiesa, tua Sposa diletta, che è nata per essere luce? Ti chiedo, dunque, misericordia per il tuo popolo in nome della carità increata che mosse te medesimo a creare l'uomo a tua immagine e somiglianza.Quale fu la ragione che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? Certo l'amore inestimabile col quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei. Ma poi per il peccato commesso perdette quella sublimità alla quale l'avevi elevata. Tu, mosso da quel medesimo fuoco col quale ci hai creati, hai voluto offrire al genere umano il mezzo per riconciliarsi con te. Per questo ci hai dato il Verbo, tuo unico Figlio. Egli fu il mediatore tra te e noi. Egli fu nostra giustizia, che punì sopra di sé le nostre ingiustizie. Ubbidì al comando che tu, Eterno Padre, gli desti quando lo rivestisti della nostra umanità. O abisso di carità! Qual cuore non si sentirà gonfio di commozione al vedere tanta altezza discesa a tanta bassezza, cioè alla condizione della nostra umanità? Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l'unione che hai stabilito fra te e l'uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell'umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l'amore.Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature.

  2. #2
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    Predefinito 29 aprile - Festa di due Santi domenicani: S. Caterina da Siena e S. Pietro martire

    In onore di questi due santi domenicani apro questo thread.

    Augustinus

    *****
    Dal sito SANTI E BEATI:



    Santa Caterina da Siena, Vergine e dottore della Chiesa, patrona d'Italia

    29 aprile - Festa

    Siena, 25 marzo 1347 - Roma, 29 aprile 1380

    «Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia»: queste alcune delle parole che hanno reso questa santa, patrona d'Italia, celebre. Nata nel 1347 Caterina non va a scuola, non ha maestri. I suoi avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua ""cella"" di terziaria domenicana (o Mantellata, per l'abito bianco e il mantello nero). La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. Li chiameranno ""Caterinati"". Lei impara a leggere e a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a donne di casa e a regine, e pure ai detenuti. Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d'Italia con Francesco d'Assisi. (Avvenire)

    Patronato: Italia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)

    Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco

    Emblema: Anello, Giglio, corona di spine

    Martirologio Romano: Festa di Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, che, preso l’abito delle Suore della Penitenza di San Domenico, si sforzò di conoscere Dio in se stessa e se stessa in Dio e di rendersi conforme a Cristo crocifisso; lottò con forza e senza sosta per la pace, per il ritorno del Romano Pontefice nell’Urbe e per il ripristino dell’unità della Chiesa, lasciando pure celebri scritti della sua straordinaria dottrina spirituale.

    Martirologio tradizionale (30 aprile): Santa Caterina da Siena, Vergine, del Terz’Ordine di san Domenico, la quale passò allo Sposo celeste nel giorno precedente.

    (29 aprile): A Roma il natale di santa Caterina da Siena, Vergine, del Terz’Ordine di san Domenico, illustre per la vita e pei miracoli, la quale dal Papa Pio secondo fu ascritta nel numero delle sante Vergini. La sua festa però si celebra nel giorno seguente.

    Lo si dice oggi come una scoperta: "Se è in crisi la giustizia, è in crisi lo Stato". Ma lo diceva già nel Trecento una ragazza: "Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia". Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25 figli (con una gemella morta quasi subito) del rispettato tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, figlia di un poeta. Caterina non va a scuola, non ha maestri. Accasarla bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che secondo l’uso avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).
    La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. E tutti amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara faticosamente a leggere, e più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a cuoiai e generali, a donne di casa e a regine. Anche ai "prigioni di Siena", cioè ai detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il male commesso. No, Caterina è quella della gioia e della fiducia: accosta le loro sofferenze a quelle di Gesù innocente e li vuole come lui: "Vedete come è dolcemente armato questo cavaliero!". Nel vitalissimo e drammatico Trecento, tra guerra e peste, l’Italia e Siena possono contare su Caterina, come ci contano i colpiti da tutte le sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel perugino, Nicolò di Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima del supplizio: "Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi, cominciò a ridere; e volse ch’io gli facessi il segno della croce".
    Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici della Chiesa. A Pietro, cardinale di Ostia, scrive: "Vi dissi che desideravo vedervi uomo virile e non timoroso (...) e fate vedere al Santo Padre più la perdizione dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede l’anime più che le città". C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a Firenze, trovandola con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta: "Caterina sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro!". Porge il collo, e quello va via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo di dottore della Chiesa.
    La festa delle stigmate di S. Caterina è, per il solo ordine domenicano, il 1° aprile.

    Autore: Domenico Agasso


  3. #3
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    Fra Bartolomeo, Matrimonio mistico di S. Caterina da Siena con i SS. Bartolomeo, Stefano, Pietro, Vincenzo Ferrer, Francesco d'Assisi e Domenico, 1511, Musée du Louvre, Parigi

    Domenico Beccafumi, Stigmatizzazione di S. Caterina da Siena, 1515 circa, Pinacoteca Nazionale, Siena

    Giovanni Di Paolo, S. Caterina da Siena, Fogg Art Museum, Cambridge

    Pinturicchio, Papa Enea Silvio Piccolomini (Pio II) canonizza S. Caterina da Siena, 1502-08, Libreria Piccolomini, Duomo, Siena

    Andrea Vanni, S. Caterina da Siena, Chiesa di S. Domenico, Siena

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    Maria appare a S. Caterina da Siena, Santuario della Casa di S. Caterina, Siena

    S. Caterina da Siena soccorre un pellegrino nel quale si cela Cristo, Santuario della Casa di S. Caterina, Siena

    Estasi e stigmatizzazione di S. Caterina da Siena, Santuario della Casa di S. Caterina, Siena

    S. Caterina da Siena riceve la corona di spine, Santuario della Casa di S. Caterina, Siena. "... Mentre è assorta nella contemplazione le appare Cristo, con una corona di spine nella mano destra e una d’oro nella sinistra, che invita la sua sposa a scegliere ..." (Legenda Maior - Beato Raimondo da Capua)

    Cozzarelli, S. Caterina da Siena consegna il suo cuore a Cristo, Pinacoteca, Siena

    F. Brizzi (1591-1666), S. Caterina da Siena riceve la Comunione di Cristo, Basilica di S. Domenico, Bologna

    Giovan Battista Tiepolo, La Vergine appare a tre sante domenicane (SS. Caterina da Siena, Agnese di Montepulciano, Rosa da Lima), 1747-48, Chiesa di Santa Maria del Rosario (Gesuati), Venezia

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    Simone da Pavia, S. Caterina da Siena, XV sec., Chiesa di S. Domenico, Varazze

    Taddeo Gaddi, S. Caterina da Siena riceve le stigmate

    Domenico Beccafumi, S. Caterina da Siena riceve le stigmate, 1513-15, J. Paul Getty Museum, Los Angeles

    Domenico Beccafumi, Matrimonio mistico di S. Caterina, 1514-15, Pinacoteca Nazionale, Siena


    Domenico Beccafumi, La miracolosa Comunione di S. Caterina da Siena, 1513-15, J. Paul Getty Museum, Los Angeles. "... Ricevendo l'Eucarestia nella festa dell'Ascensione, al termine di un prolungato digiuno, vede Cristo in forma di luminoso fanciullo, mentre una pioggia di ardenti scintille si abbatte sul capo di Lei ..." (Legenda Maior - Beato Raimondo da Capua)

    Lorenzo Lotto, SS. Caterina da Siena e Sigismondo, 1508, Pinacoteca Comunale, Recanati

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    Predefinito SANTA CATERINA NEI DOCUMENTI PAPALI (a cura di Alfredo Scarciglia O.P., Quad. n. 105

