| Mercoledì 9 Marzo 2005 - 165 | Alessia Lai |
Sono i veri libanesi quelli che ieri sono scesi in piazza a urlare la loro esigenza di libertà. La libertà vera: dalle ingerenze americane, sioniste, europee. Il Libano vuole essere veramente svincolato, ma non certo da un Paese amico, anzi fratello, come la Siria. E non erano ventimila, o cinquantamila, come i discepoli delle rivoluzioni telecomendate dalla casa Bianca. Erano un milione e mezzo, erano quasi la metà dell'intera popolazione libanese. Come i fantocci manovrati e illusi dalla propaganda occidentale, anche i manifestanti scesi ieri nelle strade di Beirut portavano le bandiere bianche e rosse con il cedro nel mezzo, ma nelle loro mani il vessillo simbolo del Libano aveva il suo vero significato: quello di uno Stato sovrano che vuole decidere autonomamente del proprio futuro e che intende scegliersi gli alleati senza imposizioni di alcun genere.
Proprio nel giorno in cui è formalmente iniziato il ridispiegamento dei quattordicimila soldati siriani verso la valle della Beqaa, queste persone, uomini, donne e bambini, hanno invaso le strade della capitale libanese per riversarsi nella centralissima piazza Riad Solh, per partecipare alla manifestazione indetta non solo da Hizbollah ma anche da altre diciassette formazioni politiche libanesi di tutte le confessioni e orientamenti politici. Un popolo unito, dai falangisti maroniti del Kataeb, ai ba'athisti siriani, passando per la formazioni politica armena del partito Tachnag, per quelle sunnite dell'Organizzazione popolare nasseriana e dell'Associazione di beneficenza Islamica e per quelle sciite dell'Amal e del 'Partito di Dio', i promotori della manifestazione. Tutti insieme per esprimere appoggio a Damasco, per contrastare gli ormai quotidiani e pubblicizzatissimi cortei dell'opposizione filoamericana e soprattutto per gridare le ingerenze israelo-americane nella politica interna del loro Paese. Ancora prima dell'ora fissata per l'apertura ufficiale del raduno le principali arterie che conducono al cuore della capitale libanese erano già intasate da lunghe colonne di auto, pullman e persino di camion carichi di dimostranti, e la piazza era letteralmente inondata di bandiere libanesi ma anche dai colori pan-arabi dello Stato confinante.
"Grazie, Siria! No all'ingerenza straniera!", era uno dei tanti slogan che campeggiavano sui cartelli e sugli striscioni inalberati dai manifestanti. In attesa che gli oratori prendessero la parola dal grande palco allestito nella piazza Riad el Solh, i manifestanti scandivano slogan contro gli Stati Uniti e Israele: ''L'America è la fonte del terrorismo'', ''Sharon il Libano sarà la tua tomba'', gridava la folla. Altri sventolavano solo bandiere nazionali libanesi e inalberavano cartelli con su scritto 'Grazie alla Siria di Assad', 'No all'America', 'No a Israele', 'No alla 1559', la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu che richiede il ritiro siriano dal Libano e il disarmo di Hizbollah.
Molti manifestanti mostravano ritratti del presidente siriano Bashar Assad e copie del Corano, ma anche cartelloni con su scritti i nomi dell'ex premier Rafik Hariri, della cui morte la propaganda atlantica ha strumentalmente accusato Damasco. Alcuni manifestanti che avevano scandito slogan contro il leader druso dell'opposizione Walid Jumblatt, che sta cercando di cavalcare l'onda della protesta foraggiata da Washington, sono stati subito richiamati all'ordine dai militanti di Hizbollah, che alla vigilia aveva fatto sapere di voler mantenere un carattere strettamente ''nazionale'' della dimostrazione. Una posizione seria, matura, realmente politica. Già la scorsa settimana Hassan Nasrallah, il leader del 'Partito di Dio', aveva preferito non convocare una contromanifestazione durante i raduni contro il governo libanese e la Siria indette dall'opposizione filo-occidentale. Un gesto responsabile che intendeva scongiurare scontri di piazza e il ritorno ad un clima da guerra civile che avrebbe fatto comodo solo agli avvoltoi sionisti di Washington e Tel Aviv. Ieri la vera anima del Libano si è manifestata e non è quella mostrata e gonfiata dalla propaganda 'democratica' occidentale. E' l'anima di un popolo unito, oltre le confessioni religiose e politiche, che vuole essere libero dalle maglie della 'democratizzazione' statunitense, dalle 'rivoluzioni colorate' pagate in dollari, da un futuro colonizzato a stelle e strisce.
Alessia Lai