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    Predefinito 20 agosto - S. Bernardo di Chiaravalle, abate e Dottore della Chiesa

    La Piaga incognita della Sacra Spalla di Nostro Signore Gesù Cristo

    ORAZIONE da dirsi alla Piaga della spalla di Nostro Signore.

    Dilettissimo Signore Gesù Cristo, mansuetissimo Agnello di Dio, io povero peccatore adoro e venero la Santissima vostra Piaga che riceveste sulla Spalla nel portare la pesantissima Croce al Calvario, nella quale restarono scoperte tre Sacratissime Ossa, tollerando in essa un immenso dolore; Vi supplico per virtù e meriti di detta Piaga ad avere di me misericordia col perdonarmi tutti i miei peccati sia mortali che veniali ed assistermi nell'ora della mia morte e di condurmi nel Vostro Regno Beato.
    Tre Pater, Ave, Gloria.

    Rivelazione fatta a San Bernardo della Piaga incognita della Sacra Spalla di Nostro Signore Gesù Cristo aperta dal peso della Croce.

    S. Bernardo, abate di Chiaravalle, domandò nell'orazione a Nostro Signore quale fosse stato il maggior dolore sofferto nel corpo durante la sua Passione. Gli fu risposto:-Io ebbi una Piaga sulla Spalla, profonda tre dita, e tre ossa rimasero scoperte nel portare la Croce; questa Piaga mi ha dato maggior pena e dolore di tutte le altre e dagli uomini non è conosciuta. Ma tu rivelala ai fedeli cristiani e sappi che qualunque grazia mi chiederanno in virtù di detta Piaga verrà loro concessa e a tutti quelli che mi onoreranno per amor di Essa col recitare tra Pater, Ave e Gloria al giorno, perdonerò i peccati veniali, non ricorderò più i mortali e non morrano di morte subitanea ed in punto di morte saranno visitati dalla Beata Vergine e conseguiranno la Grazia e la Misericordia.

    Recitate 7 Ave a Maria SS. che imprima nel nostro cuore la piaga di Gesù Crocifisso.(Indulgenza di 300 giorni ognuno)

    Oh, dolcissimo Gesù, sii sempre il nostro Salvatore (Indulgenza di 100 giorni ogni volta).

    Papa Eugenio III ad istanza di San Bernardo concesse le indulgenze Plenarie a chi propagherà questa orazione, ed a chi reciterà 5 Pater, Ave e Gloria frequentando i S. Sacramenti e pregherà per il Sommo Pontefice con un Pater, Ave e Gloria.

    AMDG.
    Viva Cristo RE!

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    Predefinito 20 agosto - S. Bernardo di Chiaravalle Abate e Dottore della Chiesa

    Dal sito SANTI E BEATI (con mie modifiche, integrazioni e correzioni):

    San Bernardo di Chiaravalle, Abate e dottore della Chiesa

    20 agosto - Memoria

    Digione, Francia, 1090 - Chiaravalle-Clairvaux, 20 agosto 1153

    Bernardo, dopo Roberto, Alberico e Stefano, fu padre dell'Ordine Cistercense. L'obbedienza e il bene della Chiesa lo spinsero spesso a lasciare la quiete monastica per dedicarsi alle più gravi questioni politico-religiose del suo tempo. Maestro di guida spirituale ed educatore di generazioni dei santi, lascia nei suoi sermoni di commento alla Bibbia e alla liturgia un eccezionale documento di teologia monastica tendente, più che alla scienza, all'esperienza del mistero. Ispirò un devoto affetto all'umanità di Cristo e alla Vergine Madre. (Mess. Rom.)

    Patronato: Apicultori, Liguria, Avignone

    Etimologia: Bernardo = ardito come orso, dal tedesco

    Emblema: Bastone pastorale, Libro

    Martirologio Romano: Memoria di san Bernardo, abate e dottore della Chiesa, che entrato insieme a trenta compagni nel nuovo monastero di Cîteaux e divenuto poi fondatore e primo abate del monastero di Chiaravalle, diresse sapientemente con la vita, la dottrina e l’esempio i monaci sulla via dei precetti di Dio; percorse l’Europa per ristabilirvi la pace e l’unità e illuminò tutta la Chiesa con i suoi scritti e le sue ardenti esortazioni, finché nel territorio di Langres in Francia riposò nel Signore.

    Martirologio tradizionale (20 agosto): Nel territorio di Langres la deposizione di san Bernardo, primo Abate di Chiaravalle, glorioso per la vita, per la dottrina e per i miracoli, dal Sommo Pontefice Pio ottavo dichiarato e confermato Dottore della Chiesa universale.