    BOLLA DI CANONIZZAZIONE DI SANTA CATERINA DA SIENA, PUBBLICATA DA PIO II. - San Pietro, 29 giugno 1461

    (...) Avea pure nel secolo scorso, a memoria de' nostri padri, fiorito nella stessa città (Siena) e nel sesso muliebre la vergine Caterina non inferiore di meriti nè meno a Dio accetta: di cui le preghiere non dubitiamo che già furono, ora sono e saranno nell'avvenire di molto giovamento all'umana famiglia. Imperocchè, siccome i peccati e le bestemmie dei malvagi provocano sopra di noi il furore divino, così, viceversa, le opere e le supplicazioni dei santi ce ne scansano. Ma Caterina, quantunque avesse quaggiù vissuta vita d'angelo, e pria dell'anno '80 del secolo volata al cielo, fosse per molti prodigi e gloriosi miracoli divenuta illustre, pure, non avendo i romani pontefici che me precederono ciò decretato, non venne sino ai dì nostri accolta tra le sante vergini di Cristo dalla Chiesa militante. Avean desiderato impartire quest'onore Urbano VI, e dopo lui Innocenzo VII, e da ultimo Gregorio XII; i quali tutti ebbero peculiar notizia di questa vergine e del santo viver di lei. Ma angustiati dallo scisma che infierì alla loro stagione, e molto agitati dalle turbolenze e dalle molestie di guerra, per divino avviso, come dicemmo, si passarono di ciò, affinchè infierendo la procella della divisione, ciò che l'un partito teneva per santo, non fosse dall'altro tenuto nel conto più vile.
    Fu adunque tal cosa differita ai nostri giorni, e a noi venne riservata la canonizzazione di questa santissima vergine, come di nostra conterranea e concittadina, affinchè la santità d'una vergine sanese venisse a luce per decreto d'un sanese regnante sul Seggio romano. Nel quale negozio non vogliamo punto negare che ci abbia eccitato un affetto santo e pio, imperocchè qual è mai che non procuri volentieri, ove ciò possa farsi per diritto ed onestamente, che sien divulgati gli elogi della sua città, le lodi della patria, le virtù della sua stirpe? Ciascuno desidera ardentemente di palesare i fatti eccellenti e gli uomini che per virtù chiari fiorirono in tutti i sessi ed in ciascuna parte del mondo; più volentieri però e con maggior diletto, quei che vissero nella sua patria e stirpe. E quantunque avessimo noi con molto gaudio in quale che sia popolo ravvisato le sublimi doti, l'eccellente ingegno, la mente divina, il santissimo volere della beata Caterina, maggior contento però è il nostro nello scorgere tali cose nella città di Siena, donde sortimmo i natali. Imperocchè nutriamo fidanza d'esse viemaggiormente e più peculiarmente partecipi dei meriti di lei, che se questa vergine o nell'Africa fosse nata, oppure nella Scizia o nell'India; non potendo per guisa veruna accadere che non ci derivi alcun privilegio dall'attenenza coi santi.
    Nè perciò dobbiam dire più o men del vero, nè a cagion del parentado o della patria carità deve essere alcuno annoverato tra i santi meriti, senza il solito esame, senza le consuete solennità. Laonde quantunque udimmo con piacere essere di Siena la beata Caterina di cui domandavasi la canonizzazione, nulla però trascurammo nella santificazion di lei di quelle cose che in solennità sì grande richieggonsi.
    V'erano perciò molte preci non solo del popolo sanese, ma sì ancora di altri: chè il carissimo figlio di Cristo Federigo Augusto Imperador de' Romani, e il diletto figliuolo Pasquale doge di Venezia, nobile personaggio, ci supplicarono che non fosse più lungamente quaggiù priva del debito onore questa vergine, a cui la divozione di molti popoli era vivamente indirizzata, e di cui molti prodigi si divulgavano. Nello andare a Mantova, essendoci nel maggio per qualche tempo fermati a Siena, e là essendoci nel pubblico concistoro, esposti i grandi meriti e i meravigliosi portenti di lei, e rivolte ardenti suppliche affinchè le decretassimo gli onori dei santi, non consentimmo sì presto, ma secondo l'antica consuetudine destinammo con l'oracolo della viva voce tre dei nostri fratelli cardinali della santa Romana Chiesa, un vescovo, un prete, un diacono, a diligentemente esaminare, dopo fatti i soliti processi, la vita, i costumi e i miracoli della stessa Caterina, operati in vita e dopo morte, e quanto resta per la canonizzazione di lei, e a farcene in secreto concistoro, com'è usanza, fedele relazione. I commissari discussero tal cosa per un anno e più, nel qual tempo noi da Mantova tornammo a Roma. Trovati gli antichi processi, che si composero in Venezia ed altrove, e di nuovo esaminati i testimoni, e ponderata con somma diligenza ogni cosa, pria separatamente ne fecero ne fecero relazione tra i cardinali soltanto, sinceramente ragguagliati di tutto che ebber ritrovato. Procurammo poi che fossero di nuovo recitate da un avvocato del pubblico concistoro quelle cose che pria ci avean significate. Da ultimo, adunati nella nostra corte tutti quei vescovi che eran con loro, e assistendoci i cardinali, i detti commissari nuovamente per mezzo del venerabile nostro fratello Guglielme di Porto, di nazione francese (il primo tra essi) ci esposero ciò che avean rinvenuto, e che parea convenevolmente provato. Dalla loro relazione, che fu oltre ogni dire ampia ed ornata, queste cose sommariamente attingemmo, che sono vere, provate, conosciute e manifeste.
    La Vergine Caterina, nata in Siena da parenti di mezzana condizione, pria che potesse per l'età conoscere Iddio si volle a lui consacrare. A sei anni desiderò fuggire a un eremo per servire il Signore, ed uscita dalla città si nascose in una caverna ch'era luogo solitario: quantunque dimoratavi poco tempo, così comandandole lo Spirito divino, fosse poi tornata a casa. Avendo imparato l'angelico saluto, quante volte montò la scala della casa paterna, tante a ciascun gradino piegato il ginocchio, riverì la beatissima Vergine Madre di Dio. E correndo l'anno settimo dell'età sua, consacrò la sua verginità a Cristo, cui con mirabile visione contemplò sedente nella sua maestà: e scorse gli arcani della corte celeste, i quali non può dir lingua mortale. Rinunziò ad ogni mondana delizia. Tutta si diè all'orazione, ed afflisse il suo corpicciuolo colle vigilie, coi digiuni, colle battiture. Persuase le fanciulle della sua condizione ad operare a questo modo. Giunta alla pubertà, stracciati i capelli, ricusò matrimonio di mortale. Spregiò le ingiurie e le maledizioni degli uomini. Tolse per forza piuttosto che non impetrò l'abito del beato Domenico, che portano le Donne della Penitenza. Esercitò l'ufficio di serva nella casa paterna, nessuna cosa più desiderando, che di apparire vile e abietta davanti agli uomini. Ai poverelli di Cristo colla venia del padre abbondevolmente soccorse. Con somma diligenza servì gl'infermi. Le tentazioni diaboliche e le continue zuffe degli spiriti maligni vinse con lo scudo della pazienza e col cimiero della fede. Ai prigioni ed agli oppressi arrecò sollievo come potè. Non uscì da lei parola che santa e religiosa non fosse. Ogni sermone di lei si versò intorno ai costumi, alla religione, alla pietà, al dispregio del mondo, all'amore di Dio e del prossimo, ed alla patria celeste. Nessuno le si appressò,che non ne partisse più dotto e migliore. La sua dottrina fu infusa, non già acquistata. Apparve maestra prima d'esser discepola: imperocchè rispose con molta prudenza ai professori delle sacre lettere, e sino agli stessi vescovi di chiese illustri; e loro a tal guisa soddisfece da rinviare come agnelli mansueti quelli che avea ricevuto come lupi e leoni feroci: dei quali alcuni, meravigliando la sapienza divina nella verginella, distribuite tra i poverelli le sostanze che possedeano, tolta la croce del Signore, vissero dappoi vita evangelica.
    Somma fu l'astinenza e mirabile lqusterità della vita di Caterina: imperocchè avendo affatto abbandonato l'uso del vino e della carne, nè più adoperando cibi di farina, a tale stremo venne da non mangiare più nè legumi nè pane, tranne solo quel pane celestiale, che il vero cristiano mangia nel sacramento dell'altare. Fu trovata, contenta solo della comunione eucaristica, aver prolungato il digiuno dal giorno delle Ceneri insino all'Ascensione del Signore. Per anni otto incirca si sostentò di unoscarso succo di erbe, e della sacra comunione. Andava alla mensa come a un supplizio. Alla comunione dell'altare quasi giornalmente con somma ilarità si appressava, come fosse invitata alle nozze celesti. Recavasi sotto le vesti il cilizio per mortificare la carne. non si servì di piume o di guanciali: si avea fatto un letto di tavole, e giacendovi dormiva pochissimo, che raramente tra giorno e notte il sonno di lei durava due ore: il rimanente del tempo impiegava nel vegliare, nell'orare, nel predicare, e nello attendere alle opere di misericordia. Con lunghe corde macerò le sue carni: era afflitta da un dolor di capo quasi continuo: ardeva per le febbri e veniva eziandio travagliata da altre malattie. Combattea quasi assiduamente coi demoni ed era da loro assai molestata; diceva coll'Apostolo: "Quando sono inferma allora divento più forte"; imperocchè non venia meno tra tante tribolazioni, nè punto trascurava le opere caritatevoli. Assisteva ai miseri che soffrivano senza ragione. Riprendeva i peccatori e li esortava con benignissime parole a penitenza. A tutti insegnava allegramente i precetti di salvezza. A ciascuno con volto ilare addimostrava qualcosa si dovesse seguitare, quale fuggire: con somma maestria pacificava i dissidenti. Molti odii spense, e cessò inimicizie mortali. Non bubitò per la pace de' Fiorentini, che in guerra con la Chiesa erano condannati a un interdetto acclesiastico, di oltrepassare l'Appennino e le Alpi, e sino in Avignone recarsi a Gregorio XI, pontefice massimo nostro predecessore, a cui palesò di avere divinamente conosciuto il voto, benchè noto a lui solo e a Dio, ch'egli avea occultamente fatto di recarsi a Roma. Fu dotata ancora dello spirito di profezia, e molti avvenimenti predisse, e rivelò cose occultissime. Era sovente rapita dallo Spirito, e sospesa in aria si pasceva di celesti contemplazioni; talmente fuori di sè, che, tocca o percossa, di nulla si accorgeva, e ciò spesso le accadeva nel cibarsi della divinissima eucarestia.
    Molto dai popoli era stimato il nome di Caterina reputata come santa, e d'ogni parte i malati e i travagliati dagli spiriti maligni le erano condotti, e molti riacquistavano la salute. Ai languori ed alle febbri imperava nella virtù di Cristo, e costringeva i demoni a fuggirsi dagli ossessi. Laonde fu carissima ai romani pontefici Gregorio XI, di cui poco fa facemmo menzione, e ad Urbano VI: per guisa che venne adoperata nelle loro legazioni, e da essi arricchita di molti e grandi favori spirituali. Ed avendo a tal modo menata la vita, all'anno 33 incirca dell'età sua morì a Roma. Dell'assunzione e del glorioso ingresso di quest'anima in cielo stupende e mirabili rivelazioni si trovano presso quelle persone ch'ebbero in istima la vergine, e massimamente presso il confessore di lei Raimondo da Capua, maestro in sacra teologia, che fu poi nominato padre generale dell'ordine dei Predicatori. Il quale, dimorando a Genova la notte in cui la vergine morì, la vide al mattino nel dormitorio presso l'immagine della Madre di Dio rifulgente di meraviglioso splendore, e che gli indirizzava parole di consolazione. Il corpo di lei, per tanto tempo custodito, fu da ultimo sepolto in Roma nella chiesa dei Frati Predicatori della Minerva con gran divozione e riverenza del popolo: e al contatto del medesimo molti infermi riceverono da Dio la sanità per guisa che ad alcuni apportò salute l'aver tocche quelle cose che alla loro volta toccarono le sacre membra di Caterina.
    La quale, ricevuta in cielo, porse benigno orecchio ai voti di coloro che supplicavano, ed impetrò che venissero esauditi da Cristo suo salvatore, sposo e signore: imperocchè molti da varie malattie furono guariti, i quali all'udire il nome gloriosissimo della beata Caterina, la richiesero supplichevoli di patrocinio. Laonde il nome di Caterina fu avuto in venerazione a Venezia, dove non era stata mai, ed in altri luoghi, e moltissimi voti le vengono indirizzati.
    Queste ed altre moltissime cose avendo il venerabile nostro fratello vescovo di Porto esposte nell'adunanza dei cardinali e dei prelati ed affermato che furono chiaramente provate, richiesti singolarmente così i cardinali, come i prelati (di cui moltissimi furon presenti) di manifestare il loro avviso; parve a comune suffragio doversi dichiarar Caterina degna del Cielo: nè v'ebbe alcuno, che non avesse sommamente approvato di celebrarsene la canonizzazione. Or dopo avere tutti lungamente ascoltati, comandammo che fosse nella basilica del Beato Pietro, principe degli Apostoli, decentemente apparecchiato e decorato un pulpito, sul quale oggi alla presenza del clero e del popolo, dopo tenuto sermone della vita e dei miracoli di questa vergine, celebrata la messa solenne e fatte le consuete cerimonie secondo il rito, reputammo dover procedere alla canonizzazione di Caterina in forza di queste parole:
    Ad onore dell'onnipotente ed eterno Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, ad esaltazione della fede cattolica ed aumento della cristiana Religione; coll'autorità di nostro Signore Gesù Cristo e de' Beati Apostoli Pietro e Paolo, e colla nostra, secondo l'avviso dei nostri fratelli, dichiariamo che Caterina da Siena, vergine d'illustre e d'indelebile memoria, di cui il corpo riposa in Roma nella Chiesa dei Predicatori che dicesi della Minerva, è stata (poichè ha ciò meritato la virtù di lei, cooperando la grazia divina) da molto tempo ricevuta nella Gerusalemme celeste nei cori delle beate vergini, e donata della corona di eterna gloria; e giudichiamo e definiamo doversi essa venerare come santa in privato ed in pubblico, e comandiamo che sia annoverata fra le sante vergini che venera la Chiesa romana: stabilendo che se ne celebri la festività per ciascun anno nella prima domenica del mese di maggio, e che a lei si renda gli onori che convengono alle altre beate vergini. Oltre a ciò, a quanti si recheranno nella stessa festività a visitare il sepolcro di lei, rilasciamo misericordiamente in perpetuo 7 anni ed altrettante quarantene delle penitenze loro ingiunte, come si costuma nella Chiesa.
    A nessuno adunque degli uomini sia lecito mettere in pezzi questa disposizione per ciò che riguarda la dichiarazione, la costituzione, il mandato, lo statuto e la rilassazione, o contraddirvi con temerario ardimento. Se qualcuno presume di violare comechessia queste pagine, sappia pure che incorrerà nell'indignazione dell'Onnipotente e de' beati apostoli Pietro e Paolo.
    Dato in Roma, a S. Pietro, l'anno 1461 dell'incarnazione del Signore, ai 29 di giugno, anno terzo del nostro pontificato.

    *******

    BREVE DI PAPA PIO XII CON IL QUALE VENGONO PROCLAMATI SAN FRANCESCO D'ASSISI E SANTA CATERINA DA SIENA PATRONI D'ITALIA - San Pietro, 18 giugno 1939.

    Pio XII Pontefice Massimo a perpetua memoria.
    La sollecita cura della Chiesa universale che ci è stata commessa dal Divino Redentore ci spinge sempre a procurare quanto più ci è possibile il bene di tutti i fedeli sparsi per tutta la terra; ma poichè la Divina Provvidenza ha voluto che la cattedra romana di San Pietro fosse stabilita in Italia, la nostra volontà non può non rivolgersi in modo particolare a promuovere i vantaggi spirituali degli italiani e perciò appena ce ne è data l'occasione, ci disponiamo ad eseguire con solerte cura tutte quelle cose che ci sembrano le più opportune al fine predetto.
    Sicchè nelle difficoltà dei tempi, che da ogni parte premono anche le genti d'Italia, nessun altra cosa è più conforme al nostro ufficio pastorale, nonchè all'effetto che nutriamo verso i nostri connazionali, quanto l'assegnare loro presso il Signore, particolari patroni celesti, i quali ne siano come i custodi e i difensori.
    Chi di noi invero potrebbe mai dubitare di non essere aiutato giorno per giorno dal patrocinio dei Santi presso Dio, specialmente quando, trovandosi in angustie si appoggia alla intercessione dei Santi, invoca il Signore e sente subito che il Signore lo esaudisce?
    E questo tanto più giustamente può dirsi di quel patrocinio, col quale i santi proteggono le genti e le nazioni, specie quelle alle quali si sforzarono in tanti modi e in tante particolari circostanze, di portare aiuto, mentre essi ancora erano in terra, spinti dall'amore di Patria.
    Senza alcun dubbio ciò si deve affermare di San Francesco d'Assisi e di Santa Caterina da Siena che, italiani ambedue in nostra Patria, in ogni tempo madre di santi. Di fatti San Francesco poverello e umile vera immagine di Gesù Cristo, diede insuperabili esempi di vita evangelica ai cittadini di quella sua tanto turbolenta età, e ad essi anzi, con la costituzione del suo triplice ordine aprì nuove vie e diede maggiori agevolezze, per la correzione dei pubblici e privati costumi e per un più retto senso dei principi della vita cattolica.
    Né altrimenti si adoperò Santa Caterina, la fortissima e piissima vergine, che valse efficacemente a ridurre e a stabilire la concordia degli animi delle città e contrade della sua Patria e che mossa da continuo amore, con suggerimenti e preghiere, fece tornare alla sede di Pietro in Roma i romani pontefici, che quasi in esilio vivevano in Francia, tanto da essere considerata a buon diritto il decoro e la difesa della Patria e della Religione.
    Ora poi il signor Cardinale Carlo Salotti, prefetto della Congregazione dei Riti, ci ha detto che gli arcivescovi d'Italia, assecondando il comune desiderio dei fedeli, fanno voti e ci rivolgono anzi supplici preci, affinché San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena, vengano da noi dichiarati e costituiti Patroni Primari d'Italia con l'intento di riaccendere l'avita pietà e farla maggiormente crescere. A questi voti si aggiunge anche l'amplissima commendatizia dello stesso porporato e perciò considerate attentamente tutte le ragioni e le circostanze ben volentieri abbiamo deciso di annuirvi.
    Pertanto di nostro motu proprio di certa scienza e dopo matura deliberazione colla pienezza di nostra apostolica podestà, in virtù delle presenti lettere, dichiariamo da questo momento e costituiamo in perpetuo San Francesco d'Assisi e Santa Caterina Patroni Primari d'Italia.
    Con la stessa autorità e in forza delle presenti da volere in perpetuo decretiamo che in Italia e nelle isole adiacenti, si celebrino ogni anno, dall'uno e dall'altro clero, nei giorni stabiliti e le feste degli stessi Patroni con relativa messa ed officio in rito doppio di prima classe, ma senza ottava, nonostante qualsiasi cosa in contrario.
    Ciò benevolmente ordinano e decretano, comandando che le presenti lettere rimangano sempre ferme, valide in tutta la loro efficacia; che ottengano i loro pieni e interi effetti che se ne possano pienamente valere oggi e in futuro quelli cui spetta o potrà spettare; e così doversi esattamente giudicare e stabilire, dichiarando fin d'ora in vita ed inane, qualsiasi cosa che dal riguardo, da chiunque o da qualsiasi autorità, scientemente o ignorantemente possa essere attentata in contrario.
    Dato a Roma presso San Pietro sotto l'anello del Pescatore il 18 giugno del 1939 - 1° del nostro pontificato.

    Luigi Card. Maglione- Segretario di Stato.

    *****

    LETTERA APOSTOLICA CON LA QUALE E' PROCLAMATA SANTA CATERINA DA SIENA DOTTORE DELLA CHIESA UNIVERSALE DA PAPA PAOLO VI - San Pietro, 4 ottobre 1970.

