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Discussione: Sabato Santo

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    Predefinito Sabato Santo

    Dall'Omelia di san Giovanni Crisostomo sul cimitero e la croce.

    Nostro Signore percorre oggi gli abissi delle tenebre. Oggi egli ha spezzato le porte di bronzo e ha rotto le spranghe di ferro. Osservate come sono esatte queste espressioni desunte da Isaia. Non si dice che Cristo ha aperto le porte di bronzo, ma che le ha spezzate, rendendo inutile la prigione. Non ha tolto i chiavistelli, li ha rotti, perché non esista più carcere. Senza porte e senza catene nessuno è imprigionato, pur finendo in quell'antro. Se Gesù Cristo ha spezzato le porte, chi le riparerà? Nessuno rimette in piedi quello che Dio ha rovesciato.

    Quando un principe invia una lettera per graziare un prigioniero, agisce in modo diverso: lascia porte e custodi, per cui chi esce di prigione è convinto che quel luogo riceverà altri pensionanti: forse i medesimi, forse altri al loro posto. Ma Cristo, volendo insegnarci che il regno della morte era abolito, ne ha spezzato le porte di bronzo. Il Profeta le chiama porte di bronzo, per esprimere il carattere crudele e inesorabile della morte. Nello stesso senso Dio disse a Israele indurito nel male: La tua cervice è una sbarra di ferro e la tua fronte è di bronzo.

    Vuoi capire fino a che punto la morte era dura, inflessibile, implacabile? Per la lunga durata dei secoli che precedettero l'avvento di Cristo, nessuno riuscì a strappare alla morte un suo prigioniero. Fu necessario il re degli angeli in persona per costringerla. Cristo ha cominciato con l'incatenare l'uomo forte di cui parla il vangelo, poi gli ha preso tutti i suoi averi. Ecco perché il Profeta aggiunge che il Signore si è impadronito di tesori nascosti e di ricchezze ben celate. In certi luoghi oscuri si possono distinguere gli oggetti con una torcia; ma il regno della morte era così tenebroso e orrendo, che nessun raggio di luce vi era mai penetrato. Ecco perché si parla di tesori nascosti e di ricchezze ben celate. Là non c'erano che tenebre fino al giorno in cui vi scese il Sole di giustizia per illuminare tutto e cambiare l'inferno in cielo. Infatti, il cielo è dovunque c'è Cristo.

    Hai visto l'ammirabile vittoria? Hai visto la nobilissima impresa della croce? Potrò mai dirti qualcosa di più meraviglioso? Considera il modo con cui ha vinto e resterai ancora più ammirato. Cristo ha vinto il diavolo con gli stessi mezzi con cui aveva ottenuto vittoria il diavolo. Lo sbaragliò con le stesse armi usate da lui. Senti in che modo.

    Una vergine, un legno e la morte furono i simboli della nostra sconfitta. La vergine era Eva, non aveva infatti ancora coabitato col marito; il legno era l'albero; la morte la pena di Adamo. Ma ecco ancora una vergine, un legno e la morte, già simboli della sconfitta, diventare ora simboli della sua vittoria. Al posto di Eva c'è Maria, al posto dell'albero della scienza del bene e del male, c'è l'albero della croce, al posto della morte di Adamo la morte di Cristo.

    Vedi come colui che aveva vinto viene ora sconfitto con gli stessi suoi mezzi? Presso l'albero il diavolo abbatté Adamo, presso l'albero Cristo sconfisse il diavolo. E quell'albero mandava all'inferno, questo invece richiama dall'inferno anche coloro che vi erano già scesi. Inoltre un altro albero nascose l'uomo vinto e nudo, questo invece innalza agli occhi di tutti il vincitore spoglio. E quella morte colpì tutti coloro che erano nati prima di essa. Chi può narrare i prodigi del Signore?

    Hai compreso la vittoria? Hai capito il modo con cui hai vinto? Apprendi ora come questa vittoria fu riportata senza nostra fatica e sudore. Noi non abbiamo bagnato di sangue le armi, non siamo stati in battaglia, non siamo stati feriti; la battaglia non l'abbiamo nemmeno vista, eppure abbiamo riportato vittoria. Del Signore è stato il combattimento, nostra la corona.

    Poiché la vittoria è anche nostra, imitiamo i soldati e, con voci di gioia, cantiamo oggi le lodi e l'inno di vittoria. Diciamo, lodando il Signore: La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?

    Tutto questo ci è stato procurato dalla croce gloriosa: la croce, trofeo eretto contro il demonio, arma contro il peccato, spada con cui Cristo ha trafitto il serpente: la croce volontà del Padre, gloria dell'Unigenito, gaudio dello Spirito Santo, onore degli angeli, presidio della Chiesa, vanto di Paolo, difesa dei santi, luce di tutto il mondo.

    Quando c'è buio in casa, si accende la lampada: la si colloca in alto e la notte se ne va. Ugualmente l'universo era immerso nelle tenebre, ma Cristo ha elevato la croce come fiaccola luminosa e ogni tenebra fu dissipata. E come la lampada proietta lontano la luce, così la croce portava il Sole di giustizia che irradia sul mondo intero.


  2. #2
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    Predefinito Dai Discorsi di san Germano di Costantinopoli.

    Oratio In Dominici corporis sepulturam. PG 98, 253-260.

    E' caduto l'antico e invisibile principe delle tenebre; l’ha debellato colui che è avvolto di luce come di un manto (Sal 103,2), ma si è celato sotto il velo della carne. Egli ha vinto il nemico, perché abbracciò liberamente la nostra povertà, lasciandosi straziare dai chiodi e trafiggere dalla spada.

    Il popolo che camminava nelle tenebre dell'ignoranza vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa (Sal 103,2) è brillata la grande luce della redenzione. Vedendo il tiranno ferito a morte, questo popolo risale dalle tenebre alla luce, dalla morte passa alla vita.

    L'inganno del serpente aveva allontanato gli uomini dal Creatore; con la colpa essi erano diventati i nemici di Dio a causa di colui che si era venduto al diavolo per il primo. Ma con la vittoria del solo Gesù Cristo la salvezza è offerta agli umani.

    Il legno della croce sostiene colui che ha fatto l'universo. Cristo si appoggia sulla croce come un uomo, lui che era apparso a Giacobbe appoggiato sulla scala.

    Colui che subisce la morte per ridarmi la vita, è inchiodato al legno come un morto; colui che ha creato l'universo con la sua divinità e spira la vita ai morti, ora esala l'ultimo respiro sulla croce.

    La croce non ispira affatto vergogna a Cristo, anzi, come un trofeo, essa attesta la sua vittoria cosmica. Colui che giudica con giustizia siede sul trono della croce e condanna la morte iniqua, sterminandola via dalla natura umana.

    La corona di spine, posata sul capo di Cristo prima della crocifissione, conferma la vittoria di colui che aveva detto: Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo! (Gv 16,33)

    Portando il peccato, simboleggiato dalle spine, il Signore ha vinto il principe di questo mondo, perché il peccato è lo strumento più efficace che abbia la morte, questa sostituta comandata da Satana.

    Hai visto come era attrezzato quel principe, capo di perdizione? Hai misurato tutte le sue fortificazioni? Eppure, guardalo ora denudato di ogni sua armatura, sconfitto dalla sapienza efficace di Cristo. Colui infatti che è senza peccato ha svelto il pungiglione malefico e l'ha distrutto in sé stesso. Colui che toglie il peccato del mondo rende inerme e impotente la morte armata di aculeo.

    Anzi, dopo aver sottratto alla morte il suo potere, la mette a morte.

