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    Predefinito 25 gennaio - Conversione di S. Paolo

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Conversione di San Paolo Apostolo

    25 gennaio - Festa

    La conversione di Paolo che siamo chiamati a celebrare e a vivere, esprime la potenza della grazia che sovrabbonda dove abbonda il peccato. La svolta decisiva della sua vita si compie sulla via di Damasco, dive egli scopre il mistero della passione di Cristo che si rinnova nelle sue membra. Egli stesso perseguitato per Cristo dirà: ‘Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa’. Questa celebrazione, già presente in Italia nel sec. VIII, entrò nel calendario Romano sul finire del sec. X. Conclude in modo significativo la settimana dell’unità dei cristiani, ricordando che non c’è vero ecumenismo senza conversione (cfr Conc. Vat. II, Decreto sull’ecumenismo ‘Unitatis redintegratio’, 7). (Mess. Rom.)

    Martirologio Romano: Festa della Conversione di san Paolo Apostolo, al quale, mentre percorreva la via di Damasco spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, Gesù in persona si manifestò glorioso lungo la strada affinché, colmo di Spirito Santo, annunciasse il Vangelo della salvezza alle genti, patendo molto per il nome di Cristo.

    Martirologio tradizionale (25 gennaio): Conversione di san Paolo Apostolo, avvenuta nel secondo anno dopo l'Ascensione del Signore.

    La festa liturgica della "conversiti sancti Pauli", che appare già nel VI secolo, è propria della Chiesa latina. Poiché il martirio dell'apostolo delle Genti viene commemorato a giugno, la celebrazione odierna offre l'opportunità di considerare da vicino la poliedrica figura dell'Apostolo per eccellenza, che scrisse di se stesso: "Io ho lavorato più di tutti gli altri apostoli", ma anche: "io sono il minimo fra gli apostoli, un aborto, indegno anche d'essere chiamato apostolo".
    Adduce egli stesso le credenziali che gli garantiscono il buon diritto di essere considerato apostolo: egli ha visto il Signore, Cristo Risorto, ed è, perciò, testimone della risurrezione; egli pure è stato inviato direttamente da Cristo, come i Dodici: visione, vocazione, missione, tre requisiti che egli possiede, per i quali quel miracolo della grazia avvenuto sulla via di Damasco, dove Cristo lo costringe a una incondizionata capitolazione, sicché egli grida: "Signore, che vuoi che io faccia?". Nelle parole di Cristo è rivelato il segreto della sua anima: "Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo". E’ vero che Saulo cercava "in tutte le sinagoghe di costringere i cristiani con minacce a bestemmiare", ma egli lo faceva in buona fede e quando si agisce per amore di Dio, il malinteso non può durare a lungo. Affiora l'inquietudine, cioè "il pungolo" della grazia, il guizzo della luce di verità: "Chi sei tu, Signore?"; "Io sono Gesù che tu perseguiti". Questa mistica irruzione di Cristo nella vita di Paolo è il crisma del suo apostolato e la scintilla che gli svelerà la mirabile verità della inscindibile unità di Cristo con i credenti.
    Questa esperienza di Cristo alle porte di Damasco, che egli paragona con l'esperienza pasquale dei Dodici e con il fulgore della prima luce della creazione, sarà il "leit motiv" della sua predicazione orale e scritta. Le quattordici lettere che ci sono pervenute, ognuna delle quali mette a nudo la sua anima con rapide accensioni, ci fanno intravedere il miracolo della grazia operato sulla via di Damasco, incomprensibile per chi voglia cercarne una spiegazione puramente psicologica, ricorrendo magari all'estasi religiosa o, peggio, all'allucinazione.S. Paolo trarrà dalla sua esperienza questa consolante conclusione: "Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Appunto per questo ho trovato misericordia. In me specialmente ha voluto Gesù Cristo mostrare tutta la sua longanimità, affinché io sia di esempio per coloro che nella fede in Lui otterranno d'ora innanzi la vita eterna".

    Autore: Piero Bargellini

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    Giovanni Bellini, Conversione di S. Paolo, Altare Pesaro, 1471-74, Musei Civici, Pesaro

    Caravaggio, Conversione di S. Paolo, 1600, Collezione Odescalchi Balbi, Roma

    Caravaggio, Conversione di S. Paolo sulla via di Damasco, 1600, Cappella Cerasi, Chiesa di S. Maria del Popolo, Roma

    Juan Antonio Frias y Escalante, Conversione di S. Paolo, Museo Cerralbo, Madrid

    Luca Giordano, Conversione di S. Paolo, XVII sec., Collezione privata

    Luca Giordano, Conversione di S. Paolo, XVII sec., Collezione privata

    Giovanni Battista Gaulli detto Il Baciccio, Conversione di S. Paolo, XVII sec., Musée des Augustins, Tolosa

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    Michelangelo Buonarroti, Conversione di S. Paolo, 1542-45, Cappella Paolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

    Parmigianino, Conversione di S. Paolo, 1527 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna

    Maestro ungherese del XVII sec., Conversione di S. Paolo, 1642, Szent Ignác-templom, Gyõr

    Ambroise Crozat, Conversione di S. Paolo sulla via di Damasco, 1728

    Luca da Cortona, detto anche Signorelli, Conversione di S. Paolo, 1470 circa, Santuario della Santa Casa, sagrestia di S. Giovanni, Loreto

    Pieter Paul Rubens, Conversione di S. Paolo sulla via di Damasco, XVII sec.

