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  1. #1
    Mjollnir
    Ospite

    Lightbulb Nord, Sacra Terra di Luce

    di Andrea Mascetti

    Christophe Levalois rende giustizia alle origini dei popoli indoeuropei


    Quale è l'origine dei popoli Indoeuropei ? Da quali spazi giunsero i nostri antenati ? La risposta ce la dà un libro dello studioso francese Christophe Levalois (La terra di luce. Il Nord e l' Origine. Edizioni Barbarossa) il quale, partendo dai testi classici e indiani, delinea una origine nordica - o forse è meglio dire artica - delle genti indoeuropee. Nella tradizione classica si ricorda l'annuale viaggio che conduceva il Dio Apollo (equivalente del Belenos celtico) a varcare il circolo polare artico per raggiungere la terra di Thule, o Iperborea, viaggio che compiva su di un carro trainato da cigni (gli stessi cigni che ritroviamo nel mito celtico dell'Isola di Avallon). D'altronde sono stati proprio gli autori greci e latini a lasciare grandiosa testimonianza della credenza per cui a nord, in una zona mai bene specificata, esistesse questa isola di Thule, sede degli Iperborei e dimora dei primi Dèi europei. Da Omero ad Eschilo, da Virgilio a Strabone, da Plinio il Vecchio ad Avieno, molti sapienti dell'antichità furono rapiti dal mito di Thule, di cui lo stesso Seneca, nella Medea, si lascia questa testimonianza:

    Nei secoli futuri, un'ora verrà / in cui si scoprirà il grande segreto nascosto / dell'oceano / si ritroverà la potente isola. / Teti, nuovamente, rivelerà questa contrada. / E Thule, allora, non sarà più il paese estremo della Terra

    La credenza di una terra meravigliosa abitata da saggi, eroi ed immortali, situata nelle estreme terre del nord dell'Europa, era così diffusa, che un navigatore greco, Pitea, organizzò una lunga traversata per raggiungerla. Questo avventuroso viaggio lo condusse in Islanda e in Norvegia, fino a superare il circolo polare artico: siamo nel IV secolo a.e.v. Parecchio tempo dopo, nel 306 e.v., l'imperatore Costanzo Cloro cerca a nord della attuale Gran Bretagna quella terra in cui, secondo le leggende del tempo, il sole non tramonta mai. Allo stesso mito è collegata la navigazione di san Brandano, nel VI secondo e.v. Alcuni secoli più tardi le parole di Robert Wace, a cui dobbiamo tra l'altro il Roman de Brut e una Vie de Merlin l'enchanteur, riassumono in due versi il mistero iperboreo:

    En north alum, de north venum, / En north fumes nez, en north manum

    Il libro di Levalois ci introduce quindi in un universo di miti e leggende dove la cultura celtica e germanica viaggiano di pari passo con l'erudizione classica e indiana. Un libro che riapre il discorso sulle origini dell'Europa, le quali devono essere ricercate non nel bacino mediterraneo - come invece ci siamo spesso sentiti ripetere - ma a nord, verso quella Thule iperborea che ancor oggi, indica la fiaccola da seguire per tutti coloro che, ancora, si sentono dei "buoni europei".



  2. #2
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    DA DOVE PROVENIVANO GLI IPERBOREI?