    Questa è la sorte che subiscono gli insetti muniti di pungiglione: quando lo conficcano nella carne altrui, essi muoiono.

    Cristo aveva assunto le primizie della creazione. Oggi la sua vittoria penetra tutto l'universo, vivificandolo e rendendolo immortale.

    Tutti gli esseri creati proclamano che il mistero della croce è un trionfo; l'attesterebbero le pietre, qualora io tacessi.

    Secondo un'antica e veridica tradizione dei padri, il primo uomo fu sepolto sotto le pietre del calvario. Cristo, come re potentissimo, si innalzò sopra quella cittadella adamitica e riportò la vittoria contro il demonio che da tiranno vi spadroneggiava.

    Il Signore, da guerriero, piantò il suo scettro su quella acropoli.

    Erigendovi il trofeo della croce, egli ha manifestato chiaramente che lo scopo della sua venuta in terra era Adamo: il mistero del suo abbassamento fu compiuto per ricondurre Adamo a Dio e per salvarlo.

    Per liberare il Primo uomo Cristo discese dal cielo, si incarnò, soffrì, faticò e lavorò, pregò e morì, effuse il suo sangue e fu sepolto. Tutto questo mistero ebbe per movente l'amore che il Creatore porta alla creatura.

    Gesù grida ancora una volta: Adamo, dove sei? (Cf Gen 3,9)

    Sono venuto a cercarti, e per poterti trovare, ho steso le mani sulla croce.

    Con le mani stese mi rivolgo al Padre, per rendere grazie di averti ritrovato, e poi le volgo anche verso di te per abbracciarti.

    Quei passi che un tempo ti terrificarono, segnalando il triste stato della tua anima, ora sono venuti a te senza strepito: i miei piedi sono infatti immobilizzati, confitti in croce per te.

    Non sono venuto per giudicare il tuo peccato, ma per salvarti, talmente io amo gli uomini.

    Non sono venuto per maledirti, a causa della tua disobbedienza, ma per benedirti con la mia obbedienza.

    Un tempo fosti come un uccellino scacciato dal nido del paradiso e dilaniato dai denti del serpente.

    Oggi ti copro con le mie penne, sotto le mie ali troverai rifugio. (Cf Sal 90,4)

    Quando l'anima si ritira, il corpo si dissolve; ma ora cercherò la tua vita nascosta nelle tenebre e nell'ombra di morte, scenderò fino negli inferi, annoverato fra quelli che scendono nella fossa (Sal 87,5).

    Non mi darò quiete finché, toccando il fondo dell'umiliazione, non ti avrò ritrovato e ricondotto in cielo, a gloria del mio amore per te.

  3. #3
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    Predefinito Compassione della B.V. Maria - S. Maria in Sabbato



    Dalle Omelie di Giovanni Giusto Lanspergio sulla Passione di Cristo. Homilia XLVII in passionem Christi. Opera omnia, Monsterolii, 1890, t. III, 101-103

    Non sappiamo di preciso in che momento la Madre del Signore si fece presente alla passione di Cristo suo Figlio. Però ella non ha certamente mai ignorato in spirito quale sarebbe stata la sorte di Gesù: aveva una comprensione penetrante dei profeti e l'avvenimento era stato preannunziato da suo Figlio.

    Certo che quando Gesù è confitto in croce, sua Madre sta lì. Il Signore la vuole con sé nel suo supplizio. L'aveva risparmiata dai travagli del parto e la libererà pure dalle pene connesse alla morte; benché Maria sia morta, non ha sofferto di quel trapasso, tanto che si parlerà della sua dormizione più che della sua morte.

    Adesso però, ai piedi della croce del Figlio, Maria sperimenta la doglie del parto e gli spasimi della morte. Gesù la vuole vicina per affidarla a Giovanni che d'ora in poi veglierà su di lei. Gesù vuole accanto la Madre in quell'ora perché la presenza e il compatire di lei acuiscano la sua propria passione, rendendo così più sovrabbondante la redenzione dell'umanità.

    Soprattutto il Salvatore vuole ai piedi della croce la Madre che lo contempli nei suoi dolori, che sia straziata nell'anima dai supplizi che lui subisce nel corpo. Diverrà così partecipe e cooperatrice della passione di Cristo e della nostra redenzione, come già lo fu dell'incarnazione del Verbo.

    La Vergine sta accanto alla croce: in un mare di dolore, il volto rigato di lacrime, il cuore straziato per le ferite del Figlio. Ella lo vede totalmente in preda ai patimenti e all'angoscia; nel corpo lacerato e sanguinante, dalla pianta dei piedi alla testa non vi è una parte che non sia ferita o contusa.

    Maria vede suo Figlio livido e così sfigurato da non avere più aspetto di uomo. Un lebbroso, un ammasso di piaghe e lividure sta davanti a lei: il più abietto degli uomini. Questa la scena che penetra nel cuore della Madre come una spada: non uno dei particolari del dramma le sfugge o le è risparmiato.

    Però Maria sta ritta sotto la croce non solo con il corpo, ma con fede incrollabile. Ella crede, crede con forza che per Cristo tutto non finisce con la morte. Il terzo giorno egli risorgerà per sua propria potenza.

    Il vangelo ci narra che accanto a Gesù crocifisso stanno la Madre e il discepolo amato. Il Signore amava il discepolo, ma molto di più sua Madre. Una madre straordinaria la sua, con una capacità di affetto per il figlio superiore a quella di qualsiasi altra madre. Nessuna creatura può amare il suo Dio e Creatore, nessuna madre può amare suo figlio come la Vergine Maria. Era il suo figlio unico e su di lui si concentrava tutto l'affetto materno.

    Certo, è così per tante altre mamme. Però lui era figlio soltanto di lei. Cristo non ha avuto un padre terreno. Quanto appartiene alla natura umana o riceviamo da entrambi i genitori, Gesù lo ha avuto dalla Madre e soltanto da lei.

    Come Maria ha dato alla luce il Figlio senza intervento di uomo, così ella ha ricevuto tutto l'amore che di solito i figli spartiscono fra i due genitori. Per di più, ne Figlio Maria ama il suo Dio, il suo Creatore: amore questo, la cui intensità eguaglia la fede assoluta con cui lo riconosce.

    Maria ama nel Figlio colui che l'ha colmata di doni eccelsi, elevandola a un onore e a una funzione ineguagliabili, perché l'ha voluta Madre di Dio. Sopraffatta da tanti benefici, ella cantò: Tutte le genti mi chiameranno beata, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. Così renderà amore per amore a colui che tanto l'ha amata.

    Per legge di natura amiamo chi ci ama: a veemenza e fedeltà d'amore rispondiamo con la medesima intensità. Maria sapeva che Cristo l'amava di qualsiasi uomo in terra. Poteva non corrispondere in misura superiore a tutti e sopra tutto?

    Ma come tanto ha amato, tanto la Vergine ha patito. Sempre amore e dolore si coniugano quando uno vede soffrire la persona amata. Il martirio che ora Maria subisce alla vista del Figlio torturato e agonizzante nasce dall'immensità del suo amore per lui.

    Gesù vede la Madre addolorata ritta ai piedi della croce. Che madre questa! Non di un uomo soltanto, ma di Dio. Madre splendente del fulgore virgineo, madre più santa di ogni altra; e il cuore di Gesù si sente straziare.

    La Madre invia al cuore del Figlio frecce di amore e di compassione che lo feriscono a morte. A sua volta, l'impeto dell'amore filiale di Gesù e la spada della passione che subisce trafiggono la Madre. Il tormento di ognuno è acuito da quello dell'altro.

