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    Predefinito 29 settembre - Dedicazione di S. Michele arcangelo

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Michele, Arcangelo

    29 settembre - Festa

    Nel Nuovo Testamento il termine" arcangelo" è attribuito a Michele. Solo in seguito venne esteso a Gabriele e Raffaele, gli unici tre arcangeli riconosciuti dalla Chiesa, il cui nome è documentato nella Bibbia. San Michele, "chi come Dio?", è capo supremo dell'esercito celeste, degli angeli fedeli a Dio. Antico patrono della Sinagoga oggi è patrono della Chiesa Universale, che lo ha considerato sempre di aiuto nella lotta contro le forze del male.

    Patronato: Malati, Radiologi, Droghieri

    Etimologia: Michele = chi come Dio?, dall'ebraico

    Martirologio Romano: Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.

    Martirologio tradizionale (29 settembre): Sul monte Gargano la venerabile memoria del beato Michele Arcangelo, quando al suo nome fu ivi consacrata una chiesa, misera veramente per la struttura, ma adorna di celeste virtù.

    Il nome dell’arcangelo Michele, che significa “chi è come Dio ?”, è citato cinque volte nella Sacra Scrittura; tre volte nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e nell’’Apocalisse’ di s. Giovanni Evangelista e in tutte le cinque volte egli è considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli; esso sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.
    In altre scritture, il dragone è un angelo che aveva voluto farsi grande quanto Dio e che Dio fece scacciare, facendolo precipitare dall’alto verso il basso, insieme ai suoi angeli che lo seguivano.
    Michele è stato sempre rappresentato e venerato come l’angelo-guerriero di Dio, rivestito di armatura dorata in perenne lotta contro il Demonio, che continua nel mondo a spargere il male e la ribellione contro Dio.
    Egli è considerato allo stesso modo nella Chiesa di Cristo, che gli ha sempre riservato fin dai tempi antichissimi, un culto e devozione particolare, considerandolo sempre presente nella lotta che si combatte e si combatterà fino alla fine del mondo, contro le forze del male che operano nel genere umano.
    Dante nella sua ‘Divina Commedia’ pone il demonio (l’angelo Lucifero) in fondo all’inferno, conficcato a testa in giù al centro della terra, che si era ritirata al suo cadere, provocando il grande cratere dell’inferno dantesco. Dopo l’affermazione del cristianesimo, il culto per san Michele, che già nel mondo pagano equivaleva ad una divinità, ebbe in Oriente una diffusione enorme, ne sono testimonianza le innumerevoli chiese, santuari, monasteri a lui dedicati; nel secolo IX solo a Costantinopoli, capitale del mondo bizantino, si contavano ben 15 fra santuari e monasteri; più altri 15 nei sobborghi.
    Tutto l’Oriente era costellato da famosi santuari, a cui si recavano migliaia di pellegrini da ogni regione del vasto impero bizantino e come vi erano tanti luoghi di culto, così anche la sua celebrazione avveniva in tanti giorni diversi del calendario.
    Perfino il grande fiume Nilo fu posto sotto la sua protezione, si pensi che la chiesa funeraria del Cremlino a Mosca in Russia, è dedicata a S. Michele. Per dirla in breve non c’è Stato orientale e nord africano, che non possegga oggetti, stele, documenti, edifici sacri, che testimoniano la grande venerazione per il santo condottiero degli angeli, che specie nei primi secoli della Chiesa, gli venne tributata.
    In Occidente si hanno testimonianze di un culto, con le numerosissime chiese intitolate a volte a S. Angelo, a volte a S. Michele, come pure località e monti vennero chiamati Monte Sant’Angelo o Monte San Michele, come il celebre santuario e monastero in Normandia in Francia, il cui culto fu portato forse dai Celti sulla costa della Normandia; certo è che esso si diffuse rapidamente nel mondo Longobardo, nello Stato Carolingio e nell’Impero Romano.
    In Italia sano tanti i posti dove sorgevano cappelle, oratori, grotte, chiese, colline e monti tutti intitolati all’arcangelo Michele, non si può accennarli tutti, ci fermiamo solo a due: Tancia e il Gargano.
    Sul Monte Tancia, nella Sabina, vi era una grotta già usata per un culto pagano, che verso il VII secolo, fu dedicata dai Longobardi a S. Michele; in breve fu costruito un santuario che raggiunse gran fama, parallela a quella del Monte Gargano, che comunque era più antico.
    La celebrazione religiosa era all’8 maggio, data praticata poi nella Sabina, nel Reatino, nel Ducato Romano e ovunque fosse estesa l’influenza della badia benedettina di Farfa, a cui i Longobardi di Spoleto, avevano donato quel santuario.
    Ma il più celebre santuario italiano dedicato a S. Michele, è quello in Puglia sul Monte Gargano; esso ha una storia che inizia nel 490, quando era papa Gelasio I; la leggenda racconta che casualmente un certo Elvio Emanuele, signore del Monte Gargano (Foggia) aveva smarrito il più bel toro della sua mandria, ritrovandolo dentro una caverna inaccessibile.
    Visto l’impossibilità di recuperarlo, decise di ucciderlo con una freccia del suo arco; ma la freccia inspiegabilmente invece di colpire il toro, girò su sé stessa colpendo il tiratore ad un occhio. Meravigliato e ferito, il signorotto si recò dal suo vescovo s. Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto (odierna Manfredonia) e raccontò il fatto prodigioso.