    Mirabile è Dio nella Chiesa: Egli, mentre tiene nascosti ai sapienti ed accorti i suoi disegni segreti, li rivela invece ai piccoli (cfr. Mt 11, 25; Lc 10, 21). Egli suole anche chiamare semplici e modesti discepoli, con celesti ispirazioni e stimoli, a cose eccelse, per l'edificazione del corpo di Cristo (Ef 4, 12), e affidar loro compiti salutari, spesso estremamente difficili e importanti. Di ciò è testimone Paolo, il quale, susando le parole del Divino Maestro, dimostra che con esse si manifesta il modo di condurre le segrete cose di questo mondo da parte del sommo Dio e indica anche che a lui, ministro mandato dalla Provvidenza divina per sottomettere le genti alla fede di Cristo, si riferiscono le parole: "Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Cor 1, 25). Difatti Dio, prudentissimo in tutto, quando sceglie qualcuno lo munisce di doni superni per il compito che gli affida, in modo che la Chiesa raggiunga ciò che Cristo suo fondatore ha stabilito per la salvezza degli uomini. E se il Signore Dio, che tutto regge col suo comando, agisce sempre così con gli uomini, tanto più attua i suoi voleri tra le più paurose tempeste nei pubblici eventi del mondo cristiano, sicchè i cristiani, nel momento stesso che temono le avversità, imparino dall'esperienza quanto sia grande la forza di quella celeste promessa: "Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33) e così assecondino i piani voluti dalla Provvidenza, uniformandosi ad essi.
    Fu questa appunto la situazione della società cristiana al tempo in cui visse la vergine senese S. Caterina. Essa però nelle tante strettezze del suo secolo, mite e candida nell'ascolto attentissimo della parola di Dio, agì sempre con saggezza e fortezza, collocando tutta la fiducia in Dio, e risollevò la speranza di tutti abbattuta, impegnandosi con tutte le forze perché il Romano Ponefice non solo godesse della sua piena autorità e libertà, ma anche ritornasse a Roma, che Dio per sua disposizione mise a capo del mondo cristiano. E non c'è da meravigliarsi che, per compiere queste opere, la divina sapienza abbia donato alla castissima vergine dei lumi speciali, oltre quelle illustrazioni che, secondo il Concilio Vaticano provengono sia dalla riflessione e dall'applicazione dei credenti, quando in cuor loro confrontano i fatti e detti divini (cfr. Lc 2, 19 e 51),sia dall'interiore comprensione delle cose spirituali acquisita con l'esperienza (cfr Costit. dogm. Dei Verbum, n. 8). Caterina, difatti, senza aver avuto nessun maestro umano, fu così riccamente riempita da Dio di doni "di sapienza e di scienza" (1 Cor 12, 2), da diventare efficacissima maestra di verità. Inoltre, altamente consapevole del suo compito di annunziare la verità e di far crescere la carità fra gli uomini, avanzò a grandi;passi, donando liberalmente i benefici dei carismi ricevuti ai cittadini del suo tempo abbattuti o nati in miserevoli condizioni.
    Con queste premesse, s'intende facilmente la ragione per cui noi, dopo che il nostro predecessore Pio II pontefice massimo le ebbe decretato l'aureola dei santi, fummo prei da uguale desiderio di onorarla col titolo di Dottore della Chiesa universale. Abbiamo ancora la lieta speranza che quest'onore attribuito al suo valore giovi meravigliosamente alla Chiesa di questo nostro tempo e faccia sì che la dottrina di Caterina, il suo modo armonioso di ragionare, infiammino la carità nei cuori dei cristiani e consolidando l'unità della Chiesa stessa, suscitino negli uomini un più ardente desiderio della santità, con la guida e il magistero del Vicario di Cristo.
    La santa Vergine di cui parliamo vide la luce a Siena nell'anno 1347, nata da Jacopo Benincasa e da Lapa Piagenti. L'adorabile Spirito divino tanto precocemente l'eccitò alla santità, che mai s'allontanò, finchè visse, dalla via della virtù. Era appena di sei anni quando le fu mostrata la figura stessa di Cristo, in abiti pontificali, che la benedisse. Poi verso il suo anno ottavo, offrì con voto a Dio la sua castità, desiderando in un primo momento di seguire l'esempio degli antiche Padri che vissero nella solitudine del deserto, poidi calcare le orme di San Domenico, di cui ammirava lo zelo di insegnare il bene. Nell'anno 1363 fu ammessa nel numero delle sante vergini che prendono il nome da S. Domenico, popolarmente chiamate Mantellate, e con esse fu assidua alle opere di pietà e di misericordia. Quando poi, illuminata da Dio, comprese in quali strettezze si dibatteva la Chiesa e che da quei mali ci si poteva guardare soprattutto con la preghiera e gli esercizi di pietà, si dedicò fino all'anno 1367 assiduamente all'orazione e alle opere di carità, accompagnate sempre dalla ricerca singolare del disprezzo di sé. Questo singolare genere di vita, se si confronta col comune modo di vivere, era abbastanza inconsueto e quindi suscitò la disapprovazione di molti. Ma Caterina, come aveva insegnato Paolo (cfr. Rm 12, 21), rispondeva la male col bene, servendo i malati e assistendoli nell'ospedale di S. Maria della Scala e nel lebbrosario detto di San Lazzaro, assistendo specialmente le sue consorelle, come era giusto, per le quali implorava la clemenza dello Spirito Santo, abisso della carità, quando esse erano di animo ingrato.
    Crescendo ogni giorno nella virtù, l'anno 1370 Caterina, invitata con attrazione divina in una visione, intraprese un vero e proprio apostolato. E poichè, a quel tempo, le donne non erano ammesse a queste cose, fu quindi necessario che il Maestro Generale dell'Ordine esaminasse ciò che la Vergine faceva. Del resto lo stesso pontefice Gregorio XI, l'anno 1376, approvò col suo giudizio le attività di Caterina con queste parole: "Lei molto fruttuosamente si occupava della salvezza delle anime, del passaggio d'oltremare (=Crociata) e d'altri affari della Chiesa".
    Il primo aprile 1375, Caterina, che era impegnata nel predicare la necessità della guerra per la liberazione della Terra Santa, ricevette le piaghe di Cristo o stigmate, le quali, se diamo credito al Beato Raimondo da Capua, suo confessore, "in forma di pura luce pervennero alle mani, ai piedi e al costato di lei".
    Frattanto, essendo peggiorati i rapporti tra la Sede Apostolica e la città di Firenze, la santa Vergine fece di tutto perchè gli amici dei fiorentini non facessero con essiun'alleanza di guerra; e lottò con tutte le forze per riconciliare col Papa la repubblica Fiorentina, che era stata colpita da interdetto. Avvenne dunque che Caterina, con un lungo e fastidioso viaggio, andò ad Avignone, per incontraesi con GregorioXI. Questi l'accolse molto liberalmente, la fece benevolmente ospitare per tre mesi e dette ascolto ai prudentissimi consigli di lei, riguardo ai più grandi e difficili problemi della Chiesa.
    Allora fu tanta la compassione, l'impegno e la saggezza di questa Vergine, che non solo piegò il Pontefice a mitezza, ma riuscì anche a convincerlo a ritornare a Roma, sede e dimora del Vicario di Cristo.
    Non c'è assolutamente da dubitare che il ritorno di Gregorio XI sia dovuto più alla santità di Caterina, che non alla sua umana abilità; infatti solo per un'ispirazione divina lei aveva conosciuto il voto del Pontefice di ritornare nell'Urbe, voto che nessun altro conosceva e che il capo della cristianità aveva fatto nel giorno della sua elezione. Partito Gregorio da Avignone, il 13 settembre 1376, Caterina lo seguì fino a Genova; dopo si recò a Pisa e dilì nella Val D'Orcia, per parlare delle cose di Dio e rappacificare tra loro i membri della famiglia Salimbeni. Per la stessa causa della pace la riconciliatrice andò quindi a Firenze e, superate molte difficoltà e pericoli d'ogni genere, ne rappacificò i cittadini col papa Urbano VI, che nel frattempo era succeduto a Gregorio XI nel governo della Chiesa il 18 luglio 1378. Ma in quello stesso anno venne eletto il Sommo Pontefice Clemente VII, che fu quindi un antipapa. Per questo acerbissimo fatto Caterina venne a Roma, chiamata da Urbano VI, parlò nel concistoro dei cardinali; e fu tale la forza persuasiva della sua parola, da sollevare gli animi depressi, tanto che essi esclamarono allora: "Mai un uomo ha parlato così. Senza dubbio non è questa un adonna che parla, ma lo Spirito Santo". Alla fine, rotta dalle fatiche, consumata dal dolore per le indegne condizioni della Chiesa, squassata come nave dalla tempesta, Caterina passò alla luce sempiterna il 29 aprile 1380. Il suo corpo, santamente venerato per tanti secoli, "riposa" (pausat, come vediamo scritto sull'epigrafe tombale) a Roma, nella basilica di S. Maria sopra Minerva, dove attende la risurrezione.
    Passando ora alla sua dottrina, diremo subito che Caterina, sebbene fosse di famiglia popolana, non frequentasse nesssuna scuola e a stento sapesse leggere o scrivere, lasciò tuttavia tali esempi di celeste spienza e fu tanto lucida nel parlare, da attrarre un asingolare famiglia di discepoli, che, attingendo da lei come figli il nutrimento dell'anima, la chiamavano col dolce nome di Mamma, caro agli italiani. Essi poi non solo erano pronti a prestare zelo e fatica nelle attività apostoliche o caritative, ma si facevano strumenti dello Spirito Santo che parlava in lei (cfr. Mc 13,11). C'erano allora in quella famiglia uomini e donne di qualsiasi origine e rdine, anche religiosi e Prelati, maestri e teologi, che erano presi non solo dal modo umano e dalla fama dei prodigi di Caterina, ma anche esopratutto erano supernamente illuminati dalla lice che emanava dall'animo, dall'ingegno e dai consigli di lei. Un po' per volta brillava sempre più la sua luce e si irradiava anche oltre la sua città e ragione, sicchè molti le chiedevano consigli. Così naturalmente sono nate le numerose lettere indirizzate a persone d'ogni genere, che lei dettava, spesso più d'una simultaneamente, e che più scrivani raccoglievano. Queste lettere mostrano l'ardore e il desiderio del suo animo bruciante d'amore, anche la sua fede purissima, la solidità dei principi, la maestà dell'orazione, la saggezza dei giudizi e la sottigliezza dei pensieri di natura teologica.
    Qualche tempo dopo, verso il termine della sua breve vita, Caterina dettò in estasi il suo libro, noto come Dialogo della Divina Provvidenza, strutturato in questo modo: la sua anima presenta a Dio qualche domanda e Dio risponde ai suoi quesiti. Si ha così l'Eterno Padre che spiega a Caterina moltecose circa la vita soprannaturale, sia di ogni individuo, sia di tutta la Chiesa. Nell'intessere questo dialogo è suo pregio il saper chiedere sempre quanto si svolge nell'uomo interiore e presentare anche le cose divine. I suoi scritti, inoltre, sono un chiaro saggio e documento di quei carismi, che consistono nelle parole di esortazione, sapienza e scienza, che tanto fiorvano nella chiesa primitiva, comre si legge nel beatissimo Paolo; il quale, regolando il loro uso con ottimi ordini e suggerimenti, bene ammonì che tali doni non sono dati a beneficio dei singoli, ma per l'utilità di tutta la Chiesa. E poichè autore ne è, come dice lo stesso apostolo, "l'unico e medesimo Spirito, che li distribuisce a ciascuno come vuole" (1 Cor 12, 11), così bisogna che sia per utilità di tutti i membri del corpo mistico di Cristo tutto ciò che viene dai celesti tesori dello Spirito Santo (cfr. 1 Cor 11, 5; Rm 12, 8; 1 Tm 6, 2; Tt 2, 15). Questa appunto è la ragione per cui dalle fonti che sono gli scritti e gli esempi della Vergine Senese attingano abbondantemente i contemporanei e i posteri, i dotti, i santi e i peccatori.
    Se si guarda poi alle lodi di una così squisita dottrina, si trova la stessa mirabile armonia di pensieri, sicuri e ben definiti. Non tratta di cose estranee, come conviene a lei che espone "la dottrina di vita" portata agli uomini dal Verbo adorabile di Dio. Sicchè si possono applicare a Caterina quelle parole del Figlio dell'Eterno Padre: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato" (Gv 7, 16); e anche quelle dell'apostolo Paolo: "Io mi ritenni di sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso" (1 Cor 2, 2). Difatti non si proponeva la Vergine di comunicare la vana scienza umana (ivi, 2,4), ma la celeste sapienza, che aveva attinta dalle sacre lettere e fatta quasi suo sangue (cfr. ivi, 13), mediante la meditazione e l'uso delle cose celesti. Perciò quelle cose che insegnò sulla vita morale sembravano nuove, grazie al modo personale e veramente singolare con cui le ricavava dalle principali verità di fede. E bene quindi diceva: "Io v'invito a entrare in uno mare pacifico per questa ardentissima carità, e in uno mare profondo. Questo ho io trovato ora di nuovo (non che sia nuovo il mare, ma è nuovo a me nel sentimento dell'anima mia)in quella parola: Dio è amore" (lett. 146). Per la stessa ragione, i varii punti della dottrina cateriniana formano un tutt'uno ampi e compatto, derivato dai più profondi misteri della nostra religione, cioè la Santissima Trinità, e l'Incarnazione del Signore, con cui il Verbo di Dio si fece carne e morì per noi. E perchè sia ferma in questo umano e divino conoscimento e viva in esso come in una cella, lo stesso Divino Maestro l'ammonisce.
    Secondo l'insegnamento di Caterina, al primo posto bisogna metteree la potenza del Sangue di Cristo e la missione della Chiesa: mediante quel Sangue preziosissimo si è specialmente manifestata la verità del Padre (lett. 102) e da parte di cristo la volontà di compierla; e ancora è mostrata la via della dottrina di Cristo, aperta a tutti, che ognuno può percorrere "nel sangue della stessa verità incarnata" (Dial., c. 135). Si ha così questo: negli scritti di Caterina l'umanità di Cristo è collocata proprio al centro di tutta la pietà cristiana, insieme con le verità di fede che nutrono la carità, come sono l'Eucarestia, le sofferenze di Cristo e il suo preziosissimo Sangue. La Chiesa, poi, per Caterina, non è altro che Cristo (lett. 171), poichè nella carità diveznta una cosa sola con Cristo, come il Padre e il Figlio sono una cosa sola (cfr. Gv 17,21).
    Il suo impegno per la Chiesa e per il Sommo Pntefice fu così straordinario e singolare, da farle offrire la vita a Dio come vittima per essi (cfr. lett. 371), e questa determinazione fu così ferma, che nei durissimi anni del grande Scisma Occidentale contribuì molto col suo prestigio ad aumentare l'amore verso il Corpo Mistico di Cristo. La vergine Senese considerò sempre il Romano Pontefice come "il dolce Cristo in terra" (lett. 196), al quale si deve sempre amore e obbedienza; e chi non obbedisce a questo Cristo terrestre, che è una cosa sola col Cristo celeste (cfr. lett. 207), non partecipa al frutto del Sangue del Figlio di Dio. Quello poi che Caterina insegna della comunione che passa tra ognuno di noi e gli altri membri del Corpo Mistico, e anche del sacro ordine dei sacerdoti - i quali prestano la loro opera a Cristo come "ministri del Sangue" (Dial., c. 117) - e infine quello che dice riguardo a tutti i fedeli di Cristo, tutto ciò è perfettamente conforme auanto insegna il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, n. 23). Nè si può tacere su quanto si affaticò per la riforma dei costumi della Chiesa, e prima di tutti tra i sacri pastori, che essa con insistenza ammonisce di non permettere che per la loro incuria il gregge perisca: "Oimè, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, tòltogli è il colore, perchè gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il sangue di Cristo" (lett. 16 a un grande Prelato, forse il cardinale vescovo di Ostia).
    Non con le guerre si può restituire ad essa la primitiva bellezza, ma con una riconciliazione di pace e di quiete, con umili e incessanti preghiere e con sudori e lacrime dei servi di Dio (cfr. Dial., cc. 15 e 86). Le relazione poi che passano nella Chiesa tra gli uni e gli altri, in cui è posta la vita della Chiesa nell'insieme e nei singoli, si saldano nella carità, la cui forza e peso stringente sono di tale portata universale, che nessuno può piacere a Dio se non cerca d'essere utile al prossimo. Propria di caterina è poi l'immagine del "Ponte", cioè l'allegoria con cui Cristo, mandato dal Padre, è raffigurato come un ponte che congiunge la riva celeste con quella terrestre, e che passa per esso si salva.
    Per quanto la fama e il nome onorevole passassero moltissimo di bocca in bocca dopo la sua morte, però la sua virtù specchiata le ottenne grande gloria dappertutto già da viva. E prendendo alcuni esempi dai Sommi Pontefici, Gregorio XI ebbe sempre per lei una vera venerazione e ne volle francamente vedere "i libri e gli scritti"; e Pio II nel 1461 le decretò l'eccelso onore dei santi del cielo, scrivendo di sua mano, come egli stesso attesta, la lettera di canonizzazione "Misericordias Domini ", nella quale afferma: "Nessuno si accostò a lei senza ritornarne migliore e più erudito. La sua dottrina era infusa, non acquisita. Sembrava piuttosto maestra che discepola". Benedetto XIV eleva tali lodi della mirabile dottrina di Caterina, ricca di sapienza, da fargli dire che, a somiglianza di san Paolo, tale dottrina è "accesa del fuoco della carità.
    E ancora Urbano VIII approvò con la sua autorità le stigmate di Caterina.
    Pio IX, nei suoi tempi agitati, volle porre sotto la sua protezione la Sede di Pietro. Pio XII, nell'annunziare la proclamamzione di lei, con San Francesco, a Patrona primaria d'Italia, la chiamava "fortissima e piissima vergine", "decoro e difesa della patria e della religione".
    E Giovanni XXIII le dette solenne testimonianza, quando, nel 5° centenario della canonizzazione di questa Vergine beata invitò a celebrarla tutti i cristiani, "giovani e fanciulle, vecchi e giovinetti, gente d'ogni classe ed età, prìncipi e popolani"; e al tempo di quella commemorazione meritatamente lodò i suoi scritti il nostro predecessore, dicendo che: "si elevò così in alto da strappare l'ammirazione dei dotti, lei che istruiva senza essere stata isctruita. Le Lettere e il Dialogo sono e saranno anche in futuro come un amenissimo giardino di Dio, nel quale spandono odori balsamici i celesti segreti, le eccelse virtù e le amabili esortazioni".
    E noi, mossi da queste testimonianze, siamo giunti a quella decisione, che già da tempo avevamo in mente e che nel mese di ottobre 1967 comunicammo, e cioè che sarebbe bene collocare il nome di Santa caterina da Siena nel numero dei Dottori della Chiesa, col quale titolo, quando pensavamo a questo, nessuna santa donna era stata mai stata decorata. Trattandosi però di una cosa di massima importanza, affidammo l'incrico di studiare diligentemente la cosa alla Sacra Cangregazione dei Riti. Questa, dopoaver consultato uomini peritissimi, rispose affermativamente. Quindi il 20 dicembre dell'anno 1967, in una speciale "positio" (= seduta in cui si pone una questione) come viene chiamata, si discusse su questo dubbio: " Se si può concedere il titolo e l'onore di Dottore della Chiesa a quelle sante donne che per santità e dottrina esimia hanno contribuito molto al bene generale della Chiesa". Il dubbio fu cancellato dalla sentrenza dei Padri Cardinali e dei Prelati Officiali che eran presenti, i quali unanimamente affermarono che ciò si può fare. Noi stessi considerammo questa sentenza come valida e la confermammo il 21 marzo 1968 con la nostra deliberazione. Dopo ciò il diletto figlio Aniceto Fernandez, Maestro generale dell'Ordine dei Frati Predicatori, presentò a nome suo e di tutto l'Ordine, una supplica, con cui si chiedeva con grande insistenza che la Vergine senese Santa Caterina fosse annoverata fra i Dottori della Chiesa universale. Si unirono a questa anche le domande di molti cardinali, arcivescovi, vescovi, superiori generali di Ordini e Congregazioni religiose e rettori di università. Tutte queste lettere Noi ordinammo di passarle alla Sacra Congregazione dei Riti, perchè le giudicasse; la quale, esaminatele con gran diligenza, considerò la cosa e stabilì che fosse istruita la causa, raccogliendo varii studi di questo argomento corredati di abbondante dottrina. I Padri Cardinali preposti alla Sacra Congregazione per le cause dei Santi, alla quale compete il giudizio sul materiale raccolto, secondo la costituzione apostolica che incomincia con le parole "Sacra Ritum Congregatio" emanata l'8 maggio 1969, l'esaminarono e, tenuto conto dell'insigne santità di vita, dell'eminente dottrina e della sua benefica efficacia sulla vita della Chiesa, richiesti se giudicavano di poter procedere alla proclamazione di Santa caterina da Siena a Dottore della Chiesa, essi, nell'adunanza plenariadella stessa Sacra Congregazione tenuta il 2 dicembre 1969 in Vaticano, dopo aver udita la diligentissima relazione del Cardinale del card. Michele Browne, "ponente" di questa causa, furono concordi in questa sentenza: Santa Caterina da Siena è degna d'essere da Noi iscritta all'albo dei Dottori della Chiesa.
    Informati di tutto ciò il giorno 8 gennaio di quest'anno 1970, Noi approvammo ciò che avevano valutato i Padri Porporati e lo confermammo, stabilendo che si facesse con rito solenne.
    Oggi, dunque, con l'aiuto di Dio e il plauso di tutta la Chiesa, ciò è fatto. Nel tempio Petriano, dove una gran folla è convenuta d'ogni dove e specialmente dall'Italia, alla presenza di molti cardinali e Presuli della Curia Romana e della Chiesa Cattolica, confermando ciò che è stato fatto,accondiscendendo alle domande dei membri dell'Ordine dei Fr. Predicatori e soddisfacendo con grande piacere i dedesideri di tutti gli altri supplicanti, durante il sacrificio Eucaristico abbiamo pronunziato queste parole: "Con certa conoscenza e matura deliberazione e in forza della piena autorità apostolica, dichiariamo Santa Caterina, Vergine senese, Dottore della Chiesa universale".
    Ciò detto e ringraziato Dio con tutti i presenti, abbiamo tenuto un discorso sulla mirabile vita e dottrina del nuovo Dottore ed offerto la Vittima divina all'altare maggiore del tempio.
    Chiudendo ora questa lettera, decretiamo che queste cose si osservino religiosamente ed abbiano valore, sia ora che in futuro, nonostante qualsiasi contrarietà.
    Dato a Roma, presso S. Pietro, col sigillo del Pescatore, il 4 ottobre 1970, ottavo del nostro pontificato.