    Nacque nel 1090 nel castello paterno di Fontaines-lès-Dijon, villagio vicino a Digione, in Borgogna. Figlio del cavaliere Tescelin e di sua moglie Aleth, imparentata ai duchi di Borgogna, Bernardo era il terzo di sette figli. Destinato alla carriera ecclesiastica, ad otto anni circa, fu affidato alla scuola cattedrale dei Canonici di Saint Vorles in Châtillon-sur-Seine, dove, secondo il cronista «amava restare in disparte, timido, poco incline alla conversazione, mirabilmente raccolto, gentile ed obbediente, modesto, dedito al servizio di Dio e vigile nel conservare pura la propria fanciullezza». Fu qui che, durante la notte di Natale del 1097, avrebbe contemplato la nascita di Gesù.
    La scuola dei Canonici di Châtillon era, in quel tempo, una delle istituzioni più prestigiose della Borgogna, dove lo studio degli scrittori latini costituiva l'elemento fondamentale del curriculum umanistico, ma non includeva il pensiero greco, ancora poco studiato in Occidente.
    Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1107, Bernardo avvertì un senso di vuoto interiore e di impotenza di fronte alla vita. Aveva 17 anni, e fece anche una certa esperienza di vita socialmente brillante. Tra il fragore delle armi e le seduzioni del mondo, Bernardo sentiva, con crescente insistenza, il richiamo di Dio per la quiete e la pace del chiostro.
    A ventidue anni decise di farsi monaco, tirando con sé una trentina di parenti, tra fratelli e zii. Nel 1112, infatti, bussò, insieme ai suoi confratelli, alle porte di Cîteaux (Cistercium in latino, da cui cistercensi), al monastero fondato da S. Roberto di Molesmes, e giurò all'abate S. Stefano Harding di osservare la Regola di San Benedetto.
    L'abate accolse sicuramente con gioia questo gruppo e seppe discernere la ricchezza della personalità di Bernardo e dargli fiducia, anche se, sotto molti aspetti, si scoprì tra loro una notevole differenza di temperamento. Un esempio fu la divergenza di opinione sul concetto di estetica: per Stefano verteva più sul visivo, in conformità alle arti plastiche - sono testimoni a questo proposito i manoscritti con miniature che datano del suo abbaziato - invece, per Bernardo, l'estetica si apprezzava con l'orecchio e con la voce, attraverso la musica e l'ascolto - essenzialmente ascolto della Parola di Dio, del Verbo di Dio, che si rivolge al monaco al quale non è permesso distrarsi.
    A 25 anni lo mandano a fondarne un altro. Lasciò Citeaux imbracciando una pesante croce di legno e seguito da dodici religiosi che innalzavano inni e lodi al Signore. La piccola truppa, dopo una lunga marcia, fece sosta in una vallata amena e ben riparata. Il posto era buono e decisero di arrestarvici, dopo averlo battezzato col bel nome di Chiaravalle, Clairvaux; una campagna disabitata, che diventò la Clara Vallis sua e dei monaci: «Benedictus montes, Bernardus valles amabat».
    Nel 1116, all'età di 26 anni, Bernardo fu ordinato sacerdote dal celebre maestro Guglielmo di Champeaux, vescovo di Châlons(sebbene riguardo a questo particolare le fonti non sono certe, sappiamo solo che Bernardo divenne sacerdote), del quale divenne amico e con lui assieme a Elredo di Rievaulx ed a Guerrico d'Igny, è considerato uno dei "quattro grandi Padri" della spiritualità cistercense. Divenuto sacerdote, ricevette anche la benedizione abbaziale, divenendo abate.
    Grazie alla grande spiritualità del nostro Santo, alla sua purezza e semplicità, l'abbazia di Clairvaux appariva come «la cittadella dello spirito».
    Bernardo è riservato, quasi timido. Ma c’è il carattere. Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse, ma tanti ecclesiastici gli vanno di traverso. È severo anche coi monaci di Cluny, secondo lui troppo levigati, con chiese troppo adorne, "mentre il povero ha fame".
    Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Scaglia sull’Europa incolta i suoi miti dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono all’ordine la terra e l’acqua, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, fu chiamato spesso a missioni di vertice, come quando percorse tutta l’Europa per farvi riconoscere il papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto II). L'anno 1130, infatti, fu una data chiave per la vita di Bernardo. Fino ad allora si era unicamente consacrato alla vita della sua comunità e del suo Ordine, ora entrava, in modo attivo e decisivo, nella vita della Chiesa, aiutando a risolvere la citata situazione di crisi: alla morte di papa Onorio II, furono eletti, da due fazioni avverse, altrettanti papi: Innocenzo II e Anacleto II. Il primo fu costretto a fuggire e si rifugiò in Francia, a Cluny. Il re francese Luigi VI, per un pronunciamento sulla legittimità di elezione, convocò un Concilio ad Etampes al quale fu invitato anche Bernardo. Si stabilì che il pronunciamento di Bernardo dovesse essere accettato come espressione del Concilio. Bernardo si pronunciò per Innocenzo II quale papa legittimo, il quale così ottenne il riconoscimento dal re Luigi VI, da Enrico d'Inghilterra, dall'imperatore di Germania, Lotario. Lo scisma finì, dunque, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà.
    Grande asceta e mistico, fu zelante difensore della fede. Bernardo attaccò duramente la dottrina trinitaria di Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers. E fece condannare dal Concilio di Sens - ratificato dal Papa - l’insegnamento razionalistico di Pietro Abelardo (di cui è noto, attraverso un epistolario, lo sventurato amore per Eloisa), docente di teologia e logica a Parigi, contro cui Bernardo scrisse un "Trattato contro gli errori di Abelardo", ed il cui giudizio nei suoi confronti lo sintetizzava così: “Cum de Trinitate loquitur, sapit Arium, cum de gratia, sapit Pelagium, cum de persona Christi, sapit Nestorium”, puntualizzando in quali eresie Abelardo era caduto nel suoi ragionamenti teologici, cioè nel arianesimo, pelagianismo, e nestorianesimo. Ciò che rimase di Abelardo e che sarà successivamente fatto proprio, sviluppato e corretto da S. Tommaso fu il c.d. "metodo del dubbio", fatto appunto di quaestiones (domande) e risposte, obiezioni e soluzioni. Fu un metodo rivoluzionario per l’epoca, in quanto si voleva risolvere con la logica le contraddizioni apparenti presenti nella tradizione dei Padri. In questo senso Abelardo fu un anticipatore.
    Nel 1145 salì al pontificato il discepolo di Bernardo, già abate cistercense alle Tre Fontane a Roma, Bernardo dei Paganelli (Eugenio III), e lui gli mandò un trattato buono per ogni papa, ma adattato per lui, con l'invito a non illudersi su chi aveva intorno: "Puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare".
    Eugenio III lo chiamò poi a predicare la crociata (la seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme. Ma l’impresa fallì davanti a Damasco. Sostenne e promosse l’Ordine Cavalleresco dei Templari, presenziando alla sua approvazione. Ai suoi occhi l'ideale di questo nuovo Ordine, che fondeva cavalleria e monachesimo, appariva come il vertice della perfezione umana.
    Quando Bernardo arrivava in una città e le strade si riempivano di gente. Ma, tornato in monastero, rieccolo obbediente alla regola come tutti: preghiera, digiuno, e tanto lavoro. Abbiamo di lui 331 sermoni, più 534 lettere, più i trattati famosi: su grazia e libero arbitrio, sul battesimo, sui doveri dei vescovi ...
    E gli scritti, affettuosi su Maria, madre di Gesù, che egli chiamava mediatrice di grazie (sebbene non riconoscesse la dottrina dell’Immacolata Concezione). A lui si deve la celebre preghiera del "Memorare", nonchè il completamento della "Salve regina" con le parole "O clemens, o pia o dulcis Virgo Maria". E' stato attribuita a lui anche la composizione dell'inno "Ave Maris Stella". Ma ciò appare improbabile, atteso che questo inno è stato ritrovato anche in antichi codici precedenti all'epoca di Bernardo. Nella Divina Commedia di Dante, Bernardo è colui che accompagna il Poeta nell'ultimo tratto del suo viaggio, alla visione di Dio. Sulla sua bocca pone la celebre e famosa preghiera a Maria "Vergine e madre, figlia del tuo Figlio,/ umile ed alta più che creatura,/ termine fisso d’eterno consiglio, ..." (Paradiso, canto XXXIII).
    Dopo le laboriose giornate si ritirava nella cella a scrivere opere piene di ottimismo e di dolcezza, come il Trattato dell'amore di Dio o il Commento al Cantico dei Cantici, che è una dichiarazione d'amore a Maria. Altre sue opere notevoli sono De diligendo Deo (1127) e De consideratione (1148).
    Momenti amari negli ultimi anni: difficoltà nell’Ordine, la diffusione di eresie e la sofferenza fisica. Muore per tumore allo stomaco. Pochi istanti prima della morte, avvenuta il 20 agosto 1153, così consolava i suoi frati: « Non so a chi dare ascolto, se all'amore dei miei figli che mi vogliono trattenere quaggiù, o all'amore del mio Dio che mi attira lassù».
    È seppellito nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i resti andranno dispersi; tranne la testa, ora nella cattedrale di Troyes: in quella stessa città nel 1128 aveva partecipato, sebbene molto malato, ad un solenne concilio. Guglielmo di Champeaux, nella biografia del Santo 'Vita Prima', scrisse che Bernardo «portò il XII secolo sulle sue spalle». Ed è vero. La storia ecclesiastica del secondo quarto del secolo XII (1123-1153) si compendia nella persona carismatica di Bernardo «Non c'è, infatti, avvenimento cui san Bernardo non sia stato interessato: Oriente ed Occidente, Chiesa e società laica, clero secolare e regolare hanno subìto l'impronta del suo genio: papi, vescovi, re, signori, contadini, operai sono stati a diverso titolo, rimproverati, moderati, flagellati come anche confortati, esortati, incoraggiati, infiammati da questo monaco ardente e impetuoso, vero inviato di Dio per strappare gli uomini al peccato, all'iniquità e al vizio, per attirarli, in seguito, verso le più alte vette dell'ideale cristiano».
    Alessandro III lo proclamò santo il 18 gennaio 1174. Pio VIII, il 20 agosto 1830, gli conferì il titolo di Dottore della Chiesa. Bernardo, oratore finissimo, meritò, fra i Dottori della Chiesa, il titolo di Doctor Mellifluus.