    Già si è detto che Cristo volle accanto a sé Maria come cooperatrice della nostra redenzione, per darcela poi un giorno come madre di misericordia. Era dunque necessario che la Madre tenerissima di Cristo sotto la croce ci generasse come figli di adozione. Secondo la natura ella è madre di Cristo; doveva però diventare anche madre adottiva e spirituale di noi tutti. Incorporati in Cristo, siamo le sue membra mistiche; così siamo anche figli di Maria, non secondo la carne, ma per adozione.

    Grazie ai patimenti che Cristo subì per noi, veniamo incorporati in lui mediante la fede e il battesimo; diventiamo suoi fratelli, membra molteplici sotto un solo capo formiamo un solo corpo. Membra del corpo di Cristo, siamo perciò figli di Maria.

    Per sostenere i dolori di questo parto spirituale, Maria, madre nostra, sta ai piedi della croce. Dolori e generazione entrambi spirituali. Simeone aveva predetto che una spada, non materiale ma spirituale, avrebbe trafitto la sua anima. I tormenti che Cristo sopporta nel corpo, Maria li soffre nell'anima, per cui Gesù subisce un doppio martirio, il suo e quello materno. Egli soffre il tormento della Madre non meno della propria passione. Conosce profondamente il cuore verginale di lei e ne percepisce tutti gli spasimi.

    Vedere soffrire il Figlio era per la Madre una pena intollerabile, eppure non poteva staccare gli occhi da lui. Là, ritta e ben viva, lo piange e soffre mille morti.

    Intanto Gesù sente che si avvicina la fine e vuole adempiere verso Maria i suoi doveri filiali. Affida la Madre a Giovanni, affida Giovanni a Maria. Il vangelo giustamente sottolinea che la Vergine continuava a stare presso la croce. Gli apostoli erano fuggiti, gli altri amici rimanevano discosti. Quando Gesù volge lo sguardo a destra e a sinistra, non trova nessuno che lo riconosca. Lei sola, Maria, a onore di tutte le donne del mondo, perdura fedele, sola con lui fra tanti tormenti.

    Gesù vedendo sua madre...Così si esprime il vangelo. Cristo aveva soltanto l'uso della lingua e degli occhi; se ne serve per onorare e servire la madre. La vede e le parla: lo sguardo esprime tenero affetto, le parole sollecitudine concreta.

    Donna, ecco tuo figlio!39 La chiama donna, non madre. È una delicatezza per il tenero amore della Vergine. Se l'avesse chiamata con il nome dell'affetto filiale, non avrebbe spezzato il suo delicatissimo cuore? Come avrebbe potuto quel cuore sopportare la separazione da un figlio così pieno di amore, tanto nobile e buono? E come avrebbe potuto sentirsi dire: Ecco il tuo figlio, accennando con lo sguardo a Giovanni; poi sentirsi affidata al discepolo con le parole: Ecco la tua madre? Raccomandandoli l'uno all'altra, Cristo unisce quelle due anime vergini.

    Nella persona di Giovanni egli affida a sua madre noi tutti, membra del Corpo mistico di cui è il capo e davvero costituisce Maria la madre di ciascuno di noi tutti.

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    Predefinito Dal Commento al vangelo di Giovanni di Ruperto di Deutz. (Pronuncia: Doitz).

    Comment. in Jo, lib. XIII. PL 169, 789-790.

    Presso la croce su cui è inchiodato il Figlio sta la Madre. Ella soffre dolori spasmodici, come nel travagli del parto quando viene al mondo una creatura. Ha il cuore schiantato per il supplizio del Figlio, come le aveva predetto Simeone: Anche a te una spada trafiggerà l’anima.

    Gesù, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo:” Ecco la tua madre!”. A che titolo il discepolo che Gesù amava è figlio della Madre del Signore e lei stessa è madre di lui? Evidentemente perché Maria aveva dato alla luce la causa della salvezza di tutti, allorché senza dolori aveva messo al mondo dalla propria carne il Dio fatto uomo. Ora invece lo partorisce con atroci dolori, stando presso la croce come è stato predetto.

    Nell'ora della sua passione il Signore ha giustamente paragonato gli apostoli ad una donna in doglie, dicendo: La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Poi soggiunge: Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi rivedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà.

    Se il paragone con la donna che partorisce conviene agli apostoli, calza alla perfezione per questa madre che sta presso la croce di Cristo. Ecco perché un tale Figlio trova una tale Madre simile alla donna quando mette al mondo un figlio. Ma perché dico simile? Maria è davvero donna, davvero madre e in quel momento prova sul serio i dolori del parto. Quel travaglio questa donna non lo conobbe, come le altre madri quando le nacque il bambino. Ora invece ella soffre, è nel dolore e prova tristezza, perché è venuta la sua ora. È l'ora in vista della quale concepì per opera dello Spirito Santo e portò in grembo il nascituro; l'ora per la quale si sono compiuti per lei i giorni del parto; l'ora in cui Dio si è fatto uomo interamente dal suo grembo.

    Quando quest'ora sarà passata, quando la spada avrà trapassato il suo spirito affranto, questa donna non ricorderà più lo strazio della spada, perché un uomo nascerà a questo mondo: egli sarà proclamato come uomo nuovo, che rinnoverà il genere umano e otterrà il dominio eterno su tutto l'universo. Nascerà l'uomo nuovo, quello cioè sottratto alla morte e liberato dalla sofferenza, primogenito tra i morti, trasferito dalle angustie di questa vita all'immensità della patria eterna.

    Poiché la beata Vergine ha sofferto presso la croce i dolori del parto e ha generato la salvezza di tutti noi durante la passione del suo unico Figlio, ella è indiscussa madre di noi tutti. Era giusto quindi che Giovanni si facesse carico di colei che era ormai sua madre, secondo la parola di Gesù: Ecco il tuo Figlio!

    Quando Gesù disse al discepolo: Ecco la tua madre, a buon diritto avrebbe potuto dirlo di qualsiasi altro dei suoi, se fosse stato presente, perché Maria è la madre di tutti. Tuttavia era più bello che ella, come vergine, venisse affidata al discepolo vergine.

    E a questo discepolo fu concessa la grande grazia di descrivere, nel testo evangelico, il Verbo stesso che questa madre aveva partorito nella carne; ed egli nella misura in cui era possibile a un uomo mortale, lo ha fatto meglio di chiunque altro fra tutti i mortali.

    E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. Ciò non significa nei suoi possedimenti, che del resto non aveva e dove comunque non sarebbe andato ad abitare dal momento che egli era uno di coloro i quali, per seguire il Signore avevano lasciato tutto.

    Dobbiamo interpretare l'espressione suddetta nel senso che, all'interno della comunanza di beni ripartita secondo le necessità di ognuno, a Giovanni spettava quanto ci voleva per il sostentamento di Maria.

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    Predefinito Da "Il libretto dell'eterna Sapienza" di Enrico Susone.

    Cap.17. 0pere, ed. Paoline, A1ba, 1971, 314.

