Note a margine dell'approvazione della famigerara legge che nega i diritti delle donne
Fecondazione clericale
di TIZIANA VALPIANA
L'accesissimo dibattito alla Camera sulla fecondazione medicalmente assistita inizia solo ora, a poche settimane dall'approvazione, a produrre quella grande discussione sui mass media e tra le persone che un argomento così importante e vitale per il futuro stesso della nostra specie e delle nostre singole vite avrebbe dovuto comportare ormai da molti mesi.
Si tratta, infatti, di stabilire norme su una materia che tratta della vita e della morte, del rapporto tra natura e cultura, del ruolo della donna e della sua potenza creatrice, della scienza, dello sviluppo e del progresso, della libertà individuale in relazione al bene della collettività, dell'amore tra persone e per i figli e della necessità di rispettare e confrontarsi con visioni etiche diverse.
Di fronte al mutare dell'orizzonte procreativo permesso dalla scienza e all'intrusività tecnologica nei corpi delle donne, su scelte così personali e importanti, il Parlamento avrebbe dovuto predisporre norme leggere, rispettose di tutti e di ciascuno, a partire dalla pluralità delle scelte sulla sessualità, dall'autodeterminazione femminile, dalla non commerciabilità e non brevettibilità a fini di lucro del corpo e del patrimonio genetico umano, mentre un regolamento del ministro della Salute avrebbe dovuto impartire norme certe e comuni sul funzionamento dei centri pubblici e privati, trasparenza, informazione, rispetto di protocolli che tutelino la salute fisica e mentale di chi si rivolgere ai centri e per impedire che questa attività sanitaria diventi un "mercato".
La scelta assurda e aberrante della circolare Degan (dell'85 e mai abrogata) che riserva ai centri privati la fecondazione eterologa (con seme o ovuli provenienti da una donatrice o da un donatore "esterno") vietandola nei centri pubblici, ha lasciato al privato le pratiche più controverse, lucrose, a rischio di abusi o di mercificazione, vietandole alle più trasparenti strutture pubbliche e chiudendo gli occhi su ciò che è avvenuto, avviene o può avvenire.
Oggi, di fronte al "mercato della fecondazione" e al "consumismo procreativo", senza riconoscere le responsabilità del passato, la maggioranza parlamentare dimentica che lo Stato non può imporre a tutti i cittadini un'etica, ma deve rispettare la responsabilità personale, favorendo la cultura del limite contro il primato del mercato anche sui corpi delle donne e sui loro desideri.
Invece di offrire garanzie sul piano della salute, dell'informazione, della serietà e correttezza dei centri, sta approvando regole rigide che limitano non le attività dei centri, ma le possibilità delle persone. Regole astratte mutuate dalla morale di una parte della società vengono imposte a tutti.
La maggioranza del Parlamento dimentica che la nascita dipende dal desiderio e dalla volontà di una donna e che fuori dal corpo, dal cervello, dal cuore di una donna nulla di tutto questo è possibile. La responsabilità primaria della donna in ambito procreativo, riconosciuta dalla natura e dalla legge 194, è negata, mettendo in antagonismo i suoi diritti e quelli dell'embrione, quasi fosse necessaria un'autorità ‘esterna' per tutelare quel figlio che sta crescendo nel suo corpo perché lei lo ha fortemente desiderato e voluto a prezzo di enormi sacrifici, umani ed economici.
Una legge che lede le libertà e i diritti individuali negando l'accesso alle tecniche di riproduzione assistita a donne che, in natura, avrebbero invece potuto scegliere di fare un figlio, inserendo per la prima volta in una norma il fatto che per procreare è necessario essere spostate o conviventi. Non solo un grave attacco alla laicità dello Stato, ma una discriminazione intollerabile tra donne.
In nome di un presunto (e pericoloso) diritto alla "identità genetica" del concepito, viene vietata l'inseminazione "eterologa", dimenticando che la vita non è un puro atto di fusione dei gameti e la scelta della maternità/paternità non è la mera trasmissione di un corredo cromosomico, ma un atto di amore e di assunzione di responsabilità sociali ed educative.
Davanti a questa proibizione, donne e coppie che "vogliono" un figlio loro non rinunceranno certo; il desiderio di maternità di una donna è pronto a pagare qualsiasi prezzo: andranno dove le possibilità sono maggiori e i divieti non ingabbiano i desideri. Il turismo procreativo si affiancherà ad altri tristi fenomeni, ancora una volta consentendo alle donne facoltose ciò che alle altre è vietato (anche perché, vergognosamente, ai molti limiti e alle discriminazioni, l'attuale maggioranza e il Governo di centro-destra hanno voluto aggiungere la più odiosa tra tutte, quella economica, togliendo la fecondazione assistita dai livelli essenziali di assistenza a carico del Servizio Sanitario).
Norme proibizioniste rispetto a un fenomeno non circoscrivibile nei confini nazionali non faranno che riversare nei paesi confinanti i problemi qui non affrontabili, permettendo così alle donne e alle coppie "ricche" quel figlio che alle altre è negato: un nuovo inaccettabile privilegio.
Attraverso il divieto di crioconservazione di gameti ed embrioni e di produrre più di tre embrioni alla volta da trasferire "contestualmente" in utero, questa legge è un attentato alla salute delle donne, obbligate a sottoporsi a più e più cicli di cure, per avere una speranza o una possibilità e, in nome dei diritti del concepito, a subire l'impianto di ogni embrione prodotto, anche se malformato o se lo stato di salute della donna non lo consente.
E che dire poi dell'accanimento proibizionista e punitivo che, con il divieto dell'anonimato della donna che è ricorsa alla fecondazione assistita al momento del parto, "condanna" il bambino a vivere con una madre che, per i mille insondabili motivi che la vita riserva, non è più in grado di assumersene la maternità?
Ma da dove nascono queste norme che smembrano la vita e pongono la donna in conflitto con ciò che è dentro il suo stesso corpo?
Perché una legge che non riconosce alle donne il diritto che ci spetta per "natura" e storia di decidere di mettere liberamente al mondo figli e figlie proprie o di accettare e amare figli e figlie "altri"?
Perché una legge piena di lacune e contraddizioni per negare il primato del corpo femminile nella procreazione?
Un collega si è chiesto in Aula se la legge sarebbe stata la stessa se, invece che da un vergognoso 11 per cento, l'Assemblea della Camera, così come il Paese, fosse formata da un 50 per cento di donne. In molte conosciamo la risposta, che è quella stessa venuta dal Paese con i referendum sul divorzio e sull'aborto, che hanno dimostrato che, nelle scelte relative alle relazioni personali, sessuali, affettive, il Paese formato di uomini e donne è più avanti e libero, di un Parlamento formato in stragrande maggioranza di uomini.
Questa vicenda mostra drammaticamente la crisi della rappresentanza e un divario con il Paese reale fatto anche della non presenza femminile nelle istituzioni. Perché un Paese di uomini e donne che si priva in Parlamento, sia nella minoranza sia nella maggioranza, di voci di donne competenti e capaci e fa fare le leggi solo agli uomini, non racconta la realtà.
*relatrice di minoranza della legge sulla fecondazione assistita
Liberazione 5 luglio 2002
http://www.liberazione.it