    Autore: Domenico Agasso





    S. Bernardo abbraccia Cristo, Basilica di S. Maria degli Angeli alle Terme di Diocleziano, Roma

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    Predefinito Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate

    (Disc. 83, 4-6; Opera omnia, ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)

    L'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. E' se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L'amore è il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l'Amore?
    Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. E' certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all'assetato.
    Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.






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    Predefinito Dai Discorsi di san Bernardo sul Cantico dei cantici

    Sermones in Cantica canticorum, LXXXIII, 3-6; LXXIV, 5-6. PL 183, 1182-1184. 1141-1142.

    Se l'anima ama il Verbo in modo perfetto, allora si concludono le nozze. Che c'è di più bello di questa unione? Che cosa è più auspicabile dell'amore, grazie al quale accade che l'anima, non paga della scienza umana, si avvicini piena di fiducia nel Verbo: si tenga costantemente vicina a lui, lo interroghi con familiarità e lo consulti per ogni dubbio, mostrandosi tanto ardente nel desiderio quanto è capace di concepirlo nella mente? Questo è davvero come il contratto di un matrimonio santo e spirituale. Non basta: è più di un contratto, è un fondersi insieme, è un fondersi dove il volere le medesime cose, e ugualmente il dissentire sulle medesime cose, formano un solo spirito di due che erano.

    E non bisogna temere che il diverso livello dei due contraenti possa in qualche modo incrinare l'armonia delle due volontà, perché l'amore non conosce la soggezione. Amore deriva dal verbo amare, non dal verbo onorare. La soggezione è un sentimento che nutre chi ha provato orrore, stupore, timore o ammirazione, sensazioni queste del tutto sconosciute a chi ama. L'amore basta sempre a se stesso; quando esso si mostra, trascina e ingloba in sé tutti gli altri sentimenti. La sposa ama ciò che ama e non sa altro.

    Dio vuole essere temuto in quanto Signore, onorato in quanto Padre, amato in quanto sposo. Timore, onore, amore. Quale dei tre è superiore agli altri? L'amore, naturalmente. Senza l'amore il timore genera angoscia e l'onore non porta con sé alcuna riconoscenza, Il timore è servile, finché non viene affrancato dall'amore. E l'onore che non nasce dall'amore, non è vero onore, bensì adulazione. Certo all'unico Dio onore e gloria (Cf 1 Tm 1,17); ma Dio non gradirà nessuno dei due, se non saranno conditi con il miele dell'amore. L'amore basta a sé stesso, piace per sé e a causa di sé. È compenso e premio di sé. L'amore non ha una causa e non produce frutti al di fuori di sé. Lui stesso è il suo frutto. Amo perché amo, amo per amore. Grande cosa è l'amore, se soltanto si rivolge indietro verso il suo principio, se ritorna alla sua origine, se si riversa nella sua sorgente, se attinge sempre alla fonte da cui sgorga continuamente.

    Fra tutti gli affetti, i moti e le sensazioni dell'anima, l'amore è il solo in cui la creatura, anche se non alla pari, può corrispondere il suo Creatore e contraccambiarlo a sua volta. Ad esempio, se Dio è adirato con me, potrò forse anch'io adirarmi con lui? Certamente no, anzi avrò paura, terrore, scongiurerò il suo perdono. Così se mi rimprovererà, io non lo rimprovererò certo, piuttosto cercherò di giustificarmi. E se mi giudicherà, io non lo giudicherò a mia volta, bensì lo adorerò: se mi salverà, non chiederò certo che sia io a salvare lui e analogamente non ha bisogno di qualcuno che lo liberi, perché è lui che libera tutti.

    Siccome egli è il Signore, è giusto che io sia il suo servo; è Dio che comanda, ed è giusto che sia io a obbedire; viceversa, io non posso pretendere che Dio sia al mio servizio o ai miei ordini.
    Le cose vanno ben diversamente per quanto riguarda l’amore: quando Dio ama, non vuole altro se non essere amato, anzi non ama per nessun altro motivo se non per essere amato, sapendo che chi lo amerà, riceverà beatitudine da quello stesso amore.

    L'amore dello sposo, anzi, lo sposo che è amore, chiede soltanto di essere corrisposto con sincerità in questo suo amore. La sposa può dunque corrispondere al suo amore. E la sposa come potrebbe non amare, visto che è la sposa dell’amore? Come potrebbe non amare l'amore?

    Giustamente la sposa rinunzia a tutti gli altri sentimenti, per votarsi interamente ed esclusivamente all'amore, perché ha la possibilità di corrispondere all'amore con un amore vicendevole. Ma anche se si profonderà interamente nell'amore, che cosa sarà il suo amore, se confrontato con il fiume eterno che scaturisce dall'altra sorgente? Certo non si possono paragonare per fecondità l'amante e l'amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo sposo, la creatura e il Creatore, non più, almeno, che l'assetato e la sorgente.

    E allora? Forse per questo si perderanno o cadranno nel vuoto le speranza della sposa, che sospira per il desiderio, arde d'amore e osa agire, piena di ardimento? È impossibile vincere nella corsa un gigante, o contendere con il miele in dolcezza, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in amore con colui che è l'amore. No, non è così.

    Anche se la creatura ama meno, perché inferiore, tuttavia, se ama con tutta se stessa, nulla manca dove c'è il tutto. Inoltre, come ho detto, questo amore corrisponde a un matrimonio, perché non è possibile che, amando così intensamente, l'anima non sia riamata in egual misura, dal momento che nel consenso dei due contraenti sta un matrimonio completo e perfetto.

    E a nessuno nasca il dubbio che l'anima non sia amata prima e di più dal Verbo: il Verbo la previene e la supera nell'amore. Felice l'anima che ha meritato di essere prevenuta in quella benedizione tanto dolce! Felice l'anima cui è stato concesso di provare un abbraccio tanto soave! Questo è l'amore santo e casto, dolce e soave, infinitamente sereno e sincero, reciproco, intimo e forte: esso congiunge i due amanti non in un solo corpo, ma in un solo spirito, e li rende non più due, ma una sola cosa; come dice Paolo: Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito (1 Cor 6,17).