    Il presule indisse tre giorni di preghiere e di penitenza; dopodiché s. Michele apparve all’ingresso della grotta e rivelò al vescovo: “Io sono l’arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia, possono essere perdonati i peccati degli uomini…Quel che sarà chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la grotta al culto cristiano”.
    Ma il santo vescovo non diede seguito alla richiesta dell’arcangelo, perché sul monte persisteva il culto pagano; due anni dopo, nel 492 Siponto era assediata dalle orde del re barbaro Odoacre (434-493); ormai allo stremo, il vescovo e il popolo si riunirono in preghiera, durante una tregua, e qui riapparve l’arcangelo al vescovo s. Lorenzo, promettendo loro la vittoria, infatti durante la battaglia si alzò una tempesta di sabbia e grandine che si rovesciò sui barbari invasori, che spaventati fuggirono.
    Tutta la città con il vescovo, salì sul monte in processione di ringraziamento; ma ancora una volta il vescovo non volle entrare nella grotta. Per questa sua esitazione che non si spiegava, s. Lorenzo Maiorano si recò a Roma dal papa Gelasio I (490-496), il quale gli ordinò di entrare nella grotta insieme ai vescovi della Puglia, dopo un digiuno di penitenza.
    Recatosi i tre vescovi alla grotta per la dedicazione, riapparve loro per la terza volta l’arcangelo, annunziando che la cerimonia non era più necessaria, perché la consacrazione era già avvenuta con la sua presenza. La leggenda racconta che quando i vescovi entrarono nella grotta, trovarono un altare coperto da un panno rosso con sopra una croce di cristallo e impressa su un masso l’impronta di un piede infantile, che la tradizione popolare attribuisce a s. Michele.
    Il vescovo san Lorenzo fece costruire all’ingresso della grotta, una chiesa dedicata a s. Michele e inaugurata il 29 settembre 493; la Sacra Grotta è invece rimasta sempre come un luogo di culto mai consacrato da vescovi e nei secoli divenne celebre con il titolo di “Celeste Basilica”.
    Attorno alla chiesa e alla grotta è cresciuta nel tempo la cittadina di Monte Sant’Angelo nel Gargano. I Longobardi che avevano fondato nel secolo VI il Ducato di Benevento, vinsero i feroci nemici delle coste italiane, i saraceni, proprio nei pressi di Siponto, l’8 maggio 663, avendo attribuito la vittoria alla protezione celeste di s. Michele, essi presero a diffondere come prima accennato, il culto per l’arcangelo in tutta Italia, erigendogli chiese, effigiandolo su stendardi e monete e instaurando la festa dell’8 maggio dappertutto.
    Intanto la Sacra Grotta diventò per tutti i secoli successivi, una delle mete più frequentate dai pellegrini cristiani, diventando insieme a Gerusalemme, Roma, Loreto e S. Giacomo di Compostella, i poli sacri dall’Alto Medioevo in poi.
    Sul Gargano giunsero in pellegrinaggio papi, sovrani, futuri santi. Sul portale dell’atrio superiore della basilica, che non è possibile descrivere qui, vi è un’iscrizione latina che ammonisce: “che questo è un luogo impressionante. Qui è la casa di Dio e la porta del Cielo”.
    Il santuario e la Sacra Grotta sono pieni di opere d’arte, di devozione e di voto, che testimoniano lo scorrere millenario dei pellegrini e su tutto campeggia nell’oscurità la statua in marmo bianco di S. Michele, opera del Sansovino, datata 1507.
    L’arcangelo è comparso lungo i secoli altre volte, sia pure non come sul Gargano, che rimane il centro del suo culto, ed il popolo cristiano lo celebra ovunque con sagre, fiere, processioni, pellegrinaggi e non c’è Paese europeo che non abbia un’abbazia, chiesa, cattedrale, ecc. che lo ricordi alla venerazione dei fedeli.
    Apparendo ad una devota portoghese Antonia de Astonac, l’arcangelo promise la sua continua assistenza, sia in vita che in purgatorio e inoltre l’accompagnamento alla S. Comunione da parte di un angelo di ciascuno dei nove cori celesti, se avessero recitato prima della Messa la corona angelica che gli rivelò.
    I cori sono: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati, Arcangeli ed Angeli. La sua festa liturgica principale in Occidente è iscritta nel Martirologio Romano al 29 settembte e nella riforma del calendario liturgico del 1970, è accomunato agli altri due arcangeli più conosciuti, Gabriele e Raffaele nello stesso giorno, mentre l’altro arcangelo a volte nominato nei sacri testi, Uriele non gode di un culto proprio.
    Per la sua caratteristica di “guerriero celeste” s. Michele è patrono degli spadaccini, dei maestri d’armi; poi dei doratori, dei commercianti, di tutti i mestieri che usano la bilancia, i farmacisti, pasticcieri, droghieri, merciai; fabbricanti di tinozze, inoltre è patrono dei radiologi e della Polizia.
    È patrono principale delle città italiane di Cuneo, Caltanissetta, Monte Sant’Angelo, Sant’Angelo dei Lombardi, compatrono di Caserta.
    Difensore della Chiesa, la sua statua compare sulla sommità di Castel S. Angelo a Roma, che come è noto era diventata una fortezza in difesa del Pontefice; protettore del popolo cristiano, così come un tempo lo era dei pellegrini medievali, che lo invocavano nei santuari ed oratori a lui dedicati, disseminati lungo le strade che conducevano alle mete dei pellegrinaggi, per avere protezione contro le malattie, lo scoraggiamento e le imboscate dei banditi.
    Per quanto riguarda la sua raffigurazione nell’arte in generale, è delle più vaste; ogni scuola pittorica in Oriente e in Occidente, lo ha quasi sempre raffigurato armato in atto di combattere il demonio.
    Sul Monte Athos nel convento di Dionisio del 1547, i tre principale arcangeli sono così raffigurati, Raffaele in abito ecclesiastico, Michele da guerriero e Gabriele in pacifica posa e rappresentano i poteri religioso, militare e civile.