    PAOLO VI papa.

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    PROCLAMAZIONE DI SANTA CATERINA DA SIENA DOTTORE DELLA CHIESA OMELIA DEL SANTO PADRE PAOLO VI - Domenica, 3 ottobre 1970

    La spirituale esultanza che ha invaso l’animo Nostro nel proclamare Dottore della Chiesa la umile e sapiente vergine domenicana, Caterina da Siena, trova il riferimento più alto e, diremmo, la sua giustificazione nella gioia purissima esperimentata dal Signore Gesù, quando, come narra l’evangelista S. Luca, «trasalì di gioia nello Spirito Santo» e disse: «Io ti glorifico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti, e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché tale è stato il tuo beneplacito» (Luc. 10, 21; cfr. Matth. 11, 25-26).
    In verità, nel ringraziare il Padre per aver svelato i segreti della sua divina sapienza agli umili, Gesù non aveva presenti al suo spirito soltanto i Dodici, che egli aveva eletti tra il popolo incolto, e che avrebbe un giorno inviato, quali suoi apostoli, ad istruire tutte le genti e ad insegnare ad esse quanto aveva loro comandato (Cfr. Matth. 28, 19-20), ma altresì quanti avrebbero creduto in Lui, fra i quali innumerevoli sarebbero stati i meno dotati agli occhi del mondo.
    E questo si compiaceva di osservare l’Apostolo delle genti, scrivendo alla comunità della greca Corinto, città pullulante di gente infatuata di umana sapienza. «Considerate tra voi, o fratelli, quelli che (Dio) ha chiamato: non molti i sapienti secondo l’estimazione terrena; non molti i potenti; non molti i nobili. Ciò invece che è stolto per il mondo, Iddio scelse per confondere i sapienti; e ciò che è debole Iddio scelse per confondere quello che è forte; scelse ciò che per il mondo non ha pregio e valore, ciò che non esiste, per ridurre al nulla ciò che esiste, affinché nessuna creatura possa vantarsi dinanzi a Dio» (1 Cor. 1, 26-29).

    Tale scelta preferenziale di Dio per quanto è irrilevante o, magari, spregevole agli occhi del mondo era già stata annunciata dal Maestro, quando - in netta antitesi alle valutazioni terrene – aveva chiamato beati e candidati al suo Regno i poveri, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace (Cfr. Matth. 5, 3-10).
    Non è certo Nostra intenzione indugiare nel porre in rilievo come nella vita e nell’attività esterna di Caterina le Beatitudini evangeliche abbiano avuto un modello di superlativa verità e bellezza. Tutti voi, del resto, ricordate quanto ella sia stata libera nello spirito da ogni terrena cupidigia; quanto abbia amato la verginità consacrata al celeste sposo, Cristo Gesù; quanto sia stata affamata di giustizia e colma di viscere di misericordia nel cercare di riportare la pace in seno alle famiglie ed alle città, dilaniate da rivalità e da odi atroci; quanto si sia prodigata per riconciliare la repubblica di Firenze con il Sommo Pontefice Gregorio XI, fino ad esporre alla vendetta dei ribelli la propria vita. Né ci fermeremo ad ammirare le eccezionali grazie mistiche, di cui volle dotarla il Signore, tra le quali il mistico sposalizio e le sacre stigmate. Crediamo altresì non rispondente alla presente circostanza il rievocare la storia dei magnanimi sforzi, compiuti dalla Santa per indurre il Papa a ritornare alla sua legittima sede, Roma. Il successo che ella finalmente ottenne, fu veramente il capolavoro della sua operosità, che rimarrà nei secoli la sua gloria più grande e costituirà un titolo tutto speciale all’eterna riconoscenza per lei da parte della Chiesa.

    Crediamo, invece, opportuno in questo momento porre, sia pur brevemente, in luce il secondo dei titoli, che giustificano, in conformità al giudizio della Chiesa, il conferimento del Dottorato alla figlia dell’illustre Città di Siena: e cioè la peculiare eccellenza della dottrina.
    Quanto al primo titolo infatti, quello della santità, il suo riconoscimento solenne fu espresso, ed in ampia misura e con stile inconfondibile di umanista, dal Pontefice Pio II, suo concittadino, nella Bolla di Canonizzazione Misericordias Domini, di cui egli stesso fu l’autore (Cfr. M.-H. LAUKENT, OP., Proc. Castel., pp. 521-530; Trad. ital. di I. Taurisano, OP., S. Caterina da Siena, Roma 1948, pp. 665-673). La speciale cerimonia liturgica ebbe luogo nella Basilica di S. Pietro, il 29 giugno 1461.
    Che diremo dunque dell’eminenza della dottrina cateriniana? Noi certamente non troveremo negli scritti della Santa, cioè nelle sue Lettere, conservate in numero assai cospicuo, nel Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina e nelle «orationes», il vigore apologetico e gli ardimenti teologici che distinguono le opere dei grandi luminari della Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente; né possiamo pretendere dalla non colta vergine di Fontebranda le alte speculazioni, proprie della teologia sistematica, che hanno reso immortali i Dottori del medioevo scolastico. E se è vero che nei suoi scritti si riflette, e in misura sorprendente, la teologia dell’Angelico Dottore, essa vi compare però spoglia di ogni rivestimento scientifico. Ciò invece che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede, contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo, un carisma mistico.

    Caterina da Siena offre nei suoi scritti uno dei più fulgidi modelli di quei carismi di esortazione, di parola di sapienza e di parola di scienza, che S. Paolo mostrò operanti in alcuni fedeli presso le primitive comunità cristiane, e di cui volle che fosse ben disciplinato l’uso, ammonendo che tali doni non sono tanto a vantaggio di coloro che ne sono dotati, quanto piuttosto dell’intero Corpo della Chiesa: come infatti in esso - spiega l’Apostolo - «unico e medesimo (è) lo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole» (1 Cor. 12, 11) così su tutte le membra del mistico organismo di Cristo deve ridondare il beneficio dei tesori spirituali che il suo Spirito elargisce (Cfr. 1 Cor. 11, 5; Rom. 12, 8; 1 Tim. 6, 2; Tit. 2, 15).
    «Dottrina eius (scilicet Catharinae) non acquisita fuit; prius magistra visa est quam discipula» (Proc. Castel., 1. c.): così dichiarò lo stesso Pio II nella Bolla di Canonizzazione. Ed invero, quanti raggi di sovrumana sapienza, quanti urgenti richiami all’imitazione di Cristo in tutti i misteri della sua vita e della sua Passione, quanti efficaci ammaestramenti per la pratica delle virtù, proprie dei vari stati di vita, sono sparsi nelle opere della Santa! Le sue Lettere sono come altrettante scintille di un fuoco misterioso, acceso nel suo cuore ardente dall’Amore Infinito, ch’è lo Spirito Santo.