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    Predefinito Omelia di san Giovanni Crisostomo in onore di san Paolo.

    Hom. VII in laude S. Pauli, 4.6.10-13, in PG 50, 510-514.

    San Paolo risalì dalle acque divine del battesimo con un fuoco così ardente che non attese un maestro, non aspettò Pietro, né andò da Giacomo, né da nessun altro; spinto dal suo ardore, infiammò la città di Damasco al punto da scatenare un'aspra guerra contro di lui. Del resto anche quando era giudeo, agiva oltre la sua autorità, arrestando, imprigionando, confiscando.
    Così aveva fatto anche Mosè, il quale, senza che nessuno lo incaricasse, si era opposto all'iniquità dei barbari contro i suoi connazionali. Questo comportamento denota un animo nobile e un carattere generoso, che non ammette di tollerare in silenzio i mali altrui, anche se nessuno gliene affida l'incarico. Che Mosè giustamente si sia precipitato a difendere i suoi, lo ha dimostrato Dio, perché in seguito lo elesse; e il Signore ha agito così anche nel caso di Paolo. Che anche questi abbia fatto bene allora a darsi alla predicazione e all'insegnamento, lo ha manifestato Dio innalzandolo rapidamente alla dignità dei maestri.

    Paolo, più ardente del fuoco, non rimase nessun giorno inoperoso. Non appena risalì dalla sacra fonte del battesimo, si infiammò grandemente e non pensò ai pericoli, alla derisione e alle ingiurie da parte dei Giudei, al fatto di non trovare credito presso di loro, né a nessun altro elemento di tal genere. Presi invece altri occhi, quelli dell'amore, e un'altra mentalità, si slanciava con grande impeto, come un fiume in piena; travolgendo tutte le argomentazioni dei Giudei, dimostrava mediante le Scritture che Gesù è il Cristo [Cf At 9,22]. Eppure non aveva ancora molti doni della grazia, non era stato ancora ritenuto degno di ricevere lo Spirito così intensamente; tuttavia subito in infiammò. Faceva tutto con un animo che non si curava della morte e agiva in ogni occasione come per giustificarsi del passato.
    Aveva maggior fiducia quando era in pericolo; questa situazione lo rendeva più coraggioso, e non solo lui, ma anche i discepoli a causa sua. Se l'avessero visto cedere e diventare più timoroso, forse anch'essi avrebbero ceduto; ma poiché lo videro divenire più coraggioso e, pur maltrattato, impegnarsi maggiormente, proclamavano il Vangelo con franchezza. Per indicare ciò, l'Apostolo diceva: La maggior parte dei fratelli, incoraggiati dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore [Fil 1,14].

    Vedendolo incatenato e proclamare il vangelo in carcere, flagellato e conquistare alla sua causa i flagellatori, i discepoli ne ricevevano maggior fiducia. Paolo lo dimostra, perché non ha detto semplicemente: Incoraggiati dalle mie catene, ma aggiunge: Ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore [Fil 1,14]; vale a dire, i fratelli parlavano con più franchezza ora piuttosto che quando era libero. E anch'egli aveva un ardore maggiore, perché era più motivato contro i nemici, e l'aumento delle persecuzioni si risolveva in un incremento raddoppiato di sicurezza e di coraggio.
    Una volta fu imprigionato e rifulse al punto da scuotere le fondamenta della prigione, aprire le porte, far passare dalla sua parte il carceriere, e far quasi cambiare parere al giudice, tanto che costui disse: Per poco non mi convinci a farmi cristiano! [At 26,28]. Un'altra volta fu preso a sassate e, entrato nella città che l'aveva lapidato, la convertì. Lo citarono in tribunale per giudicarlo ora i Giudei, ora gli Ateniesi; i giudici diventarono discepoli, gli avversari seguaci.
    Come un fuoco, abbattendosi su differenti materiali, trova incremento nella materia sottostante, così anche la parola di Paolo faceva passare dalla sua parte quanti incontrava; coloro che gli erano ostili, conquistati dai suoi discorsi, divenivano subito alimento per quel fuoco spirituale e, mediante essi, la Parola prendeva nuovo vigore e passava ad altri. Perciò l'Apostolo diceva: Io soffro fino a portare le catene, ma la parola di Dio non è incatenata [Cf 2 Tm 2,9].