    Il dolore della Madre trafigge il cuore del Figlio, e la morte innocente del Figlio caro provoca il martirio dell'afflitta Madre. Egli la guarda e la consola con bontà, ella tende mestamente le mani verso di lui. Preferirebbe morire per lui nei tormenti perché la propria morte le sarebbe meno penosa. Chi dei due soffre di più? Di quale è più grande l'angustia? Sono due dolori insondabili, che non ammettono paragone con nessun altro. Cuore materno, tenero animo di donna, come sopportare tale sconfinata sofferenza? Sia benedetto il tuo tenero cuore, dal dolore senza confronti! Tutto quello che fu mai detto o scritto sulla sofferenza del cuore è come un sogno di fronte alla realtà. Madre del Salvatore, aurora nascente, sii benedetta sopra tutte le creature. Sia benedetto il tuo bel volto, ornato dal rubino dell'eterna Sapienza, come prato fiorito di rose rosse. E tu, affascinante volto del Signore, come tu muori! Corpo splendente di bellezza, come tu pendi! Sangue puro, come scorri caldo sulla Madre che ti generò.

    O amabile Sapienza, nulla mi sarebbe in questa vita più dolce, tu lo sai, che poter piangere senza tregua sulla compassione di un cuore a te totalmente donato. Purtroppo, impedito dall'aridità e dalla durezza, il mio cuore ne è incapace. Insegnami, soave Sapienza del Padre, come debbo comportarmi in questo momento cruciale. La Sapienza risponde al suo servo: Non meditare sulla mia passione da svogliato o alla svelta, soprattutto se disponi di tempo sufficiente; ma rievocala a lungo, con un ricordo posato e cordiale, con dolente compassione. Assapora la dolcezza del legno della Croce, gustalo con affettuosa attenzione. Se non riesci a piangere con Gesù che piange né a soffrire con lui dolente, almeno godi dei benefici a te offerti e ringrazia il cielo di tutti i suoi doni gratuiti. Se non sei toccato dalla compassione e neppure dal desiderio di riconoscenza, se il tuo cuore resta chiuso al ricordo della mia sofferenza, esplora come puoi la mia passione a lode di Dio, e aspetta dalla bontà divina i sentimenti che non puoi ottenere da te. Persevera a chiedere, a bussare, a pregare fino a quando tu non li riceva.

    La meditazione frequente della mia passione ti giova, fra l'altro, per due benefici: per vincere la tristezza disordinata e per diminuire la pena del purgatorio. Con un esempio più che con le parole, ti mostrerò come il mio dolore espelle i dolori dell'anima. C'era un discepolo della Sapienza, il cui nome è nel libro della vita, che all'inizio della sua conversione fu oppresso da una tristezza disordinata e mortale, al punto da non poter leggere, né pregare o fare alcunché di buono. Mentre un giorno sedendo in cella, era tormentato da tale patimento che lo affliggeva in modo incredibile, gli fu detto dall'alto come da una voce intellettuale: Perché siedi ozioso, consumandoti in te stesso? Alzati, medita la mia passione e vincerai il tuo dolore grazie alla mia amarezza. A quelle parole il frate si alzò e si mise a rivivere con fervore la memoria della passione. Da allora fu risanato mediante quella salutare medicina e in seguito non sentì più i morsi della tentazione, grazie a quella pratica costante.

    Ormai è tempo, ‑ dice la Sapienza che se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua! (Mc 8,34) Sappi che tale devota imitazione mi sarà accetta come se tu avessi perseverato con me e fossi morto insieme con me allora morente. Sarà questa la croce che devi portare, se vuoi essere mio amante. Impara a ricevere derisioni e calunnie come premio dei tuoi atti di virtù e d'obbedienza; impara ad apparire vile e disprezzabile senza che si sospetti quanta pazienza o grazia divina stiano alla radice di tale atteggiamento; impara a passare per incapace o per scemo quando penseranno che pur volendo vendicarti, non osi o non sai farlo; impara a sopportare ciò con pazienza e volentieri per Dio, come meglio puoi, impara a pregare per i nemici e a scusarli, raccomandandoli presso di me. Impara a vincerti in questa lotta trafiggente a imitazione e gloria del Crocifisso. Ogni volta che avrai fatto questo tu renderai attuale la morte del Signore e imprimerai in te l'immagine del Crocifisso.

    Ogni volta che sai dominarti nelle vicissitudini della vita per amore di Dio, tu stai accanto al tuo diletto Crocifisso: siine assolutamente certo. Ecco come dovrai comportarti per essere unito a lui: Compi opere buone, e cammina con innocenza e semplicità nella via del Signore. Qualora tu sia schernito e perseguitato da gente invidiosa, che parli dovunque male di te e non cessi di depravare la tua vita agli occhi di chi ti stima, non turbarti, ma piuttosto rallegrati di ciò; sii pronto in ogni ora a perdonare con sincero affetto i tuoi persecutori, scusa dal fondo del cuore tutte le loro offese, al punto da dimenticarle completamente; per di più, offri consiglio e aiuto opportuno ai tuoi calunniatori. Tutto questo fallo per amore del Crocifisso: egli perdonò i suoi carnefici che non glielo chiedevano e volle giovare ad essi intercedendo per loro presso il Padre.

    Fuggi le gioie del mondo, lascia gli agi e le consolazioni terrene, fuorché per quello che richiede il bisogno. Questa separazione volontaria compensa l'abbandono in cui fui lasciato da tutti, nell'ora della passione. Nel lasciare parenti e amici carissimi diventi un discepolo e un fratello diletto che soffre con me ai piedi della croce. Quando ti spogli della tua volontà propria allora tu vesti la mia nudità. Fai brillare in te l'immagine della mia morte quanto cedi volontariamente a chi ti impugna, ti accusa o ti infligge contrarietà, quando sopporti l'ira e l'impazienza di coloro che ti attaccano con ingiuste parole, quando fai vergognare i tuoi avversari con la dolcezza del tuo cuore e delle tue parole e quando spezzi il loro orgoglio con il sorriso del volto, con la tua bontà e mansuetudine.

    Devi aver sempre in cuore la memoria della mia passione, e riferire ad essa tutte le avversità che soffri: assumila per quanto ti è possibile. Quando per segreta disposizione della mia provvidenza ti sottraggo la consolazione interiore e ti lascio desolato, non cercare altrove conforto, ma comportati come un vero crocifisso: attendi pazientemente, leva lo sguardo al Padre che è nei cieli, abbandona te stesso, getta in Dio ogni tuo pensiero. Quanto sarà maggiore la prova dell'uomo esteriore e l'abbandono dell'uomo interiore unito al volere di Dio, tanto più somigliante sarai al Crocifisso, e più gradito al Padre nella pienezza del suo amore. Proprio l'avversità permette di esaminare la resistenza dei soldati di Cristo.

    Non cedere a soddisfare le tue voglie, ma infrangile virilmente; berrai allora il fiele amarissimo insieme col tuo Diletto. Abbi sete della salvezza di tutti gli uomini, presta ai superiori un'obbedienza devota, e sforzati di portare le tue opere alla perfezione della virtù e al compimento totale.

    Modellati sull'esempio della mia fedelissima Madre, e del discepolo prediletto; conserva sempre il ricordo della mia passione nella memoria del cuore, nel ruminare devoto della preghiera e nell'imitazione affettuosa delle azioni. Se farai ciò, diverrai conforme a me e io ti ricompenserò con abbondanti delizie. Provami con le opere il tuo amore per me. E' giunta la tua ora. Accorri, affrettati a ricevere per me la morte spiritualmente. Quale gloria per il Padre dei cieli vederti accettare una simile croce! Quale gioia per il Maestro dei maestri avere un tale fedelissimo discepolo! Sii il diletto che muore per il suo Diletto e che corrisponde alla sua passione tanto da avere in te gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. .(Fil 2,5) Sarai colmato di gloria nei cieli, sarai degno di tutti gli onori celesti. Compagno di Cristo nella grande tribolazione, lo sarai anche nell'immensa consolazione.

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    Predefinito Da "Maria ai piedi della croce" di Giorgio di Nicomedia.

