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    Predefinito 11 ottobre (1° gennaio) - Maria Madre di Dio

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Maria Santissima Madre di Dio

    1 gennaio - Solennità

    Maria figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui (LG, 56). Nel Concilio di Efeso (431), dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo, venne affermata anche la maternità divina di Maria.

    Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

    Martirologio Romano: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

    Martirologio tradizionale (11 ottobre): Festa della Maternità della beata Vergine Maria.

    La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l'uso pagano delle "strenae" (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il "Natale Sanctae Mariae" cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.
    La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 10 gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
    Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi "; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
    E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: " Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
    In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).

    Autore: Piero Bargellini




  2. #2
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    Predefinito Alma Redemptoris Mater

    Alma Redemptóris Mater
    quae pérvia coeli porta manes,
    et stella maris,
    succúrre cadénti,
    súrgere qui curat, pópulo:
    tu quæ genuísti, natura miránte,
    tuum sanctum Genitórem,
    Virgo prius ac postérius,
    Gabriélis ab ore
    Sumens illud Ave,
    peccatórum miserére.

    Traduzione:

    O santa Madre del Redentore,
    porta del cielo sempre aperta,
    stella del mare,
    soccorri un popolo decaduto,
    che desidera risorgere,
    tu, che nello stupore della natura,
    generasti il tuo Genitore,
    tu, vergine prima e dopo,
    che dalla bocca di Gabriele
    udisti quell'Ave,
    abbi pietà dei peccatori.


  3. #3
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    Predefinito Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo (Ad Epitetto 5-9; PG 26,1058. 1062-1066)

    Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
    Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
    Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma; da te (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
    Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità (cfr. 1 Cor 15, 53).
    Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
    Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra è sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
    Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
    Sta scritto infatti in Paolo: Cristo per noi divenne lui stesso maledizione (cfr. Gal 3, 13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
    Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.

    Raffaello Sanzio, Madonna del Granduca, 1504, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze

    Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino ed angeli musicanti, 1675, Museum of Fine Arts, Budapest

    Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino, 1670 circa, Gemäldegalerie, Dresda

    Bartolomé Esteban Murillo, Madonna con Bambino distribuisce il pane ai pellegrini, 1678, Museum of Fine Arts, Budapest

    Jacques Stella (1596-1657), Vergine che contempla il Bambino che dorme, Nancy

    Leonardo da Vinci, Madonna Litta, Hermitage, San Pietroburgo

  4. #4
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    Giovanni Bellini, Madonna con Bambino, 1460-64, Pinacoteca di Brera, Milano

    Albrecht Dürer, Madonna e Bambino con pera, 1526, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Ambrogio Lorenzetti, Madonna e Bambino con le Sante Maria Maddalena e Dorotea, 1325 circa, Pinacoteca Nazionale, Siena

  5. #5
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    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE

    mercoledì 27 novembre 1996

    Il titolo di Maria Madre di Dio


    1. La contemplazione del mistero della nascita del Salvatore ha condotto il popolo cristiano non solo a rivolgersi alla Vergine Santa come alla Madre di Gesù, ma anche a riconoscerla Madre di Dio. Tale verità fu approfondita e percepita come appartenente al patrimonio della fede della Chiesa già dai primi secoli dell'era cristiana, fino ad essere solennemente proclamata dal Concilio di Efeso nell'anno 431.
    Nella prima comunità cristiana, mentre cresce tra i discepoli la consapevolezza che Gesù è il Figlio di Dio, risulta sempre più chiaro che Maria è la Theotokos, la Madre di Dio. Si tratta di un titolo che non appare esplicitamente nei testi evangelici, sebbene in essi sia ricordata "la Madre di Gesù" e venga affermato che Egli è Dio (Gv 20,28; cf.5,18; 10,30.33). Maria viene comunque presentata come Madre dell'Emmanuele, che significa Dio con noi (cf. Mt 1,22-23).
    Già nel III secolo, come si deduce da un'antica testimonianza scritta, i cristiani dell'Egitto si rivolgevano a Maria con questa preghiera: "Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta" (Dalla Liturgia delle Ore). In questa antica testimonianza, per la prima volta, l'espressione Theotokos, "Madre di Dio", appare in forma esplicita.
    Nella mitologia pagana, succedeva spesso che qualche dea fosse presentata come madre di qualche dio. Zeus, ad esempio, dio supremo, aveva per madre la dea Rea. Tale contesto ha forse facilitato, da parte dei cristiani, l'uso del titolo "Theotokos", "Madre di Dio", per la madre di Gesù. Bisogna tuttavia notare che questo titolo non esisteva, ma fu creato dai cristiani per esprimere una fede che non aveva niente a che vedere con la mitologia pagana, la fede nel concepimento verginale, nel seno di Maria, di Colui che era da sempre il Verbo eterno di Dio.

    2. Con il IV secolo, il termine Theotokos è ormai di uso frequente in Oriente e in Occidente. La pietà e la teologia fanno riferimento sempre più frequentemente a tale termine, ormai entrato nel patrimonio di fede della Chiesa.
    Si comprende perciò il grande movimento di protesta, che si sollevò nel V secolo, quando Nestorio mise in dubbio la legittimità del titolo "Madre di Dio". Egli, infatti, essendo propenso a ritenere Maria soltanto madre dell'uomo Gesù, sosteneva che fosse dottrinalmente corretta solo l'espressione "Madre di Cristo". A tale errore Nestorio era indotto dalla sua difficoltà ad ammettere l'unità della persona di Cristo e dall'interpretazione erronea della distinzione fra le due nature - divina e umana -, presenti in Lui.
    Il Concilio di Efeso, nell'anno 431, condannò le sue tesi e, affermando la sussistenza della natura divina e della natura umana nell'unica persona del Figlio, proclamò Maria Madre di Dio.

    3. Le difficoltà e le obiezioni mosse da Nestorio ci offrono ora l'occasione per alcune riflessioni utili per comprendere e interpretare correttamente tale titolo. L'espressione Theotokos, che letteralmente significa "colei che ha generato Dio", a prima vista può risultare sorprendente; suscita, infatti, la domanda su come sia possibile che una creatura umana generi Dio. La risposta della fede della Chiesa è chiara: la divina maternità di Maria si riferisce solo alla generazione umana del Figlio di Dio e non invece alla sua generazione divina. Il Figlio di Dio è stato da sempre generato da Dio Padre e gli è consustanziale. In questa generazione eterna Maria non ha evidentemente nessun ruolo. Il Figlio di Dio, però, duemila anni fa, ha assunto la nostra natura umana ed è stato allora concepito e partorito da Maria.
    Proclamando Maria "Madre di Dio" la Chiesa intende, quindi, affermare che Ella è la "Madre del Verbo incarnato, che è Dio". La sua maternità non riguarda, pertanto, tutta la Trinità, ma unicamente la seconda Persona, il Figlio che, incarnandosi, ha assunto da lei la natura umana.
    La maternità è relazione tra persona e persona: una madre non è madre soltanto del corpo o della creatura fisica uscita dal suo grembo, ma della persona che genera. Maria, dunque, avendo generato secondo la natura umana la persona di Gesù, che è persona divina, è Madre di Dio.

    4. Proclamando Maria "Madre di Dio", la Chiesa professa con un'unica espressione la sua fede circa il Figlio e la Madre. Questa unione emerge già nel Concilio di Efeso; con la definizione della divina maternità di Maria i Padri intendevano evidenziare la loro fede nella divinità di Cristo. Nonostante le obiezioni, antiche e recenti, circa l'opportunità di riconoscere a Maria questo titolo, i cristiani di tutti i tempi, interpretando correttamente il significato di tale maternità, ne hanno fatto un'espressione privilegiata della loro fede nella divinità di Cristo e del loro amore per la Vergine.
    Nella Theotokos la Chiesa, da una parte, ravvisa la garanzia della realtà dell'Incarnazione, perché - come afferma sant'Agostino -"se la Madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne... fittizie le cicatrici della risurrezione" (Tract. in Ev. Ioannis, 8,6-7). E, dall'altra, essa contempla con stupore e celebra con venerazione l'immensa grandezza conferita a Maria da Colui che ha voluto essere suo figlio. L'espressione "Madre di Dio" indirizza al Verbo di Dio, che nell'Incarnazione ha assunto l'umiltà della condizione umana per elevare l'uomo alla figliolanza divina. Ma tale titolo, alla luce della sublime dignità conferita alla Vergine di Nazaret, proclama, pure, la nobiltà della donna e la sua altissima vocazione. Dio infatti tratta Maria come persona libera e responsabile e non realizza l'Incarnazione di suo Figlio se non dopo aver ottenuto il suo consenso.
    Seguendo l'esempio degli antichi cristiani dell'Egitto, i fedeli si affidano a Colei che, essendo Madre di Dio, può ottenere dal divin Figlio le grazie della liberazione dai pericoli e dell'eterna salvezza.


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    CONCILIO DI EFESO

    Dal 22 giugno al 31 luglio 431

    Convocato dall'Imperatore Teodosio I.
    Cinque sessioni. Presenti 120 vescovi.
    Divina Maternità di Maria contro Nestorio.
    6 canoni.


    SECONDA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO

    Cirillo saluta nel Signore il piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega.

    Sono venuto a sapere che alcuni tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso la tua Riverenza - e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di riunioni di persone assai in vista. Forse pensando addirittura di accarezzare le tue orecchie, essi spargono voci incontrollate. Sono persone che non ho offeso in nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno perché trattava ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva impugnato la spada centro la propria madre; un altro ancora, perché aveva rubato con la sua serva l'oro degli altri, ed aveva sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe neppure al suo peggior nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di costoro, perché non sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è possibile, infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si viva. Costoro, però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza (Cfr. Rm 3, 14), dovranno rendere conto al giudice di tutti. lo, invece, tornando a ciò che credo più importante, ti ammonisce anche ora, come fratello in Cristo, perché tu esponga la dottrina e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e prudenza perché tu rifletta che lo scandalizzare anche uno piccoli che credono in Cristo (Cfr. Mt 18, 6), suscita la insopportabile, indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati fossero una moltitudine, non dobbiamo forse usa arte per evitare, con prudenza, gli scandali e presentare rettamente una sana esposizione della fede a chi cerca la verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo le opere dei santi padri, cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi stessi, se siamo nella vera fede conforme della Scrittura (Cfr. II Cor 13, 5), conformiamo perfettamente il nostro modo di vedere il loro pensiero retto e irreprensibile.