    Ma quali sono le linee caratteristiche, i temi dominanti del suo magistero ascetico e mistico? A Noi sembra che, ad imitazione del «glorioso Paolo» (Dialogo, c. XI, a cura di G. Cavallini, 1968, p. 27), di cui riflette talvolta anche lo stile gagliardo ed impetuoso, Caterina sia la mistica del Verbo Incarnato, e soprattutto di Cristo Crocifisso; essa fu l’esaltatrice della virtù redentivi del Sangue adorabile del Figliuolo di Dio, effuso sul legno della Croce con larghezza di amore per la salvezza di tutte le umane generazioni (Cfr. Dialogo, c. CXXVII, ed. cit., p. 325). Questo Sangue del Salvatore, la Santa lo vede fluire continuamente nel Sacrificio della Messa e nei Sacramenti, grazie al ministero dei sacri ministri, a purificazione ed abbellimento dell’intero Corpo mistico di Cristo. Caterina perciò potremmo dirla la mistica del Corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa.
    D’altra parte la Chiesa è per lei autentica madre, a cui è doveroso sottomettersi, prestare riverenza ed assistenza: «Ché - Ella osa dire - la Chiesa non è altro che esso Cristo» (Lettera 171, a cura di P. Misciatelli, III, 89).

    Quale non fu perciò l’ossequio e l’amore appassionato che la Santa nutrì per il Romano Pontefice! Noi oggi personalmente, minimo servo dei servi di Dio, dobbiamo a Caterina immensa riconoscenza, non certo per l’onore che possa ridondare sulla nostra umile persona, ma per la mistica apologia ch’ella fa dell’ufficio apostolico del successore di Pietro. Chi non ricorda? Ella contempla in lui «il dolce Cristo in terra» (Lettera 196, ed. cit., III, 211), a cui si deve filiale affetto ed obbedienza, perché : «Chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa del frutto del Sangue del Figliuolo di Dio» (Lettera 207, ed. cit., III, 270). E quasi anticipando, non solo la dottrina, ma il linguaggio stesso del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 23), la Santa scrive al Papa Urbano VI: «Padre santissimo . . cognoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa di conservare questo popolo (di Firenze) alla obbedienza e reverenza della Santità Vostra, perocché qui è il capo e il principio della nostra fede» (Lettera 170, ed. cit., III, 75).

    Ai Cardinali, poi, a molti Vescovi e sacerdoti, essa rivolge pressanti esortazioni, né risparmia forti rimproveri, sempre però in tutta umiltà e rispetto per la loro dignità di ministri del Sangue di Cristo. Né Caterina poteva dimenticare di essere figlia di un Ordine religioso, e tra i più gloriosi ed attivi nella Chiesa. Essa, quindi, nutre stima singolare per quelle che chiama le «sante religioni», che considera quasi vincolo di unione tra il Corpo mistico, costituito dai rappresentanti di Cristo (secondo una qualificazione sua propria), ed il corpo universale della religione cristiana, cioè i semplici fedeli. Esige dai religiosi fedeltà alla loro eccelsa vocazione, attraverso l’esercizio generoso delle virtù e l’osservanza delle rispettive regole. Non ultimi, nella sua materna sollecitudine, sono i laici, a cui indirizza vivaci e numerose lettere, volendoli pronti nella pratica delle virtù cristiane e dei doveri del proprio stato, animati da ardente carità per Iddio e per il prossimo, poiché anch’essi sono membra vive del Corpo mistico; ora, dice la Santa, «ella (cioè la Chiesa) è fondata in amore, ed è esso amore» (Lettera 103, a cura di G. Gigli).
    Come poi non ricordare l’opera intensa, svolta dalla Santa per la riforma della Chiesa? È principalmente ai sacri Pastori che essa rivolge le sue esortazioni, disgustata di santo sdegno per l’ignavia di non pochi di loro, fremente per il loro silenzio, mentre il gregge loro affidato andava disperso ed in rovina. «Ohimé, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue, scrive ad un alto prelato. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il Sangue di Cristo» (Lettera 16 al card. di Ostia, a cura di L. Ferretti, I, 85).

    E che cosa intendeva essa per rinnovamento e riforma della Chiesa? Non certamente il sovvertimento delle sue strutture essenziali, la ribellione ai Pastori, la via libera ai carismi personali, le arbitrarie innovazioni nel culto e nella disciplina, come alcuni vorrebbero ai nostri giorni. Al contrario, essa afferma ripetutamente che sarà resa la bellezza alla Sposa di Cristo e si dovrà fare la riforma «non con guerra, ma con pace e quiete, con umili e continue orazioni, sudori e lagrime dei servi di Dio» (Cfr. Dialogo, cc. XV, LXXXVI, ed. cit., pp. 44, 197). Si tratta, quindi, per la Santa di una riforma anzitutto interiore, e poi esterna, ma sempre nella comunione e nell’obbedienza filiale verso i legittimi rappresentanti di Cristo.
    Fu anche politica la nostra devotissima Vergine? Sì, indubbiamente, ed in forma eccezionale, ma in un senso tutto spirituale della parola. Ella, infatti, respinse sdegnosamente l’accusa di politicante, che le muovevano alcuni dei suoi concittadini, scrivendo ad uno di loro: «. . . E i miei cittadini credono che per me o per la compagnia ch’io ho meco, si facciano trattati: elli dicono la verità; ma non la cognoscono, e profetano; perocché altro non voglio fare né voglio faccia chi è con me, se non che si tratti di sconfiggere il dimonio e toglierli la signoria che egli ha presa dello uomo per lo peccato mortale, e trargli l’odio del cuore, e pacificarlo con Cristo Crocifisso e col prossimo suo» (Lettera 122, ed. cit., II, 253).

    La lezione pertanto di questa donna politica «sui generis» conserva tuttora il suo significato e valore, benché oggi sia più sentito il bisogno di far la debita distinzione tra le cose di Cesare e quelle di Dio, tra Chiesa e Stato. Il magistero politico della Santa trova la più genuina e perfetta espressione in questa sua lapidaria sentenza: «Niuno stato si può conservare nella legge civile e nella legge divina in stato di grazia senza la santa giustizia» (Dialogo, c. CXIX, ed. cit., p. 291).
    Non contenta di avere svolto un intenso e vastissimo magistero di verità e di bontà con la parola e con gli scritti, Caterina volle suggellarlo con l’offerta finale della sua vita, per il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, nell’ancor giovanile età di 33 anni. Dal suo letto di morte, circondata dai fedeli discepoli in una celletta presso la chiesa di S. Maria sopra Minerva, in Roma, essa rivolse al Signore questa commovente preghiera, vero testamento di fede e di riconoscente, ardentissimo amore: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in (vantaggio di) questo corpo mistico della santa Chiesa. Io non ho che dare altro se non quello che tu hai dato a me. Tolli il cuore, dunque, e premilo sopra la faccia di questa sposa» (Lettera 371, ed. L. Ferretti, V, pp. 301-302).
    Il messaggio perciò di una fede purissima, di un amore ardente, di una dedizione umile e generosa alla Chiesa Cattolica, quale Corpo mistico e Sposa del Redentore divino: questo è il messaggio tipico del nuovo Dottore della Chiesa, Caterina da Siena, a illuminazione ed esempio di quanti si gloriano di appartenerle. Raccogliamolo con animo riconoscente e generoso, perché sia luce della nostra vita terrena e pegno di futura e sicura appartenenza alla Chiesa trionfante del Cielo. Così sia!

    *****

    LETTERA APOSTOLICA AMANTISSIMA PROVIDENTIA DEL SOMMO PONTEFICE PAPA GIOVANNI PAOLO II PER IL VI CENTENARIO DEL TRANSITO DI S. CATERINA DA SIENA

    Venerati fratelli e diletti figli,
    salute e apostolica benedizione.

    INTRODUZIONE

    L'amabile provvidenza divina si manifesta in vari modi protagonista della storia, accendendo sempre nuove luci sul cammino dell'uomo. Spesso sceglie per questo delle persone apparentemente disadatte e ne eleva talmente le facoltà native, da renderle capaci di azioni assolutamente superiori alla loro portata. E questo fa non tanto per confondere la sapienza dei sapienti (1Cor 1,19), quanto per mettere in luce la sua opera, che non ha bisogno di sostegni umani, e per indicare più chiaramente agli uomini a quale dignità li eleva la sua grazia e a quali grandezze ancora maggiori può e vuole condurli la sua guida.

    Ciò è particolarmente evidente nella vita e nelle opere di santa Caterina da Siena, di cui quest'anno si celebra il sesto centenario della pia morte. Sono lieto per questo di additarla nuovamente all'esempio dei fedeli, non solo d'Italia, ma del mondo intero. In lei infatti il divino Spirito fece risplendere meravigliosi arricchimenti di grazia e di umanità, per mezzo dei doni di sapienza, d'intelletto e di scienza, coi quali la mente umana diventa estremamente sensibile alle divine ispirazioni, «nella conoscenza delle cose divine e delle umane» (S.Thomae «Summa Theologiae», I-IIae, q. 68, a. 5 ad 1).

    A lei si possono perciò applicare le parole del salmista: «Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato» (Sal 17 (18),37). E ancora: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (Sal 118 (119),32).

    L'esperienza umana e divina

    1. Le condizioni d'Italia e dell'Europa non erano felici, quando venne alla luce in Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava all'orizzonte la tristemente famosa «peste nera», che l'anno dopo infierì dovunque e seminò la desolazione e la morte in ogni paese e quasi in ogni famiglia.

    Altri mali funestavano il mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei cento anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle compagnie di ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è riempito, per tre quarti, dal soggiorno dei Papi in Avignone, e poi dal grande scisma d'occidente, che si prolungò fino al 1417. La storia della mantellata senese s'inserisce vivamente in queste situazioni e vi fa anche da protagonista.

    Figlia di un tintore di panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto coscienza dei bisogni del mondo e, attratta dall'ideale apostolico domenicano, volle entrare nelle file del terz'ordine o, come allora si diceva in Siena, tra le mantellate, le quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità, portavano l'abito bianco e il mantello nero dell'ordine dei predicatori. Giovanissima, già si distingueva per la carità verso i poveri e gli ammalati, la pazienza nel sopportare le maldicenze degli uomini e le battaglie interiori col demonio, la saggezza e l'umiltà degli atteggiamenti e dei pensieri.

    Intanto si esercitava in un coraggioso programma ascetico, basato su criteri efficienti, che avrebbe più tardi inculcati ai suoi discepoli: «Non lasciar passare i movimenti (della natura disordinata) che non siano corretti» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 73, p. 161; cfr. c. 60; «Epistulae», passim).

    Le si raggruppava poi intorno una varia accolta di discepoli d'ogni ceto, attratti dalla sua pura fede e dalla schietta accoglienza della parola di Dio, senza mezzi termini e senza compromessi. Erano laici, mantellate e religiosi di vari ordini, alcuni conquistati da fatti prodigiosi. Tutti ricevevano da lei una singolare assicurazione, di cui spesso sperimentavano la validità: quella d'assisterli dovunque fossero e di pagare anche per i loro errori (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 99).

    Il Signore la istruiva, come un maestro con la sua alunna, e le scopriva a grado a grado «quelle cose che sarebbero state utili all'anima sua» (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.]).

    Il progresso spirituale culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il sigillo di una vita votata all'isolamento e alla contemplazione. Invece il Signore, nel darle l'anello invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115). La popolana ventenne vedeva ciò in termini di separazione dallo Sposo celeste, ma egli invece la rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante la carità del prossimo» (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115), cioè contemporaneamente sul piano della mistica interiore e su quello dell'azione esteriore o della mistica sociale, com'è stato detto (J.Leclercq «La mystique de l'apostolat», 1922-1947).

    Fu come un'impennata verso più ampi spazi, che s'aprivano davanti alla sua mente e alla sua iniziativa. Passò dalla conversione di singoli peccatori alla riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla rappacificazione fra città e repubbliche. Non ebbe paura di passare tra le fazioni in armi né s'arrestò di fronte al dilatarsi degli orizzonti, che da principio l'avevano spaventata fino al pianto. L'impulso del maestro divino svelò in lei come un'umanità d'accrescimento. Per lei, figlia d'artigiani e donna senza lettere, cioè senza scuola né istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi superò enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la sua azione in termini mondiali. Al suo ardire non c'eran più limiti, né alla sua ansia per la salvezza degli uomini. Un giorno, racconta lei stessa, il Signore le dette «la croce in collo e l'ulivo in mano», da portare all'uno e all'altro popolo, il cristiano e l'infedele, come se Cristo la sollevasse alle proprie dimensioni universali della salvezza (S.Catharinae Senensis «Epist.» 219 vel LXV).

    Per renderla più conforme al suo mistero di redenzione e prepararla al suo indefesso apostolato, il Signore concesse a Caterina il dono delle stigmate. Ciò avvenne nella chiesa di Santa Cristina, a Pisa, il 1° aprile 1375.

    Caterina ha 29 anni ed è giunta al punto di rendersi conto della grandezza del suo compito: «ricomporre l'equilibrio della cristianità» (G.La Pira, in Comm. «Vita Cristiana», 1940, p. 206). Da anni propugnava il «santo passaggio», cioè la crociata per la liberazione dei luoghi santi, sia per distogliere le armi cristiane dalle guerre fratricide (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 206, vel LXIII), sia per dare «il condimento della fede» agli infedeli (S.Catharinae Senensis «Epist.» 218 vel LXXIV).

    Nella stessa maniera, e se possibile anche più appassionata, incoraggiava il Papa alla riforma morale della Chiesa, cominciando con l'elezione di buoni pastori. Su questo tema trovava gli accenti più infiammati, perché per lei «la Chiesa non è altro che esso Cristo» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 171 vel LX). Ella rimprovera e denunzia i disordini, ma con animo tutto accorato, manifestando per la Chiesa una tenerezza materna, accoppiata a virilità di proposte, quando scrive a Gregorio XI: «Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta impallidita, perché gli poniate il colore» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 231 vel LXXVII). «Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue le è succhiato per l'iniqui devoratori che è tutta impallidita» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII).

    Ormai s'avvicina il momento della sua impresa più gloriosa. Nel giugno 1376 si recò ad Avignone, come mediatrice di pace tra la santa Sede e Firenze. La questione era difficile: si sarebbe risolta due anni dopo, non senza una sua nuova mediazione. Ma Caterina aveva a cuore cose anche più grandi. S'era fatta precedere dal suo confessore fra Raimondo da Capua, affidandogli la lettera ora citata, in cui espone al pontefice «da parte di Cristo crocifisso» le tre principali cose che egli deve fare per avere pace in ogni direzione: piantare degni pastori, innalzare il gonfalone della croce per la crociata, e riportare la sede papale a Roma.