    Oratio VIII In S. Mariam assistentem cruci. PG 100, 1475-1478.

    Coloro che ne hanno fatto l'esperienza conoscono lo strazio delle ultime raccomandazioni di un morente, come esse penetrino in fondo al cuore provocando vivo dolore. Sono come l'ultima espressione dell'essere amato con il quale si condivise l'esistenza.

    Ai piedi della croce Maria viene a sapere come il Figlio ch'ella conosceva così bene e aveva cura di lei, stava per lasciarla. Ma conosce pure che il Verbo ineffabile le rimarrà perennemente accanto.

    "Madre, d'ora in poi ti sarò accanto in maniera divina e avrò cura di te con l'amore dovuto a mia madre. Avrai con te per figlio il mio discepolo prediletto ed egli ti presterà tutti i servizi che gli ispirerà la sua pietà filiale.

    Grazie a lui voglio colmare il vuoto causato dalla mia assenza per diminuire la tua pena sconfinata.

    Cerca di placare il tuo acuto dolore, allevia l'angoscia che ti contrista pensando al grande dono che ti faccio. Tu hai l'animo a pezzi, consumato da una fiamma interiore devastante e il tuo cuore è ferito in modo spaventoso. Il tuo amore verso di me va ben oltre la capacità naturale, né d'altra parte è possibile che tu non senta nulla. Ma io eliminerò una parte del dolore che ti assilla interiormente donandoti una forza d'animo che sappia dominarlo, poiché sei mia madre.

    Con le ignominie che mi sono inflitte ho voluto ridare onore al disonorato genere umano. Queste stesse ingiurie, mentre per me sofferente nella carne sono segno di immensa gloria, per te sono rivelazione e annunzio della mia grandezza. Accanto a te ora hai il discepolo sul cui petto reclinai il capo; poni fine perciò alle tue sofferenze e, vivendo con lui e con gli altri, occupa il posto lasciato vuoto da me.

    Nella persona di Giovanni intendo affidarti anche gli altri discepoli. Desidero che tu stia insieme con essi, e fino a quando sarai in vita, tu faccia in modo di sostituire la mia presenza fisica. Sii per essi ciò che le madri mostrano di essere per i loro figli; anzi, di più: sii ciò che io rappresentavo per loro quando ero presente.

    A loro volta essi ti porteranno quel rispetto che è proprio di figli sottomessi. Ti venereranno con il culto che si addice alla madre del Signore e io mi comunicherò loro per mezzo tuo, perché abbiano te come mediatrice di pronta riconciliazione con me".

    Dopo aver così amorevolmente parlato alla madre, Cristo si rivolge al discepolo e gli dice: Ecco la tua madre! O eccelso onore per un discepolo, eredità più ricca di qualsiasi bene esistente! Di quale dono di grazia l'amato discepolo diventa messaggero! Ottiene di essere chiamato fratello del Creatore e di ricevere come madre e accogliere con sé la regina dell'universo.

    Ecco la tua madre! "Ecco, - dice Cristo - te l'affido. Poiché ritorno nella mia gloria, la lascio a te al posto della mia visibile presenza. Supplisci a quell'affetto filiale che le avrei dovuto; venerala come si addice alla madre del tuo Signore e Maestro. Poiché ella godrà della mia continua presenza divina, abbia anche il tuo premuroso aiuto, senza mai cedimenti.

    Entrambi, tu con la parola e io con i fatti, elimineremo il suo dolore. Tu confortala adeguatamente. mentre - io le infonderò una forza d'animo incrollabile.

    Io la costituisco madre non soltanto per te ma anche per tutti gli altri; la pongo a guida dei discepoli e voglio che sia onorata in modo speciale per questo privilegio di madre.

    Benché vi abbia ordinato di non chiamare nessuno padre sulla terra, tuttavia voglio che la onoriate e chiamate madre, perché è stata per me una dimora più sublime dei cieli e ha mostrato una volontà del tutto soprannaturale."




    Édouard Manet, Cristo morto e gli angeli, 1864, Metropolitan Museum of Art, New York

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    Predefinito Da un'antica «Omelia sul Sabato santo» (PG 43, 439. 451. 462-463)

    Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
    Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
    Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
    Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
    Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
    Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire. Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
    Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
    Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

    William Bouguereau, Pietà, 1876, Dallas Museum of Fine Arts, Dallas, Texas



    Carl H. Bloch, Sepoltura di Gesù, XIX sec.

    Carl H. Bloch, Sepoltura di Gesù, 1880

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    Dal sito SANTI E BEATI:

    Sabato Santo

    (celebrazione mobile)

    Nella Settimana Santa della Liturgia cristiana, che va dalla Domenica delle Palme alla Domenica di Pasqua, vi sono tre giorni che primeggiano per la loro solennità ed unicità, ed è il “Triduo Pasquale”, nel quale si commemora la crocifissione, sepoltura e Resurrezione di Gesù Cristo ed incomincia con la Messa vespertina del Giovedì Santo, prosegue con i riti del Venerdì Santo; al suo centro c’è la Veglia pasquale e si chiude ai Vespri della Domenica di Pasqua.
    Se nel Giovedì Santo predomina la solennità dell’istituzione dell’Eucaristia, dell’istituzione del Sacerdozio e della Chiesa di Cristo; se nel Venerdì Santo predomina la mestizia, il dolore e la penitenza, nel ricordare la Passione e morte di Gesù, con la sua sepoltura; nel Sabato Santo invece predomina il silenzio, il raccoglimento, la meditazione, per Gesù che giace nel sepolcro; poi verrà la gioia della Domenica di Pasqua con la sua Resurrezione, ma nel sabato incombe il silenzio del riposo della morte.
    Con la nostra meditazione, andiamo col pensiero, alla disperazione e disorientamento degli Apostoli e degli amici di Gesù, che dopo averlo seguito nei suoi itinerari in Galilea, assistito ai suoi prodigi, ascoltato i suoi insegnamenti, così pieni di speranza e innovativi per quell’epoca, l’avevano visto poi morire così tragicamente, senza che qualcosa o qualcuno, tanto meno Lui stesso, abbia bloccato questo ingiusto e assurdo evento.
    Tutto prenderà poi un’altra luce, il peso che opprime il loro animo si trasformerà in gioia e sollievo, alla notizia della Sua Resurrezione, ma il Sabato, cioè il giorno dopo la morte, che per gli Ebrei era il giorno sacro e del più assoluto riposo, resterà cupo e pieno di sgomento per loro, che ignoravano ciò che sarebbe avvenuto dopo.
    Ma nella liturgia, non sempre è stato così, a partire dal IV secolo in alcuni luoghi, in questo giorno i candidati al Battesimo (Catecumeni), facevano la loro pubblica professione di fede, prima di venire ammessi nella Chiesa, rito che avveniva poi nella Veglia di Pasqua.
    Verso il XVI secolo, si cominciò con un’anticipazione della Vigilia alla mattina del Sabato Santo, forse perché non era consigliabile stare di notte fuori casa, ad ogni modo questa anticipazione al mattino del Sabato, è durata fino agli ultimi anni Cinquanta del XX secolo; ricordo personalmente che la “Gloria” si “scioglieva” verso le 10-11 del mattino del sabato, con il suono delle campane, appunto “sciolte” dai legami messi la sera del Giovedì Santo.
    Poi con la riforma liturgica Conciliare, tutto è ritornato come alle origini e il Sabato ha ripreso il significato del giorno della meditazione e penitenza; l’oscurità nelle chiese è totale, non vi sono celebrazioni liturgiche, né Sante Messe; è l’unico giorno dell’anno che non si può ricevere la S. Comunione, tranne nel caso di Viatico per gli ammalati gravi.
    Tutto è silenzio nell’attesa dell’evento della Resurrezione. Quanto tempo restò sepolto nel sepolcro Gesù? Furono tre giorni non interi, dalla sera del Venerdì fino all’alba del giorno dopo la festa del Sabato ebraico, che oggi è la Domenica di Pasqua, ma che per gli Ebrei era il primo giorno della settimana; in tutto durò circa 40 ore.
    Bisogna dire che con la liturgia odierna, la “Veglia Pasquale” è prevista in buona parte delle nostre chiese e cattedrali, con inizio verso le 22,30-23 del sabato; ma la “Veglia”, madre di tutte le Veglie celebrate dalla Liturgia cristiana, pur iniziando nell’ultima ora del sabato, di fatto appartiene alla Liturgia solenne della Pasqua.
    Durante la “Veglia” viene benedetto il fuoco, il ‘cero pasquale’, l’acqua battesimale; cercando di far coincidere il canto del ‘Gloria’, con il suono delle campane a festa, verso mezzanotte. In altre zone la “Veglia” inizia verso mezzanotte e quindi la liturgia eucaristica prosegue nelle prime ore notturne.
    La cerimonia della “Veglia” è riportata nella scheda del sito alla voce “Pasqua di Resurrezione” (ID 20260).