    Dice, dunque, il santo e grande concilio (di Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da Dio Padre, Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del quale il Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto uomo, ha sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo. Dobbiamo attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo, unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta non che questa unità annulli la differenza delle nature ma piuttosto la divinità e l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che risulta da esse; con la loro unione arcana ed i nell'unità. Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere); ma poiché per noi e per la nostra salvezza, ha assunto l'umana natura in unità di persona, ed è nato da una donna così si dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.

    Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire, perché senza corpo); ma poiché queste cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come dice Paolo (Cfr. Eb 2, 9), ha gustato la morte per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi. Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura (sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte. Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è risuscitato il suo corpo.

    Allo stesso modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (Cfr. Gv 1, 14). Ora che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14): fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era.

    Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.

    Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.

    TERZA LETTERA DI CIRILLO DI ALESSANDRIA A NESTORIO

    [...]
    Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture (Cfr. Mt 3, 6). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né grandezza, e non conosce limiti.

    Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti, sarebbe puro suono e niente altro), e neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il beato Giovanni evangelista (Cfr. Gv 3, 34). Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (Gv 1, 14) ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità (Col 2, 9), crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (Cf. I Cor 6, 17); evitiamo piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato ad esprimere il mistero dell'unità.

    E non chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore" di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente, alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso. Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che suo padre era il suo Dio (Cfr. Gv 20, 17), pur essendo Dio per natura e della sostanza di Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si assoggettò alla legge (Cfr. Gal 4, 4), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le Scritture (Cfr. I Pt 4, 1), ed era nel corpo crocifisso, facendo sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò la morte (Eb 2, 9) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione (Cfr. Gv 11, 25).

    Egli, sconfiggendo la morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano addormentati (nel Signore) (Cfr Col 1, 18 e I Cor 15, 20), ed aprì all'umana natura la via del ritorno all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade. Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso un uomo (Cfr. I Cor 15, 21), per uomo, però, intendiamo quello che era nello stesso tempo il Verbi di Dio, per mezzo del quale è stato distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (Cfr At 17, 31).

    E’ necessario aggiungere anche questo. Annunziando la, morte, secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso. Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio, poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice: In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il sito sangue (Gv 6, 53), non dobbiamo comprendere che essa sia la carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma, invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio dell'Uomo.

    Quanto alle espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio divino, afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (Gv 14, 9 e 10, 30), noi pensiamo alla sua divina ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (Cfr Eb 1, 3). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana, dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità (Gv 8, 40) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti, dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue espressioni siano state dette in modo umano? Poiché, se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo, secondo le Scritture (Cfr. I Cor 8, 6).

    Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra confessione (Eb 3) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (I Tm 2, 5) li ha riconciliati per la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10, 5-7). Egli ha offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se stesso. Di quale sacrificio ed offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (Rm 3, 23) inquantoché siamo inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per il peccato - per lui, però, non fu così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui avrebbe dovuto offrirla?

    Quando poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (Gv 16, 14), rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in lui o alla sua scienza dicesse: "mi glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità (Gv 16, 13), e Cristo è appunto la verità (Cfr. Gv 14, 6), e procede da lui come da Dio Padre. Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò; fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16, 14). E in nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del Padre, che è il Figlio (Cfr I Cor 1, 24), per questo è realmente sapienza e potenza.

    E poiché la Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente alla carne, per questo noi diciamo che essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso Dio (Gv 1, 1). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai alla luce i figli nella sofferenza (Gen 3, 16), e realizzasse la parola del profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (I Cor 15, 54) e l'altra: Dio asciugò ogni lacrima da ogni volto (Is 25, 8). Per questo motivo diciamo che egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (Cfr. Gv 2, 1-2).

    Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna che concordi e si armonizzi anche tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa nostra lettera.

    I dodici anatematismi

    1. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.

    2. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.

    3. Se qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.

    4. Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema.

    5. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece carne (Gv 1, 14) e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue (Cfr. Eb 2, 14), sia anatema.

    6. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) secondo le Scritture, sia anatema.

    7. Se qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso da lui, sia anatema.

    8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14), sia anatema.

    9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.

    10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione (Eb 3, 1), e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre (Cfr. Ef 5, 2). Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi noia conobbe peccato), sia anatema.

    11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.

    12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (Cfr. Col 1, 18), inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.

    SENTENZA PRONUNCIATA CONTRO NESTORIO A SUA CONDANNA

    Il santo sinodo disse: oltre al resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti, dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui.

    Gesù Cristo stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio sacerdotale.

    LETTERA SINODALE GENERALE

    [...]

    [I. Di quei metropoliti che parteggiano per Nestorio e Celestio]

    Poiché è necessario che anche quelli che non hanno partecipato a questo santo sinodo e sono rimasti nella propria provincia, non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità tua che:

    Se il metropolita di una provincia, staccandosi da questo santo e universale Concilio, avesse aderito a quel consesso di apostasia, o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso le idee di Celestio, o le condividerà in futuro, questi non potrà prendere alcuna decisione contro i vescovi della sua provincia, né aver parte, in seguito, ad alcuna comunione ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato da questo sacro sinodo e privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai vescovi della provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta ortodossia, e sarà privato del grado di vescovo.

    [II. Dei vescovi che aderiscono a Nestorio].

    Se qualcuno dei vescovi provinciali, allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e decaduto dal suo grado.

    [III. Dei chierici che per la loro retta fede sono stati deposti da Nestorio]

    Se vi fossero dei chierici in qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o dai suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi riprendano il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che aderiscono a questo ecumenico e ortodosso Concilio, o che aderiranno ad esso, sia ora che in seguito, in qualsiasi tempo, non debbano essere assolutamente e in nessun modo e tempo soggetti ai vescovi che hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o hanno trasgredito i sacri canoni e la retta fede.

    [IV. Dei chierici che seguono le opinioni di Nestorio].

    I chierici che allontanatisi (da questo santo sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee di Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo.

    [V. Dei chierici puniti e accolti da Nestorio].

    Quanti, per azioni indegne siano stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni norma ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o dai suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e rimangano deposti

    [VI. Di chi volesse sconvolgere i decreti del Sinodo].

    Ugualmente, se vi fosse chi volesse metter sotto sopra in qualsiasi modo, le singole decisioni del santo sinodo questo stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione.

    DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA

    Il concilio di Nicea espose questa fede: Crediamo...

    [segue il simbolo niceno]

    E’ bene, quindi, che tutti convengano in questa fede: è, infatti, piamente e sufficientemente utile a tutta la terra.

    Ma poiché alcuni, pur simulando di confessarla e di convenirne, ne interpretano male il vero senso secondo il loro modo di vedere ed alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è stato assolutamente necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed ortodossi padri, adatte a dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono con coraggio questa fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno una fede retta ed irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano in questo modo.

    [Segue un florilegio di passi degli scritti dei padri].

    Letti questi documenti il santo sinodo stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una nuova fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a Nicea con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una diversa fede o presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza della verità o dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono vescovi o chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i chierici dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici, siano anatema. Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei chierici o dei laici, che ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata del presbitero Carisio circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o anche le empie e perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte, siano colpiti dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro che chi è vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia condannato, conforme a quanto è stato detto.

    DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI MESSALIANI O EUCHITI

    Radunatisi presso di noi i piissimi e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu proposto alla comune discussione il caso di quelli che in Panfilia sono chiamati Messaliani, ossia Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più empia di quante se ne possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale, scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto Sisinnio, di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e secondo la retta dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi Valeriano e Anfilochio e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della Panfilia e della Licaonia, che tutto ciò che era esposto nello scritto sinodale dovesse aver forza di legge e che in nessun modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto era stato fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la diocesi appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato, i chierici rimangano chierici, i laici siano ammessi nella comunione della chiesa. Se rifiutassero ciò e non volessero abiurare, allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno un qualsiasi grado nella chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal grado e dalla comunione ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad avere i monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi. Perché queste disposizioni vengano eseguite con energia usino la loro diligenza sia gli stessi santi vescovi Valeriano e Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di tutta la provincia. E’ sembrato bene, inoltre, anatematizzare il libro di quella infame eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e santo vescovo Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si trovasse qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga anatematizzata.

    CHE I VESCOVI DI CIPRO PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI

    Il santo vescovo Regino e i reverendissimi vescovi della provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed Evagrio, hanno fatto presente un fatto nuovo contrario alle costituzioni ecclesiastiche e ai canoni dei santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A mali comuni si richiedono più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se non è uso antico che il vescovo di Antiochia faccia in Cipro le consacrazioni come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce i religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro che sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e sicurezza, secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le consacrazioni dei reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica consuetudine. Queste stesse norme verranno osservate anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni provincia; cosicché nessuno dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia che un tempo non fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima di lui. In caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia ridotta sotto la sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro restituirla, perché non siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto l'apparenza del servizio di Dio non si introduca a poco a poco e di nascosto la vanità della umana potenza, né avvenga che senza accorgerci, a poco a poco perdiamo la libertà, che ci ha donato col suo sangue il Signore nostro Gesù Cristo, il liberatore di tutti gli uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo santo e universale, di conservare a ciascuna provincia puri e intatti i propri diritti, che ciascuna ha avuti fin dal principio, secondo la consuetudine antica, e che il metropolita abbia facoltà di addurre la documentazione necessaria per la sicurezza della sua provincia. Che se qualcuno adducesse documenti in contrasto con quanto è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara nullo tutto ciò!

    FORMULA DI UNIONE

    Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l'intenzione di fare un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall'inizio l'abbiamo appresa dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea.

    Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell'uomo.

    Noi quindi confessiamo che il nostro signore Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta l'unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.

    Conforme a questo concetto di unione in confusa, noi confessiamo che la vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa.

    Quanto alle affermazioni evangeliche ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.

  7. #7
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    Predefinito Dai Discorsi del Papa

    GIOVANNI PAOLO II

    DISCORSO RADIOFONICO PER IL
    1600° ANNIVERSARIO DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
    E DEL 1550° ANNIVERSARIO DEL CONCILIO DI EFESO


    Domenica 7 giugno 1981


    I. Atto di venerazione

    1. “Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem”.

    Queste parole, con le quali la Chiesa professa la sua fede, ci hanno fatto riunire, nel mattino dell’odierna Pentecoste, nella Basilica di san Pietro. Infatti quest’anno si compiono milleseicento anni dal primo Concilio Costantinopolitano, che proprio con queste parole ha espresso la fede nella divinità dello Spirito Santo: “Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur”.