    Infuriava la persecuzione, costringendo Paolo alla fuga, ma in realtà essa era l'invio in missione. Quello che avrebbero fatto amici e seguaci, lo facevano i nemici, in quanto non gli permettevano di stabilirsi in un solo luogo, ma facevano girare ovunque quel medico d’anime, mediante i loro complotti e persecuzioni, in modo che tutti ascoltavano la sua parola. Di nuovo lo incatenarono e ne aumentarono lo zelo; scacciarono i suoi discepoli col risultato che inviarono un maestro a quelli che non lo avevano; lo condussero a un tribunale più importante e giovarono a una città più grande.
    I Giudei, inquieti a causa di Pietro e Giovanni, si erano chiesti: Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? [At 4,16]. Riconoscevano infatti che le loro misure tornavano a vantaggio di quelli. Così anche nel caso della predicazione di Paolo: gli espedienti messi in opera per estirpare la Parola, la fecero crescere e la innalzarono a un’altezza indicibile.
    Per tutti questi benefici ringraziamo la potenza di Dio che li ha elargiti e proclamiamo beato Paolo per mezzo del quale essi si sono verificati.

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    Predefinito Dai Discorsi di san Bernardo.

    Sermo in Conversione S. Pauli, I, 1-2.5-6, in PL 183, 359-363.

    La conversione del Dottore delle genti è oggi celebrata, cari fratelli, con gaudio festoso in ogni paese, perché da quel ceppo sono spuntati molti rami. Divenuto soldato di Cristo, Paolo fu strumento della conversione del mondo: ancora nella carne - ma senza vivere secondo la carne - portò gli animi a Dio con la predicazione; oggi, da dove vive beato, continua a essere ministro di conversione mediante l'esempio, la preghiera, la dottrina.
    Noi celebriamo la conversione di san Paolo, perché è un evento utilissimo a chi ne fa memoria: il peccatore vi attinge la speranza del perdono, si sente provocato alla penitenza; e il cuore contrito vi trova il modello della perfetta conversione.
    Come disperare di fronte a crimini anche enormi, quando si vede Saulo, fremente minaccia e stragi contro i discepoli del Signore, subitamente mutato in vaso di elezione? Chi potrebbe dire sotto il peso dell'iniquità: "Non gliela faccio più a diventare migliore", se il più crudele persecutore dei cristiani, mentre avido di sangue esalava veleno dal cuore feroce, divenne all'improvviso il predicatore più fedele?
    E' stupendo come questa conversione metta in risalto la misericordia di Dio e la potenza della sua grazia.

    Paolo mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco - ci racconta Luca negli Atti - all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo (At 9, 3 ss.).
    Guardate l'inestimabile condiscendenza della bontà divina! Avvolge di celeste fulgore quest'uomo che nell'animo è ancora nelle tenebre; siccome non può penetrargli in cuore lo avvolge con la sua luce divina.
    Paolo, cadendo a terra, udì una voce. La luce e la voce sono i due testimoni inequivocabili; non si può più dubitare della verità che penetra insieme dagli occhi e dagli orecchi. Nel battesimo del Signore al Giordano ci fu una simile combinata testimonianza di luce e di voce. E lo stesso capitò alla trasfigurazione di Gesù sul monte, quando apparve un bagliore accecante e si udì la voce del Padre.
    Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Eccolo preso: impossibile negare, impossibile dissimulare, perché nelle mani ha ancora le lettere con l'atroce mandato, frutto di iniquo esecrando potere. “Perché perseguiti me, Gesù?'' Non perseguitava forse Cristo colui che trucidava le membra di Cristo?

    Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, o Signore? La risposta di Paolo dimostra bene che la luce gli era diffusa attorno e non infusa dentro. Udiva la voce del Signore, ma non ne vedeva il volto. Stava formandosi alla scuola della fede, lui che avrebbe scritto ai Romani come la fede dipenda dall'ascolto (Cf Rm 10, 17-23). Saulo domanda: Chi sei. o Signore? perché perseguitava uno sconosciuto. Ottenne misericordia, poiché aveva agito per ignoranza e incredulità.
    Imparate da qui, fratelli, che Dio è un giudice giusto: egli valuta gli atti secondo l'intenzione che li detta. Badate di non reputare mai come irrisorie le piccole mancanze commesse lucidamente. Nessuno dica in cuor suo: "Sono inezie, non vale la pena correggersene. Che male c'è in questi peccati veniali tanto minimi?".
    No, fratelli, questo modo di parlare è impenitenza, è la bestemmia contro lo Spirito Santo, bestemmia irremissibile. Paolo bestemmiava si, ma non contro lo Spirito Santo, dato che agiva per ignoranza e incredulità. E poiché non bestemmiò contro lo Spirito Santo, ottenne misericordia.