    Lo confesso, da insensato, che il Verbo è venuto più volte in me. Abbastanza sovente mi si è avvicinato e non l'ho avvertito. Sentii che era là; mi ricordo che c'era. Talora potei presentirlo, mai però mi accorsi della sua entrata in me e neppure della sua presenza. Confesso pure di ignorare donde mai partisse per introdursi nella mia anima; dove si raccogliesse dopo avermi lasciato; da quale parte fosse entrato e quale via scegliesse per uscirne. Esploratore curioso, sono sceso nelle profondità del mio essere e tuttavia l'ho trovato ancor più profondo; l'ho cercato nel mio intimo, ma egli è più intimo di me stesso. E ho compreso la verità che dice: In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (At 17,28). Beato colui che è nel Verbo, vive per lui e da lui è mosso.

    Mi domanderai allora: Perché non possono scoprirsi le tracce della sua venuta, se ho potuto sapere che egli era presente? Infatti è vivo ed efficace e, penetrando in me, ha svegliato il mio animo che sonnecchiava; l'ha smosso, l'ha intenerito e ha ferito il mio cuore duro come pietra e malsano. Ha cominciato a sradicare e distruggere, a edificare e piantare, a irrigare quello che era arido, a illuminare quello che era tenebroso, ad aprire ciò che era chiuso, a infiammare ciò che era freddo. Ha raddrizzato quanto era storto e spianato quello che era scosceso, sicché l'anima mia benediceva il Signore e tutto il mio intimo dava lode al suo santo nome.

    Il Verbo, lo Sposo, entrando qualche volta in me, non mi si è rivelato con qualche suo segno: non con la voce, non con l'aspetto, non con il passo. Nessun movimento da parte sua mi ha indicato il suo arrivo, nessuna mia sensazione me lo ha fatto percepire nell'intimo: solo dal movimento del cuore, come ho detto, ho compreso la sua presenza.

    Ho riconosciuto la sua forza potente perché i vizi erano messi in fuga e le passioni represse. Il porre in discussione e sotto accusa i miei sentimenti più nascosti mi ha portato ad ammirare la profondità della sua sapienza. Ho sperimentato la sua mite bontà da un certo miglioramento del mio modo di vivere. E dal rinnovarsi dello spirito, ossia del mio uomo interiore, ho scoperto qualcosa della sua bellezza. Infine, abbracciando con uno sguardo l'insieme di queste esperienze ho tremato davanti alla sua grandezza immensa.

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    Predefinito Dai Discorsi di san Bernardo.

    Sermo XXIV, 2-3, De Diversis. Sermo LXXVII, 7 in Cantica Canticorum. PL 183, 603-604. 1053.

    All'inizio quando la voce di Dio risuona negli orecchi dell'anima, suscita turbamento, fa paura e pronuncia giudizi: ma subito dopo, se non distogli l’orecchio, ravviva, addolcisce, riscalda, illumina, purifica. In effetti essa è per noi cibo, spada, medicina, rassicurazione, riposo, risurrezione, compimento.

    Non stupirti che la parola di Dio si trovi a essere già fin d'ora tutta in tutti per quanto riguarda la giustificazione, dato che in futuro essa sarà tutto in tutti per quanto riguarda la glorificazione. La ascolti il peccatore e si turberanno le sue viscere: davanti a quella voce un'anima carnale trema. Quella parola, infatti, viva ed efficace, che scruta intensamente le menti e i cuori, mette a nudo e sotto giudizio tutti i segreti dei cuori.

    Anche se tu fossi morto nel peccato, se ascolterai la voce di Dio, vivrai. La parola che dice è infatti spirito e vita. Se il tuo cuore si è indurito, ricordati della Scrittura che dice: Manda una sua parola ed ecco tutto si scioglie (Sal 147,7), e ancora: La mia anima si è liquefatta all’udire la voce del mio diletto (Cf Ct 5, 6).

    Se sei tiepido e hai paura di essere vomitato, non allontanarti dalla parola del Signore ed egli ti infiammerà, perché la sua parola è tutta fuoco. Se ti lamenti perché sei immerso nelle tenebre dell'ignoranza, ascolta con attenzione cosa ti dice il Signore Dio, e la parola del Signore sarà come lucerna per i tuoi passi e una luce sul tuo cammino.

    Forse però la tua sofferenza è tanto maggiore quanto più arrivi a riconoscere in questa luce anche i tuoi peccati più piccoli; ma il Padre ti farà santo nella verità, che è evidentemente la sua parola, e insieme agli Apostoli anche tu potrai sentirti dire da lui: Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato (Gv 15, 3).
    Quando avrai lavato tra gli innocenti le tue mani, egli preparerà davanti a te una mensa, perché tu possa vivere non di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, e con la forza di questo cibo tu possa correre sulla via dei suoi comandamenti. E qui, se contro di te si accampa un esercito, e se ti si avventa contro la tentazione, afferra la spada dello spirito, che è la parola di Dio, e avrai un facile trionfo.

    Se poi, come accade in battaglia, ti capiterà di essere ferito, egli manderà la sua parola e ti guarirà; ti strapperà dalla morte, e pure in te si compirà quello che dice il centurione, di cui il Signore ha magnificato la fede: Signore, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Ma se ancora sei titubante, abbi fiducia e gridagli: Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi (Sal 72, 2), e con le sue parole ti renderà saldo; così potrai imparare con la tua esperienza personale che dalla parola del Signore i cieli sono stati resi saldi, e con il soffio della sua bocca ogni loro schiera (Sal 32, 6 Volgata).

    Se la Parola non ti stimola soltanto al pentimento, ma ti converte in totalità al Signore e ti ispira la ferma risoluzione di osservare la sua legge, sappi che lui stesso è lì vicino a te, specie se avverti di avvampare d’amore per lui.

    La Scrittura ci dice da una parte che il fuoco lo precede (Cf Sal 96, 3), ma dall'altra che lui stesso è fuoco; Mosè infatti lo chiama fuoco divoratore (Dt 4, 24). Ora, c'è questa differenza: il fuoco che precede il Signore arde ma senza amore; riscalda ma non trasforma; mette in moto senza far progredire. È mandato in avanguardia solamente per risvegliare e preparare l'anima e anche perché tu riconosca il tuo stato attuale ai fini di farti meglio apprezzare quello che diverrai poi per la grazia di Dio.

    L'altro fuoco che è Dio stesso, consuma senza far male, arde con dolcezza, ci spoglia gradevolmente. È davvero brace distruttrice, ma esercita la sua forza incandescente contro i vizi colmando l'anima di dolcezza. In questa potenza che ti trasforma e in questo amore che ti infiamma sappi riconoscere la presenza di Dio.

  6. #6
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    Predefinito Lettera di san Bernardo ai monaci della Certosa e al priore Guigo.

    Epistola XI, ad Guigonem priorem et caeteros Cartusiae Major. religiosos. 1, 3-4. 5-8. PL 182, 108-114.