    di Giovanni Luigi Manco

    L?alba dalle rosee dita che fuga le tenebre, il primo annuncio, il momento
    primigenio di una grande esperienza resta sempre nella memoria come un?orma
    sacra. A volte l?inizio è un passato troppo remoto, lontano per essere
    ricordato, eppure qualcosa si trascina nel tempo, un barlume, un segno, e
    quello si custodisce, vivifica, completa con la fantasia per il bisogno dell
    ?Io di ritornare a se stesso, riprendersi nel tempo.
    Gli echi dell?inizio in sé si completano nel mito che è fantasia ma pure
    realtà autentica. Memoria e figure disegnate da vibrazioni profonde,
    invisibili eppure possenti. Il mito elabora, non nasconde.
    Così nei discendenti degli iperborei, degli iniziatori del discorso umano, i
    miti della patria ancestrale, posta nell?estremo nord d?Europa, ripetono in
    ambienti diversi, la medesima storia.
    La terra degli avi divinizzati, gli Asen, nella tradizione nordico
    scandinava è la ?Terra Verde?, cioè la Groenlandia, da Grunes (verde) e lend
    (terra), senza neppure sospettare che ove oggi si stendono pianure e
    montagne di ghiaccio, un tempo, prima dello spostamento dell?asse terrestre,
    c?era il verde dei prati e la vita dell?uomo.
    Le tradizioni celtico-irlandesi parlano invece della divina razza dei Tuatha
    de Danam, discesa dall?Avallon, mitica terra nordica.
    Anche nella tradizione Aryo-Iranica la terra dei padri remoti è una regione
    dell?estremo nord. A questo proposito, sulla base dei testi vedici, uno
    studioso, Tilak, scrive nel saggio ?L?origine polare della tradizione
    vedica?, del 1903: ?Se noi leggiamo certi passaggi dei Veda fin?ora
    incomprensibili, alla luce delle scoperte scientifiche moderne, noi saremo
    obbligati a concludere che l?origine degli antenati dei popoli vedici si
    trova da qualche parte vicina al Polo Nord, prima dell?ultima glaciazione
    (?) La geologia e le tradizioni considerate negli antichi libri ary
    confermano che l?inizio dell?era postglaciale e l?emigrazione indoeuropea
    dalle zone artiche, che ne derivò, rimontano a un periodo, non anteriore all
    ?8.000 prima dell?era volgare (?) Sarebbe stato impossibile ai sacerdoti
    indiani concepire o solamente immaginare lo splendore dell?alba nella forma
    descritta nel Rig-Veda. Perché l?alba evanescente ch?era loro familiare, non
    ha niente a che vedere con l?alba artica ch?è il vero modello degli inni
    vedici.?
    Tilak, scrivendo il suo saggio, non sapeva che alle stesse conclusioni era
    pervenuto nel 1776 l?astronomo Jean Sylvain Bailly sulla semplice evidenza
    che le costellazioni descritte nei vetusti libri dell?India potevano essere
    state osservate solo da un popolo che aveva avuto dimora nell?Artico.
    Gli Elleni chiamavano Thule la patria dalle cime innevate degli avi
    Iperborei, nell?estremo nord, da cui migrarono i Dori guidati dal Dio
    Apollo. Regione posta secondo Erodoto a nord del Mar Nero.
    Significativamente chiamavano il mare boreale Cronide, cioè di Saturno
    (Cronos-Saturno), considerando Cronos-Saturno è il re o Dio dell?Età dell?
    Oro cantata dai poeti greco- latini come la più antica e bella età.
    Nel primo dei quattro cicli, o yuga, della tradizione vedica, l?Età dell?Oro
    prende nome di Satya-yuga, l?età buona, vera, dove l?aggettivo ya, vero, è
    connesso a sat, l?essere; così come il suffisso urnus unito sat dà il nome
    di Saturnus.
    Una tradizione ben viva ancora oggi se si pensa all?autentico portato del
    mito di Babbo Natale nella ricorrenza delle feste Saturnali e del dio solare
    Mitra, il 25 dicembre. La tradizione vuole che in detto periodo non ci siano
    servi e padroni, si sia tutti uguali. Il servo siede alla stessa tavola del
    padrone. Un modo per evocare la comune origine. Di ricordare e celebrare gli
    avi comuni. Babbo Natale è lo spirito degli avi, il padre dei natali delle
    genti iperboree. Veste di rosso siccome padre primigenio, datore di vita. Il
    rosso, colore del sangue, è il colore della vita. Il suo spirito è là, tra
    le montagne innevate della patria originaria, e da là muove simbolicamente
    nel solstizio d?inverno (festa del sole, di Mitra), per assicurare la
    germinazione delle messi dorate nel grembo della terra. Le strenne natalizie
    si donano chiuse nei pacchi di cartone, in parallelismo simbologico ai semi
    chiusi nella terra. Anche il più antico e tradizionale dolce delle feste
    saturnali, a forma di ceppo, rimanda ai culti antichi del fuoco sacro. Un