    Le sue parole risuonano di una forte eco profetica, specialmente quando tocca il tasto della povertà della Chiesa e del danno che le porta la cura dei beni temporali. Sul ritorno del vicario di Cristo alla sua sede non ha titubanza: «Rispondete allo Spirito Santo che vi chiama. Io vi dico: venite, venite, venite». E, dopo averlo esortato a venire «come agnello mansueto», per ridare forza al suo messaggio, aggiunge con rispettosa franchezza: «siatemi uomo virile e non timoroso» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII). La pena della lunga attesa e della rovina delle anime le strappa dal cuore, in una lettera successiva, questo grido: «Oimé, Padre, io muoio di dolore e non posso morire» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 196 vel LXIV).

    Giunta ad Avignone il 18 giugno, poté far valere a voce, anche in incontri diretti col Papa, il senso improrogabile del dovere, parlandogli senza presunzione né timidezza. Il pio pontefice che tardava a prendere l'ultima decisione dovette convincersi che per bocca di lei parlava realmente il Signore e lo certificava della sua volontà. Gregorio XI lasciò definitivamente Avignone il 13 settembre 1376 ed entrò in Roma fra un delirio di popolo festante il 17 gennaio 1377.

    Più tardi dopo una lunga missione in Valdorcia Caterina riprese in mano la questione della pace coi fiorentini, corse anche pericolo, in uno dei tumulti dell'estate 1378, di essere uccisa; e lei, che s'era vista a un punto dal martirio, scriveva poi quasi delusa: «Lo Sposo eterno mi fece una grande beffa» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 295).

    Purtroppo quell'anno, scomparso Gregorio XI ed eletto tra burrascosi incidenti Urbano VI, uomo devoto all'austerità dei costumi e all'ideale della riforma morale, scoppiò il grande scisma, che doveva turbare l'unità della Chiesa per quasi quarant'anni. La santa, che pur l'aveva previsto, sentì penetrare nella sua carne la ferita della Chiesa. Ormai era da abbandonare ogni altro pensiero e dedicarsi con tutte le forze a lottare per l'unità del corpo mistico e per l'unico vero Papa. D'ora in poi le sue lettere infocate si potranno chiamare messaggi dell'unità cristiana. L'amore per il Papa e la Chiesa brucia la sua anima.

    Naturale che all'invito d'Urbano accorresse a Roma: doveva agire sul cuore stesso della Chiesa. Suggerì e incoraggiò la raccolta intorno al «dolce Cristo in terra» di uomini di puro spirito, per assisterlo col consiglio, la preghiera e il prestigio della vita santa. La sua abitazione in via del Papa (significativo!) diventò un centro d'attività diplomatica. Lettere e messaggeri partivano per ogni dove: ai potenti d'Italia e ai regnanti d'Europa, ai Cardinali ribelli e ai servi di Dio da rincuorare. Animava i soldati che combattevano per Urbano, placava il popolo romano tumultuante, frenava gli impeti del pontefice, andava con fatica a pregare sulla tomba dell'apostolo in san Pietro. Fu un anno e mezzo d'attività logorante e di spasimanti orazioni: «O Dio eterno, ricevi il sacrificio della vita mia in questo corpo mistico della santa Chiesa» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 371). Così, tra invocazioni e desideri struggenti, si spense a Roma la domenica 29 aprile 1380, a trentatré anni come il suo Sposo crocifisso.

    Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove si venera sotto l'altare maggiore; mentre il capo fu inviato a Siena, dove fu accolto trionfalmente dal clero e dal popolo, presente anche la madre di Caterina, Lapa, e conservato nella Chiesa di San Domenico.

    Caterina fu canonizzata dal sommo pontefice Pio II con la Bolla «Misericordias Domini», del 29 giugno 1461. Ella venne così solennemente additata alla Chiesa universale come modello di santità, esempio di una sublime grandezza, cui una semplice donna può giungere con la grazia dell'Onnipotente.

    Gli scritti

    2. Letterariamente santa Caterina è un caso singolare. Non è mai andata a scuola, né sapeva leggere e scrivere, se non forse molto tardi e imperfettamente. Eppure ha dettato un complesso di scritti, che ne fanno un classico di notevole rilievo nella letteratura trecentesca italiana e tra gli scrittori mistici, tanto da meritarle il titolo di dottore della Chiesa, conferitole da sua santità Paolo VI il 4 ottobre 1970.

    Sono rimaste di lei 381 «Lettere», dirette ad ogni genere di persone, umili e grandi. E' un epistolario di ricca spiritualità, specchio di un'anima che vive intensamente ciò che esprime, e trova accenti schietti e toni di toccante eloquenza, spesso anche poetici. Vi arde una costante passione per l'uomo immagine di Dio e peccatore, per Cristo redentore, per la Chiesa che è il campo in cui il salvatore fa fruttificare il tesoro del suo sangue nella salvezza dell'uomo.

    Vive in esse uno spirito sensibile a tutti i travagli dell'umanità, un'immaginazione fervida, una fede che arroventa la parola nel denunziare i vizi, ma l'addolcisce fino alla tenerezza nell'ammonire i tiepidi e nel sollevare i deboli. Non c'è niente di falso e di convenzionale, ma schietto vigore anche nella pietà.

    Inoltre santa Caterina, tra il 1377 e 1378, dettò in varie riprese un libro, che viene ordinariamente intitolato «Dialogo della Divina Provvidenza o della Divina dottrina», nel quale l'anima di lei, in colloquio estatico col Signore, riferisce ciò che l'eterna verità le dice, rispondendo alle sue domande riguardo al bene della Chiesa e dei suoi figli e del mondo intero. Il libro è caratterizzato da accento profetico, da equilibrio di pensiero e da lucidità d'espressione. Tocca i misteri più augusti della nostra religione e i problemi più ardui dell'ascetica e della mistica. Il pensiero vigile e implorante è rivolto ai fratelli del mondo, che vede perdersi nei sentieri del peccato e che cerca di scuotere dal torpore mortale: mentre con fine intuizione psicologica getta fasci di luce sulla via della perfezione, esaltando l'elevazione dell'uomo il quale, nella sequela di Cristo obbediente, trova la via sicura verso la Trinità beata. Ampiezza di prospettive, aderenza di analisi esperienziali e fiammeggiare d'immagini e di concetti, fanno di quest'opera «uno dei gioielli della letteratura religiosa italiana» (E. Underhill, «Mysticism.», p. 467).

    Infine ci sono le «Orazioni», raccolte dalle sue labbra negli ultimi anni di vita, quando la santa effondeva la sua anima e la sua ansia, nel parlare con immediatezza al Signore. Sono autentiche improvvisazioni, che salgono spontanee dalla mente immersa nella luce divina e dal cuore dolente per le miserie degli uomini, senza banalità di concetti o di petizioni, ma con tono passionale e confidente, e con espressioni spesso ardite ma di assoluta ortodossia.

    L'immagine più espressiva e ampia di questa maestra di verità e d'amore è quella del ponte, una costruzione simbolica che anticipa in qualche modo la «Salita del monte Carmelo» di san Giovanni della Croce. L'allegoria descrive, in succinta e fine analisi psicologica, il cammino dell'uomo che sale dal peccato al vertice della perfezione. La caratterizza un'accentuazione cristologica. su cui s'appoggia tutta la struttura. Infatti il ponte è Gesù Cristo, sia con la figura del suo corpo innalzata sulla croce, sia con la sua dottrina, sia con la sua grazia.

    Sul baratro invalicabile aperto dal peccato e solcato dal fiume vorticoso della corruzione mondana, fu gettato a ricongiungere la terra col cielo, quando il Figlio di Dio s'incarnò, unendo in sé la natura divina con la natura umana (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 21-22; cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 272). E' l'unica via per coloro che vogliono veramente giungere alla vita eterna. Ogni uomo, seguendo l'attrazione della grazia di Cristo (trarrò tutto a me), si libera gradatamente dal peccato, dal timore imperfetto o servile e dall'amor proprio sia sensibile che spirituale, fino ad essere spoglio d'ogni imperfezione.

    Contemporaneamente si attua il cammino in ascesa, ch'è tutto nel segno dell'amore. Caterina infatti è con san Tommaso e coi migliori teologi, nel pensare che la perfezione «sta nella virtù della carità» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 11); e concorda anche col Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5), sia in questo, sia nell'universalità della chiamata alla santità (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 53). Perciò segna su Cristo-ponte tre gradi (da lei detti «scaloni») di ascensione spirituale, che significano tanto le tre potenze dell'anima tratte in alto dall'amore, quanto i tre stati progressivi dello spirito: imperfetti, perfetti, perfettissimi (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 26)

    Si ha quindi un ponte-scala, col primo grado che è l'amore di servo, il secondo che è l'amore di amico, il terzo che è l'amore di figlio (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 56-57). La divisione ternaria non è puramente schematica e tradizionale, ma è didatticamente accompagnata da annotazioni particolari, caratterizzanti i gradi dell'evoluzione verticale e il modo di superare le tappe inferiori, con un'aderenza psicologica fondata sull'osservazione dell'esperienza spirituale.

    Anche i seguenti capitoli del «Dialogo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 87-96), che si usa chiamare «Trattato delle lacrime», procedono su una medesima via ascendente ma con assoluta originalità di schema, che dimostra nella santa una maestra dalla personalità propria e dalla didattica matura e precisa, pur nell'improvvisazione del dettato.

    Tuttavia il progresso spirituale non è limitato all'ambito personale. Santa Caterina è troppo compresa dell'esistenza degli altri e dell'importanza del prossimo; e molto insiste sulla inscindibilità dell'amore del prossimo dall'amore di Dio, come del resto mette in evidenza lo stesso Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5). Di lei è la sorprendente affermazione, messa in bocca al Signore: «Io ti fo sapere che ogni virtù si fa col mezzo del prossimo, e ogni difetto» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 6).

    Caterina intende dire che, per la comunione della carità e della grazia, il prossimo è sempre coinvolto nel bene e nel male che facciamo (cfr. T.Deman, «La parte del prossimo nella vita spirituale secondo il "Dialogo"», in «Vita Cristiana», 1947, n. 3, pp. 250-258). Ma il suo pensiero va più in là: il prossimo è il «mezzo» per eccellenza per la carità in atto, il luogo dove ogni virtù si esercita necessariamente, se non esclusivamente.

    Dice l'eterno Padre: l'anima, «come in verità m'ama, così fa utilità al prossimo suo;... e tanto quanto l'anima ama me, tanto ama lui, perché l'amore verso di lui esce di me. Questo è quello mezzo, che Io v'ho posto acciò che esercitiate e proviate la virtù in voi, che non potendo fare utilità a me, dovetela fare al prossimo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7).

    Questo principio, ribadito innumerevoli volte, fa del prossimo il terreno su cui si esprime, si esercita, si prova e misura la carità fraterna, la pazienza, la giustizia sociale. Nel contatto con gli altri, gli stessi contrasti diventano mezzo di verifica delle azioni virtuose (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc. 7-8): restando fermo il confronto esistenziale con l'amore di Dio: «Con quella perfezione con cui amiamo Dio, con quella amiamo la creatura ragionevole» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 263; cfr. «Dialogus», cc. 7 et 64).

    L'insistenza sul principio di solidarietà serve anche a dimostrare la radice profonda della fraternità umana insegnataci da Cristo. Gli uomini vivono questa realtà: ognuno è quasi complemento degli altri. La provvidenza li ha creati dotandoli di qualità fisiche e morali differenziate da individuo a individuo, sicché ognuno ha bisogno degli altri, «acciò che abbiate materia, per forza, d'usare la carità l'uno con l'altro» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7) e siano tutti legati dal bisogno dell'aiuto reciproco, come le membra nel corpo (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 148).

    Similmente nella Chiesa universale c'è solidarietà tra settore e settore. Ciò è figurato nell'allegoria delle tre vigne: la personale, quella del prossimo e quella universale del Popolo di Dio. Le prime due sono tanto unite, «che niuno può fare bene a sé che non facci al prossimo suo, né male che no 'l facci a lui» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). Ma nella solidarietà con la terza vigna sta il senso dell'equilibrio e dell'ordine cateriniano. E' nella vigna universale che è piantata l'unica vite vera, Gesù Cristo, sulla quale ogni altra dev'essere innestata per riceverne vita (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). In essa il principale lavoratore è il Papa, «Cristo in terra, il quale ci ha a ministrare il sangue» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 313 et 321); da lui ogni altro lavoratore dipende, per obbedienza e perché lui «tiene le chiavi del sangue dell'umile Agnello» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 339; cfr. «Epist.» 309 et 305).

    Immagini trasparenti del primato di Pietro - primato di magistero e di governo voluto dalla «prima dolce Verità» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 24 vel X) - che salda istituzione e carisma in Cristo, unica fonte di essi.

    A tale logica si è ispirata tutta l'azione di questo angelo tutelare della Chiesa a pro del pontificato romano.

    CONCLUSIONE

    Il ruolo eccezionale svolto da Caterina da Siena, secondo i piani misteriosi della provvidenza divina, nella storia della salvezza, non si esaurì col suo felice transito alla patria celeste. Ella, infatti, ha continuato ad influire salutarmente nella Chiesa sia con i suoi luminosi esempi di virtù, sia con i suoi mirabili scritti. Perciò i sommi pontefici, miei predecessori, ne hanno concordemente esaltata la perenne attualità, proponendola continuamente all'ammirazione ed all'imitazione dei fedeli.