    Ho ricevuto con profonda gioia la lettera di vostra santità, che da tempo desideravo ardentemente. L’ho letta e quante erano le sillabe che avvicendavo sulle labbra, altrettante scintille avvertivo nel cuore; con esse s’è riscaldato entro di me il mio cuore, come con quel fuoco che il Signore ha mandato sulla terra. O quanto arde in quelle meditazioni un fuoco da cui sprizzano siffatte scintille.

    Il vostro saluto infiammato e infiammante mi è stato, a dir la verità, così gradito e lo è tuttora, come se non provenisse da un uomo, ma proprio da colui che manda il saluto a Giacobbe, come dice il salmista. Ritengo, infatti, di non aver ricevuto uno di quei saluti che si è soliti ricevere per via, di passaggio, occasionalmente; mi sono vista venire incontro una benedizione cosi gradita e imprevista che pareva uscire dalle viscere della carità. Benedetti dal Signore, voi che avete avuto cura di prevenirmi con benedizioni di una tale dolcezza e che, scrivendo per primi, avete infuso al vostro figlio la fiducia per rispondere; già da tempo vi anelavo, ma non avevo il coraggio di scrivervi. In realtà temevo di scomodare con importuni scrittarelli la quiete santa che godete nel Signore, di interrompere anche per un momento quel costante e sacro vostro silenzio riguardo alle cose del secolo.

    Godo per me, godo per voi, per l’utilità che ne ricavo, per la sincerità che voi manifestate. Infatti, è vera e sincera carità quella che certamente sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (Tm 1, 5); è la carità che ci fa amare il bene del prossimo come il nostro. Perché chi ama di più o addirittura in esclusiva il proprio bene, si espone ad essere giudicato di non amare il bene a modo, perché lo ama per la propria utilità, non per la sua natura. E un uomo siffatto non sa obbedire al Profeta, che dice: Celebrate il Signore, perché è buono (Sal 117, 1). Dunque c’è chi loda il Signore perché è buono con lui, non perché è buono in sé. Perciò apprenderà che è diretto a lui il rilievo disonorevole che parte dal medesimo Profeta: Ti loderei quando gli avrai fatto del bene (Sal 48,19 Volgata).

    Vi è chi loda il Signore, perché è potente, vi è chi lo loda perché è buono con lui, e v’è infine chi lo loda perché semplicemente è buono. Il primo è un servo e teme per sé; il secondo è un mercenario, e brama per sé; il terzo è un figlio e s’affida al padre.

    Sia chi teme sia chi brama, entrambi agiscono per se stessi; solo la carità che risiede nel figlio non cerca il suo interesse (1 Cor 13, 5). Perciò credo che di essa sia stato detto: La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima (Sal 18, 8), perché è la sola che può allontanare l’anima dall’amore di sé e del mondo e dirigerla verso Dio. Non sono né il timore né l’interessato amore personale a convertire l’anima. Chi li sente muta volto o comportamento, ma non muta mai il sentimento intimo.

    Un’azione gradita a Dio la fa talvolta anche il servo, ma poiché non la fa volontariamente, si rivela dimorare ancora nella sua durezza di cuore. La fa anche il mercenario; ma poiché non la fa se non in vista di un compenso, si rivela guidato dalla bramosia personale. Insomma dove c’è riguardo alla proprietà personale, là c’è tendenza all’egoismo; dove c’è tendenza all’egoismo, lì c’è isolamento; ma dove c’è l’isolamento, lì indubbiamente ci sono sporcizia e corruzione. Rimanga perciò al servo come sua legge propria il timore, dal quale è incatenato; rimanga al mercenario la sua cupidigia, da cui è inceppato quando ne subisce l’assalto e la seduzione. Ma di questi sentimenti nessuno è senza macchia o riesce a convertire le anime. È la carità a convertirle, perché dà loro la libera volontà.

    Direi che l’amore è immacolato in chi si abitua a non conservare nulla del suo. Per chi non ha nulla di suo, tutto quello che ha è di Dio; e poiché è di Dio, non può essere impuro. Dunque la legge immacolata di Dio è la carità che cerca non ciò che sia utile al singolo, ma ciò che lo è di molti. Ed è chiamata legge di Dio, sia perché ne vive egli stesso, sia perché nessuno può possederla se non per dono di lui. Non sembri paradossale ciò che ho detto, che anche Dio vive sotto una legge, perché essa altra non è che quella dell’amore. Infatti, nella somma e beata Trinità, che cosa conserva quella somma e ineffabile unità se non l’amore? L’amore è legge dunque, è legge del Signore, legge che lega e tiene stretta in unità la Trinità nel vincolo della pace. Ma nessuno pensi che a questo punto io consideri la carità come una qualità o un qualche accidente — altrimenti direi, e non se ne parli neppure — che in Dio vi è qualcosa che non è Dio. Invece, la carità è la sostanza stessa divina, il che non è né nuovo né insolito, dato che Giovanni dice: Dio è amore (1 Gv 4, 8).

    Che io sia spinto dal tuo Spirito, o Signore Dio mio, sì che possa rendere testimonianza al mio spirito di essere uno dei figli di Dio, dato che per me la legge è la stessa che per te, e come tu sei, così sono anch’io in questo mondo. Quelli che fanno come dice l’Apostolo, ossia che non hanno alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole (Rm 13, 8), costoro stanno indubbiamente in questo mondo nella stessa maniera come vi è Dio, e non sono servi o mercenari, ma figli.

    Eppure non sono figli senza legge, tranne che qualcuno non la pensi diversamente perché è scritto: La legge non è fatta per il giusto (1 Tm 1, 9). Ma bisogna sapere che altra è la legge promulgata dallo spirito di servitù nel timore, altra è la legge concessa dallo spirito di libertà nella dolcezza. A quella non sono sottoposti i figli, ma senza questa soffrirebbero.

    Buona legge e soave è la carità, che non solo è lieve e dolce da portare, ma rende sopportabili e leggere anche le leggi dei servi e dei mercenari. Queste, peraltro, non le distrugge ma fa in modo che si completino, come dice il Signore: Non son venuto per abolire, ma per dare compimento alla legge (Mt 5, 17). La carità addolcisce quella, regola questa, leviga l’una e l’altra. La carità non sarà mai senza timore, ma sarà un timore santo; mai senza desideri, ma ben regolati. La carità dà compimento alla legge del servo, quando infonde la devozione; e porta a compimento la carità del mercenario, quando regola la bramosia.
    Perciò la devozione frammista al timore non lo annulla, ma lo santifica. Viene soltanto tolta l’idea del castigo, senza la quale la legge non poteva sussistere finché riguardava esclusivamente i servi; ma il timore rimane nei secoli dei secoli, però casto e filiale. Perciò, nella frase: L’amore perfetto scaccia il timore (1 Gv 4, 18). Bisogna intendere che la causa è presa al posto dell’effetto; si allude alla pena, la cui idea non manca mai al timore servile, come ho detto.