    Autore: Antonio Borrelli

    Philippe de Champaigne, Il corpo di Cristo morto, Louvre, Parigi

    Philippe de Champaigne, Maria Addolorata, XVII sec., Ecken

    Philippe de Champaigne, Vergine del Dolore o Mater Dolorosa, XVII sec., musée de Port-Royal des Champs, Magny-les-Hameaux


    Anthony van Dyck, Compianto sul Cristo morto, 1634-36, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Anversa

    Anthony van Dyck, Compianto sul Cristo morto, 1630 circa, Museo di palazzo Venezia, Roma

    Anthony van Dyck, Compianto sul Cristo morto, 1628-29, Museo del Prado, Madrid

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    Predefinito Dalla "Mistica Città di Dio" della Ven. Suor Maria di Gesù Agreda

    Libro VI, Cap. 25, §§ 1454-1465

    CAPITOLO 25

    La Regina del cielo consola Pietro e gli altri apostoli, usa prudenza dopo la sepoltura del Figlio e vede discendere la sua anima al limbo, dove si trovavano i santi padri.


    1454. La pienezza di sapienza che illuminava l'intelletto di Maria beatissima non lasciava spazio ad alcuna mancanza ed ella, in mezzo ai suoi dolori, continuava a porre attenzione ad ogni azione che l'occasione richiedeva. Con questa superna provvidenza non trascurava niente, operando ciò che era più santo e perfetto in tutto. Dopo la sepoltura di Cristo, nostro bene, si ritirò, come si è detto, nel cenacolo; nel luogo dove era stata celebrata la Pasqua parlò con Giovanni, con le Mafie e con le altre che lo avevano seguito dalla Galilea, ringraziandoli con semplicità e nel pianto per la perseveranza con la quale sino a quel momento l'avevano accompagnata con pietà ed affetto nel corso della passione del suo adorato Gesù, in nome del quale promise loro il premio. Al tempo stesso, si offrì alle pie discepole come ancella e amica. Tutte le si mostrarono riconoscenti per questo grande favore e le baciarono la mano chiedendo la benedizione; la supplicarono poi di distendersi un po' e di mangiare qualcosa, ma ella rifiutò: «Mio riposo e mio ristoro deve essere il vedere risorto il mio Signore. Voi, o carissime, soddisfate le vostre necessità come è giusto, mentre io me ne sto con lui in disparte».

    1455. Si separò da loro assistita dall'Apostolo e quindi, postasi in ginocchio, affermò: «Tenete a mente le parole con le quali il mio Unigenito dalla croce ha voluto costituire voi mio figlio e me vostra madre. Siete sacerdote dell'Altissimo: per questa eccelsa dignità è opportuno che io dipenda da voi in tutto e da adesso bramo che mi comandiate quello che sarò tenuta a fare, considerando che sono sempre stata serva e che tutta la mia gioia sta nell'obbedire fino alla morte». Proclamò ciò tra molte lacrime ed egli, spargendone ugualmente in abbondanza, rispose: «Signora mia, che avete dato alla luce il mio Redentore, sono io che devo sottostare a voi, perché al figlio non compete autorità, ma abbandono e docilità nei confronti della propria madre. Chi mi ha reso suo ministro vi ha fatto sua genitrice ed è stato soggetto al vostro beneplacito, sebbene fosse il Creatore dell'universo. Occorre, dunque, che anch'io lo sia allo stesso modo e mi impegni con tutte le forze per corrispondere adeguatamente all'incarico di assistervi; per adempierlo con decoro, vorrei essere più angelo che uomo». Tali espressioni furono molto prudenti, ma non sufficienti per vincere l'umiltà della Regina delle virtù, la quale replicò: «Mio diletto, sarà mia consolazione reputarvi mio capo, dato che lo siete. Io nel pellegrinaggio terreno devo sempre avere un superiore al quale subordinare i miei aneliti e le mie opinioni. Per questo siete inviato dall'Onnipotente e come figlio vi compete darmi tale sollievo nella mia triste solitudine». Egli riprese: «Madre mia, sia fatta la vostra volontà, poiché in essa è riposta la mia sicurezza di non sbagliare». Ella, senza aggiungere altro, gli domandò licenza di rimanere a contemplare i misteri di sua Maestà e lo pregò di recarsi a procurare del cibo per le donne, e di sostenerle e confortarle; eccettuò soltanto le Marie, che intendevano continuare il digiuno sino alla risurrezione, scongiurandolo di permettere loro di attuare quel devoto proposito.

    1456. Giovanni andò a incoraggiare queste ultime ed eseguì quanto gli era stato ordinato, curandosi dei bisogni delle altre; tutte, poi, si appartarono e passarono la notte in mesta e straziante meditazione del supplizio del Salvatore. La Vergine, tra i flutti delle sue angustie e delle sue pene, faceva ogni cosa con questa saggezza così divina, senza scordare affatto a causa di esse di praticare con puntualità l'obbedienza, la sottomissione, la carità e la previdenza, per quanto era importante. Né si dimenticò di se stessa nell'attendere alle esigenze delle sue compagne, né per queste tralasciò di fissare il pensiero su ciò che conveniva alla sua maggiore perfezione. Ammise l'astinenza delle Marie, più robuste e fervorose nell'amore, e provvide alle più deboli; dispose l'Evangelista, avvertendolo di come dovesse comportarsi con lei, e agì in tutto come vera maestra della santità e dispensatrice della grazia, proprio mentre le acque della tribolazione le giungevano fino all'anima. Quando, poi, restò da sé, sciolse il freno alla corrente impetuosa della sofferenza e si fece possedere completamente dall'amarezza, richiamando alla memoria le immagini di tutti i tormenti e dell'ignobile condanna del suo Gesù, e riflettendo anche sulla sua vita, la sua predicazione, i suoi miracoli, il valore infinito della redenzione, la Chiesa fondata con tanta bellezza e tante ricchezze di sacramenti e tesori di misericordia, la felicità incomparabile dell'intero genere umano così abbondantemente e gloriosamente riscattato, la sorte inestimabile degli eletti che ne avrebbero goduto, la spaventosa sventura dei reprobi che per loro volere si sarebbero resi indegni della beatitudine eterna che era stata meritata loro.