    Autore: Antonio Borrelli




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    Predefinito Dai Discorsi di san Bernardo

    In festo S. Michaelis, sermo I, l‑5. PL 183, 447‑450.

    Celebriamo oggi, fratelli carissimi, la festa dei santi angeli, e voi reclamate da me il sermone capitolare, dovuto per questa solennità. Ma, povero vermiciattolo che sono, come potrei mettermi a parlare degli spiriti angelici? Credo per fede intangibile che essi godono la presenza e la visione di Dio e sono invasi da sconfinata beatitudine nel contemplare quelle cose che occhio non vide. ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomo (1 Cor 2,9). Ma può un semplice mortale parlare di questo argomento ad altri mortali? lo per il primo non ho la più pallida idea di quelle realtà che d'altronde neppure voi sareste in grado di udire.

    Le parole mi salgono, si, traboccanti dal cuore, eppure farei meglio a tacere, visto che mi mancano i concetti adeguati per trattare degli angeli. Se il nostro animo è incapace di cogliere qualcosa della fulgida gloria di cui gli angeli godono in se stessi, meglio in Dio, diremo tuttavia qualche parola della grazia della carità che dimostrano verso di noi uomini. Gli spiriti celesti brillano per mirabile dignità e per amorevole condiscendenza. E' ovvio che la loro gloria supera la nostra povera comprensione. Leghiamoci allora più stretti alla loro misericordia. Sappiamo infatti con assoluta certezza che questi famigliari di Dio, cittadini del cielo e principi del paradiso, traboccano di carità.

    Nel libro di Daniele leggiamo una descrizione degli angeli davanti al trono di Dio: Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano (Dn 7, 10). Pensate che sia cosa indegna per gli angeli il fatto di servire? Considerate allora il Creatore, il re degli angeli, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (Mt 20, 28). Nessuno degli angeli sdegnerà di essere servitore, quando colui che essi servono con ardore indicibile e felicità totale li ha lui stesso preceduti in tale ministero. Il salmista, parlando a Dio di suo Figlio, diceva: L'hai fatto poco meno degli angeli (Sal 8, 6). Era perciò conveniente che colui che supera gli angeli per dignità, li superasse anche in umiltà. Il Figlio si è abbassato sotto gli angeli, perché ha voluto prestare un servizio inferiore al loro; è però ben superiore agli angeli in quanto possiede per eredità un nome più eccellente del loro.

    Gli angeli ci amano, perché Cristo ci ha amati. Vi è noto, fratelli, quel proverbio che dice: "Chi mi ama, ama il mio cane". Non siamo noi, o angeli beati, i cagnolini di quel Signore che avvolgete di tanto affetto? Proprio cagnolini, desiderosi di sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa dei loro angelici padroni, dalla vostra mensa appunto. Ho usato quest'immagine, fratelli, per aumentare in voi la fiducia verso gli angeli. Dobbiamo invocarli con amore in ogni nostra necessità, ci deve stare a cuore di vivere santamente in loro presenza; e poi ogni giorno di più cercheremo di conciliarci il loro favore, di cattivarcene la benevolenza, pregandoli di mostrarsi clementi con noi.

    Lasciate, fratelli carissimi, che vi indichi un ventaglio di motivi, per cui gli angeli sono solleciti della nostra povertà. Sappiamo che l'anima umana, dotata di ragione e capace di beatitudine, è legata da un vincolo di parentela con la natura angelica. Potreste mai, angeli santi, sdegnare di visitarci, contro il precetto della carità, sebbene siamo precipitati in un estremo abbassamento? Non apparteniamo forse tutti alla medesima famiglia? Se amate, ‑ come di fatto amate ‑ la bellezza della casa di Dio, manifestate il vostro zelo a queste pietre vive e razionali che siamo noi, le uniche a poter contribuire alla costruzione della Gerusalemme celeste.

    Sono tre i motivi, fratelli, che come funi tirano verso di noi, dall'alto del cielo, la sovreminente carità degli angeli. Essi vengono a consolarci, a visitarci, a darci aiuto a motivo di Dio, di noi e di se stessi. A motivo di Dio, gli angeli ci visitano, in modo da imitare la sconfinata misericordia divina. A motivo di noi, gli angeli vengono a consolarci, perché hanno compassione di chi ha una certa somiglianza con loro. A motivo di se stessi, infine, gli angeli accorrono in nostro aiuto, perché sperano di reclutare fra di noi gli uomini necessari per colmare i vuoti delle loro schiere. Infatti la lode che va resa alla maestà divina, alla fine dei tempi, spetta sia agli angeli sia agli uomini. Fin d'ora gli angeli celebrano le primizie di quella lode, che li riempie di altissimo diletto. Ma noi, gli uomini, siamo ancora come piccini che succhiano il latte, anche se un giorno completeremo e renderemo perfetta quella lode di gloria. Gli angeli perciò ci attendono con impazienza, incalzati come sono dalla brama dell'ultimo giorno.

    Considerate gli angeli, fratelli carissimi, e pensate quanto ci deve stare a cuore di essere degni della loro amicizia. Vi rendete conto che vita dobbiamo vivere alla loro presenza, per non offendere la santità di quegli sguardi purissimi? Guai a noi, se con il peccato o per trascuratezza ci rendessimo indegni agli occhi degli angeli di ricevere la loro visita e di godere la loro vicinanza. In quel caso, non ci resterebbe che piangere e lamentarci con il profeta, dicendo: Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe. i miei vicini stanno a distanza (Sal 37, 12). Sarebbe proprio un peccato se quelli che devono proteggerci con la loro presenza si allontanassero da noi, quando invece possono difenderci dal nemico e respingerne gli attacchi.