    Le stesse parole ci fanno venire, in queste ore serali della Pentecoste, alla Basilica di santa Maria Maggiore. Se infatti, venerabili fratelli nell’Episcopato, dobbiamo rendere un pieno omaggio di adorazione allo Spirito Santo che “dà la vita” (credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem!) allora dobbiamo venerarlo soprattutto in Gesù Cristo: in quel Gesù che fu concepito dallo Spirito Santo, e nacque da Maria Vergine. Egli infatti, Egli solo, Egli unico, è il frutto più splendido dell’opera dello Spirito Santo in tutta la storia della creazione e della redenzione. Egli è la pienezza più perfetta di questa vita che lo Spirito Santo dà: Dio da Dio, Luce da Luce, generato – come Figlio dalla stessa sostanza del Padre – e non creato, che per noi uomini e per la nostra salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.

    2. Per venerare quindi lo Spirito Santo nella ricorrenza di quest’anno giubilare, che richiede da noi tutti una particolare devozione verso di Lui, veniamo ora nella sera di Pentecoste, a questa Basilica Mariana di Roma, nel tempio che da tanti secoli esalta proprio qui quel culmine e quella pienezza dell’opera dello Spirito Santo nell’uomo.

    Ci induce a questo nuovo incontro anche la circostanza che nell’Anno del Signore 1981, in cui si compiono i sedici secoli dal primo Concilio Costantinopolitano, ricorrono anche 1550 anni dal successivo Concilio in Efeso, che nella viva tradizione della Chiesa si è iscritto come il Concilio cristologico e mariologico insieme. L’opera più splendida realizzata dallo Spirito Santo mediante l’incarnazione, cioè il divenire uomo del Verbo Eterno, del Dio Figlio, si è compiuta col consapevole assenso e con l’umile “fiat” di Colei che, diventando la Madre di Dio, ha detto di se stessa: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1,38).

    Così dunque l’opera dello Spirito Santo, l’opera più perfetta nella storia della creazione e della salvezza, è contemporaneamente costituita dal fatto che il Figlio di Dio, della stessa sostanza dell’Eterno Padre, si è fatto uomo – e che Maria di Nazaret, la serva del Signore della stirpe di Davide, è diventata la vera Madre di Dio: Theotokos. Questa verità i Padri del Concilio di Efeso hanno professato, e tutto il popolo cristiano ha accolto tale proclamazione con grandissima gioia.
    3. Veniamo quindi, venerabili fratelli, e insieme voi tutti, amati figli e figlie, a questa Basilica Mariana di Roma per annunziare – approfittando dei due importanti anniversari che convergono – i “magnalia Dei”: le grandi opere di Dio, che illuminano la via della Chiesa attraverso i secoli ed i millenni. In questo tempo, in cui ci avviciniamo al termine del secondo millennio dalla venuta di Gesù Cristo, desideriamo con rinnovato slanciò di fede rivedere queste vie che lo hanno introdotto nel mondo e l’hanno congiunto con la storia della grande famiglia umana per tutti i tempi. Queste vie sono passate attraverso l’inscrutabile azione dello Spirito Santo – Colui che è Signore e dà la vita – e nello stesso tempo attraverso il cuore umile della serva del Signore, Maria di Nazaret.

    “Benedictus Dominus Deus Israel, quia visitavit et fecit redemptionem plebis suae”! (Lc 1,68).
    “Magnificat anima mea Dominum... quia fecit mihi magna qui potens est”! (Lc 1,46-49).

    II. Atto di ringraziamento

    4. Quando, questa mattina ci siamo riuniti nella Basilica di san Pietro in Vaticano, quello splendido tempio ci è sembrato che fosse il povero Cenacolo gerosolimitano, nel quale Cristo si presentò dopo la sua Risurrezione, e, dopo aver salutato gli Apostoli con l’augurio di pace, alitò su di essi dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22). Mediante queste parole essi ricevettero il Dono, che Egli aveva ottenuto loro mediante la sua passione, e contemporaneamente furono affidati allo Spirito Santo sulla strada della missione, che Cristo aveva aperto dinanzi a loro: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (cf. Gv 20,21). Tutta la Chiesa fu allora affidata allo Spirito Santo per tutti i tempi.

    Nelle parole pronunciate la sera del giorno della Risurrezione ebbe già inizio la Pentecoste delle festività gerosolimitane. Noi che siamo riuniti nella festa di Pentecoste dell’Anno del Signore 1981, desideriamo ricevere di nuovo lo stesso Dono, perseverando come successori degli Apostoli del Cenacolo nella fervida dedizione allo Spirito Santo, al quale Cristo già allora ha affidato la Chiesa in modo irreversibile, fino alla fine del mondo.

    5. E qui, in questa Basilica Mariana di Roma, sentiamo in modo ancor nuovo la somiglianza con gli Apostoli che, riuniti nel Cenacolo, perseveravano in preghiera con Maria, Madre di Cristo. Siamo venuti qui perché, ricordando in modo particolare la presenza di Maria alla nascita della Chiesa, fissiamo lo sguardo nella sua mirabile Maternità, che è per noi speranza e ispirazione sulle vie della missione ereditata dagli Apostoli – ereditata dopo il giorno della Pentecoste gerosolimitana.

    6. Oh quanto è bello essere qui!

    Quanto è bello che il Concilio Vaticano II, annunciando nel nostro secolo i “magnalia Dei”, ci abbia manifestato il posto particolare di Maria nel mistero di Cristo e insieme della Chiesa; e ci abbia indicato questo posto, seguendo fedelmente l’insegnamento degli antichi Concili e la luce ereditata dai grandi Padri della Chiesa e Maestri della fede.

    “La Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo... Orbene, la Chiesa, la quale contempla l’arcana santità di Lei e ne imita la carità... diventa essa pure madre: poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio... Onde anche nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a Colei, che generò Cristo concepito appunto dallo Spirito Santo e nato dalla Vergine per nascere e crescere anche nel cuore dei fedeli per mezzo della Chiesa” (Lumen Gentium, 63-65).

    7. Ringraziamo lo Spirito Santo per il giorno della Pentecoste! Ringraziamolo per la nascita della Chiesa! Ringraziamolo perché a questa nascita fu presente la Madre di Cristo, che perseverava nella preghiera con la Comunità primitiva!

    Ringraziamo per la Maternità di Maria che si è comunicata e continua a comunicarsi alla Chiesa! Ringraziamo per la Madre sempre presente nel cenacolo della Pentecoste! Ringraziamo perché possiamo chiamarla anche Madre della Chiesa!

    III. Atto di affidamento

    8. O Tu, che più di ogni altro essere umano sei stata affidata allo Spirito Santo, aiuta la Chiesa del tuo Figlio a perseverare nello stesso affidamento, perché possa riversare su tutti gli uomini gli ineffabili beni della Redenzione e della Santificazione, per la liberazione dell’intera creazione (cf. Rm 8,21).

    O Tu, che sei stata con la Chiesa agli inizi della sua missione, intercedi per essa affinché, andando in tutto il mondo, ammaestri continuamente tutte le nazioni ed annunzi il Vangelo ad ogni creatura. La parola della Verità Divina e lo Spirito dell’Amore trovino accesso nei cuori degli uomini, i quali senza questa Verità e senza questo Amore non possono davvero vivere la pienezza della vita.

    O Tu, che nel modo più pieno hai conosciuto la forza dello Spirito Santo, quanto ti è stato concesso di concepire nel Tuo seno verginale e di dare alla luce il Verbo Eterno, ottieni alla Chiesa che possa continuamente far rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo i figli e le figlie di tutta la famiglia umana, senza alcuna distinzione di lingua, di razza, di cultura, dando loro in tal modo il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

    O Tu, che sei così profondamente e maternamente legata alla Chiesa, precedendo sulle vie della fede, della speranza e della carità tutto il Popolo di Dio, abbraccia tutti gli uomini che sono in cammino, pellegrini attraverso la vita temporale verso gli eterni destini, con quell’amore che lo stesso Redentore divino, tuo Figlio, ha riversato nel tuo cuore dall’alto della croce. Sii la Madre di tutte le nostre vie terrene, perfino quando esse diventino tortuose, affinché tutti ci ritroviamo alla fine, in quella grande Comunità che il tuo Figlio ha chiamato ovile, offrendo per essa la sua vita come Buon Pastore.

    O Tu, che sei la prima Serva dell’unità del Corpo di Cristo, aiutaci, aiuta tutti i fedeli che risentono così dolorosamente il dramma delle divisioni storiche del Cristianesimo, a ricercare con costanza la via dell’unità perfetta del Corpo di Cristo mediante la fedeltà incondizionata allo Spirito di Verità e di Amore, che è stato a loro dato a prezzo della Croce e della Morte del tuo Figlio.

    O Tu, che sempre hai desiderato di servire! Tu che servi come Madre tutta la famiglia dei figli di Dio, ottieni alla Chiesa che, arricchita dallo Spirito Santo con la pienezza dei doni gerarchici e carismatici, prosegua con costanza verso il futuro per la via di quel rinnovamento che proviene da ciò che dice lo Spirito Santo e che ha trovato espressione nell’insegnamento del Vaticano II, assumendo in tale opera di rinnovamento tutto ciò che è vero e buono, senza lasciarsi ingannare né in una direzione né nell’altra, ma discernendo assiduamente tra i segni dei tempi ciò che serve all’avvento del Regno di Dio.

    O Madre degli uomini e dei popoli, tu conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze, tu senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre che scuotono il mondo – accogli il nostro grido rivolto nello Spirito Santo direttamente al tuo cuore ed abbraccia con l’amore della Madre e della Serva del Signore coloro che questo abbracciò più aspettano, e insieme coloro il cui affidamento tu pure attendi in modo particolare. Prendi sotto la tua protezione materna l’intera famiglia umana che, con affettuoso trasporto a te, o Madre, noi affidiamo.

    S’avvicini per tutti il tempo della pace e della libertà, il tempo della verità, della giustizia e della speranza.

    O tu, che mediante il mistero della tua particolare santità, libera da ogni macchia sin dal momento del tuo Concepimento, risenti in modo particolarmente profondo che “tutta la creazione geme e soffre... nelle doglie del parto” (Rm 8,22) mentre, “Sottomessa alla caducità”, “nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 6,20-21), contribuisci, senza sosta, alla “rivelazione dei figli di Dio”, che “la creazione stessa attende con impazienza” (Rm 8,19), per entrare nella libertà della loro gloria (cf. Rm 8,21).