    Chi sei tu, o Signore? E la voce: Io sono Gesù che tu perseguiti! Sono il Salvatore che tu cerchi di perseguitare, sono colui del quale è scritto nella tua legge: Sarà chiamato Nazareno, (Mt 2, 23-24). ma tu non sai ancora che tale parola deve compirsi.
    Che devo fare, Signore? (At 22, 10). Ecco, fratelli, un modello di conversione perfetta. Non sentite che Paolo dice: Saldo è il mio cuore, Dio, saldo e il mio cuore. Sono pronto e non voglio tardare a custodire i tuoi decreti (Sal 107, 2).
    Che devo fare, Signore? O parola breve, ma carica di senso, efficace e degna di essere esaudita. Sono pochi quelli che entrano in una tale disposizione di obbedienza perfetta, quelli che hanno abdicato alla loro volontà propria al punto da non possedere neppure più il proprio cuore. Costoro ricercano in ogni istante quanto vuole il Signore, non ciò che brama il loro piacere, sicché dicono senza posa: "Signore, che cosa vuoi che faccia?". Oppure pregano come Samuele: Parla, perché il tuo servo ti ascolta (1 Sam 3, 10) .

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    Predefinito Lettera per la difesa dei santi esicasti di san Gregorio Palamas.

    Défense des saints hésychastes, II, 3.24.31; III, 1.40. Trad. Meyendorff, Lovanio, 1953.

    Oggi vediamo con i sensi, attraverso la mediazione degli esseri e dei simboli visibili, ma quando saremo giunti oltre tutte queste realtà, vedremo direttamente la luce eterna, senza nessun diaframma. San Paolo, il nostro iniziatore, ce lo rivela scrivendo ai Corinzi: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia (1 Cor 13,12).
    Usando l'avverbio ora, Paolo pensa alla contemplazione accessibile all'uomo e conforme alla sua natura. L'aveva sperimentata lui stesso, oltrepassando i sensi e l'intelletto. Vide allora l'invisibile e ascoltò l'inaudibile, perché aveva ricevuto le primizie della rigenerazione e della contemplazione che essa suppone.
    Alludendo a sé stesso, Paolo disse anche: Quest'uomo udì parole indicibili (2 Cor 12,4). Potremmo credere che si trattò di un'attività dei sensi, ma egli aggiunge a tal proposito: Se con il corpo o fuori del corpo, non lo so (2 Cor 12,3). Perciò è chiaro che quella percezione supera i sensi e la mente, dato che queste facoltà sono coscienti di sé, quando funzionano. Ecco perché l'Apostolo aggiunge: Lo sa Dio, giacché allora agiva unicamente il Signore.
    Unito a Dio in quella contemplazione, Paolo oltrepassò l'esistenza umana, vide l'invisibile pur senza che esso diventasse visibile. L'invisibile, mezzo e oggetto della sua visione, non cessava di superare l'attività dei sensi.

    Nessuna creatura, angelo o uomo che sia,vedrà mai Dio, perché essa vede soltanto mediante i sensi o l'intelligenza. Invece colui che è spirito e vede in spirito, può contemplare Dio che è Spirito, dato che, secondo i teologi il suo modo di contemplare è adeguato a lui. Tuttavia, nella visione spirituale, la luce trascendente di Dio appare ancora più occulta.
    Quale essere infatti potrebbe ricevere tutta la potenza infinitamente attiva dello Spirito e percepire grazie ad essa la totalità di Dio? Perché parliamo di luce occulta? Questo splendore divino costituisce l'oggetto della contemplazione del veggente, aumenta la potenza dell'occhio spirituale unendosi ad esso, e si rivela sempre di più alla percezione spirituale. Questo fulgore di fuoco illuminerà sino alla fine dei secoli mediante raggi dallo splendore crescente, riempirà eternamente con la sua luminosità misteriosa e comunicherà la propria gloria all'essere creato che in sé stesso è senza luce.

    I teologi affermano che la luce di Dio è infinita. Quando nell'uomo è disinnescata ogni potenza conoscitiva, Dio diventa visibile ai santi grazie a quella luce, nella potenza dello Spirito. Allora Dio è contemplato come Dio dalla creatura divinizzata.
    Reso partecipe di colui che è il sommo Bene, l'uomo è trasformato in questo Bene e, secondo il detto di Isaia, riacquista forza (Is 40,31). Ogni attività dell'anima e del corpo scompare, e il veggente ha soltanto più la percezione di quella luce divina. Questa sovrabbondanza di gloria oltrepassa le proprietà della natura umana, affinché si attui quanto è scritto: Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15,28).
    L'uomo diventa allora figlio di Dio, dopo essere stato figlio della risurrezione. E' simile agli angeli che nel cielo vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli, secondo la parola del Signore (Cf Mt 18,10).