    Abbiamo un bisogno estremo dell'assistenza amica degli angeli; allora, guardiamoci bene dall'offenderli, ma impegniamoci a fondo in quegli atteggiamenti che li affascinano. Quali sono dunque le virtù che apprezzano e si rallegrano di vedere in noi? La sobrietà, la castità, la povertà volontaria, la nostalgia assidua per il cielo, le preghiere intrise di compunzione e di vigile affetto. Ma in priorità, questi messaggeri di pace si aspettano da noi la pace e la concordia. Che cosa potrebbe allietarli di più? Quando trovano fra noi pace e concordia, che sono preludio e abbozzo della città celeste, sembra loro di ammirare una nuova Gerusalemme. Tutte le parti della città santa sono perfettamente saldate tra loro. La stessa compattezza deve regnare nei nostri pensieri e nei nostri discorsi: non ci siano fra di noi divisioni, ma restiamo uniti in un solo corpo nel Cristo Gesù, mostrandoci membra gli uni degli altri.

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    Predefinito Dalle Prediche di san Tommaso da Villanova

    In festo S. Michaelis archangeli, concio II, 2‑5.8. Mediolani, 1760, t. 11, 698‑701.704.

    In questo passo evangelico Gesù afferma: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Con questa frase il Signore sembra voler dire: "State discutendo per sapere chi sarà il più grande nel Regno; io invece vi invito a fare ogni sforzo semplicemente per entrarvi, giacché queste dispute vi allontanano dalla patria celeste: soltanto l'umiltà può darvene l'accesso". Dopo aver condannato l'ambizione, Gesù risolve il quesito, sentenziando: Chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel regno dei cieli. Spesso il Signore, quando vuole insegnare una cosa, usa accennarne un'altra. Ricordate quando parlava del tempio e alludeva al suo corpo? Anche qui si direbbe che non parli di quel bambino, ma di se stesso, che, Signore di tutti, si è fatto come bambino per noi. Chiunque perciò vuole entrare nel Regno deve conformarsi a Cristo; quanto più gli sarà simile, tanto più grande sarà nel Regno. La Vergine Maria fu certamente colei che è stata più simile a Cristo, per cui ora è la più grande nel regno dei cieli, giacché si fece piccola come suo Figlio. Cristo infatti, pur essendo di natura divina. spoglio sé stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 1 2, 7); e Maria, la Madre di Dio, si e abbassata, facendosi serva dell'artefice della nostra salvezza. Non ha forse cantato: Il Signore ha guardato l'umiltà della sua serva; d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1, 48)? Infatti tutte le generazioni, in cielo e sulla terra, la proclamano beata, perché ella è davvero al di sopra di tutte le creature.

    Colui che si è abbassato in tutto, ha coinvolto con se anche ogni realtà in un capovolgimento radicale, come sta scritto: Ancora un po' di tempo e io scuoterò il cielo e la terra. E verrà il Desiderato da tutte le genti (Ag 2, 7‑8). Scendendo dal fastigio della divinità, Cristo ha portato tutto con se e tutto si è trasformato: la povertà è diventata ricchezza, le lacrime gioia; il discredito è stima, il lavoro riposo; l'affanno è serenità, il dolore delizia; per farla breve, l'abbassamento si è cambiato in esaltazione, perché, dopo essere disceso, Gesù fu elevato. Non vi è innalzamento più grande di una profonda umiltà per amore di Dio. Avviene allora che le ricchezze del cielo sono promesse alla povertà, la gioia al pianto, la sazietà alla fame, il riposo alla fatica, la gloria alla persecuzione. E' questo il paradosso annunziato da Cristo: chi scenderà più in basso, sarà colui che raggiungerà l'esaltazione più prestigiosa. Quanto le vie del Signore sono misteriose e velate agli sguardi dei mortali!

    La promessa di essere innalzati in dignità balena davanti a chi è davvero umile. Gli autentici grandi sono quelli che affondano nella consapevolezza di essere nulla; coloro che con cuore semplice si stimano i servi di tutti, gli ultimi. Essi sanno portare continuamente la croce di Cristo nel proprio corpo. Perciò il Signore li esalterà come ha esaltato questo piccolo, e darà anche a loro un nome sopra ogni nome Saranno chiamati figli di Dio e lo saranno, perché avranno preso l'ultimo posto tra i figli di Adamo. Ma quanto è terribile la parola del vangelo: Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo (Gv 6, 60)? Voi conosce te, fratelli, la natura e le abitudini dei fanciulli; sapete quanto essi sono innocenti, semplici, puri, veri, umili. Il Signore ce lo proclama: Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Che terribile sentenza che parola spaventosa! Sospingimi, o Dio, con il turbine del tuo Spirito, ve so questa infanzia originaria; non posso contare sulle mie forze per simile conversione, giacché essa è l'opera della destra dell'Altissimo. Il Signore non dice: "Se non vi farete come piccoli", ma la traduzione letterale suona così: "Se non sarete fatti come piccoli". Da un altro, non da noi deve essere attuato questo ritorno alla fanciullezza. Non è solo opera della nostra libertà, ma soprattutto dono della grazia divina. Sembra un programma difficilissimo, eppure la nostra fiducia non si affloscerà, se ancorata in Dio. A lui nulla è impossibile.