    O Madre di Gesù, glorificata ormai in cielo nel corpo e nell’anima quale immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura – qui sulla terra, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cf. 2Pt 3,10) non cessare di brillare innanzi al Popolo pellegrinante di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione (cf. Lumen Gentium, 68).

    Spirito Santo Dio! che con il Padre e il Figlio sei adorato e glorificato! Accetta queste parole di umile affidamento indirizzate a te nel cuore di Maria di Nazaret, tua Sposa e Madre del Redentore, che anche la Chiesa chiama sua Madre, perché sin dal cenacolo della Pentecoste da Lei apprende la propria vocazione materna! Accetta queste parole della Chiesa pellegrinante, pronunciate tra le fatiche e le gioie, tra le paure e le speranze, parole di affidamento umile e fiducioso, parole con cui la Chiesa affidata a te, Spirito del Padre e del Figlio, nel Cenacolo della Pentecoste per sempre, non cessa di ripetere insieme con te al suo Sposo divino: Vieni!

    “Lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù “Vieni”” (cf. Ap 22,17). “Così la Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4).

    Così noi oggi ripetiamo: “Vieni”, confidando nella tua materna intercessione, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA APOSTOLICA

    A CONCILIO CONSTANTINOPOLITANO I

    PER IL 1600° ANNIVERSARIO
    DEL I CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
    E PER IL 1550° ANNIVERSARIO
    DEL CONCILIO DI EFESO


    Carissimi Fratelli nell'Episcopato,

    I.

    1. Mi spinge a scrivervi questa lettera, che è insieme una riflessione teologica e un invito pastorale, nato dal profondo del cuore, anzitutto la ricorrenza del XVI centenario del primo Concilio di Costantinopoli, celebrato appunto nel 381. Esso, come ho sottolineato fin dall'alba del nuovo anno nella Basilica di San Pietro, «dopo il Concilio di Nicea fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa... al quale dobbiamo il "Credo" che è recitato costantemente nella liturgia. Un'eredità particolare di quel Concilio è la dottrina sullo Spirito Santo così proclamata nella liturgia latina: «"Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas"» («L'Osservatore Romano», 2-3 gennaio 1981).

    Queste parole ripetute nel «Credo» da tante generazioni cristiane avranno perciò quest'anno per noi un particolare significato dottrinale e affettivo, e ci ricorderanno i vincoli profondi che legano la Chiesa del nostro tempo - nella prospettiva ormai dell'avvento del terzo millennio della sua vita prodigiosamente ricca e provata, continuamente partecipe della Croce e della Risurrezione del Cristo, nella virtù dello Spirito Santo - a quella del quarto secolo, nell'unica continuità delle sue prime origini, e nella fedeltà all'insegnamento del Vangelo e alla predicazione apostolica.

    Basta quanto enunciato per comprendere come l'insegnamento del Concilio Costantinopolitano I sia tuttora l'espressione dell'unica fede comune della Chiesa e di tutto il cristianesimo. Confessando questa fede - come facciamo ogni volta che recitiamo il «Credo» - e ravvivandola nella prossima commemorazione centenaria, noi vogliamo mettere in rilievo ciò che ci unisce con tutti i nostri fratelli, nonostante le divisioni avvenute nei secoli. Facendo questo a 1600 anni dal Concilio Costantinopolitano I, noi ringraziamo Dio per la Verità del Signore, che, grazie all'insegnamento di quel Concilio, illumina le vie della nostra fede, e le vie della vita in virtù della fede. In questa ricorrenza si tratta non soltanto di ricordare una formula di fede, che è in vigore da sedici secoli nella Chiesa, ma al tempo stesso di rendere sempre più presente al nostro spirito, nella riflessione, nella preghiera, nel contributo della spiritualità e della teologia, quella forza personale divina che da la vita, quel Dono ipostatico - «Dominum et Vivifcantem» - quella Terza Persona della Santissima Trinità che in questa fede viene partecipata dalle singole anime e dalla Chiesa tutta. Lo Spirito Santo continua a vivificare la Chiesa, e a spingerla sulle vie della santità e dell'amore. Come bene sottolinea Sant'Ambrogio, nell'opera «De Spiritu Sancto», «sebbene Egli sia inaccessibile per natura, tuttavia può essere ricevuto da noi grazie alla sua bontà; riempie tutto con la sua virtù, ma di lui partecipano soltanto i giusti; è semplice nella sua sostanza, ricco di virtù, presente in tutti, divide ciò che è suo per donarlo a ognuno ed è tutto intero in ogni luogo» (Sant'Ambrogio «De Spiritu Sancto», I, V, 72; ed. O. Faller, CSEL 79, Vindobonae 1964, p. 45).

    2. Il ricordo del Concilio di Costantinopoli, che fu il secondo Concilio Ecumenico della Chiesa, rende consapevoli noi, uomini del cristianesimo del secondo millennio che sta per finire, di quanto fosse vivo, nei primi secoli del primo millennio, in mezzo alla crescente comunità dei credenti, il bisogno di intendere e di proclamare giustamente, nella confessione della Chiesa, l'inscrutabile mistero di Dio nella sua trascendenza assoluta: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, ed altri contenuti chiave della verità e della vita cristiana, hanno prima di tutto attirato su di sé l'attenzione dei fedeli; pure intorno a tali contenuti sono nate numerose interpretazioni, anche divergenti, le quali esigevano la voce della Chiesa, la sua solenne testimonianza in virtù della promessa fatta da Cristo nel cenacolo: «Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, ...vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26); Egli, lo Spirito di verità, «vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).

    Così, nel corrente anno 1981, dobbiamo in modo speciale ringraziare lo Spirito Santo perché in mezzo alle molteplici oscillazioni del pensiero umano, ha permesso alla Chiesa di esprimere la propria fede, pur nelle peculiarità espressive dell'epoca, in piena coerenza con la «verità tutta intera».

    «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti», così suonano le parole del simbolo di fede del primo Concilio di Costantinopoli nel 381 (Così citato per la prima volta negli Atti del Concilio Calcedonense, act. II: ed. E. Schwarts, «Acta Conciliorum Oecumenicorum, II Concilium universale Chalcedonense», Berolini et Lipsiae 1927-32, 1, 2, p. 80; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, p. 24), che ha illustrato il mistero dello Spirito Santo, della sua origine dal Padre, affermando così l'unità e l'uguaglianza nella divinità di questo Spirito Santo con il Padre e con il Figlio.

    II.

    3. Ricordando il XVI centenario del Concilio Costantinopolitano I non posso peraltro passare sotto silenzio un'altra significativa circostanza, che riguarda il 1981: quest'anno, infatti, ricorre anche il 1550° anniversario del Concilio di Efeso, celebrato nel 431. E' un ricordo che si pone come all'ombra del precedente Concilio, ma che riveste anch'esso una importanza particolare per la nostra fede, ed è sommamente degno di essere ricordato.

    Nello stesso simbolo noi recitiamo infatti, nel cuore della comunità liturgica che si prepara a rivivere i Divini Misteri: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est: e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo». Il Concilio Efesino ebbe pertanto un valore soprattutto cristologico, definendo le due nature in Gesù Cristo, quella divina e quella umana, per precisare la dottrina autentica della Chiesa già espressa dal Concilio di Nicea nel 325, ma che era stata messa in pericolo dalla diffusione di differenti interpretazioni della verità già chiarita in quel Concilio, e specialmente di alcune formule usate nell'insegnamento nestoriano. In stretta connessione con queste affermazioni, il Concilio di Efeso ebbe inoltre un significato soteriologico, ponendo in luce che - secondo il noto assioma - «ciò che non è assunto non è salvato». Ma altrettanto strettamente congiunto col valore di quelle definizioni dogmatiche, era altresì la verità concernente la Vergine Santa, chiamata all'unica e irripetibile dignità di Madre di Dio, di «Theotokos», come è messo in solare evidenza principalmente dalle lettere di san Cirillo a Nestorio («Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, Concilium universale Ephesinum»: ed E. Schwartz, I, 1, pp 25-28; cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 40-44; 50-61) e dalla splendida «Formula unionis» del 433 («Acta Conciliorum Oecumenicorum», I, I, 4, pp 8s (A); cfr. anche «Conciliorum Oecumenicorum Decreta», Bologna 1973, pp. 69s ). E' stato tutto un inno innalzato da quegli antichi padri alla incarnazione del Figlio Unigenito di Dio, nella piena verità delle due nature nell'Unica persona: è stato un inno all'opera della salvezza, realizzata nel mondo per opera dello Spirito Santo: e tutto ciò non poteva non ridondare ad onore della Madre di Dio, prima cooperatrice della potenza dell'Altissimo, che l'ha adombrata nel momento dell'Annunciazione nel luminoso sopravvenire dello Spirito (cfr. Lc 1,35). E così compresero le nostre sorelle e i nostri fratelli di Efeso, che la sera del 22 giugno, giorno inaugurale del Concilio, celebrato nella Cattedrale della «Madre di Dio», acclamarono con quel titolo la Vergine Maria e portarono in trionfo i Padri al termine di quella prima sessione.

    Mi sembra pertanto molto opportuno che anche quell'antico Concilio, il terzo della storia della Chiesa, sia da noi ricordato nel suo ricco contesto teologico ed ecclesiale. La Vergine santissima è Colei che, all'ombra della potenza della Trinità, è stata la creatura più strettamente associata all'opera della salvezza. L'incarnazione del Verbo è avvenuta sotto il suo cuore, per opera dello Spirito Santo. In Lei si è accesa l'aurora della nuova umanità che con Cristo si presentava nel mondo per portare a compimento il piano originario dell'alleanza con Dio, infranta dalla disobbedienza del primo uomo. «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine».

    4. I due anniversari, sia pure a diverso titolo e con diversa rilevanza storica, ridondano ad onore dello Spirito Santo. Tutto ciò si è compiuto per opera dello Spirito Santo. Si vede quanto profondamente queste due grandi commemorazioni, a cui è doveroso fare riferimento nell'anno del Signore 1981, siano unite tra loro nell'insegnamento e nella professione della fede della Chiesa, della fede di tutti i cristiani. Fede nella Santissima Trinità: fede nel Padre, da cui provengono tutti i doni (cfr. Gc 1,17). Fede nel Cristo Redentore dell'uomo. Fede nello Spirito Santo. E, in questa luce, venerazione alla Madonna, che «acconsentendo alla parola divina diventò Madre di Gesù, e, abbracciando con tutto l'animo e senza impedimento alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo» e perciò «non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma... cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza» («Lumen Gentium», 56). Ed è tanto bello che, come Maria aspettò con questa fede la venuta del Signore, così, anche in questa fine de secondo millennio, essa sia presente a illuminare la nostra fede, in tale prospettiva di «avvento».