    Così la bramosia è regolata a dovere dalla sopraggiungente carità, in quanto il male viene eliminato in assoluto, e al bene è preferito il meglio; anzi il bene non è desiderato se non in vista del meglio. Quando per grazia di Dio questo risultato sarà pienamente raggiunto, sarà amato il corpo e ogni bene del corpo, ma solo in vista dell’anima, l’anima in vista di Dio, Dio infine per se stesso. Ma siccome siamo fatti di carne e nasciamo dalla concupiscenza della carne, è necessario che in noi tale bramosia — o l’amore incipiente — nasca dalla carne. Se questa è diretta nel giusto ordine, avanzando per gradi sotto la guida della grazia, alla fine sarà assimilata allo spirito. Infatti, non vi fu prima ciò che è spirituale, ma quello che è animale, e poi lo spirituale, ed è necessario che prima rechiamo l’immagine dell’essere terrestre e poi quella del celeste (Cf 1 Cor 15, 46-49).

    Da principio quindi l’uomo ama se stesso per se stesso. Egli è carne e non è capace di intendere nulla fuori di sé. Quando vede che con le sole sue forze non può sussistere, per mezzo della fede comincia a ricercare e ad amare Dio, in quanto a lui necessario. Perciò in un secondo momento ama Dio, ma in vista di sé, non in vista di lui.

    Quando, sotto la spinta della propria necessità, l’uomo comincia ad onorare il Signore e a frequentarlo con la meditazione, la lettura, la preghiera, l’obbedienza, ecco che, in conseguenza di tale familiarità, Dio a poco a poco insensibilmente gli si rivela e gli comunica la sua dolcezza. Allora, dopo aver gustato quanto è dolce il Signore, l’uomo passa al terzo grado, cioè ama Dio non in vista di sé, ma in vista di lui.

    Per lo più si rimane a questo grado, e non so se in questa vita sia possibile realizzare pienamente il quarto grado, dove l’uomo ama se stesso solo in vista di Dio. Se qualcuno lo ha sperimentato, ce lo dica; a me, lo confesso, ciò sembra impossibile.

    Ma questo accadrà sicuramente quando il servo buono e fedele sarà introdotto nella gioia del suo Signore e saziato dell’abbondanza della casa di Dio. Allora, come ebbro, meravigliosamente dimentico di sé, quasi cessando di appartenersi, si sprofonderà tutto in Dio e aderendo a lui, sarà con lui un solo spirito.

  7. #7
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    Predefinito Dalla “Vita prima” di san Bernardo scritta da Guglielmo di Saint-Thierry.

    S. Bernardi Vita prima, I, 19. 24. 61. 71. PL 185, 238. 241. 260. 266.

    Bernardo entrò nella casa di Cistello, contrassegnata dalla povertà spirituale; in quell’epoca era una comunità del tutto irrilevante. Lo animavano l’intenzione di morirvi alla memoria e al cuore degli uomini, e la speranza di tenersi celato in disparte, come un utensile buono a nulla.

    Ma Dio aveva un altro progetto su di lui e se lo andava preparando come vaso di elezione: Bernardo non solo avrebbe consolidato ed esteso la vita monastica, ma diffuso il nome di Dio in mezzo a popoli e re fino alle estremità della terra.

    Bernardo, non supponendo nulla di ciò e tanto meno stimandolo per sé, badava piuttosto a custodire il cuore e a perseverare con fermezza nel suo proposito. Aveva sempre nell’animo, spesso anche sul labbro, questa domanda: “Bernardo, Bernardo, perché sei venuto qui?”.

    Come leggiamo del Signore Gesù che fece e insegnò (At 1, 1), dal primo giorno del suo ingresso nella cella di novizio, cominciò a praticare lui stesso quello che avrebbe poi insegnato agli altri. Di fatto, quando fu nominato abate di Chiaravalle, eravamo soliti udirlo ripetere ai novizi che si presentavano, sollecitando la propria ammissione: “Se hai premura di raggiungere le realtà interiori, lascia fuori la carne che hai portato dal mondo; solo lo spirito entra qui, la carne non serve a nulla”.

    Negli intervalli in cui riposava dal lavoro dei campi, Bernardo pregava continuamente, oppure leggeva e meditava. Per pregare, si valeva della solitudine, se poteva trovarla. Altrimenti, sia in privato sia in pubblico, egli stesso costruiva la sua solitudine nel cuore. Così dappertutto egli dimorava solitario.

    Con speciale diletto leggeva di continuo le Sacre Scritture attraverso una lettura diretta e in ordine successivo, perché diceva che nulla gliele faceva capire meglio del testo stesso. “Qualsiasi mistero o verità divina esse presentino in quelle pagine — egli testimoniava — io le gusto molto meglio nella fonte originaria che nei ruscelli derivati dai commenti”. Perciò, pieno dello Spirito che divinamente ispirò le Sacre Scritture, si valeva di esse, secondo la parola dell’Apostolo, per insegnare, convincere, correggere (2 Tm 3, 16), animato da una totale fiducia. Infatti, poté riportare un successo che non si è smentito neppure ai nostri giorni.
    Quando annunciava la parola di Dio, la veniva esponendo agli ascoltatori in modo così chiaro e piacevole (e di conseguenza così efficace a smuovere i cuori), che tutti — dotti secolari o ecclesiastici — erano ammirati per le parole di grazia che scorrevano dalle sue labbra.

    Le virtù e i miracoli di Bernardo, questo mortale amato da Dio e dagli uomini, brillavano fulgidi nella sua valle e nelle regioni vicine ogni volta che era obbligato a recarvisi per gli affari del suo monastero. Poi cominciò anche a percorrere i paesi più lontani, sia chiamato dalle necessità della Chiesa, sia in obbedienza ai superiori. Ricorrevano a lui per ristabilire accordi insperati tra Chiesa e potenze secolari; oppure, con l’aiuto di Dio, riusciva a concludere pacificamente i conflitti che a giudizio umano apparivano insanabili. Egli puntava sulla potenza della fede e non sull’ingegnosità di questo mondo, per cui questa sua fede tante volte rendeva possibile l’impossibile, come se trasportasse le montagne. E la sua fama andava facendosi altissima fino alla venerazione di tutti. Soprattutto in Bernardo cominciò a brillare con successo crescente la sua forza evangelizzatrice: egli riusciva a risvegliare e convertire anche i cuori duri dell’uditorio ed era raro che tornasse in monastero privo di frutti spirituali.

    Dubito che oggi ci sia qualcuno più ricco di Bernardo in prudenza efficace e insieme affettuosa, tale da promuovere la carità già in atto o suscitarla dove ancora non c’era. Chi fu come lui facitore di bene, cordiale verso tutti, pieno di affetto con gli amici, paziente con i nemici? Ma Bernardo potrà mai aver avuto un nemico, lui che non volle mai essere ostile a qualcuno?