    I fanciulli hanno un tale valore per Dio, che egli li ha affidati uno per uno agli angeli i quali vedono sempre la faccia del Padre che e nei cieli. Dio deve proprio avere un'altissima stima della dignità delle nostre anime se manda un angelo a ognuna, perché la protegga e vegli su di essa con cura e sollecitudine, come su una perla preziosa o su un tesoro di incalcolabile valore. Difatti il Signore ha dato il suo sangue e la sua vita per ognuna delle nostre anime. Non giudichiamo quindi gli uomini dalla povertà del loro esteriore: questa tenda caduca che è il corpo. Fissiamo invece lo sguardo sulla realtà spirituale che ci inabita, cosi nobile da irradiare l'immagine divina. Pensiamo che il nostro spirito è compagno degli angeli, cittadino della Gerusalemme celeste, anzi figlio di Dio. Se per un momento abita la tenda mortale durante la lotta, ben presto ne uscirà, per ricevere il premio che non ha fine.


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    Predefinito Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

    Om. 34, 8-9; PL 76, 1250-1251

    E' da sapere che il termine «angelo» denota l'ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, poiché solo allora sono angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli.
    Per questo alla Vergine Maria non viene inviato un angelo qualsiasi, ma l'arcangelo Gabriele. Era ben giusto, infatti, che per questa missione fosse inviato un angelo tra i maggiori, per recare il più grande degli annunzi.
    A essi vengono attribuiti nomi particolari, perché anche dal modo di chiamarli appaia quale tipo di ministero è loro affidato. Nella santa città del cielo, resa perfetta dalla piena conoscenza che scaturisce dalla visione di Dio onnipotente, gli angeli non hanno nomi particolari, che contraddistinguano le loro persone. Ma quando vengono a noi per qualche missione, prendono anche il nome dall'ufficio che esercitano.
    Così Michele significa: Chi è come Dio?, Gabriele: Fortezza di Dio, e Raffaele: Medicina di Dio.
    Quando deve compiersi qualcosa che richiede grande coraggio e forza, si dice che è mandato Michele, perché si possa comprendere, dall'azione e dal nome, che nessuno può agire come Dio. L'antico avversario che bramò, nella sua superbia, di essere simile a Dio, dicendo: Salirò in cielo (cfr. Is 14, 13-14), sulle stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all'Altissimo, alla fine del mondo sarà abbandonato a se stesso e condannato all'estremo supplizio. Orbene egli viene presentato in atto di combattere con l'arcangelo Michele, come è detto da Giovanni: «Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12, 7).
    A Maria è mandato Gabriele, che è chiamato Fortezza di Dio; egli veniva ad annunziare colui che si degnò di apparire nell'umiltà per debellare le potenze maligne dell'aria. Doveva dunque essere annunziato da «Fortezza di Dio» colui che veniva quale Signore degli eserciti e forte guerriero.
    Raffaele, come abbiamo detto, significa Medicina di Dio. Egli infatti toccò gli occhi di Tobia, quasi in atto di medicarli, e dissipò le tenebre della sua cecità. Fu giusto dunque che venisse chiamato «Medicina di Dio» colui che venne inviato a operare guarigioni.

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    Gerard David, S. Michele, Kunsthistorisches Museum, Vienna

    Maestro della Leggenda di S. Orsola, S. Michele combatte i demoni, 1480-1500, Museum Onze-Lieve-Vrouw ter Potterie, Bruges

    Pieter Bruegel il vecchio, S. Michele scaccia gli angeli ribelli, 1562, Musées Royaux des Beaux-Arts, Bruxelles

    Domenico Ghirlandaio, Madonna in trono e Santi (SS. Michele e Gabriele, Donato e Giusto), 1483, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Domenico Ghirlandaio, Madonna in gloria e Santi (SS. Domenico, Michele, Giovanni Battista e Giovanni evangelista), 1490-96, Alte Pinakothek, Monaco

    Luca Giordano, S. Michele scaccia gli angeli ribelli, 1666, Kunsthistorisches Museum, Vienna

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    Adriaen Isenbrant, SS. Michele, Andrea e Francesco, Museum of Fine Arts, Budapest

    Hans Memling, S. Michele pesa le anime (dettaglio del Giudizio Universale), 1467-71, Muzeum Narodowe, Gdansk

    Piero della Francesca, Polittico di S. Agostino con i SS. Agostino e Michele 1460-70, Pannelli presenti in diversi musei

    Raffaello Sanzio, S. Michele ed il dragone 1505 circa, Musée du Louvre, Parigi

    Raffaello Sanzio, S. Michele e Satana 1518, Musée du Louvre, Parigi

    Luca Signorelli, SS. Trinità con Vergine e SS. Michele, Gabriele, Agostino ed Atanasio 1510, Galleria degli Uffizi, Firenze

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    Predefinito Il Santo Arcangelo Michele - della Beata Anna Katharina Emmerick