    Tutto ciò è per noi fonte di immensa gioia, fonte di gratitudine per la luce di questa fede, mediante la quale partecipiamo agli inscrutabili misteri divini, facendone il contenuto vitale delle nostre anime, dilatando in esse gli orizzonti della nostra dignità spirituale e dei nostri destini umani. E perciò, anche questi grandi anniversari non possono rimanere per noi solamente un ricordo del lontano passato. Devono rivivere nella fede della Chiesa, devono risuonare con un'eco nuova nella sua spiritualità, devono anzi trovare la manifestazione esterna della loro sempre viva attualità per l'intera comunità dei credenti.

    5. Scrivo queste cose prima di tutto a voi, miei amati e venerati fratelli nel servizio episcopale. Mi rivolgo, al tempo stesso, ai fratelli sacerdoti, i più stretti collaboratori nella vostra sollecitudine pastorale «in virtute Spiritus Sancti». Mi rivolgo ai fratelli e sorelle di tutte le famiglie religiose maschili e femminili, in mezzo alle quali dovrebbe essere particolarmente viva la testimonianza dello Spirito di Cristo ed altresì particolarmente cara la missione di Colei che ha voluto essere l'Ancella del Signore (cfr. Lc 1,38). Mi rivolgo infine a tutti i fratelli e sorelle del laicato della Chiesa, i quali, professandone la fede, insieme a tutti gli altri membri della comunità ecclesiale, tante volte e da tante generazioni rendono sempre vivo il ricordo dei grandi Concili. Sono convinto che essi accetteranno con gratitudine la rievocazione di queste date e di questi anniversari, specialmente quando insieme ci renderemo conto di quanto «attuali» siano, al tempo stesso, i misteri, ai quali i due Concili hanno dato una autorevole espressione già nella prima metà del primo millennio della storia della Chiesa.

    Oso infine nutrire la speranza, che la commemorazione dei Concili di Costantinopoli e di Efeso, i quali sono stati l'espressione di fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa, ci faccia crescere nella reciproca comprensione con i nostri amati fratelli nell'Oriente e nell'Occidente, con i quali ancora non ci unisce la piena comunione ecclesiale, ma insieme ai quali cerchiamo nella preghiera, con umiltà e con fiducia, le vie all'unità nella verità. Che cosa, infatti, può meglio affrettare il cammino verso questa unità, quanto il ricordo e, insieme, la vivificazione di ciò che per tanti secoli è stato ill contenuto della fede professata in comune, anzi di ciò che non ha cessato di essere tale, anche dopo le dolorose divisioni che si sono verificate nel corso dei secoli?

    III.

    6. E' pertanto mia intenzione che questi avvenimenti siano vissuti nel loro profondo contesto ecclesiologico. Non dobbiamo infatti soltanto ricordare questi grandi anniversari come fatti del passato - ma rianimarli anche con la nostra contemporaneità, e collegarli in profondità con la vita e i compiti della Chiesa della nostra epoca, così come essi sono stati espressi nell'intero messaggio del Concilio della nostra epoca: Il Vaticano II. Quanto profondamente vivono in tale magistero le verità definite in quei Concili e quanto esse hanno pervaso il contenuto dell'insegnamento sulla Chiesa, che è centrale nel Vaticano II! Quanto sono sostanziali e costitutive per quest'insegnamento e, ugualmente, quanto intensamente queste fondamentali e centrali verità del nostro «Credo» vivono, per così dire una vita nuova e brillano con una luce nuova nell'insieme dell'insegnamento del Vaticano II!

    Se il principale compito della nostra generazione, e può darsi anche delle generazioni future nella Chiesa, sarà di realizzare e di introdurre nella vita l'insegnamento e gli orientamenti di questo grande Concilio, quest'anno gli anniversari dei Concili Costantinopolitano I ed Efesino offrono l'opportunità di adempiere questo compito nel vivo contesto della verità che, attraverso i secoli, dura in eterno.

    7. «Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e perché i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Cor 3,16; 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli guida la Chiesa alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel mistero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni" (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» («Lumen Gentium», 4): ecco il passo certamente più ricco, più sintetico, anche se non unico, il quale indica come, nella totalità dell'insegnamento del Vaticano II viva di una vita nuova e brilli con uno splendore nuovo la verità sullo Spirito Santo, alla quale 1600 anni fa ha dato così autorevole espressione il Concilio Costantinopolitano I.

    Tutta l'opera di rinnovamento della Chiesa, che il Concilio Vaticano II ha così provvidenzialmente proposto e iniziato - rinnovamento che deve essere ad un tempo «aggiornamento» e consolidamento in ciò che è eterno e costitutivo per la missione della Chiesa - non può realizzarsi se non nello Spirito Santo, cioè con l'aiuto della sua luce e della sua potenza. Questo è importante, tanto importante, per tutta la Chiesa nella sua universalità, come pure per ogni Chiesa particolare nella comunione con tutte le altre Chiese particolari. Questo è importante anche per la via ecumenica all'interno del cristianesimo e per la sua via nel mondo contemporaneo, la quale deve svilupparsi nella direzione della giustizia e della pace. Questo è importante, anche per l'opera delle vocazioni sacerdotali o religiose e, al tempo stesso, per l'apostolato dei laici, come frutto di una nuova maturità della loro fede.

    8. Le due formulazioni del simbolo Niceno-Costantinopolitano: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto... Credo in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem» ci ricordano poi che la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo, alla quale incessantemente tutte le altre si riferiscono, attingendo da essa come ad una sorgente, e proprio quella dell'incarnazione del Verbo Eterno, nel seno della Vergine Maria.

    Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo, è il centro della storia: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri e oggi...» (Eb 13,8). Se i nostri pensieri e i nostri cuori permangono rivolti verso di Lui nella prospettiva del secondo millennio, che sta per chiudersi e che ci separa dalla sua prima venuta nel mondo, allora con ciò stesso essi si rivolgono verso lo Spirito Santo, per opera del quale è avvenuto il suo umano concepimento; e si rivolgono anche a Colei, dalla quale è stato concepito ed è nato: alla Vergine Maria. Proprio gli anniversari dei due grandi Concili dirigono quest'anno in modo speciale i nostri pensieri e i nostri cuori verso lo Spirito Santo e verso la madre di Dio, Maria. E se ricordiamo quanta gioia ed esultanza suscitò 1550 anni fa a Efeso la professione di fede nella maternità divina della Vergine Maria (Theotokos), comprendiamo allora che in quella professione di fede è stata insieme glorificata la particolare opera dello Spirito Santo: cioè quella che compongono sia l'umano concepimento e la nascita del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, sia, sempre per opera dello stesso Spirito Santo, la maternità santissima della Vergine Maria. Questa maternità non solo è fonte e fondamento di tutta l'eccezionale santità di Maria e della sua particolarissima partecipazione a tutta l'economia della salvezza, ma stabilisce anche un permanente legame materno con la Chiesa, derivante dal fatto stesso che Essa è stata scelta dalla Santissima Trinità come Madre di Cristo, il quale è il Capo del Corpo, cioè della Chiesa» (Col 1,18). Questo legame si rivela particolarmente sotto la croce, dove Maria, «soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, ...dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: «Donna, ecco il tuo figlio» (cfr. Gv 19,26-27)» («Lumen Gentium», 58).

    Il Concilio Vaticano II, poi, sintetizza felicemente la relazione inscindibile di Maria Santissima con Cristo e con la Chiesa: «Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di avere effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli Apostoli prima del giorno della Pentecoste "perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria Madre di Gesù e i fratelli di Lui" (At 1,14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il dono dello Spirito, che l'aveva già ricoperta nell'Annunciazione» («Lumen Gentium», 59). Con questa espressione il testo del Concilio unisce tra di loro i due momenti, nei quali la maternità di Maria è più strettamente legata all'opera dello Spirito Santo: dapprima, il momento dell'Incarnazione, e poi quello della nascita della Chiesa nel Cenacolo di Gerusalemme.

    IV.

    9. Tutti questi grandi e importanti motivi, e il confluire di circostanze così significative persuadono pertanto a far sì che nell'anno in corso, doppiamente giubilare, si metta in particolare evidenza la solennità della Pentecoste in tutta la Chiesa.

    Invito perciò a Roma in quel giorno tutte le Conferenze Episcopali della Chiesa Cattolica e i Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali cattoliche, nella rappresentanza che piacerà loro di inviare, affinché insieme possiamo rinnovare quell'eredita che abbiamo ricevuto dal Cenacolo della Pentecoste e nella potenza dello Spirito Santo: è Lui infatti che ha mostrato alla Chiesa, nel momento della sua nascita, quella via che conduce a tutte le nazioni, a tutti i popoli e lingue, e al cuore di tutti gli uomini.

    Trovandoci raccolti nell'unità collegiale come gli eredi della sollecitudine apostolica per tutte le Chiese (cfr. 2Cor 11,28) attingeremo all'abbondanza sorgiva dello stesso Spirito, che guida la missione della Chiesa sulle vie dell'umanità contemporanea alla fine del secondo millennio dopo l'Incarnazione del Verbo, per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria.

    10. La prima parte della solennità ci riunirà, al mattino, nella Basilica di san Pietro in Vaticano per cantare con tutto il cuore il nostro Credo «in Spiritum Sanctum, Dominum et vivificantem... qui locutus est per prophetas... Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam». A tanto ci spinge il 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I: come gli Apostoli nel Cenacolo, come i Padri di quel Concilio ci riunirà Colui il quale «con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa» e «continuamente la rinnova» (cfr. «Lumen Gentium», 4).

    In tal modo la solennità della Pentecoste di quest'anno diventerà una sublime e riconoscente professione di quella fede nello Spirito Santo, Signore e Datore di vita, che in modo particolare dobbiamo a quel Concilio. E al tempo stesso, diventerà un'umile preghiera e un'ardente invocazione affinché questo stesso Spirito Santo ci aiuti a «rinnovare la faccia della terra», anche mediante l'opera di rinnovamento della Chiesa secondo il pensiero del Vaticano II. Che quest'opera si svolga in modo maturo e regolare in tutte le Chiese, in tutte le comunità cristiane; che essa si compia prima di tutto nelle anime degli uomini, perché non è possibile un vero rinnovamento senza una continua conversione a Dio. Chiederemo allo Spirito di Verità di rimanere, sulla via di questo rinnovamento, perfettamente fedeli a quel «parlare dello Spirito», che è per noi attualmente l'insegnamento del Vaticano II, di non lasciare questa via spinti da un certo riguardo verso lo spirito del mondo. Chiederemo inoltre a Colui che e «fons vivus, ignis, caritas» - acqua viva, fuoco, amore -, di permeare noi stessi e tutta la Chiesa, e infine la famiglia umana, di quell'amore che «tutto spera, tutto sopporta», e che «non avrà mai fine» (1Cor 13,7-8).