    1457. Attese l'alba ponderando nel modo dovuto realtà così sublimi, lamentandosi, lodando ed esaltando le opere di Cristo, il suo sacrificio, i suoi imperscrutabili giudizi ed altri altissimi arcani della sua provvidenza. Si elevava al di sopra di tutti, come unica madre della vera sapienza, conversando ora con gli angeli ora con sua Maestà riguardo a ciò che l'illuminazione celeste le faceva sentire nel suo castissimo petto. Il sabato mattina, dopo le quattro, il nuovo figlio entrò, desideroso di rinfrancare l'Addolorata, che, genuflessa, lo implorò di concederle la benedizione come sacerdote e suo superiore; anch'egli, gemendo, la chiese a lei, e se la dettero scambievolmente. Maria lo invitò ad uscire senza indugio, perché ben presto fuori avrebbe incontrato Pietro, che veniva a cercarlo; lo esortò ad accoglierlo, consolarlo e condurlo là, ed a fare lo stesso con gli altri discepoli che avrebbe trovato, dando loro la speranza del perdono e manifestando a ciascuno l'amicizia di lei. Egli lasciò il cenacolo e dopo pochi passi lo scorse mentre, pieno di confusione e tra le lacrime, arrivava dalla grotta in cui aveva pianto il suo rinnegamento e si recava assai timoroso dalla Regina. Giovanni alleviò un po' la sua angoscia riferendo il messaggio, e subito entrambi provarono a rintracciare gli altri; ne incontrarono alcuni e tutti insieme tornarono alla casa dove stava il loro rimedio. Pietro si introdusse per primo e da solo al cospetto della Signora e, gettandosi ai suoi piedi, esclamò con grande afflizione: «Ho peccato davanti al mio Dio, ho offeso il mio Maestro e voi». Non riuscì a proferire altro, oppresso dai singhiozzi e dai sospiri che provenivano dal profondo del suo intimo.

    1458. Ella, vedendolo prostrato a terra e stimandolo da una parte penitente per la sua recente caduta e dall'altra responsabile della comunità ecclesiale, scelto dal suo Unigenito come vicario, non riteneva opportuno inchinarsi al pastore che poco prima aveva dichiarato di non conoscere il suo Signore né del resto sopportava nella sua umiltà di tralasciare di prestargli la riverenza che gli spettava in considerazione del suo ufficio. Valutò, allora, conveniente dargli ossequio, nascondendone però il motivo; perciò, si inginocchiò dinanzi a lui venerandolo con questa azione e, per dissimulare il suo intento, disse: «Invochiamo la remissione del vostro sbaglio». Pregò e lo rincuorò, confortandolo e muovendolo a confidare. Gli ricordò la bontà di Gesù con i colpevoli pentiti e l'obbligo che egli aveva, come capo del collegio apostolico, di confermare tutti con il suo esempio nella costanza e nella confessione della fede. Con queste ed altre parole, molto veementi e dolci, lo rinsaldò nella fiducia nella clemenza. Quindi, si fecero avanti gli altri, i quali, stesi al suolo, la supplicarono di scusare la loro codardia, che li aveva indotti ad abbandonare il Salvatore nella passione. Si dolsero amaramente del loro errore, spinti a maggiore dispiacere dalla presenza della compassionevole Vergine, il cui mirabile aspetto provocava in essi straordinari effetti di contrizione e di affezione verso di lui. Ella li fece rialzare e li rianimò con la promessa dell'indulgenza che bramavano e della sua intercessione per ottenerla. Incominciarono subito tutti per ordine a raccontarle ciò che a ciascuno era successo nella fuga, come se ne avesse ignorato qualche circostanza. Li ascoltò traendo occasione da quello che affermavano per parlare al loro cuore allo scopo di rafforzarli nell'adesione a sua Maestà e di risvegliare in essi il suo amore; conseguì tutto ciò, perché, dopo averla udita, si separarono da lei infervorati e resi giusti con aumenti di grazia.

    1459. In questo la Madre impiegò parte del sabato e quando fu sera si ritirò un'altra volta nel suo oratorio allontanandosi da loro, ormai rinnovati nello spirito e colmi di sollievo e di gaudio, ma sempre tristi per l'uccisione di Cristo. Durante la notte ella rivolse la sua mente alle opere che l'anima beatissima del Figlio compiva dopo essersi staccata dal sacro corpo; infatti, seppe fin da quel momento che essa, unita alla divinità, discendeva al limbo per liberare i padri che vi erano trattenuti, dal primo retto morto nel mondo aspettando la venuta del Redentore universale. Per spiegare questo mistero, che è uno degli articoli del credo circa la santissima umanità del Verbo, mi è sembrato bene far intendere ciò che mi è stato rivelato intorno a quel carcere sotterraneo e alla sua ubicazione. Informo, dunque, che il nostro pianeta da una superficie all'altra ha un diametro di duemilacinquecentodue leghe, milleduecentocinquantuno sino alla metà; la circonferenza si deve misurare in rapporto a questo. Al centro, come nel cuore della terra, sta l'inferno, una spelonca o un caos contenente molte stanze buie con supplizi diversi, tutti terribili e spaventosi, che formano un globo simile a una brocca immensa con una bocca o entrata molto larga e spaziosa. In questa orribile fossa di confusione e di tormenti stanno i demoni e tutti i dannati, e vi rimarranno per tutta l'eternità', finché Dio sarà Dio, perché laggiù non vi è scampo.

    1460. Da un lato degli inferi c'è il purgatorio, dove le anime dei giusti si purificano, se in questa vita non hanno finito di pagare per le loro mancanze e non ne sono usciti così puliti e senza difetti da poter raggiungere subito la contemplazione dell'Altissimo. Questa caverna è ampia, ma molto meno dell'inferno, alla quale non è collegata, quantunque anche in essa vi siano duri castighi. Dal lato opposto sta il limbo, diviso in due antri: uno è per i piccoli deceduti prima del battesimo con il solo peccato originale, senza atti buoni o cattivi del proprio arbitrio; l'altro serviva per farvi sostare gli uomini dopo l'espiazione del male commesso, perché non potevano essere ammessi in paradiso né esultare nel Signore finché non fossero stati salvati e non fosse stato aperto l'ingresso che la trasgressione di Adamo aveva chiuso. Il limbo è ancora meno vasto, non comunica con l'inferno e non ha pene come il purgatorio, perché vi si perveniva da esso dopo averle già scontate, avendo come unico danno quello di non poter godere del sommo Bene. Vi si trovavano tutti coloro che erano periti in stato di grazia dal principio fino alla crocifissione di Gesù. In questo luogo si recò la sua anima santissima con la divinità, quando diciamo che scese agli inferi; con tale nome, infatti, si designano tutte le parti che stanno nelle profondità, anche se nel linguaggio comune lo riferiamo all'inferno, perché questo è il significato più noto, come parlando di cielo ordinariamente pensiamo all'empireo, dove stanno e staranno sempre gli eletti, e perché il limbo e il purgatorio hanno queste denominazioni particolari. Dopo il giudizio finale saranno abitati solo il cielo e l'inferno, perché il purgatorio non sarà più necessario e dal limbo i bambini devono ancora trasferirsi in un'altra dimora.