    Il 29 settembre 1820 Anna Katharina Emmerich così raccontava: Ebbi molte visioni meravigliose sulle apparizioni e celebrazioni del Santo Arcangelo Michele. Mi trovai in molti posti del mondo e vidi una sua chiesa in Francia, su uno scoglio del mare (monte St. Michel), divenne Patrono della Francia. Vidi poi come re Luigi, il Pio, venne aiutato a conseguire la vittoria. In seguito ad un’apparizione della Madre di Dio si era rivolto all’Arcangelo Michele, e poi per la devozione a quest’ultimo, volle imprimere la sua immagine sulla bandiera e fondò un ordine cavalleresco in suo onore. Mi apparirono una serie di immagini diverse dell’Arcangelo: una sua apparizione a Costantinopoli e qualche altra che non ricordo più. Vidi anche il miracolo della Chiesa di Michele sulle montagne del Gargano, durante una grande celebrazione: giungevano molti pellegrini stranieri con il bastone ornato e l’Angelo serviva sull’altare con gli altri. Fui poi con lui a Roma dove una chiesa era stata eretta al suo culto, credo da papa Bonifacio, in seguito all’apparizione della Madre di Dio.
    Seguii l’Angelo dappertutto; si librava sopra di me, grande e maestoso, ed aveva una spada. Presso la chiesa di S. Michele c’era una contesa di moltissime persone; la maggior parte era formata da cattolici che non si distinguevano dagli altri per il modo di agire nella mischia, altri erano protestanti o membri di sette. Motivo della ressa era la S. Messa; Michele calò giù e con la sua grande spada scacciò via il grosso della mischia disperdendola; restarono ancora circa quaranta persone e così si poté celebrare facilmente la S. Messa. L’Angelo prese per il pomo il tabernacolo con il Santissimo e, librandosi in alto, lo portò via allontanandosi da quel luogo. Mi invitò a seguirlo ancora, andammo verso Oriente fino al Gange, io sempre sotto l’Angelo che volava. Poi ci dirigemmo verso settentrione. Nell’accostarci a questa regione il freddo si faceva sentire sempre più e il paesaggio diveniva più selvaggio e solitario. Giungemmo ad una immensa superficie ghiacciata. Ebbi molta paura in questo posto deserto, e molte anime da me conosciute, tra le altre quella di mia madre, vennero a incoraggiarmi e mi accompagnarono per un pezzo di strada. Arrivammo ad un mulino che dovemmo attraversare. Le anime amiche, giunte fin qui, si ritirarono. La superficie ghiacciata scricchiolava sotto i miei piedi e l’acqua, che veniva sospinta dal mulino, era calda. Questo mulino era pieno delle anime dei governanti e altri grandi illustri di tutti i tempi e paesi. Costoro scontavano la loro pena per tutte le loro mancanze sulla terra. Facevano penitenza in questo luogo macinando una quantità di rospi, serpenti e altri animali velenosi e disgustosi, come anche oro e argento, che così passati scivolavano nell’acqua e, senza più danneggiare, ritornavano sulla terraferma. Queste persone lavoravano nel mulino come mugnai e dovevano adoperarsi sempre con la scopa per spazzare da sotto la macina gli innumerevoli insetti per non essere impediti nel lavoro. Essi si alternavano nel lavoro e dovevano inoltre distruggere gli odiosi insetti per non permetterne la propagazione. Una di queste persone parlò con me, dopo aver spazzato gli insetti in modo da permetterci di attraversare il mulino. Mi spiegò, avvicinandosi, che le persone là dentro, adibite a quel lavoro dovevano scontare una pena e rimanere in questo luogo finchè la grande massa di ghiaccio non si fosse disciolta del tutto, mi disse pure che erano felici in quanto noi passando di là avremmo contribuito a far ritirare una piccola parte di questa massa di ghiaccio. Risalimmo e l’Arcangelo Michele volava sopra di me, mentre il cielo diveniva sempre più chiaro di un blu tenue. Il sole e gli altri astri mi apparivano adesso come dei volti umani. Mi guidò per tutta la terra e attraverso tutti i mondi celesti. Vidi innumerevoli giardini e la frutta con le sue caratteristiche. Spero che questi segreti mi restino ancora aperti in modo che possa trarne medicinali per guarire i devoti e la povera gente. Vidi cori di Santi e spesso, sparpagliati dappertutto, Santi con i simboli dei loro ordini religiosi e le loro caratteristiche individuali. Librando nell’aria giungemmo più in alto, in un mondo maestoso e indescrivibilmente meraviglioso che aveva le sembianze di una cupola gigantesca: la base era come un piano blu circondato da un anello di luce sul quale ce n’erano ancora altri nove. Su ognuno di questi si erigeva un trono e differenti cori di Angeli. Da ogni trono si innalzavano archi pieni di colori, frutta, pietre preziose e tutti gli infiniti doni di Dio. Questi archi tendevano verso l’alto e si intrecciavano tra di loro formando così una cupola sulla quale, in cima a tutto, c’erano tre altri scanni, oppure troni di Angeli. Al centro si trovava quello dell’Arcangelo Michele. Quest’ultimo si librava nell’aria, e depose il tabernacolo della Chiesa sulla cupola.
    I tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, si libravano intorno a tre dei nove archi. Nove cori angelici stavano sotto di loro. Quattro grandi Angeli alati e splendenti si muovevano in circolo intorno ai tre Arcangeli: Raphiel, Etophiel, Emmanuel e Salatiel. Essi sono gli Elohim, i curatori e gli elargitori delle abbondanti grazie di Dio che distribuiscono nella Chiesa nelle quattro direzioni di tutto il mondo ricevendo direttamente, queste Grazie di Dio, dai tre Arcangeli. I più spirituali, tra i tre Arcangeli, apparivano Raffaele e Gabriele, perchè vestiti interamente di bianco, mentre Michele aveva un elmo con una cresta sul capo. La parte superiore del corpo era avvolta da un’armatura e cinta da legacci, la sua veste scendeva fino alle ginocchia come un grembiule increspato. In una mano aveva una lunga bacchetta con una croce e, sotto, una bandierina con l’effige di un agnello, nell’altra mano portava invece una spada fiammeggiante. Ai suoi piedi c’erano anche legacci. Più in alto, sopra questa cupola, potei vedere la Santissima Trinità rappresentata da tre figure: il Padre, come un vecchio supremo sacerdote, il quale porgeva al Figlio, alla sua destra, la sfera del mondo; il Figlio aveva la croce nell’altra mano. Alla sinistra del Padre c’era una figura alata splendente di luce. Intorno a loro sedevano, in circolo, 24 anziani su scranni. I Cherubini e i Serafini stavano con molti altri intorno al trono di Dio in permanenti canti di lode. Al centro, elevata un pò più sopra Michele, si trovava Maria circondata da innumerevoli anime luminose di Angeli e Vergini. La grazia di Gesù passava, attraverso Maria, ai tre Arcangeli. Ognuno dei tre Arcangeli irradiava tre doni divini su tre dei nove Cori degli Angeli, e questi, a loro volta, agivano di nuovo su tutta la natura e la storia. Quando il tabernacolo fu ben piazzato vidi come il medesimo, con l’aiuto della s. Vergine Maria e tutti i cieli, e con l’aiuto diligente degli Angeli si trasformava in una chiesa. Poi il tabernacolo crebbe ancora trasformandosi alla fine in una grande e splendente città piena di luci e colori, era la Gerusalemme celeste! La quale prese a scendere, attraverso un arco, lentamente e a tratti, sempre più in giù verso la terra. Non so come ciò potesse avvenire.
    Improvvisamente vidi venirmi incontro tanta gente che camminava capovolta, seguendo la rotazione della terra, in un secondo momento la vidi, invece, camminare con i propri piedi, verso la nuova Gerusalemme che prendeva il posto di quella terrestre. A questo punto la visione si interruppe ed io cadendo sempre più nell’oscurità mi mossi verso casa. In un’altra immagine vidi una battaglia grandiosa svolgersi sulla terra: gli uomini sparavano dalle macchie piene di soldati, tutto il campo di battaglia era avvolto dal fumo. Grandi città si scorgevano da lontano. Poi giunse san Michele con un grande esercito di Angeli e separò i litiganti quando proprio tutto sembrava perduto. Un capo potente ebbe un incontro con san Michele e in conseguenza vidi trionfare la pace.