    Il sommo pontefice Pio II, nella bolla di canonizzazione, la chiamò con parole quasi profetiche: «Illustris et indelebilis memoriae virginem» (Pii II «Misericordias Domini: Bullar. Roman.», V, a. 1860, p. 165). Pio IX la proclamò (1866) seconda patrona di Roma. San Pio X la propose come modello alle donne di Azione Cattolica, nominandola loro patrona. Pio XII proclamò san Francesco d'Assisi e santa Caterina da Siena primari patroni d'Italia, con la lettera apostolica «Licet Commissa» del 18 giugno 1939; e, nel memorabile discorso in onore dei due santi, tenuto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva il 5 maggio 1940, il Papa tributò alla santa senese questo splendido elogio: «In questo servizio della Chiesa voi ben comprendete, diletti figli, come Caterina precorra i nostri tempi, con un'azione che amplifica l'anima cattolica e la pone al fianco dei ministri della fede, suddita e cooperatrice nella diffusione e difesa del vero e della restaurazione morale e sociale del vivere civile» (Pio XII «Discorsi e Radiomessaggi», II [1949] 100). Né meno palpitanti di attualità sono state le ripetute lodi che alla figura e all'attività apostolica di Caterina, tributò il sommo pontefice Paolo VI, in occasione della festa annuale di lei. Mi sembrano, fra le altre, altamente significative per i tempi nostri le seguenti parole del mio venerato predecessore. «Santa Caterina, disse egli il 30 aprile 1969, ha amato la Chiesa nella sua realtà che, come sappiamo, ha un duplice aspetto: uno mistico, spirituale, invisibile, quello essenziale e fuso con Cristo redentore glorioso, il quale non cessa di effondere il suo sangue (chi ha parlato tanto del sangue di Cristo, quanto Caterina?), sul mondo attraverso la sua Chiesa; l'altro umano, storico, istituzionale, concreto, ma non mai disgiunto da quello divino. V'è da chiedersi se mai i nostri moderni critici dell'aspetto istituzionale della Chiesa siano capaci di cogliere questa simultaneità» («Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 941). Ma Paolo VI testimoniò con ancor maggiore autorità la sua stima per il perenne valore della dottrina ascetica e mistica di santa Caterina, allorché la elevò, insieme a santa Teresa d'Avila, alla dignità di dottore della Chiesa e ne celebrò la sovrumana sapienza nella Basilica di san Pietro, il 4 ottobre 1970 («Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 982-988)

    Nella vita e nell'attività, sia letteraria che apostolica, di santa Caterina da Siena si è in realtà verificato quanto ho avuto l'occasione di ricordare a un gruppo di Vescovi nella loro visita «ad limina». «Lo Spirito Santo è attivo nell'illuminare le menti dei fedeli con la sua verità, e nell'infiammare i loro cuori col suo amore. Ma queste intuizioni di fede e questo «sensus fidelium» non sono indipendenti dal magistero della Chiesa, che è uno strumento dello stesso Spirito Santo ed è assistito da lui. Solo quando i fedeli sono stati nutriti della parola di Dio, fedelmente trasmessa nella sua purezza ed integrità, i loro carismi propri diventano pienamente operativi e fecondi» (cfr. Ioannis Pauli PP. II «Allocutio Indorum Episcoporum coetui habita, occasione oblata eorum visitationis "ad limina"», die 31 maii 1979: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II [1979] 1354-1358).

    Possa, dilettissimi fratelli e figli, l'esempio di santa Caterina da Siena, la cui vita fu così mirabilmente attiva e feconda per la sua patria e la Chiesa, perché docile all'«instinctus» dello Spirito Santo e guidata dal magistero della Chiesa, suscitare in moltissime anime una più viva ammirazione e desiderio;o di imitazione delle sue eroiche virtù. Avremo così una nuova conferma che la sua morte fu veramente - ed è tuttora - «preziosa al cospetto del Signore», com'è «la morte dei suoi santi» (Sal 116,15).

    Con tali sentimenti nostro animo, a voi, venerabili fratelli e figli diletti d'Italia, nonché a tutti coloro che ovunque nel mondo ricordano tale ricorrenza centenaria del transito di santa Caterina da Siena, e in particolare all'ordine dei frati predicatori e alle monache e sorelle consacrate a Dio secondo la regola di vita della sua famiglia religiosa, imparto benevolmente la benedizione apostolica.

    Dato a Roma, in san Pietro, il 29 aprile, nella memoria di santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, nell'anno 1980, secondo del nostro Pontificato.

    ******

    MOTU PROPRIO DI PAPA GIOVANNI PAOLO II CON IL QUALE VENGONO PROCLAMATE PATRONE D'EUROPA SANTA BRIGIDA DI SVEZIA, SANTA CATERINA DA SIENA E SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE (EDITH STEIN) - San Pietro 1 ottobre 1999.

    1. La speranza di costruire un mondo più giusto e più degno dell'uomo, acuita dall'attesa del terzo millennio ormai alle porte, non può prescindere dalla consapevolezza che a nulla varrebbero gli sforzi umani se non fossero accompagnati dalla grazia divina: "Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori" (Sal 127 -126, 1).
    Di questo non possono tenere conto anche quanti si pongono in questi anni il problema di dare al'Europa un nuovo assetto, che aiuti il vecchio Continente a far tesoro delle ricchezze della sua storia, rimuovendo le tristi eredità del passato, per rispondere con originalità radicata nelle migliori tradizioni alle istanze del mondo che cambia.
    Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale, consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei molteplici cantributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli.
    La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente e Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi.
    Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando l'unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i processi di distacco della cultura dell'orizzonte della fede, il ruolo di quest'ultima ha continuato ad essere di non scarso rilievo.
    Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo dato, e i cristiani sono chiamati a prendere rinnovata coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno il dovere di offrire alla costruzione dell'Europa uno specifico contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo.
    Si faranno così continuatori di quella lunga storia di santità che ha attraversato le varie regioni d'Europa nel corso di questi due millenni, nei quali i santi ufficialmente riconosciuti non sono che i vertici proposti come modelli per tutti. Innumerevoli sono infatti i cristiani che con la loro vita retta ed onesta, animata dall'amore di Dio e del prossimo, hanno raggiunto nelle più diverse vocazioni consacrate e laicali una santità vera e grandemente diffusa, anche se nascosta.

    2. La Chiesa non dubita che proprio questo tesoro di santità sia il segreto del suo passato e la speranza del suo futuro. E' in esso che meglio si esprime il dono della Redenzione, grazie al quale l'uomo è riscattato dal peccato e riceve la possibilità della vita nuova in Cristo. E' in esso che il Popolo di Dio in cammino nella storia trova un sostegno impareggiabile, sentendosi profondamente unito alla Chiesa gloriosa, che in Cielo canta le lodi dell'Agnello (cfr. Ap 7, 9-10) mentre intercede per la comunità ancora pellegrina sulla terra. Per questo, fin dai tempi più antichi, i santi sono stati guardati dal Popolo di Dio come protettori e con una singolare prassi, cui certo non è estraneo l'influsso dello Spirito Santo, talvolta su istanza dei fedeli accolta dai Pastori stessi, le singole Chiese, le regioni e persino i Continenti, sono stati affidati allo speciale patronato di alcuni Santi.
    In questa prospettiva, celebrandosi la Seconda Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, nell'imminenza del Grande Giubileo dell'anno 2000, mi è parso che i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall'invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia. Per questo, dopo opportuna consultazione, completando quanto feci il 31 dicembre 1980, qaundo dichiarai compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, due santi del primo Millennio, i fratelli Cirillo e Metodio, pionieri dell'evangelizzazione dell'Oriente, ho pensato di integrare la schiera dei celesti patroni con tre fugure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche - due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo - si sono segnalate per l'amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce.

    3. Naturalmente il panorama della santità è così vario e ricco, che la scelta di nuovi celesti patroni avrebbe potuto orientarsi anche verso altre degnissime figure, che ogni epoca e ogni regione possono vantare. Ritengo tuttavia particolarmente significativa l'opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna.
    In realtà la Chiesa non ha mancato, fin qui dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, pur risentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l'attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo. Un impulso costante è stato offerto dall'icona di Maria, la "donna ideale", la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente forza d'animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella "chiesa domestica" che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno offerto alla Chiesa un'indicazione preziosa per cogliere pienamente il disegno di Dio per la donna. Esso del resto ha già in alcune pagine della Scrittura, e in particolare nell'atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche l'opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d'Europa.
    Il motivo poi che mi ha orientato specificamente ad esse sta nella loro vita stessa. La loro santità, infatti, si espresse in circostante storiche e nel contesto di ambiti "geografici" che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo. Santa Brigida rinvia all'estremo Nord dell'Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo. Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in un tempo in cui il Successsore di Pietro risiedeva ad Avignone, portando a compimento un'opera spirituale già iniziata da Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sede propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo e nell'immane vergogna della "shoah". Essa è divenuta così l'espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo. (...)

    6. Di poco posteriore è l'altra grande figura di donna, santa Caterina da Siena, il cui ruolo negli sviluppi della storia della Chiesa e nello stesso approfondimento dottrinale del messaggio rivelato ha avuto riconoscimenti significativi, che sono giunti fino all'attribuzione del titolo di Dottore della Chiesa.
    Nata a Siena nel 1347, fu favorita fin dalla prima infanzia di straordinarie grazie che le permisero di compiere, sulla via spirituale tracciata da San Domenico, un rapido cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità. Aveva vent'anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione attraverso il mistico simbolo dell'anello sponsale. Era il coronamento di un'intimità maturata nel nascondimento e nella contemplazione, grazie alla costante permanenza, pur al di fuori delle mura di un monastero, entro quella spirituale dimora che ella amava chiamare la "cella interiore". Il silenzio di quella cella, rendendola dolcissima alle divine ispirazioni, poté coniugarsi ben presto con un'operosità apostolica che ha dello straordinario. Molti, anche chierici, si raccolsero intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una spirituale maternità le sue lettere si diramarono per l'Italia e per l'Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche ecclesiali e sociali della sua epoca.
    Instancabile fu l'impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa. Additando "Cristo Crocifisso e Maria dolce" ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione.

    7. Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangerlo. Di qui l'urgenza della riforma dei costumi che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro "proprietà": consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di mantenervi "la santa e vera giustizia", facendosi "padri dei poveri" (cfr. Lettera 235 al Re di Francia). L'esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica(cfr. Lettera n. 357 al Re d'Ungheria).
    Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza nella loro vita e nel loro ministero pastorale. Fa una certa impressione il tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti, vescovi, cardinali. Occorreva sradicare - ella diceva - dal giardino della Chiesa le piante fradice sostiutendole con "piante novelle" fresche e olezzanti. E forte della sua intimità con Cristo, la santa senese non temeva di indicare con franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come "dolce Cristo in terra", la volontà di Dio che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone e Roma, presso la tomba di Pietro. Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell'elezione papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni irrinunciabili della comunione. Era quello l'ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la sua vita spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: "Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa" (Beato Raimondo da Capua, Vita di Santa Caterina da Siena, Lib. III, c. IV).
    (...) Proprio questo annuncio di speranza ho inteso avvalorare additando a una rinnovata devozione, in prospettiva <<europea>>, queste tre grandi figure di donne, che in epoche diverse hanno dato un contribuito così significativo alla crescita non solo spirituale della Chiesa, ma della stessa società.
    Per quella comunione dei santi, che unisce misteriosamente la Chiesa terrena a quella celeste, esse si fanno carico di noi nella loro perenne intercessione davanti al trono di Dio. Al tempo stesso, l'invocazione più intensa ed il riferimento più assiduo ed attento alle loro parole ed ai loro tempi non possono non risvegliare in noi una più acuta consapevolezza della nostra comune vocazione alla santità, spingendoci a conseguenti propositi di impegno più generoso.
    Pertanto dopo matura considerazione, in forza della mia potestà apostolica, costituisco e dichiaro celesti Compatrone di tutta l'Europa presso Dio S. Brigida di Svezia, S. Caterina da Siena, S. Teresa Benedetta della Croce, concedendo tutti gli onori e privilegi liturgici che competono secondo il diritto ai patroni principali dei luoghi.
    Sia gloria alla Santissima Trinità, che rifulge in modo singolare nella loro vita e nella vita di tutti i santi. Sia pace agli uomini di buona volontà, in Europa e nel mondo intero.
    Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° ottobre dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato.



    Andrea Vaccaro, Estasi di S. Caterina da Siena, 1659, Basilica di S. Maria della Sanità, Napoli. Nel dipinto di Vaccaro la santa è in atteggiamento estatico, in atto di ricevere le stimmate luminose da Gesù che le è apparso tra una gloria di angeli. Sulle stimmate di santa Caterina ci fu una lunga controversia tra Domenicani e Francescani. Questi ultimi ritenevano che solo san Francesco era stato stigmatizzato. La polemica culminò nel divieto di Sisto IV di raffigurare le stimmate, finché Urbano VIII (1630) decise a favore di stimmate luminose, qui rappresentate come raggi di luce. Nella tela di Vaccaro, tra i testimoni dell’evento c’è un domenicano incappucciato, Raimondo da Capua, confessore nonché biografo di santa Caterina.

    Pierre Subleyras, Matrimonio mistico di S. Caterina da Siena, 1740-45, Collezione privata

    Pompeo Batoni, Estasi e stigmatizzazione di S. Caterina da Siena, 1743, Museo di Villa Guinigi, Lucca

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    Predefinito Dal "Dialogo della divina Provvidenza" di santa Caterina da Siena.

    Capp. 153 e 167. Messaggio di santa Caterina da Siena. Vincenziane, 1970, 326‑327.172‑175. Testo adattato.

    O Padre eterno! O fuoco e abisso di carità! 0 eterna bellezza, o eterna sapienza. o eterna bontà, o eterna clemenza! O speranza, o rifugio dei peccatori! O larghezza inestimabile, o eterno e infinito bene! O pazzo d'amore! E hai tu bisogno della tua creatura? Si, a me sembra, perché tu hai modi tali come se tu senza di lei non potessi vivere, sebbene tu sia la vita e ogni cosa abbia vita da te, e senza di te nessuna cosa vive (Gv 1,3‑4).

    E perché mai sei cosi impazzito? Perché t'innamorasti della tua fattura, ti compiacesti e dilettasti in lei, e come ebbro della sua salute la vai cercando mentre ella ti fugge e più si allontana e più a lei ti avvicini; e più vicino non potevi venire che vestendoti della sua umanità.

    Che dirò mai? Faro come chi balbetta e dirò: "A, a"; perché non so dire altro che questo: la mia lingua finita non può esprimere l'intimo affetto dell'anima che infinitamente desidera te.

    Grazie siano rese a te, Padre eterno, che non hai disprezzato me, tua creatura; non hai voltata la tua faccia da me, ne hai disprezzati I miei desideri.

    Tu, luce, non hai guardato alle mie tenebre; tu, vita, non hai guardato a me che sono morte; tu, medico, alle mie gravi infermità; tu, eterna purità, a me che sono piena del fango di molte miserie; tu, che sei infinito, a me che sono finita; tu, sapienza, a me che sono stoltezza.

    Per tutti questi ed altri infiniti mali e difetti che sono in me, la tua sapienza, la tua bontà, la tua clemenza e il tuo infinito bene non mi hanno disprezzata, ma nella tua luce mi hai riempita di luce (Sal 35,10). Nella tua sapienza ho conosciuto la verità, nella tua clemenza ho trovato la tua carità e la dilezione del prossimo. Chi ti ha costretto a far questo? Non le mie virtù, ma solo la tua carità.