    Non c'è alcun dubbio che, nella presente tappa della storia della Chiesa e dell'umanità, si senta un particolare bisogno di approfondire e di rianimare questa verità. Ce ne darà occasione, a Pentecoste, la commemorazione del 1600° anniversario del Concilio Costantinopolitano I. Che lo Spirito Santo accetti questa nostra manifestazione di fede. Accolga, nella funzione liturgica della solennità della Pentecoste, quest'umile aprirsi dei cuori a Lui, il Consolatore, nel quale si rivela e si realizza il dono dell'unità.

    11. In una seconda parte della celebrazione, ci riuniremo quel giorno, nelle ore del tardo pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la parte mattutina sarà completata con i contenuti, che offre alla nostra riflessione il 1550° anniversario del Concilio di Efeso. Ce lo suggerirà anche la singolare coincidenza che la Pentecoste cadrà quest'anno il 7 giugno, come già avvenne nel 431, e in quel giorno solenne, che era stato fissato per l'inizio delle sessioni (spostate poi al 22 giugno), cominciarono ad affluire a Efeso i primi gruppi di Vescovi.

    Tali contenuti saranno tuttavia visti anch'essi attraverso l'apporto del Concilio Vaticano II, con un particolare riguardo al mirabile capitolo VII della Costituzione «Lumen Gentium». Così come il Concilio di Efeso, mediante l'insegnamento cristologico e soteriologico, permise di riconfermare la verità sulla Maternità Divina di Maria - la Theotokos - così il Vaticano II ci permette di ricordare che la Chiesa, la quale nasce nel Cenacolo gerosolimitano dalla potenza dello Spirito Santo, comincia a guardare a Maria come all'esempio della maternità spirituale della Chiesa stessa, e perciò come alla sua figura archetipa. In quel giorno Colei, che da Paolo VI fu chiamata anche Madre della Chiesa, irradia la sua potenza di intercessione sulla Chiesa-Madre e ne protegge quella spinta apostolica di cui questa tuttora vive, generando a Dio i credenti di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

    E perciò la liturgia pomeridiana della solennità di Pentecoste ci riunirà nella principale Basilica Mariana di Roma per ricordare in modo particolare, mediante tale atto, che nel cenacolo gerosolimitano gli Apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con.... Maria, la Madre di Gesù...» (At 1,14), preparandosi alla venuta dello Spirito Santo. Similmente anche noi, in quel giorno così importante, desideriamo di essere assidui nella preghiera insieme con Colei la quale, secondo le parole della Costituzione dogmatica del Vaticano II sulla Chiesa, come Madre di Dio «è figura della Chiesa... nell'ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» («Lumen Gentium», 63). E così, perseverando nella preghiera insieme con Lei e pieni di fiducia in Lei, affideremo alla potenza dello Spirito Santissimo la Chiesa, e la sua missione tra tutte le nazioni del mondo di oggi e di domani. Noi infatti portiamo in noi stessi l'eredità di coloro, ai quali Cristo Risorto ha ordinato di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15).

    Nel giorno di Pentecoste, riuniti nella preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù, essi si sono convinti di poter compiere questo ordine con la potenza dello Spirito Santo, disceso su di loro conformemente al preannunzio del Signore (cfr. At 1,8). In quello stesso giorno noi, loro eredi, ci stringeremo nello stesso atto di fede e di preghiera.

    V.

    12. Diletti miei fratelli!

    So che il Giovedì Santo voi rinnovate, nella comunità del presbiterio delle vostre diocesi, il memoriale dell'Ultima Cena, durante la quale il pane e il vino, mediante le parole di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, sono diventati il corpo e il sangue del nostro Salvatore, cioè l'Eucaristia della nostra redenzione.

    In quel giorno, o anche in altre occasioni opportune, parlate a tutto il Popolo di Dio di questi anniversari e avvenimenti importanti, affinché siano similmente ricordati e vissuti anche in ogni Chiesa locale e in ogni comunità della Chiesa, così come essi meritano, nel modo che sarà stabilito dai singoli Pastori, secondo le indicazioni delle rispettive Conferenze Episcopali e dei Patriarcati e Metropolie delle Chiese Orientali.

    Nel desiderio vivissimo delle annunciate celebrazioni, mi è caro impartire a tutti voi, venerati e carissimi fratelli nell'Episcopato, e, insieme con voi, alle vostre singole comunità ecclesiali, la mia particolare benedizione apostolica.

    Dato in Roma, presso san Pietro, il 25 marzo 1981, Solennità dell'Annunciazione del Signore, terzo anno del Pontificato.

  9. #9
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    GIOVANNI PAOLO II

    UDIENZA GENERALE

    Mercoledì, 13 dicembre 1995

    La presenza di Maria nel Concilio Vaticano II


    1. Vorrei oggi soffermarmi a riflettere sulla particolare presenza della Madre della Chiesa in un evento ecclesiale che è sicuramente il più importante del nostro secolo: il Concilio Ecumenico Vaticano II, iniziato da Papa Giovanni XXIII, la mattina dell'11 ottobre 1962, e concluso da Paolo VI, l'8 dicembre 1965.
    Una singolare intonazione mariana caratterizza in effetti l'Assise conciliare, sin dalla sua indizione. Già nella Lettera Apostolica "Celebrandi Concilii Oecumenici", il mio venerato predecessore, il Servo di Dio, Giovanni XXIII aveva raccomandato il ricorso alla potente intercessione di Maria, "Madre della grazia e patrona celeste del Concilio" [11 aprile 1961, AAS 53 (1961) 242]. Successivamente, nel 1962, nella festa della Purificazione di Maria, Papa Giovanni fissava l'apertura del Concilio all'11 ottobre, spiegando di aver scelto questa data in ricordo del grande Concilio di Efeso, che, proprio in tale data, aveva proclamato Maria "Theotokos", Madre di Dio [Motu proprio Concilium; AAS 54 (1962) 67-68]. Alla "Soccorritrice dei Cristiani, Soccorritrice dei Vescovi" il Papa affidava poi, nel discorso di apertura, il Concilio stesso implorando la sua materna assistenza per il felice compimento dei lavori conciliari [AAS 54 (1962) 795].
    A Maria rivolgono espressamente il loro pensiero anche i Padri del Concilio che, nel messaggio al mondo, all'apertura delle sessioni conciliari, affermano: "Noi, successori degli Apostoli, tutti quanti uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, formiamo un solo corpo apostolico" (Acta Synodalia, I,I,254), ricollegandosi in tal modo, nella comunione con Maria, alla Chiesa primitiva in attesa dello Spirito Santo (cfr. At 1,14).

    2. Nella seconda sessione del Concilio fu proposto di introdurre la trattazione sulla beata Vergine Maria nella Costituzione sulla Chiesa. Iniziativa che, anche se espressamente raccomandata dalla Commissione teologica, suscitò diversità di pareri.
    Alcuni, considerandola insufficiente per evidenziare la specialissima missione della Madre di Gesù nella Chiesa, sostenevano che solo un documento separato avrebbe potuto esprimerne la dignità, la preminenza, l'eccezionale santità e il ruolo singolare di Maria nella Redenzione operata dal Figlio. Ritenendo, inoltre, Maria in un certo modo al di sopra della Chiesa, manifestavano il timore che la scelta di inserire la dottrina mariana nella trattazione sulla Chiesa, non mettesse sufficientemente in evidenza i privilegi di Maria, riducendo la sua funzione al livello degli altri membri della Chiesa (Acta Synodalia, II, III, 338-342).
    Altri, invece, si esprimevano in favore della proposta della Commissione teologica, mirante ad inserire in un unico documento l'esposizione dottrinale su Maria e sulla Chiesa. Secondo questi ultimi, tali realtà non potevano essere separate in un Concilio che, prefiggendosi la riscoperta della identità e della missione del Popolo di Dio, doveva mostrarne la connessione intima con Colei che è tipo ed esempio della Chiesa nella verginità e nella maternità. La Beata Vergine, infatti, nella sua qualità di membro eminente della Comunità ecclesiale, occupa un posto speciale nella dottrina della Chiesa. Inoltre, ponendo l'accento sul nesso fra Maria e la Chiesa, si rendeva più comprensibile ai cristiani della Riforma la dottrina mariana proposta dal Concilio (Acta Synodalia, II, III, 343-345). I Padri conciliari, animati dal medesimo amore per Maria, tendevano così a privilegiare, esprimendo posizioni dottrinali differenti, aspetti diversi della sua figura. Gli uni contemplavano Maria principalmente nel suo rapporto a Cristo, gli altri la consideravano piuttosto in quanto membro della Chiesa.

    3. Dopo un confronto denso di dottrina e attento alla dignità della Madre di Dio ed alla sua particolare presenza nella vita della Chiesa, si decise di inserire la trattazione mariana all'interno del documento conciliare sulla Chiesa (cfr. AS II, III, 627).
    Il nuovo schema sulla Beata Vergine, elaborato per essere integrato nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, manifesta un reale progresso dottrinale. L'accento posto sulla fede di Maria e una preoccupazione più sistematica di fondare la dottrina mariana sulla Scrittura, costituiscono elementi significativi ed utili ad arricchire la pietà e la considerazione del popolo cristiano per la benedetta Madre di Dio.
    Col passare del tempo, inoltre, i pericoli di riduzionismo, paventati da alcuni Padri, si sono rivelati infondati: la missione e i privilegi di Maria sono stati ampiamente riaffermati; la sua cooperazione al piano divino di salvezza è stata posta in rilievo; l'armonia di tale cooperazione con l'unica mediazione di Cristo è apparsa più evidente.
    Per la prima volta, inoltre, il Magistero conciliare proponeva alla Chiesa una esposizione dottrinale sul ruolo di Maria nell'opera redentiva di Cristo e nella vita della Chiesa. Dobbiamo, quindi, ritenere l'opzione dei Padri conciliari, rivelatasi molto feconda per il successivo lavoro dottrinale, una decisione veramente provvidenziale.