    Pietro Perugino, Polittico della Certosa, con Madonna con Bambino e angeli, tra i SS. Michele e Raffaele arcangeli con Tobia, 1496-1500, National Gallery, Londra

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1114-1117

    29 SETTEMBRE

    DEDICAZIONE DI SAN MICHELE ARCANGELO

    Oggetto della festa.


    La dedicazione di S. Michele è la festa più solenne che la Chiesa celebra nel corso dell'anno in onore di questo Arcangelo, e tuttavia lo riguarda meno personalmente perché vi si onorano tutti i cori della gerarchia angelica. Nell'inno dei primi Vespri la Chiesa propone alla nostra preghiera l'oggetto della festa di oggi con le parole Rabano Mauro, abate di Fulda:

    Celebriamo con le nostre lodi
    Tutti i guerrieri del cielo,
    Ma soprattutto il capo supremo
    Della milizia celeste:
    Michele che, pieno di valore,
    Ha abbattuto il demonio [1].

    Origine della festa.

    La festa dell'otto maggio richiama il ricordo dell'apparizione al monte Gargano e nel medioevo si celebrava soltanto nell'Italia del Sud. La festa del 29 settembre è propria di Roma e segna l'anniversario della Dedicazione di una basilica oggi scomparsa, che sorgeva sulla via Salaria, a Nord-Est della città.

    Il fatto della dedicazione spiega il titolo conservato alla festa nel Messale Romano: Dedicatio sancti Michaelis. Le Chiese di Francia e Germania, che nel Medioevo seguivano la liturgia romana, hanno attenuato spesso nei loro libri liturgici il titolo originario della festa, che venne presentata come festa In Natale o In Veneratione sancti Michaelis, così che dell'antico titolo non restava altro che il nome dell'Arcangelo.

    L'ufficio di san Michele.

    Anche l'Ufficio non poteva conservare il ricordo della dedicazione. Infatti gli antichi Uffici relativi alle dedicazioni celebravano il santo in onore del quale la chiesa era consacrata e non l'edificio materiale in cui egli era onorato; non avevano perciò niente di impersonale e rivestivano anzi un carattere molto circostanziato.

    L'Ufficio di san Michele può essere considerato una delle più belle composizioni della nostra liturgia e ci fa contemplare ora il principe delle milizie celesti e capo degli angeli buoni, ora il ministro di Dio, che assiste al giudizio dell'anima di ogni defunto, ora ancora l'intermediario, che porta sull'altare della liturgia celeste le preghiere dell'umanità fedele.

    L'Angelo turiferario.

    I primi Vespri cominciano con l'Antifona Stetit Angelus, che deriva il testo dall'Offertorio della Messa del giorno: "Un angelo stava presso l'altare del tempio e aveva un incensiere in mano: gli diedero molto incenso e il fumo profumato si elevò fino a Dio". L'Orazione della benedizione dell'incenso alla Messa solenne designa il nome di questo angelo turiferario: "Il beato Arcangelo Michele". Il libro dell'Apocalisse dal quale son presi i testi liturgici ci spiega che i profumi, che salgono alla presenza di Dio, sono le preghiere dei giusti: "Il fumo degli aromi formato dalle preghiere dei santi salgono dalla mano dell'angelo davanti a Dio" (Ap 8,4).

    Il Mediatore della Preghiera eucaristica.

    È ancora Michele che presenta al Padre l'offerta del Giusto per eccellenza ed Egli infatti è designato nella misteriosa preghiera del Canone della Messa in cui la santa Chiesa chiede a Dio di portare sull'altare sublime, per mano dell'Angelo Santo, l'oblazione sacra in presenza della divina Maestà. È cosa molto sorprendente notare negli antichi testi liturgici romani che san Michele è sovente chiamato l'Angelo Santo, l'Angelo per eccellenza.