    1461. L'anima santissima vi giunse, accompagnata da innumerevoli angeli, che lodavano il loro sovrano vittorioso e trionfante e rendevano a lui onore, gloria e potenza. Per rappresentare la sua grandezza e magnificenza comandarono che si spalancassero le porte di quell'antica prigione, perché il Re della gloria, potente in battaglia e signore delle virtù, le potesse varcare. A questo ordine si spaccarono alcune rupi, benché non ce ne fosse bisogno per l'accesso di Cristo e della sua milizia, interamente composta da spiriti sottilissimi. Per la sua presenza quell'oscuro abisso si convertì in cielo, perché si riempì tutto di mirabile splendore. Le anime dei giusti che erano lì furono beatificate con la visione chiara della Trinità e istantaneamente passarono da una condizione di così lunga speranza al possesso perpetuo del gaudio, e dalle tenebre alla luce inaccessibile. Riconobbero il loro vero Dio e lo esaltarono con nuovi cantici, affermando: «L'Agnello che è stato immolato è degno di ricevere potenza, onore e forza. Tu ci hai riscattati con il tuo sangue da tutte le tribù e le nazioni, e ci hai costituiti per il nostro Dio un regno, e regneremo. Tua è la potenza, tuo è il regno, tua è la gloria per le tue opere». Egli ingiunse immediatamente ai suoi ministri di portare davanti a lui dal purgatorio le anime che vi erano, le quali, come primi frutti della redenzione, furono assolte da ciò di cui restava loro da saldare il debito e furono innalzate come le altre; così, dinanzi a lui rimasero vuote le due carceri del limbo e del purgatorio.

    1462. Solo per l'inferno questo giorno fu terribile, perché fu disposto che tutti i suoi abitanti intendessero e sperimentassero la discesa al limbo del Figlio dell'Eterno. Anche i padri e i retti capirono lo spavento che questo mistero infuse nei demoni e nei dannati. Gli uni, che erano abbattuti ed oppressi per la rovina sofferta sul monte Calvario, appena udirono le voci delle schiere che precedevano sua Maestà si turbarono e si intimorirono: come serpenti perseguitati si nascondevano e si rintanavano nei pertugi più remoti. Negli altri si aggiunse confusione a confusione, perché compresero con più dispetto come si fossero ingannati, perdendo così il beneficio del quale molti avevano approfittato. Siccome Giuda e il ladrone malvagio erano gli ultimi arrivati, e assai singolari in questa sciagura, ebbero un loro tormento maggiore e i diavoli si infuriarono in particolar modo contro di essi. Per quanto dipendeva da loro, i nemici si proposero di torturare più degli altri i cattolici che professassero la fede e di castigare più duramente coloro che la negassero o cadessero, giudicandoli meritevoli di pene peggiori dei pagani, ai quali non era pervenuta la predicazione.

    1463. La Signora del mondo, dal luogo in cui stava ritirata, fu informata attraverso una straordinaria illuminazione di tutti questi arcani e di altri che non posso spiegare. La meravigliosa gioia che ottenne nella parte superiore dello spirito non ridondò, come avrebbe potuto, nelle sue membra verginali; al contrario, quando ella percepì che si estendeva un po' alla sensibilità, pregò che ciò fosse impedito. Non voleva, infatti, ammetterla nel suo corpo, finché quello del suo Unigenito fosse stato nel sepolcro, non ancora glorificato. L'affetto così accorto e prudente di Maria verso di lui era proprio di una immagine viva, adeguata e perfetta della sua umanità divinizzata. Con questa diligenza sopraffina ella fu piena di letizia nell'anima, e di dolori e di angosce nel corpo, appunto come avvenne in lui. In tale occasione compose inni di lode celebrando questo trionfo, nonché la carità e la saggezza della provvidenza di Gesù, il quale, come padre premuroso e sovrano onnipotente, decise di andare di persona a prendere possesso del dominio che gli era stato consegnato e a salvare quei giusti con la sua presenza, affinché in lui stesso cominciassero a gustare il premio che aveva guadagnato loro. Per tutte queste ragioni e per altre che sapeva, ella giubilava e lo osannava come sua madre e cooperatrice.

    Insegnamento della Regina del cielo

    1464. Carissima, considera bene il messaggio contenuto in questo capitolo, in quanto è il più necessario per te nella condizione in cui Dio ti ha posta e per ciò che egli ti chiede in corrispondenza del suo amore; tra le attività, gli esercizi e le relazioni con gli altri, sia come superiora sia come suddita, governando, comandando o obbedendo, non devi mai rimuovere l'attenzione da lui né cessare di contemplarlo nella parte più recondita ed elevata di te né distrarti dalla luce dello Spirito Santo, che ti assisterà comunicandosi incessantemente. Il mio adorato, infatti, predilige nel segreto del tuo cuore quei sentieri che sono celati a Lucifero ed ai quali non giungono le passioni. Essi conducono al santuario, dove entra solo il sommo sacerdote e dove l'anima assapora i misteriosi abbracci del Re, quando, tutta intera e senza occupazioni, gli prepara il talamo del suo riposo. Lì troverai propizio il tuo Redentore, generoso l'Altissimo, misericordioso il tuo creatore e tenero il tuo dolce sposo. Non temerai il potere delle tenebre né gli effetti del peccato, che in tale regione di splendore e di verità si ignorano. L'attaccamento disordinato a ciò che è visibile e le negligenze nella custodia della legge superna, però, sbarrano queste vie; ogni pendìo e sregolamento le ostruisce; ogni cura inutile le blocca, e molto più l'inquietudine e il non conservare serenità e pace interiore, perché per godere il Signore bisogna che l'intimo sia solitario, puro e distaccato da quanto non è autentico e luminoso.

    1465. Tu hai compreso e sperimentato a fondo questo insegnamento, che io ti ho manifestato nella mia vita come in un chiaro specchio. Ti ho messo davanti il mio modo di agire mentre ero da un lato in mezzo ai tormenti, alle angustie e alle afflizioni del supplizio di mio Figlio e dall'altro tra le preoccupazioni, gli impegni e la sollecitudine per la sepoltura, gli apostoli e le pie donne. Anche in tutto il resto della mia storia hai conosciuto come unissi tali atti con quelli spirituali, senza che si opponessero e ostacolassero fra loro. Perché tu ricalchi in questo le mie orme, come voglio, è opportuno che né per i rapporti indispensabili né per le fatiche del tuo stato né per le pene di codesto esilio né per le tentazioni e la malizia del demonio tu accolga in te alcuna affezione che ti sia di intralcio o alcun interesse che ti distolga. Ti avverto che, se non sarai assai vigilante, perderai molto tempo, ti renderai inutili favori infiniti e straordinari, defrauderai i sublimi fini di sua Maestà e contristerai me e gli angeli, poiché tutti bramiamo che tu conversi con noi. Inoltre, smarrirai la tua quiete e consolazione, e ti priverai di parecchi dei gradi di grazia e degli aumenti di ardore per lui che desideri, nonché, infine, della ricchissima ricompensa nel cielo. L'ascolto e l'osservanza di quello che ti espongo con benignità materna comportano tutto questo. Mia diletta, rifletti e serba le mie parole per praticarle con la mia intercessione e l'aiuto divino. Sforzati alla stessa maniera di modellarti su di me nella fedeltà con la quale io evitai il gaudio per imitare il mio Maestro, e nel lodarlo per il beneficio che egli recò ai santi del limbo con la discesa della sua anima beatissima a riscattarli e a riempirli della gioia della sua vista, poiché ciò fu opera della sua immensa carità.

    Pietro Perugino, Sepoltura di Gesù, 1498

    Lucas Cranach il Vecchio, Pietà, Pinacoteca Vaticana

    Hans Holbein il Giovane, Il corpo di Cristo nella tomba, 1521, Kunstmuseum, Öffentliche Kunstsammlung, Basilea

 

 
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