    4. Nel corso delle sessioni conciliari, emerse il voto di molti Padri di arricchire ulteriormente la dottrina mariana con altre affermazioni sul ruolo di Maria nell'opera della salvezza. Il particolare contesto in cui si svolse il dibattito mariologico del Vaticano II non permise l'accoglienza di tali desideri, pur consistenti e diffusi, ma il complesso della elaborazione conciliare su Maria rimane vigorosa ed equilibrata e gli stessi temi, non pienamente definiti, hanno ottenuto significativi spazi nella trattazione complessiva.
    Così, le esitazioni di alcuni Padri dinanzi al titolo di Mediatrice non hanno impedito al Concilio di usare una volta tale titolo, e di affermare in altri termini la funzione mediatrice di Maria dal consenso all'annuncio dell'angelo alla maternità nell'ordine della grazia (cfr. LG, 62). Inoltre, il Concilio afferma la sua cooperazione "in modo tutto speciale" all'opera che restaura la vita soprannaturale delle anime (LG, 61). Infine, anche se evita di usare il titolo di "Madre della Chiesa", il testo della "Lumen gentium" chiaramente sottolinea la venerazione della Chiesa verso Maria come Madre amantissima.
    Dall'intera esposizione del Capitolo VIII della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, risulta chiaro che le cautele terminologiche non hanno intralciato l'esposizione di una dottrina di fondo molto ricca e positiva, espressione della fede e dell'amore per Colei che la Chiesa riconosce Madre e Modello della sua vita. D'altro canto, i differenti punti di vista dei Padri, emersi nel corso del dibattito conciliare, si sono rivelati provvidenziali, perché fondendosi in armonica composizione hanno offerto alla fede ed alla devozione del Popolo cristiano una presentazione più completa ed equilibrata della mirabile identità della Madre del Signore e del suo ruolo eccezionale nell'opera della redenzione.

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    L'INNO AKATHISTOS

    È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos (Genitrice di Dio).
    Akathistos si chiama per antonomasia quest'inno liturgico del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti."Akathistos" non è il titolo originario, ma una rubrica:"a-kathistos" in greco significa "non-seduti", perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo "stando in piedi", come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.

    La struttura metrica e sillabica dell'Akathistos si ispira alla celeste Gerusalemme descritta dal cap. 21 dell'Apocalisse, da cui desume immagini e numeri: Maria è cantata come identificazione della Chiesa, quale "Sposa" senza sposo terreno, Sposa vergine dell'Agnello, in tutto il suo splendore e la sua perfezione.

    L'inno consta di 24 stanze (in greco: oikoi), quante sono le lettere dell'alfabeto greco con le quali progressivamente ogni stanza comincia. Ma fu sapientemente progettato in due parti distinte, su due piani congiunti e sovrapposti - quello della storia e quello della fede -, e con due prospettive intrecciate e complementari - una cristologica, l'altra ecclesiale -, nelle quali è calato e s'illumina il mistero della Madre di Dio. Le due parti dell'inno a loro volta sono impercettibilmente suddivise ciascuna in due sezioni di 6 stanze: tale suddivisione è presente in modo manifesto nell'attuale celebrazione liturgica. L'inno tuttavia procede in maniera binaria, in modo che ogni stanza dispari trova il suo complemento - metrico e concettuale - in quella pari che segue. Le stanze dispari si ampliano con 12 salutazioni mariane, raccolte attorno a un loro fulcro narrativo o dommatico, e terminano con l'efimnio o ritornello di chiusa: "Gioisci, sposa senza nozze!". Le stanze pari invece, dopol'enunciazione del tema quasi sempre a sfondo cristologico, terminano con l'acclamazione a Cristo: "Alleluia!". Così l'inno si presenta cristologico insieme e mariano, subordinando la Madre al Figlio, la missione materna di Maria all'opera universale di salvezza dell'unico Salvatore.

    La prima parte dell'Akathistos (stanze 1-12) segue il ciclo del Natale, ispirato ai Vangeli dell'Infanzia (Lc 1-2; Mt 1-2).
    Essa propone e canta il mistero dell'incarnazione (stanze 1-4), l'effusione della grazia su Elisabetta e Giovanni (stanza 5),la rivelazione a Giuseppe (stanza 6), l'adorazione dei pastori(stanza 7), l'arrivo e l'adorazione dei magi (stanze 8-10), la fuga in Egitto (stanza 11), l'incontro con Simeone (stanza 12): eventi che superano il dato storico e diventano lettura simbolica della grazia che si effonde, della creatura che l'accoglie, dei pastori che annunciano il Vangelo, dei lontani che giungono alla fede, del popolo di Dio che uscendo dal fonte battesimale percorre il suo luminoso cammino verso la Terra promessa e giunge alla conoscenza profonda del Cristo.

    La seconda parte (stanze 13-24) propone e canta ciò che la Chiesa al tempo di Efeso e di Calcedonia professava di Maria, nel mistero del Figlio Salvatore e della Chiesa dei salvati. Maria è la Nuova Eva, vergine di corpo e di spirito, che col Frutto del suo grembo riconduce i mortali al paradiso perduto (stanza 13); è la Madre di Dio, che diventando sede e trono dell'Infinito, apre le porte del cielo e vi introduce gli uomini (stanza 15); è la Vergine partoriente, che richiama la mente umana a chinarsi davanti al mistero di un parto divino e ad illuminarsi di fede (stanza 17); è la Sempre-vergine, inizio della verginità della Chiesa consacrata a Cristo, sua perenne custode e amorosa tutela (stanza 19); è la Madre dei Sacramenti pasquali, che purificano e divinizzano l'uomo e lo nutrono del Cibo celeste (stanza 21); è l'Arca Santa e il Tempio vivente di Dio, che precede e protegge il peregrinare della Chiesa e dei fedeli verso l'ultima Pasqua (stanza 23); è l'Avvocata di misericordia nell'ultimo giorno (stanza 24).

    L'Akathistos è una composizione davvero ispirata. Conserva un valore immenso:
    — a motivo del suo respiro storico-salvifico, che abbraccia tutto il progetto di Dio coinvolgendo la creazione e le creature, dalle origini all'ultimo termine, in vista della loro pienezza in Cristo;
    — a motivo delle fonti, le più pure: la Parola di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, sempre presente in modo esplicito o implicito; la dottrina definita dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), dai quali direttamente dipende; le esposizioni dottrinali dei più grandi Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali desume concetti e lapidarie asserzioni;
    — a motivo di una sapiente metodologia mistagogica, con la quale — assumendo le immagini più eloquenti dalla creazione e dalle Scritture — eleva passo passo la mente e la porta alle soglie del mistero contemplato e celebrato: quel mistero del Verbo incarnato e salvatore che — come afferma il Vaticano II — fa di Maria il luogo d'incontro e di riverbero dei massimi dati della fede (cf Lumen Gentium 65).

    Circa l'Autore, quasi tutta la tradizione manoscritta trasmette anonimo l'inno Akathistos. La versione latina redatta dal Vescovo Cristoforo di Venezia intorno all'anno 800, che tanto influsso esercitò sulla pietà del medioevo occidentale, porta il nome di Germano di Costantinopoli ( 733). Oggi però la critica scientifica propende ad attribuirne la composizione ad uno dei Padri di Calcedonia: in tal modo, questo testo venerando sarebbe il frutto maturo della tradizione più antica della Chiesa ancora indivisa delle origini, degno di essere assunto e cantato da tutte le Chiese e comunità ecclesiali.

    INNO

    PARTE NARRATIVA


    1. Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal Cielo
    per dir "Ave" alla Madre di Dio.
    Al suo incorporeo saluto
    vedendoti in Lei fatto uomo,
    Signore,
    in estasi stette,
    acclamando la Madre così:

    Ave, per Te la gioia risplende;
    Ave, per Te il dolore s'estingue.
    Ave, salvezza di Adamo caduto;
    Ave, riscatto del pianto di Eva.
    Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto;
    Ave, Tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.
    Ave, in Te fu elevato il trono del Re;
    Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene.
    Ave, o stella che il Sole precorri;
    Ave, o grembo del Dio che s'incarna.
    Ave, per Te si rinnova il creato;
    Ave, per Te il Creatore è bambino.
    Ave, Sposa non sposata!

    2. Ben sapeva Maria
    d'esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva:
    «Il tuo singolare messaggio
    all'anima mia incomprensibile appare:
    da grembo di vergine
    un parto predici, esclamando:
    Alleluia!»

    3. Desiderava la Vergine
    di capire il mistero
    e al nunzio divino chiedeva:
    «Potrà il verginale mio seno
    mai dare alla luce un bambino?
    Dimmelo!»
    E Quegli riverente
    acclamandola disse così:

    Ave, Tu guida al superno consiglio;
    Ave, Tu prova d'arcano mistero.
    Ave, Tu il primo prodigio di Cristo;
    Ave, compendio di sue verità.
    Ave, o scala celeste
    che scese l'Eterno;
    Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
    Ave, dai cori degli Angeli cantato portento;
    Ave, dall'orde dei dèmoni esecrato flagello.
    Ave, la Luce ineffabile hai dato;
    Ave, Tu il «modo» a nessuno hai svelato.
    Ave, la scienza dei dotti trascendi;
    Ave, al cuor dei credenti risplendi.
    Ave, Sposa non sposata!

    4. La Virtù dell'Altissimo
    adombrò e rese Madre
    la Vergine ignara di nozze:
    quel seno, fecondo dall'alto,
    divenne qual campo ubertoso per tutti,
    che vogliono coglier salvezza
    cantando così:
    Alleluia!

    5. Con in grembo il Signore
    premurosa Maria
    ascese e parlò a Elisabetta.
    Il piccolo in seno alla madre
    sentì il verginale saluto,
    esultò,
    e balzando di gioia
    cantava alla Madre di Dio:

    Ave, o tralcio di santo Germoglio;
    Ave, o ramo di Frutto illibato.
    Ave, coltivi il divino Cultore;
    Ave, dai vita all'Autor della vita.
    Ave, Tu campo che frutti ricchissime grazie;
    Ave, Tu mensa che porti pienezza di doni.
    Ave, un pascolo ameno Tu fai germogliare;
    Ave, un pronto rifugio prepari ai fedeli.
    Ave, di suppliche incenso gradito;
    Ave, perdono soave del mondo.
    Ave, clemenza di Dio verso l'uomo;
    Ave, fiducia dell'uomo con Dio.
    Ave, Sposa non sposata!

    6. Con il cuore in tumulto
    fra pensieri contrari
    il savio Giuseppe ondeggiava:
    tutt'ora mirandoti intatta
    sospetta segreti sponsali, o illibata!
    Quando Madre ti seppe
    da Spirito Santo, esclamò:
    Alleluia!