    Non esiste amicizia senza un rapporto interpersonale, anzi è possibile soltanto fra due che sono amici. E l’inimicizia nasce solo fra due che si avversano. Chi odia o comunque non ama colui che gli vuol bene, merita d’esser chiamato malvagio piuttosto che nemico. Ma colui che vuol bene a ogni uomo, non potrà mai, in forza sua, inimicarsi qualcuno. Ciò non toglie che a volte dovrà patire la cattiveria altrui, gratuitamente malevola. La carità, quando pervade totalmente un cuore, è paziente, è benevola. Grazie alla sapienza de bella la malizia, con la sopportazione vince l’impazienza, con l’umiltà vince la superbia. Tale fu Bernardo.

  8. #8
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    Predefinito Dai Discorsi sul Cantico dei Cantici di san Bernardo.

    Sermones In Cantica LVIX, 2.6-8; XLV, 7-9. PL 183,1113.1115-1116.1102-1003.

    Quale è l'azione del Verbo quando viene nell'anima? Quella di istruirla nella sapienza. Quale è l'azione del Padre quando viene nell'anima? Quella di infonderle l'amore della sapienza, sicché ella possa dire di essersi innamorata della bellezza di Lui. E' proprio del Padre amare, per cui si riconosce la venuta del Padre dall'amore infuso. Che cosa gioverebbe l'istruzione senza l'amore?Gonfierebbe. Che sarebbe l'amore senza istruzione? Cadrebbe nell'errore. Errano infatti coloro, di cui san Paolo dice: Rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza (Rm 10,2). Non è bene che la sposa del Verbo devii, e il Padre non la sopporterebbe gonfia di superbia. Il Padre, infatti, ama il Figlio e senz'altro demolisce e distrugge quanto si erge contro la scienza del Verbo, sia ravvivando nell'anima lo zelo, sia colpendola mosso da sollecitudine verso di lei. L'uno è l'effetto della sua misericordia, l'altro della sua giustizia. Dio si degni di abbassare in me, anzi d'annientare alla radice ogni forma di orgoglio, non mediante la vampa della sua ira, ma con l'infusione del suo amore.

    Me ne andrò in un luogo di rifugio per nascondermi dal furore del Signore. Mi ritirerà cioè in quello zelo buono, che soavemente arde ed efficacemente espia. Non espia forse la carità? Tantissimo. Ho letto appunto che essa copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 8). Ma la carità non è ugualmente capace di abbattere e umiliare ogni arroganza degli occhi e del cuore? Certamente, perché la carità non s'innalza ne si gonfia. Se dunque il Signore si degnerà di venire a me, o piuttosto in me, non nello zelo del suo furore, e nemmeno nella sua ira, ma in uno spirito d'amore e di mitezza, geloso di me della gelosia di Dio, da questo conoscerò che non è solo, ma anche il Padre è venuto con lui. Quanta tenerezza in questo amore del Padre! Per questo è chiamato non solo Padre del Verbo, ma anche Padre delle misericordie (2 Cor 1, 3), a perché gli è innato avere sempre pietà e perdonare.

    Mi accorgo che mi viene aperta l'intelligenza per comprendere le Scritture? Sento un discorso sapiente quasi traboccare fuori dal fondo del cuore? Mi succede che mi siano rivelati i misteri perché mi è infusa una luce dall'alto? Oppure mi sembrerà che si spalanchino per me le profondità del cielo, riversando nell'animo le piogge feconde della meditazione? In tutte queste esperienze non dubito che lo Sposo sia presente. Sono infatti queste le ricchezze del Verbo e noi le riceviamo dalla sua pienezza. Se poi anche mi sento pervaso dalla rugiada di uno zelo umile e devoto, sicché l'amore della verità conosciuta generi in me l'odio e il disprezzo per la vanità, e la scienza non mi gonfi o la frequenza delle visite divine non mi faccia insuperbire, allora riconosco in me l'effetto della tenerezza paterna e non dubito che lui, il Padre, sia presente. Se poi, per quanto sta in me, persevero nel corrispondere a questa bontà cosi grande con moti e azioni adeguate, perché la grazia di Dio non sia vana in me, allora il Padre e il Verbo prenderanno dimora presso di me, l'uno dandomi il nutrimento l'altro offrendomi la dottrina.

    Pensa quante grazie derivano all'anima da questa familiarità costante con il Verbo e dalla familiarità quanta fiducia proviene. L'anima può dire senza timori: Il mio diletto è per me (Ct 2, 16). Sentendo tutta la veemenza del proprio amore, ella non dubita di essere amata con la medesima intensità. Mediante una straordinaria attenzione, la costante sollecitudine, la cura operosa, il fervore sempre vigile. il desiderio tenace di piacere a Dio, l'anima riconosce tutto ciò in lui riguardo a sé, rammentandosi della promessa: Con la misura con la quale misurate sarete misurati (Mt 7, 2). La sposa prudente, tuttavia, baderà bene di non attribuirsi il merito di quest'amore reciproco, sapendo invece che il diletto l'ha prevenuta. Perciò pone al primo posto l'opera del diletto:Il mio diletto e per me e io per lui (Ct 2,16).

    Ella deduce i sentimenti divini da quelli che prova lei stessa, e dal fatto che ama, non dubita di essere amata. L'amore di Dio verso l'anima genera l'amore dell'anima verso Dio, e l'attenzione che lui porta all'anima previene l'attenzione che quella rivolge a lui.
    Non so per quale vicinanza di natura, allorché l'anima a faccia scoperta possa contemplare la gloria di Dio, subito per forza diviene conforme al suo Signore e si trasforma in una medesima immagine con lui. Pertanto, quale ti preparerai per Dio, tale Dio ti apparirà: sarà santo con il santo, innocente con l'innocente.

    Perché Dio non sarebbe amante con chi lo ama, disponibile con chi lo accoglie? Perché non si rivolgerà a chi gli è attento e non dovrebbe prendersi cura di chi è sollecito verso di lui? La stessa Sapienza dice nel libro dei Proverbi: Io amo coloro che mi amano e quelli che mi cercano mi troveranno (Prv 8, 17). Lo vedi? Dio non solo ti assicura del suo amore se tu lo ami, ma anche ti garantisce cura e sollecitudine, se tu lo circonderai con le tue premure. Se tu vegli, veglia anche lui. Alzati nel cuore della notte, anticipa la veglia quanto vuoi, troverai sempre che ti ha preceduto. Sbagli, se in questo pensi di fare tu qualcosa prima o più di lui: Dio ti ama più di quanto tu non lo ami, e ben prima di quando ha inizio il tuo affetto.

    Ogni volta che senti o leggi che il Verbo e l'anima parlano tra loro o si guardano, non immaginare che ciò avvenga mediante il suono della voce o attraverso immagini sensibili. Ascolta piuttosto che cosa devi pensare al riguardo. Il Verbo è Spirito, cosi come l'anima, ed essi hanno un loro linguaggio per parlarsi e manifestare la propria presenza. La lingua del Verbo è il favore della sua benevolenza, quella dell'anima è il fervore della devozione.