    La luce increata illumina le anime con un fuoco divino e immateriale. Questa luce agiva negli apostoli quando su di essi si posarono lingue di fuoco. Essa illuminò l'occhio spirituale di Paolo nella visione di Damasco, ma oscurò lo sguardo dell'Apostolo, perché la vista corporea non sopporta la potenza di quella luce. Mosè la contemplò nel roveto ardente. Essa apparve sotto l'aspetto di un carro di fuoco per rapire Elia dalla terra.
    Davide ne va in cerca, quando dice: Scrutami. Signore e mettimi alla prova, raffinami al fuoco il cuore e la mente. Questo medesimo fuoco avvampa il cuore di Cleofa e dell'altro discepolo lungo la via di Emmaus, poiché essi esclamano: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi? (Lc 24,32).
    Gli angeli e gli spiriti preposti al servizio di Dio partecipano anch'essi a quel fuoco, come sta scritto: Fai delle fiamme guizzanti i tuoi ministri (Sal 103,4).
    Quel fuoco brucia la trave che ingombra l'occhio e purifica la visione perché l'uomo non veda più la pagliuzza nell'occhio del fratello, ma ammiri costantemente i miracoli di Dio, secondo il detto del salmista: Aprimi gli occhi, perché io veda le meraviglie della tua legge (Sal 118,18).
    Questo fuoco divino fuga i demoni, sopprime ogni male e annienta il peccato. E' potenza di risurrezione, energia d'immortalità, illuminazione dei santi e unificazione di potenze ragionevoli.
    Preghiamo perché questo fuoco ci incendi e possiamo camminare alla sua luce, senza mai vacillare.

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    Predefinito Dalla Lettera a Diogneto.

    Epitre à Diognète, 10-12, in SC 33, 76-85.

    Il Padre ha amato gli uomini, per essi ha creato il mondo, a loro ha sottomesso tutte le realtà terrene. Soltanto agli uomini Dio ha dato la parola e la ragione, perché potessero volgere lo sguardo verso il cielo: li ha plasmati a sua immagine.
    Poi Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, promettendo il regno dei cieli a chi avrebbe amato l'inviato del Padre. Fratello, quando tu conoscerai Cristo, quale gioia ti colmerà il cuore! Allora amerai colui che per primo ti ha amato. Amandolo, imiterai la sua bontà.
    Non stupirti che un uomo possa divenire imitatore di Dio, perché tutto è possibile se Dio lo vuole. L'uomo non imita Dio quando domina il prossimo, sfrutta i più deboli, si arricchisce e violenta gli altri: tutti questi atti sono estranei alla grandezza divina e non rendono felici.
    Ma chi prende su di sé il fardello del prossimo, chi desidera far beneficiare i fratelli sfavoriti dei vantaggi che possiede, chi dona generosamente ai poveri i beni ricevuti dal Signore, costui svolge la parte di Dio: diventa imitatore del Padre.

    Non dico stranezze o assurdità: mi rendo maestro delle genti, perché sono discepolo degli apostoli. Trasmetto fedelmente la dottrina ricevuta a chi vuole apprendere la verità. Dopo aver ricevuto l'insegnamento autentico ed essere divenuto amico del Verbo, chi non avrebbe premura di conoscere la totalità della dottrina rivelata dal Verbo stesso ai suoi discepoli? Cristo manifestò questa dottrina manifestando sé stesso. Gli increduli non compresero questa parola di verità, ma i fedeli vi conobbero i segreti del Padre.
    Il Verbo fu mandato per manifestarsi al mondo; il suo popolo l'ha rigettato, ma gli apostoli predicarono e le nazioni credettero in lui. Il Figlio di Dio, che era fin dall'inizio, fu riconosciuto come Antico, ma ora appare come Nuovo, perché nasce senza posa nel cuore dei santi. Nell'oggi eterno egli viene chiamato Figlio.
    Cristo è la ricchezza della Chiesa e la fonte della grazia. Questa grazia si diffonde e colma i cuori dei credenti; dona loro l'intelligenza, svela i misteri, rivela l'economia dei tempi, allieta i fedeli. La grazia divina è offerta a chi la cerca e resta fedele agli impegni sacri della fede, rispettandone i limiti tracciati dai Padri.
    Ormai la grazia esulta di gaudio nella Chiesa, perché si celebra il rispetto per la legge, si riconosce il carisma dei profeti, si rinsalda la fede nei vangeli, si custodisce la tradizione degli apostoli. Non contristare questa grazia, che ti rivelerà i segreti del Verbo.
    Tutto quello che la volontà del Verbo mi ordina di esporre con cura, lo condivido con te, per amore della rivelazione che ho ricevuto. Avvicinati, ascolta con attenzione e conoscerai tutto quello che Dio dona a chi lo ama in verità. Diventerai un paradiso di delizie, in te crescerà un albero ubertoso e verdeggiante, ricco di frutti copiosi.
    Nel terreno del cuore umano furono piantati due alberi: quello della scienza e quello della vita. Ma la morte non viene dall'albero della scienza di Cristo, perché soltanto la disobbedienza manda in perdizione.