    7. I pastori sentirono
    i concenti degli Angeli
    al Cristo disceso tra noi.
    Correndo a vedere il Pastore,
    lo mirano come agnellino innocente
    nutrirsi alla Vergine in seno,
    cui innalzano il canto:

    Ave, o Madre all'Agnello Pastore,
    Ave, o recinto di gregge fedele.
    Ave, difendi da fiere maligne,
    Ave, Tu apri le porte del cielo.
    Ave, per Te con la terra esultano i cieli,
    Ave, per Te con i cieli tripudia la terra.
    Ave, Tu sei degli Apostoli la voce perenne,
    Ave, dei Martiri sei l'indomito ardire.
    Ave, sostegno possente di fede,
    Ave, vessillo splendente di grazia.
    Ave, per Te fu spogliato l'inferno,
    Ave, per Te ci vestimmo di gloria.
    Ave, Vergine e Sposa!

    8. Osservando la stella
    che guidava all'Eterno,
    ne seguirono i Magi il fulgore.
    Fu loro sicura lucerna
    andando a cercare il Possente,
    il Signore.
    Al Dio irraggiungibile giunti,
    l'acclaman beati:
    Alleluia!

    9. Contemplarono i Magi
    sulle braccia materne
    l'Artefice sommo dell'uomo.
    Sapendo ch'Egli era il Signore
    pur sotto l'aspetto di servo,
    premurosi gli porsero i doni,
    dicendo alla Madre beata:

    Ave, o Madre dell'Astro perenne,
    Ave, o aurora di mistico giorno.
    Ave, fucine d'errori Tu spegni,
    Ave, splendendo conduci al Dio vero.
    Ave, l'odioso tiranno sbalzasti dal trono,
    Ave, Tu il Cristo ci doni clemente Signore.
    Ave, sei Tu che riscatti dai riti crudeli,
    Ave, sei Tu che ci salvi dall'opre di fuoco.
    Ave, Tu il culto distruggi del fuoco,
    Ave, Tu estingui la fiamma dei vizi.
    Ave, Tu guida di scienza ai credenti,
    Ave, Tu gioia di tutte le genti.
    Ave, Vergine e Sposa!

    10. Banditori di Dio
    diventarono i Magi
    sulla via del ritorno.
    Compirono il tuo vaticinio
    e Te predicavano, o Cristo,
    a tutti, noncuranti d'Erode,
    lo stolto, incapace a cantare:
    Alleluia!

    11. Irradiando all'Egitto
    lo splendore del vero,
    dell'errore scacciasti la tenebra:
    ché gli idoli allora, o Signore,
    fiaccati da forza divina caddero;
    e gli uomini, salvi,
    acclamavan la Madre di Dio:

    Ave, riscossa del genere umano,
    Ave, disfatta del regno d'inferno.
    Ave, Tu inganno ed errore calpesti,
    Ave, degl'idoli sveli la frode.
    Ave, Tu mare che inghiotti il gran Faraone,
    Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita.
    Ave, colonna di fuoco che guidi nel buio,
    Ave, riparo del mondo più ampio che nube.
    Ave, datrice di manna celeste,
    Ave, ministra di sante delizie.
    Ave, Tu mistica terra promessa,
    Ave, sorgente di latte e di miele.
    Ave, Vergine e Sposa!

    12. Stava già per lasciare
    questo mondo fallace
    Simeone, ispirato vegliardo.
    Qual pargolo a lui fosti dato,
    ma in Te riconobbe il Signore perfetto,
    e ammirando stupito
    l'eterna sapienza esclamò:
    Alleluia!

    PARTE TEMATICA

    13. Di natura le leggi
    innovò il Creatore,
    apparendo tra noi, suoi figlioli:
    fiorito da grembo di Vergine,
    lo serba qual era da sempre, inviolato:
    e noi che ammiriamo il prodigio
    cantiamo alla Santa:

    Ave, o fiore di vita illibata,
    Ave, corona di casto contegno.
    Ave, Tu mostri la sorte futura,
    Ave, Tu sveli la vita degli Angeli.
    Ave, magnifica pianta che nutri i fedeli,
    Ave, bell'albero ombroso che tutti ripari.
    Ave, Tu in grembo portasti la Guida agli erranti,
    Ave, Tu desti alla luce Chi affranca gli schiavi.
    Ave, Tu supplica al Giudice giusto,
    Ave, perdono per tutti i traviati.
    Ave, Tu veste ai nudati di grazia,
    Ave, Amore che vinci ogni brama.
    Ave, Vergine e Sposa!

    14. Tale parto ammirando,
    ci stacchiamo dal mondo
    e al cielo volgiamo la mente.
    Apparve per questo fra noi,
    in umili umane sembianze l'Altissimo,
    per condurre alla vetta
    coloro che lieti lo acclamano:
    Alleluia!

    15. Era tutto qui in terra,
    e di sé tutti i cieli
    riempiva il Dio Verbo infinito:
    non già uno scambio di luoghi,
    ma un dolce abbassarsi di Dio verso l'uomo
    fu nascer da Vergine,
    Madre che tutti acclamiamo:

    Ave, Tu sede di Dio, l'Infinito,
    Ave, Tu porta di sacro mistero.
    Ave, dottrina insicura per gli empi,
    Ave, dei pii certissimo vanto.
    Ave, o trono più santo del trono cherubico,
    Ave, o seggio più bello del seggio serafico.
    Ave, o tu che congiungi opposte grandezze,
    Ave, Tu che sei in una e Vergine e Madre.
    Ave, per Te fu rimessa la colpa,
    Ave, per Te il paradiso fu aperto.
    Ave, o chiave del regno di Cristo,
    Ave, speranza di eterni tesori.
    Ave, Vergine e Sposa!

    16. Si stupirono gli Angeli
    per l'evento sublime
    della tua Incarnazione divina:
    ché il Dio inaccessibile a tutti
    vedevano fatto accessibile, uomo,
    dimorare fra noi
    e da ognuno sentirsi acclamare:
    Alleluia!

    17. Gli oratori brillanti
    come pesci son muti
    per Te, Genitrice di Dio:
    del tutto incapaci di dire
    il modo in cui Vergine e Madre Tu sei.
    Ma noi che ammiriamo il mistero
    cantiamo con fede:

    Ave, sacrario d'eterna Sapienza,
    Ave, tesoro di sua Provvidenza.
    Ave, Tu i dotti riveli ignoranti,
    Ave, Tu ai retori imponi il silenzio.
    Ave, per Te sono stolti sottili dottori,
    Ave, per Te vengon meno autori di miti.
    Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame,
    Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti.
    Ave, ci innalzi da fonda ignoranza,
    Ave, per tutti sei faro di scienza.
    Ave, Tu barca di chi ama salvarsi,
    Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita.
    Ave, Vergine e Sposa!

    18. Per salvare il creato,
    il Signore del mondo,
    volentieri discese quaggiù.
    Qual Dio era nostro Pastore,
    ma volle apparire tra noi come Agnello:
    con l'umano attraeva gli umani,
    qual Dio l'acclamiamo:
    Alleluia!

    19. Tu difesa di vergini,
    Madre Vergine sei,
    e di quanti ricorrono a Te:
    che tale ti fece il Signore
    di tutta la terra e del cielo, o illibata,
    abitando il tuo grembo
    e invitando noi tutti a cantare:

    Ave, colonna di sacra purezza,
    Ave, Tu porta d'eterna salvezza.
    Ave, inizio di nuova progenie,
    Ave, datrice di beni divini.
    Ave, Tu vita hai ridato ai nati nell'onta,
    Ave, hai reso saggezza ai privi di senno.
    Ave, o Tu che annientasti il gran seduttore,
    Ave, o Tu che dei casti ci doni l'autore.
    Ave, Tu grembo di nozze divine,
    Ave, che unisci i fedeli al Signore.
    Ave, di vergini alma nutrice,
    Ave, che l'anime porti allo Sposo.
    Ave, Vergine e Sposa!

    20. Cede invero ogni canto
    che presuma eguagliare
    le tue innumerevoli grazie.
    Se pure ti offrissimo inni
    per quanti granelli di sabbia, Signore,
    mai pari saremmo ai tuoi doni
    che desti a chi canta:
    Alleluia!

    21. Come fiaccola ardente
    per che giace nell'ombre
    contempliamo la Vergine santa,
    che accese la luce divina
    e guida alla scienza di Dio tutti,
    splendendo alle menti
    e da ognuno è lodata col canto:

    Ave, o raggio di Sole divino,
    Ave, o fascio di Luce perenne.
    Ave, rischiari qual lampo le menti,
    Ave, qual tuono i nemici spaventi.
    Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri,
    Ave, Tu sei la sorgente dell'Acque abbondanti.
    Ave, in Te raffiguri l'antica piscina,
    Ave, le macchie detergi dei nostri peccati.
    Ave, o fonte che l'anime mondi,
    Ave, o coppa che versi letizia.
    Ave, o fragranza del crisma di Cristo,
    Ave, Tu vita del sacro banchetto.
    Ave, Vergine e Sposa!

    22. Condonare volendo
    ogni debito antico,
    fra noi, il Redentore dell'uomo
    discese e abitò di persona:
    fra noi che avevamo perduto la grazia.
    Distrusse lo scritto del debito,
    e tutti l'acclamano:
    Alleluia!

    23. Inneggiando al tuo parto
    l'universo ti canta
    qual tempio vivente, o Regina!
    Ponendo in tuo grembo dimora
    Chi tutto in sua mano contiene, il Signore,
    tutta santa ti fece e gloriosa
    e ci insegna a lodarti:

    Ave, o «tenda» del Verbo di Dio,
    Ave, più grande del «Santo dei Santi».
    Ave, Tu «Arca» da Spirito aurata,
    Ave, «tesoro» inesausto di vita.
    Ave, diadema prezioso dei santi sovrani,
    Ave, dei pii sacerdoti Tu nobile vanto.
    Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente,
    Ave, Tu sei per l'Impero qual forte muraglia.
    Ave, per Te innalziamo trofei,
    Ave, per Te cadon vinti i nemici.
    Ave, Tu farmaco delle mie membra,
    Ave, salvezza dell'anima mia.
    Ave, Vergine e Sposa!

    24. Grande ed inclita Madre,
    Genitrice del sommo fra i Santi,
    Santissimo Verbo,
    or degnati accogliere il canto!
    Preservaci da ogni sventura, tutti!
    Dal castigo che incombe
    Tu libera noi che gridiamo:
    Alleluia!



    Orazio Gentileschi, Madonna col Bambino

    FONTE

 

 
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