    L'anima che ne è priva, non sa parlare, come un bambino senza l'uso della parola, e non può intessere nessun colloquio con il Verbo. Quando il Verbo vuole parlare all'anima, impiega il linguaggio che gli è proprio, che l'anima non può far a meno di percepire: La parola di Dio e viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito (Eb 4, 12). Allo stesso modo, quando l'anima vuol parlare al Verbo, egli non lo può ignorare, non solo perché è presente in ogni luogo, ma soprattutto perché la lingua dell'amore non può entrare in azione, se la grazia stessa non la stimola.

    Quando il Verbo dice all'anima:Come sei bella, amica mia, come sei bella! (Ct 1, 15) egli infonde in lei la grazia di amare e di essere amata. E quando l'anima a sua volta esclama: Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso! (Ct 1,16) ella confessa senza fingere o mentire che dal Verbo le viene la duplice grazia di amarlo e di essere amata da lui. L'anima ammira cosi la bontà dello sposo ed è piena di stupore di fronte alla sua generosità. La bellezza dello sposo raffigura l'amore che egli ha per l'anima, amore tanto più grande in quanto previene sempre. Perciò dall'intimo del cuore, con, l'espressione dei suoi più segreti e vivi affetti, la sposa esclama che deve amarlo con tanto più ardore quanto più senti che lui per primo l'amò. Cosi la parola del Verbo è l'infusione del dono, la risposta dell'anima è lo stupore della gratitudine. L'anima tanto più stupefatta si slancia ad amare, quando sa che il diletto in questo la vince. Non contenta di dire che lo sposo è bello, deve ripeterlo, indicando cosi la bellezza singolare di lui.

    Continuando a sottolineare che il suo amico è bello, l'anima esprime la mirabile bellezza delle due nature di Cristo: quella della natura e quella della grazia. Come sei bello sotto lo sguardo degli angeli, Signore Gesù! Sei bello nella tua sostanza divina, nel giorno della tua eternità, generato prima dell'aurora, nello splendore dei tuoi santi, fulgida immagine della sostanza del Padre, luce perenne della vita eterna, che mai si offusca. Come mi appari bello, Signore, quando ti contemplo nel tuo stato glorioso. Ma quando annientasti te stesso, spogliandoti de la luce indefettibile e a tua natura, allora la tua bontà maggiormente rifulse, il tuo amore fu più sfavillante, più radiosa splendette la tua grazia. Questa stella che sorge in Giacobbe come mi pare brillante! Come esci splendido virgulto dalla radice di Iesse! Come mi allieta la luce di questo astro che sorge e viene a visitarmi nelle mie tenebre! Alla vista di tante meraviglie tutte le potenze della mia anima non potranno non esclamare: Chi è come te, Signore (Sal 34,10)?.

  9. #9
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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo

    In Mt., hom. 24, 2-3. PG 57, 323-324.

    In precedenza, ai discepoli Gesù aveva sempre parlato di realtà future, ricordando il regno eterno, una ricompensa ineffabile o consolazioni celesti. Ora egli vuole loro mostrare la forza della virtù e i frutti che essa porta nella vita terrena. Qual è dunque il profitto della virtù? Molteplice: fa vivere nella sicurezza, senza soccombere a nessuna sciagura, e rende superiore ai maltrattamenti di chiunque ci colpisca. Quale felicità può eguagliare questo? Neppure chi cinge la corona potrebbe procurarsela; la incontra soltanto chi è impegnato nel bene. Il giusto, infatti, possiede in abbondanza i frutti della virtù e lui solo gode di inalterabile quiete in mezzo ai marosi che agitano la nostra esistenza. Si rimane sbalorditi a vederlo imperturbabile, mentre intorno infuria la tempesta; prove e gravi rivolgimenti si accavallano e non esiste serenità, ma lui è in pace.

    Cadde la pioggia ... strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella i casa. ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia (Mt 7,25). Le parole "pioggia, fiumi, venti" sono metafore per indicare i mali e le sciagure di questo mondo: la persecuzione dell'uomo sull'uomo, lutti, morte, perdita dei congiunti, guai da parte del prossimo, e tutti gli altri mali che nella vita piombano addosso. Ma l'anima del giusto non cede a nessuna di queste prove, perché è fondata sulla roccia. Per "roccia" Cristo intende la stabilità dei suoi insegnamenti. I suoi precetti infatti sono più solidi di una rupe e innalzano l'uomo sopra tutte le bufere di questo mondo. Chi è fedele nel seguire il vangelo, resterà inaccessibile non solo agli attacchi degli uomini, ma più ancora alle insidie demoniache.

    Non è millanteria quanto siamo venuti dicendo. Ce lo testimonia Giobbe, che subì tutti gli assalti del demonio, ma persistette imbattibile. Lo conferma anche l'esempio degli apostoli. Essi furono assaliti da ogni violenza di questo mondo, scatenata contro di loro dai popoli, dai tiranni, dai vicini e dai lontani, da tutta la malizia di Satana e dei suoi demoni, ma se la cavarono sempre e rimasero più saldi di una rupe. Può esserci una condizione di vita più felice di questa? Né la ricchezza. né la prestanza fisica, né la gloria, né il potere e null'altro di ciò che esiste possono procurare all'uomo una simile fermezza interiore. Unicamente il possesso della virtù è capace di tanto.

    Che male potrà farti colui che trama di nascosto a tuo danno? Ti getterà in carcere? Ma anche prima che ti arrestino, Gesù ti chiede di essere crocifisso per il mondo. L'avversario dirà male di te? Ma Cristo ti ha già liberato da questo dolore. Al di là della pena, egli ti ha promesso di ricompensare molto la tua pazienza. Ti vuole poi cosi scevro da risentimento e puro da moti iracondi che ti chiede persino di pregare per i nemici. Mettiamo che ti perseguitino dandoti la caccia in mille modi. Non fanno che prepararti una corona ancora più splendida. Sarai ammazzato, strangolato barbaramente? E' il più gran bene che ti possano fare. Ti assegnano il premio destinato al martiri e ti lanciano più alla svelta verso il porto della pace.

  10. #10
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    Predefinito Preghiera attribuita a S. Bernardo "Memorare" (Ricordati)

    Memoráre,
    piíssima Virgo Maria,
    a saéculo non esse audítum
    quemquam
    ad tua curréntem praesídia,
    tuam implorántem auxília,
    tua peténtem suffrágia
    esse derelíctum.

    Ego,
    tali animátus confidéntia,
    ad te, Virgo vírginum, Mater, curro:
    ad te vénio,
    coram te gemens peccátor assísto.

    Noli, Mater Verbi,
    verba mea despícere,
    sed audi propítia et exáudi.
    Amen.

    *****
    Ricordati,
    o piissima Vergine Maria,
    non essersi mai udito al mondo
    che alcuno
    abbia ricorso al tuo patrocinio,
    implorato il tuo aiuto,
    chiesto la tua protezione
    e sia stato abbandonato.

    Animato da tale confidenza,
    a te ricorro, o Madre Vergine delle Vergini,
    a te vengo
    e, peccatore contrito,
    innanzi a te mi prostro.

    Non volere, o Madre del Verbo,
    disprezzare le mie preghiere,
    ma ascoltami propizia ed esaudiscimi.
    Amen.

 

 
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