    Non c'è vita senza conoscenza, né scienza sicura senza vita vera. Per questo ì due alberi furono piantati uno vicino all'altro. L'aveva compreso l'apostolo Paolo che biasimò la scienza quando si esercita fuori della verità. Egli disse: La scienza gonfia, mentre la caritá edifica (1 Cor 8,1).
    Colui che crede di sapere qualcosa senza la vera scienza, confermata dalla vita, non sa proprio nulla. è sedotto dal serpente perché non ha amato la vita. Ma chi ha la coscienza permeata di timore e cerca ardentemente la vita, pianta nella speranza e può attendere i frutti.
    Cerca di interiorizzare la scienza; il Verbo di verità sia la tua vita. L'albero della verità crescerà allora in te e se desideri il suo frutto, potrai cogliere sempre i beni venuti da Dio, che il serpente non può rapire o l'inganno contaminare.

    Ormai Eva non è più sedotta,
    ma crediamo alla sua nuova verginità.
    Gli apostoli sono pieni di sapienza,
    appare la salvezza
    e la Pasqua del Signore si avvicina.
    L'ordine cosmico si ricompone
    i tempi si compiono.
    Il Verbo esulta nell'istruire i santi
    e per mezzo suo il Padre è glorificato.
    A lui la gloria in eterno. Amen.

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    Predefinito Dalle Catechesi battesimali di san Giovanni Crisostomo.

    Catéchèse baptismale IV, 7-12.16-17.19-22, in SC 50, 186-194.

    Paolo, il maestro dell'universo, prima della conversione perseguitava la Chiesa, si aggirava dovunque, trascinava uomini e donne, confondeva e turbava tutto mostrando un grande furore. Poi gli accadde di provare la benevolenza da parte del Signore; allora, illuminato dalla luce intelligibile, abbandonò le tenebre dell'errore e fu guidato alla verità. Mediante il battesimo si deterse da tutti I peccati commessi; egli, che prima faceva tutto per difendere il giudaismo e devastava la Chiesa, prese a confutare i giudei che abitavano a Damasco, annunziando che il Crocifisso è lo stesso Figlio di Dio.
    Comprendi la realtà? Vedi che Paolo ci dimostra con il suo comportamento di aver agito per ignoranza? Vedi come attraverso la stessa esperienza delle sue azioni insegnò a tutti noi ch'egli giustamente fu ritenuto degno della benevolenza celeste e fu guidato sulla via della verità?
    Il buon Dio, quando vede l'anima ben disposta ma sviata per ignoranza, non la disprezza, non la lascia a lungo senza il suo soccorso, ma mostra tutto il suo interessamento.

    Dio non trascura nulla di ciò che mira alla nostra salvezza, purché noi ci rendiamo degni di attirare con abbondanza la grazia celeste, come il santo che oggi celebriamo.
    Quanto prima aveva fatto, Saulo l'aveva fatto per ignoranza e, ritenendo di difendere con il suo zelo la legge, si era reso colpevole di confusione e di turbamento per tutti. Quando però ebbe imparato dallo stesso legislatore che camminava su una via sbagliata e non si accorgeva di precipitare in un abisso, non indugiò né rimandò. Subito, appena la luce intelligibile lo illuminò, abbandonato ogni errore, divenne annunziatore della verità.
    Infatti voleva condurre per primi sulla via della pietà quelli a cui portava le lettere che aveva ricevuto da parte dei sommi sacerdoti, come egli stesso diceva parlando alla folla dei giudei: Come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani, da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii allo scopo di condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme per esservi puniti (cf At 22, 5).

    Vedi Saulo che infuria come un leone e si aggira dovunque? Vedilo ora all'improvviso passare alla mitezza di una pecora. Colui che prima metteva in catene, cacciava in prigione, assaliva e perseguitava tutti coloro che credevano in Cristo, eccolo improvvisamente calato entro una cesta lungo le mura per sfuggire alle insidie dei giudei (cf At 9, 25-30).
    In seguito di notte fu fatto partire a Cesarea e di là inviato a Tarso per non soccombere al furore dei suoi connazionali.
    Vedi, o diletto, quale cambiamento? Vedi quale trasformazione è avvenuta? Vedi come, dopo avere sperimentato la generosità celeste, egli ha offerto con abbondanza il suo contributo, intendo lo zelo, il fervore, la fede, il coraggio, la pazienza, la grandezza d'animo, la fermezza inflessibile. Perciò fu ritenuto degno di un aiuto anche maggiore, come egli scrivendo diceva: Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me (1 Cor 15, 10).

    Vi scongiuro, imitate Paolo anche voi che ora foste ritenuti degni di sottoporvi al giogo di Cristo e avete sperimentato l'adozione a figli. Subito, fin dall'inizio, mostrate tale fervore e fede in Cristo da meritare una maggiore grazia celeste, da rendere più splendente il vestito che oggi vi fu donato ed ottenere ampia benevolenza da parte del Signore.
    Quando non avevate ancora fatto opera di bene, ma eravate appesantiti dai peccati, Dio vi ha stimati degni dei suoi doni. Imitando la propria bontà, non solo vi liberò dalle colpe e vi donò la grazia, ma vi rese santi e vi concesse l'adozione a figli. Purché di fronte alla sua liberalità preveniente vi impegniate a offrire il vostro contributo e con la cura di ciò che già avete ricevuto mostriate la coerenza della vostra condotta, Dio non vi stimerà degni di una sua generosità ancora più grande?