    Questo medesimo amore ti costringa ad illuminare l'occhio del mio intelletto con la luce della fede, perché io conosca e intenda la tua verità, che hai manifestata a me. Concedimi che la mia memoria ricordi sempre i tuoi benefici, la mia volontà arda nel fuoco della tua carità e questo fuoco faccia germogliare e sprizzare dal mio corpo il sangue in modo che con questo sangue, dato per amore del sangue tuo, e con la chiave dell'obbedienza io disserri la porta del cielo.

    Questa medesima cosa ti domando dall'intimo del mio cuore per ogni creatura umana, in generale e in particolare, e per il corpo mistico della santa Chiesa. lo confesso e non lo nego che tu mi amasti prima che lo fossi, e che tu mi ami ineffabilmente, come pazzo della tua creatura.

    O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l'unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue del tuo unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile. e l'anima, saziandosi nel tuo abisso. non si sazia mai, ma le rimane sempre la fame di vederti con la luce della tua luce(Sal 35,10).

    Come il cervo desidera la fonte dell'acqua viva (Sal 41, 2), cosi la mia anima desidera di uscire dal carcere del corpo tenebroso per vedere te In verità. Quanto tempo ancora sarà nascosta la tua faccia agli occhi miei (Sal 41, 3)?

    O Trinità eterna, fuoco e abisso di carità, dissolvi la nuvola del mio corpo! La conoscenza che tu mi hai dato di te nella tua verità mi costringe a desiderare di lasciare la gravezza del mio corpo e dare la vita a gloria e a lode del nome tuo.

    Io ho gustato e veduto col lume dell'intelletto nella tua luce, l'abisso tuo, Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, guardando me in te, vidi che lo sono tua immagine, partecipe, per tuo dono, della potenza tua, Padre eterno, e della sapienza tua nel mio intelletto, sapienza che è appropriata al tuo unigenito Figliuolo. Lo Spirito Santo, poi, che procede da te e dal Figliuolo tuo, mi ha data la volontà con cui posso amarti.

    Tu, Trinità eterna, sei creatore e io creatura; e ho conosciuto perché tu me ne hai data l'intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del tuo Figliuolo che tu sei Innamorato della bellezza della tua creatura.

    O abisso, o Deità eterna, o mare profondo! E che più potevi dare a me, che dare te medesimo? Tu sei fuoco che sempre ardi e non consumi; tu sei fuoco che consumi nel tuo calore ogni amor proprio dell'anima (Eb 12, 29).

    Tu sei fuoco che togli ogni freddezza. Tu Illumini e con la tua luce m'hai fatto conoscere la tua verità. Tu sei quella luce che è sopra ogni luce e che dai luce soprannaturale all'occhio dell'intelletto, in tanta abbondanza e perfezione da chiarificare il lume stesso della fede, dalla quale vedo che l'anima mia trae vita e nella cui luce riceve te, luce.

    Nella luce della fede, nella sapienza dei Verbo tuo Figlio acquisto la sapienza; nella luce della fede sono forte, costante e perseverante; nella luce della fede spero: essa non mi lascia venir meno nel cammino. Questa luce m'insegna la via e senza di essa camminerei nelle tenebre. Perciò ti dissi, Padre eterno, che tu mi illuminassi con la luce della santissima fede.

    Veramente questa luce è un mare, perché nutre l'anima in te, mare pacifico, Trinità eterna. L'acqua di questo mare non è torbida, e l'anima non ha timore perché conosce la verità; è un'acqua limpidissima che manifesta le cose nascoste: onde, dove abbonda l'abbondantissima luce della fede in te, essa quasi certifica l'anima di quello che crede. Essa è uno specchio per mezzo del quale tu, Trinità eterna, mi fai conoscere; poiché, guardando in questo specchio e tenendolo con la mano dell'amore, esso mi rappresenta me, tua creatura, in te, e te in me, per l'unione che facesti della deità con la nostra umanità.

    Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu,cibo degli angeli, ti sei dato agli uomini con fuoco d'amore. Tu, vestimento che copri ogni nudità, pasci gli affamati nella tua dolcezza che è dolce senza alcuna amarezza.

    O Trinità eterna, nella luce che tu mi desti per mezzo della santissima fede io ho conosciuto, per le molte e mirabili tue illustrazioni, la via della grande perfezione, affinché io serva a te con luce e non con tenebre e sia specchio di buona e santa vita ed esca dalla mia miserabile vita, poiché, per mio difetto, ti ho finora servito nelle tenebre.

    Non ho conosciuto la tua verità e perciò non l'ho amata. E perché non ti conobbi? Perché non ti vidi coi glorioso lume della santissima fede, avendomi la nuvola dell'amor proprio offuscato l'occhio dell'intelletto. Ma tu, Trinità eterna, con la tua luce dissolvesti le tenebre.

    Chi potrà giungere alla tua altezza e renderti grazie di tanto smisurato dono e dei larghi benefici, quanti tu hai dati a me, e della dottrina della verità che tu mi hai data? E' questa una grazia particolare oltre a quella generale che tu dai alle altre creature. Volesti così accondiscendere alla mia necessità e alla necessità delle altre creature che dentro ci si specchieranno.

    Rispondi tu, o Signore: tu medesimo hai dato e tu medesimo rispondi e soddisfa, infondendo in me lume di grazia, affinché con questo lume lo ti renda grazie.

    Vesti, vesti me di te, Verità eterna, sì che io corra questa vita mortale con vera obbedienza e col lume della santissima fede, del quale lume mi sembra che tu di nuovo inebri l'anima mia. Siano rese grazie a Dio. Amen.

    Corrado Mezzana, S. Cuore tra le SS. Caterina da Siena e Margherita Maria Alacoque, 1922, Basilica di S. Maria sopra Minerva, Roma

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    Predefinito Dalle Lettere di S. Caterina da Siena

    Lettera n. 165 a Bartolomea, moglie di Salviato da Lucca

    Carissima sorella in Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù, ti scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa che ti alimenti dell’amore di Dio e ti nutri di esso, come al seno di una dolce madre. Nessuno, infatti, può vivere senza questo latte!

    Chi possiede l’amore di Dio, vi trova tanta gioia che ogni amarezza gli si trasforma in dolcezza, e ogni gran peso gli si fa leggero. Non c’è da stupirsene, perché, vivendo nella carità, si vive in Dio:

    “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.

    Vivendo in Dio, dunque, non si può avere alcuna amarezza, perché Dio è delizia, dolcezza e gioia infinita!

    È questa la ragione per cui gli amici di Dio sono sempre felici! Anche se malati, indigenti, afflitti, tribolati, perseguitati, noi siamo nella gioia.

    Quand’anche tutte le lingue maldicenti ci mettessero in cattiva luce, non ce ne cureremmo, ma di ogni cosa ci rallegriamo e gioiamo, perché viviamo in Dio, nostro riposo, e gustiamo il latte del suo amore. Come il bambino attira a sé il latte dal seno della madre, così noi, innamorati di Dio, attingiamo l’amore da Gesù crocifisso, seguendo sempre le sue orme e camminando insieme a lui per la via delle umiliazioni, delle pene e delle ingiurie.

    Non cerchiamo la gioia se non in Gesù, e fuggiamo ogni gloria che non sia quella della croce.

    Abbraccia, dunque, Gesù crocifisso, elevando a lui lo sguardo del tuo desiderio! Considera l’infuocato amore per te, che ha portato Gesù a versare sangue da ogni parte del suo corpo!

    Abbraccia Gesù crocifisso, amante ed amato, e in lui troverai la vita vera, perché è Dio che si è fatto uomo. Arda il tuo cuore e l’anima tua per il fuoco d’amore attinto a Gesù confitto in croce!

    Devi, poi, divenire amore, guardando l’amore di Dio, che ti ha così tanto amata, non per qualche obbligo che avesse con te, ma per puro dono, spinto soltanto dal suo ineffabile amore.

    Non avrai altro desiderio che quello di seguire Gesù! Come inebriata dall’Amore, non farai più caso se ti troverai sola o in compagnia: non preoccuparti di tante cose, ma solo di trovare Gesù e andargli dietro!

    Corri, Bartolomea, e non star più a dormire, perché il tempo corre e non aspetta un solo attimo!

    Rimani nel dolce amore di Dio.

    Gesù dolce, Gesù amore.

  9. #9
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    Predefinito Dal “ Dialogo” di santa Caterina da Siena, vergine

    Cap. VII, in «S. Caterina da Siena - il Dialogo», a cura di G. Cavallini, Roma 1968, pp. 18-19

    Non si ristà mai, l’anima inamorata della mia verità, di fare utilità a tutto il mondo, in Comune e in particulare, poco e assai, secondo la disposizione di colui che riceve e dell’ardente desiderio di colui che dà.

    Poi che egli à fatto utilità per l’amore unitivo che à fatto in me, per lo quale ama lui, disteso l’affetto alla salute di tutto quanto il mondo, sovenendo alla sua necessità, ingegnasi, poi che à fatto bene a sé per lo concipere la virtù, unde a tratto la vita della grazia, di ponere l’occhio alla necessità del prossimo in particolare, poi che mostrando l’à generalmente ad ogni creatura che à in sé ragione, per affetto di carità come detto è. Onde egli sovviene quelli da presso secondo diverse grazie che Io gli ò dato a ministrare: chi di dottrina con la parola, consigliando schiettamente senza alcuno rispetto; chi con esempio di vita, e questo debba fare ogni uno, di dare edificazione al prossimo di buona e santa vita.

    Queste sono le virtù, e molte altre le quali non potresti narrare, che si partoriscono nella dilezione del prossimo. Perché l’ò poste tanto differenti, che Io non l’ò date tutte a uno, anco a cui ne do una e a cui ne do un’altra particulare? poniamo che una non ne può avere che tutte noi l’abbi, perché tutte le virtù sono legate insieme Ma le do molte quasi come per capo di tutte le altre virtù, cioè che a cui darò principalmente la carità, a cui la giustizia, a cui l’umilità, a cui una fede viva, ad altri una prudenzia, una temperanzia, una pazienzia, e ad altri una fortezza.

    E così molti doni e grazie di vertù e d’altro spiritualmente e corporalmente — corporalmente dico, per le cose necessarie alla vita dell’uomo - tutte l’ò date in tanta differenzia che non lò poste tutte in uno, acciò che abbiate materia, per forza d’usare la carità l’uno con l’altro; che bene potevo fare gli uomini dotati di ciò che bisognava, e per l’anima e per lo corpo, ma Io volsi che l’uno avesse bisogno dell’altro, e fossero miei ministri a ministrare le grazie e doni che ànno ricevuti da me. Chè, voglia l’uomo o no, non può fare che per forza non usi l’atto della carità. E’ vero che se ella non è fatta e donata per amore di me, quello atto non gli vale quanto a grazia.

    Questo vi mostra che nella casa mia à molte mansioni, e che Io non voglio altro che amore.

  10. #10
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    Predefinito Dalle orazioni di santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa

    Orazione XI, Annonciazione 1379, ed. G. Cavallini, Roma 1978, pp. 123-129

    Tu, o Maria, sei diventata un libro, nel quale, oggi, viene scritta la nostra regola. In te è oggi scritta la sapienza del Padre. In te si manifesta oggi la dignità, la fortezza e libertà dell'uomo.

    Se io considero il grande tuo consiglio, Trinità eterna, vedo, che nella tua luce vedesti la dignità e la nobiltà dell'umana generazione. Per cui, come l'amore ti costrinse a trarre l'uomo da te, così quel medesimo amore ti costrinse a ricomprarlo, essendo egli perduto. Ben dimostrasti che tu amasti l'uomo prima che egli fosse, quando tu lo volesti trarre da te, solo per amore; ma maggiore amore gli mostrasti, dando te medesimo, rinchiudendoti oggi nel vile saccuccio della sua umanità. E che più gli potevi dare, che dare te medesimo? Veramente tu gli potevi dire: Che cosa avrei io dovuto o potuto fare, che non l'abbia fatto?

    Così vedo, che ciò che la sapienza tua vide in quel grande ed eterno consiglio, che fosse da fare per la salute dell'uomo, la clemenza tua lo volle, e la potenza tua l'ha oggi adempiuto. Che modo trovasti, Trinità eterna, perché si adempisse la tua verità, e facessi misericordia all'uomo, e fosse soddisfatta la giustizia tua? Che rimedio ci hai dato? O ecco il rimedio: Tu disponesti di darci il Verbo dell'unigenito tuo Figliuolo, e che pigliasse la massa della carne nostra, che t'aveva offeso, affinché abitando egli nella umanità, fosse soddisfatta la tua giustizia, non in virtù della umanità, ma in virtù della deità unita in essa; e così fu fatto, e fu adempiuta la verità tua e soddisfatta la giustizia e la misericordia.

    O Maria, io vedo questo Verbo dato a te, essere in te; e nondimeno non è separato dal Padre, così come la parola, che l'uomo ha nella mente, che benché sia proferita di fuori e comunicata ad altri, non si parte però, né è separata dal cuore. In queste cose si dimostra la dignità dell'uomo, per cui Dio ha operate tante e sì grandi cose.

    In te ancora, o Maria, si dimostra oggi la fortezza e la libertà dell'uomo; perché dopo la deliberazione di tanto e sì grande consiglio, è stato mandato a te l'angelo ad annunciarti il mistero del consiglio divino, e cercare la tua volontà; e non discese nel ventre tuo il Figliuolo di Dio, prima che tu consentissi con la volontà tua.

    Aspettava alla porta della tua volontà, che tu gli aprissi, perché voleva venire in te; e giammai non vi sarebbe entrato se tu non gli avessi aperto dicendo: Ecco l'ancella del Signore, sia fatto in me secondo la tua parola.

    Picchiava, o Maria, alla tua porta la deità eterna, ma se tu non avessi aperto l'uscio della tua volontà, Dio non si sarebbe incarnato in te.

    Vergognati anima mia, vedendo che Dio oggi si è imparentato con te in Maria: oggi ti è dimostrato, che benché tu sia stata fatta senza te, non sarai salvata senza te.

    O Maria, dolcissimo amor mio, in te è scritto il Verbo, dal quale noi abbiamo la dottrina della vita, Tu sei la tavola, che ci porgi quella dottrina.

 

 
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