    Probabilmente sotto il pontificato di Papa Gelasio fu compiuta la revisione del testo del Canone nel quale l'espressione al singolare Angeli tui fu sostituita con quella al plurale Angelorum tuorum. Proprio a quell'epoca, sul finire del V secolo, l'Angelo era apparso al vescovo di Siponto, presso il Monte Gargano.

    Vocazione contemplativa degli Angeli.

    Come si vede la Chiesa considera san Michele mediatore della sua preghiera liturgica; egli è posto tra l'umanità e la divinità. Dio, che dispose con ordine ammirabile le gerarchie invisibili (Colletta della Messa), impiega, per opulenza, a lodare la sua gloria il ministero degli spiriti celesti, che contemplano continuamente l'adorabile faccia del Padre (Finale del Vangelo della Messa) e, meglio che gli uomini, sanno adorare e contemplare la bellezza delle sue infinite perfezioni. Mi-Ka-El: Chi è come Dio? Il nome esprime da solo, nella sua brevità, la lode più completa, la più perfetta adorazione, la riconoscenza totale per la trascendenza divina e la più umile confessione della nullità delle creature.

    Anche la Chiesa della terra invita gli spiriti a benedire il Signore, a cantarlo, a lodarlo e esaltarlo senza soste (Introito, Graduale, Communio della Messa; Antifona dei Vespri). La vocazione contemplativa degli Angeli è modello della nostra e ce lo ricorda un bellissimo prefazio del Sacramentario leoniano: "È cosa veramente degna... rendere grazie a Te, che ci insegni, che, per mezzo del tuo Apostolo, che la nostra vita è trasferita in cielo, che, con benevolenza comandi, di trasportarci in spirito là dove quelli che noi veneriamo servono e di tendere verso le altezze, che nella festa del beato Arcangelo Michele contempliamo nell'amore, per il Cristo nostro Signore".

    Aiuto dell'umanità.

    La Chiesa sa pure che a questi spiriti consacrati al servizio di Dio è stato affidato un ministero al fianco di coloro, che devono raccogliere l'eredità della salvezza (Ebr 1,14). Senza attendere la festa del 2 ottobre, dedicata in modo speciale agli Angeli custodi, la Chiesa già oggi chiede a san Michele e ai suoi Angeli di difenderci nei combattimenti che dobbiamo sostenere (Alleluia della Messa; Preghiera ai piedi dell'altare dopo l'ultimo Vangelo). Chiede ancora a san Michele di ricordarsi di noi e di pregare per noi il Figlio di Dio, perché nel giorno terribile del giudizio non abbiamo a perire. Nel giorno terribile del giudizio il grande Arcangelo, vessillifero della milizia celeste, difenderà la nostra causa davanti all'Altissimo (Antifona del Magnificat ai secondi Vespri) e ci farà entrare nella luce santa (Offertorio della Messa dei defunti).

    Preghiera.

    Da questa terra, nella lotta contro le potenze del male, possiamo rivolgere all'Arcangelo la preghiera di esorcismo che Leone XIII inserì nel rituale della Chiesa Romana:

    "Principe gloriosissimo della celeste milizia, san Michele Arcangelo, difendici nel combattimento contro le forze, le potenze, i capi del mondo delle tenebre e contro lo spirito di malizia. Vieni in soccorso degli uomini, che Dio ha fatti a sua immagine e somiglianza e riscattati a duro prezzo dalla tirannia del diavolo.

    La santa Chiesa ti venera come custode e patrono; Dio ti ha confidato le anime redente per portarle alla felicità celeste. Prega il Dio della pace, perché schiacci Satana sotto i nostri piedi, per strappargli il potere di tenere gli uomini in schiavitù e di nuocere alla Chiesa. Offri le nostre preghiere all'Altissimo perché sollecitamente scendano su di noi le misericordie del Signore e il dragone, l'antico serpente, chiamato Diavolo e Satana, sia precipitato, stretto in catene, nell'abisso, perché non possa più sedurre i popoli".

    -----------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] Seguiamo la versione antica del Breviario monastico, non quella del Breviario Romano, ritoccata da Urbano VIII.

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    Guido Reni, S. Michele, 1635, Chiesa di S. Maria della Concezione (Chiesa dei Cappuccini), Roma. Secondo una tradizione riportata dal Malvasia, ma negata dallo stesso pittore, il volto del demonio avrebbe le sembianze del cardinale Pamphili, futuro pontefice con il nome di Innocenzo X, che non intratteneva buoni rapporti con la famiglia Barberini. Il dipinto, infatti, fu commissionato al Reni da Antonio Barberini, cardinale Sant’Onofrio, fratello di Urbano VIII, come riporta il Malvasia, e fu eseguito prima del 1636, anno in cui ne fu tratta un’incisione dal De Rossi. Il cardinale, che proveniva dalle file dei Cappuccini, intendeva collocarlo nella chiesa romana dell’ordine, dove si trova tutt’ora.

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    Eugène Delacroix, S. Michele abbatte il demonio, 1854-61, Saint-Sulpice, Parigi

    Frans Floris, La caduta degli angeli ribelli, 1554, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Antwerp

    Juan De Flandes, SS. Michele e Francesco, 1505-09, Metropolitan Museum of Art, New York

    Pietro Perugino, Madonna in gloria con Bambino e Santi (SS. Michele, Caterina d'Alessandria, Apollonia e Giovanni evangelista), 1495-96, Pinacoteca Nazionale, Bologna

    Domenico Beccafumi, Caduta degli angeli ribelli, 1524 circa, Pinacoteca Nazionale, Siena

    Domenico Beccafumi, Caduta degli angeli ribelli, 1528 circa, San Niccolo al Carmine, Siena

 

 
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