    Oggi avete udito il beato Paolo, il dottore della Chiesa, che scrive e dice: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova (2 Cor 5, 17). Perché non pensiamo che la sentenza paolina sia riferita a qualche creatura visibile, il testo sottolinea: Se uno è in Cristo, volendo insegnarci come chi abbia posto la sua fede in Cristo, rivela a noi una nuova creatura.
    Il fascino che si prova a contemplare cieli nuovi e nuovi aspetti della creazione, è analogo al profitto di scorgere un uomo passato dal vizio alla virtù, convertito dall'errore alla verità.
    Questi Paolo ha chiamato nuova creatura, per cui subito aggiunge: Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Sembra voler dimostrare che gli uomini, liberati dall'errore e illuminati dal lume della giustizia, quasi avessero deposto il peso dei peccati come un vestito vecchio, mediante la fede in Cristo Gesù hanno indossato questo vestito nuovo e splendente, l'abito regale. Ecco perché dichiara: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove.

    Dimentichiamo il passato e come vivendo in una vita nuova, trasformiamo la nostra esistenza. Parliamo e agiamo in ogni cosa, memori della dignità di colui che abita in noi.
    Gli uomini che assumono incarichi pubblici terreni, sul vestito che indossano spesso portano l'impronta delle immagini regali, per cui appaiono degni di fede agli altri. Non accetterebbero mai dì compiere qualcosa che fosse indegno del vestito fregiato delle insegne regali; qualora anche si accingessero a farlo, molti glielo impedirebbero. Se poi qualcuno volesse trattarli male, essi hanno nel vestito che indossano una sufficiente sicurezza di essere premuniti da ogni maltrattamento.
    Quanto più allora chi ha Cristo stesso che dimora non sul vestito ma nella loro anima assieme con il Padre e lo Spirito Santo, devono davvero dimostrare molta fermezza. Manifestino a tutti con vita ordinata e vigilante, che portano dentro di sé l'immagine regale.

    Ora capite meglio perché Gesù diceva: Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5, 16). Vedi come il Signore esorta a far risplendere la luce che è in noi non con i vestiti ma con le opere? Infatti, dopo aver detto: Risplenda la vostra luce ha soggiunto: Perché vedano le vostre opere buone.
    Questa luce non si ferma alle sensazioni materiali ma illumina anche le anime e la mente di coloro che vedono; dopo aver disperso l'oscurità del male, spinge chi la riceve verso il proprio splendore divino e all'imitazione della virtù. Risplenda dice il testo citato la vostra luce davanti agli uomini, come per ammonire: "La vostra luce sia tale che non solo illumini voi, ma appaia anche davanti a tanti altri che hanno bisogno della sua guida".

    Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Gesù intende dire: "La vostra virtù, la coerenza nel comportamento ricco di opere di vita, spingano chi vi vede a glorificare il comune Signore di tutti".
    Ora ciascuno di voi, vi scongiuro, si sforzi di vivere con tale cura che tutti quelli che vi vedono innalzino lodi al Signore.
    San Paolo, imitatore di Cristo e maestro di perfezione, viaggiatore instancabile per portare dovunque la buona notizia dell'evangelo, scriveva dunque: Se uno è in Cristo, è una creatura nuova (2 Cor 5, 17); in realtà si rivolge a ognuno di noi come per dirci: "Hai deposto il vestito vecchio e hai ricevuto quello nuovo di un tale splendore da superare gli stessi raggi del sole Fa' in modo di conservare in questo fulgore la bellezza del vestito".
    Finché il dèmone del male, accanito oppositore della nostra salvezza, vedrà risplendere questo nostro vestito spirituale, non oserà neppure avvicinarsi, tanto ha paura del suo fulgore, poiché la luce che di qui promana accieca i suoi sguardi.
    Sì, davvero, le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove (Mt 5, 16).

  9. #9
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    Predefinito Dalle Orazioni di san Gregorio di Nazianzo.

    Oratio II apologetica, 52-56, in PG 35, 461-465.

    Pietro e Paolo, questi grandi discepoli di Cristo, insieme con il governo della parola e dell'azione, ne ricevettero il carisma e si fecero tutto a tutti per salvare tutti. Anche altri furono proposti al popolo come legislatori o profeti o capi militari o con altri uffici del genere. Mi riferisco a Mosè, Aronne, Giosuè, Elia, Eliseo, i Giudici; alludo a Samuele, a Davide, alla moltitudine dei profeti. E poi a Giovanni, ai dodici discepoli e agli altri che vennero dopo di quelli. Con molti sudori e fatiche, ciascuno a suo tempo, essi assunsero compiti direzionali.
    Tuttavia, tralasciando tutti costoro, proponiamoci solamente Paolo e in lui consideriamo quale e quanto gran cosa sia la cura delle anime, quale impegno e dedizione richieda. A tal proposito, la cosa più semplice sarà ascoltare ciò che Paolo dice di se stesso.

    Tralascio di parlare delle persecuzioni di cui Paolo fu oggetto, dei complotti, delle prigionie e catene, degli accusatori accaniti. La morte incombeva su di lui ogni giorno e ogni ora, come quando fu calato in una cesta dalle mura della città, oppure lapidato o battuto con le verghe.
    Lascio pure da parte i suoi viaggi innumerevoli, costellati di pericoli. Sentiamoli descrivere dalla sua stessa penna: Pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani (cf 2 Cor 11, 26).
    Quel guadagnarsi la vita con le sue mani (cf 1 Cor 4, 12) e predicare il vangelo gratuitamente (cf 1 Cor 9, 18). Si offrì in spettacolo agli angeli e agli uomini, lui che si presentava mediatore tra Dio e gli uomini, per questi affrontando lotte e combattimenti ai fini di convocare e costituire un popolo eletto per Dio (cf Tt 2, 4; Dt 7, 6; 14, 2).
    A parte tutto ciò, chi potrebbe degnamente passare in rassegna la sua quotidiana direzione, la sua sollecitudine verso ciascuno, la cura per tutte le Chiese (cf 2 Cor 11, 28), l'essere spiritualmente solidale e fraterno con tutti? Qualcuno inciampava e Paolo se ne affliggeva; un altro veniva scandalizzato e Paolo fremeva.

    Che dire dell'instancabile azione di Paolo nell'insegnamento? Ricorderò la capacità di adattare la sua evangelizzazione: ora egli usava la bontà, ora un piglio severo. Voglio dire che il suo metodo dosava in sapiente alternanza dolcezza e rigore per cui il suo tratto benevolo non rendeva fiacche e molli le persone, ma neppure le esasperava con la sua intransigenza (cf Ef 6, 5-9; Col 3, 22; 4, 1). Egli detta la legge per schiavi e padroni, per chi comanda e per chi è comandato (cf Rm 13, 1-7); per uomini e per donne (cf Col 3, 18-19), per genitori e per figli (cf Ef 6, 1-4), per il matrimonio e per il celibato (cf Ef 5, 22-23). Traccia la via da seguire per la continenza e la dissolutezza (cf 1 Cor 7, 9), per la sapienza e l'ignoranza (cf 1 Cor 12, 8), per la circoncisione e l'incirconcisione (cf Rm 2, 25-29), per Cristo e per il mondo (cf Rm 1, 9) per la carne e per lo spirito (cf Rm 2, 28-29). Ringrazia alcuni (cf Rm 1, 8; 1 Cor 1, 4), attacca altri. Ad alcuni dà il nome di gioia e di corona (cf Fil 4, 1) ad altri rimprovera la loro insensatezza (cf Gal 3, 1). Con chi avanza bene si fa compagno di strada e di fatica; trattiene invece chi batte la cattiva strada. Ora nega (cf 1 Cor 5, 5), ora conferma la sua carità (cf 2 Cor 2, 8).

    Paolo combatte per tutti, per tutti prega, verso di tutti è zelante (cf 2 Cor 11, 2) s'infiamma per tutti, siano fuori o sotto la legge: predicatore delle genti (1 Tm 2, 7), guida dei Giudei (cf 1 Cor 9, 20). Ebbe l'ardire (cf 2 Cor 11, 21) - ne ho un poco anch'io per parlare agli altri di lui - di fare qualcosa ancora più grande a favore dei suoi fratelli secondo la carne: per la sua carità desidera che siano posti presso Cristo in sua vece (cf Rm 9, 3). Quale grandezza d'animo! Quale fervore dello spirito!
    Imita Cristo, che si fece maledizione per noi (cf Gal 3, 13), che prese le nostre debolezze e sopportò le nostre malattie (cf Mt 8, 17; Is 53, 4). Oppure, per parlare più modestamente, accetta, per primo dopo Cristo, di soffrire, anche come empio, qualcosa per loro, purché si salvino. Ma perché dico le cose ad una a una? Paolo non viveva per sé, ma per Cristo e per l'annuncio della Parola (cf Gal 6, 14).

  10. #10
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    Predefinito Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

    Che cosa sia l'uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante, lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3, 13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invita tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil 2, 18). Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12, 10). Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2 Cor 2, 14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l'altrui freddezza e le ingiurie che l'onore, di cui invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l'offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa.
    Godere dell'amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l'amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l'ultimo di tutti, anzi un condannato, però con l'amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro. Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l'unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi.
    Il godere dell'amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All'infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

 

 
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