    modo di appellarsi agli avi contro le incertezze del domani. Un?occasione
    per ristabilire vincoli, sentimenti di solidarietà, ricordare la potenza
    dell?origine come conferma, certezza del domani. Non casualmente alle feste
    saturnali segue per i latini il mese dedicato a Giano, il Dio bifronte.
    Gli uomini delle fredde terre d?Occidente, tra 40.000 e 10.000 anni fa, nel
    ?Paleolitico superiore?, vivevano una condizione per molti versi evoluta,
    benché limitati dalle condizioni naturali.
    Nelle pianure innevate della Moravia, nelle regioni inospitali che non
    lasciavano alternativa all?economia di caccia al mammuth, si inventano le
    fornaci per cuocere vasi e figure di terracotta, ad opera probabilmente
    delle compagne e figlie dei cacciatori.
    Sempre nel Paleolitico superiore, nel nord Europa, si sviluppano le prime
    industrie ?in serie? di gioielli (perline in osso e avorio) e la prima
    scultura artistica.
    L?Europa era allora molto diversa. La gran Bretagna faceva parte del
    continente, unita alla Francia, ed era molto più estesa.
    In terra d?Europa fiorisce la prima civiltà nel senso proprio dell?
    espressione, caratteristica per costumi, senso del sacro, concezioni
    astronomiche. Il suo iniziarsi può farsi coincidere con la fine della
    glaciazione del Wurm, quando le ampie steppe popolate da mandrie d?erbivori
    si trasformano in foresta. E? in questo contesto che nascono le prime
    economie stanziali, che l?uomo comincia a scegliersi un territorio e a
    radicarsi in esso, quasi a piantarvisi, ricordando la derivazione
    etimologica, scoperta da Heiddegger, di homo da humus. Resti di cucina e
    tumuli di rifiuti fossili di questi insediamenti sono stati ritrovati sulla
    costa nord atlantica ma anche in Spagna e Portogallo. Il reperimento in
    questi siti sempre degli stessi strumenti, come un tipo particolare di
    piccone, lascia presumere il loro collegamento con la cultura megalitica,
    con i primi complessi monumentali dell?umanità: menhir e dolmen.
    Significativamente talvolta i megaliti sono sistemati tra loro in modo da
    formare pareti a tettoia che ricreano il luogo deputato alla vita del
    paleolitico, la caverna.
    Continuità fra preistoria europea e civiltà megalitica è anche provata da
    immagini incise sulla pietra dei megaliti.
    I menhir, la cui altezza varia dai due ai dieci metri, mentre il peso le 200
    tonnellate, in Irlanda, Inghilterra e Scozia sono spesso disposti in circolo
    e chiamati cromlech. Fra i più importanti quelli di Averbury e di Stoehenge.
    All?estremo settentrione della Scozia si trova un gruppo di isole, le
    Orcadi, famose per le rovine megalitiche. Ebbene la più grande isola,
    Mainland, è chiamata dagli abitanti Pomona, nome d?una delle divinità più
    antiche e misteriose della Roma arcaica, ed è sempre nella simbologia della
    Roma arcaica che i sette colli rappresentano lo specchio terreno dell?Orsa
    Maggiore, la costellazione boreale, dove il Palatino rappresenta la stella
    Polare. Corrispondenze che spiegano l?intento di ricreare attraverso il
    simbolismo geo-astronomico la patria delle origini.
    A Stonehenge le ultime rilevazioni scientifiche hanno datato i buchi per
    pali a 8.000 anni p.e.v., mentre la posa in opera dei megaliti a un periodo
    compreso tra il 2900 e il 1500 p.e.v.
    La civiltà dei megaliti è accertata dal V millennio. Dal 3800 al 2500 si
    estende su un vasto territorio che va dalla Gran Bretagna al Portogallo,
    alle isole egee, alle Puglie, Sicilia, Malta, Sardegna, Corsica.
    Per un utile raffronto si pensi che le prime piramidi egizie risalgono alla
    seconda metà del III millennio, mentre i palazzi minoici al II millennio.
    Nel V millennio solo il popolo che viveva nel nord Europa, gli iperborei,
    era uscito dal buio della preistoria, dotandosi di una stabile
    organizzazione sociale, onorando i propri morti, venerando il principio
    divino, fonte e datore di vita.
    Lo scrittore greco Pausania ricorda un menhir nella Grecia del II secolo
    p.e.v., che prefigurava una divinità. Ancora più attendibile la
    testimonianza dello storico Diodoro Siculo, nel primo secolo p.e.v., il
    quale riferisce che in Gran Bretagna si adorava il dio sole in un tempio
    circolare (Stonehenge?). Scrive inoltre che grandi pietre erano oggetto di
    culto in varie parti della terra.
    I defunti erano deposti in tronchi di quercia, tagliati e cavati all?
    interno. Tipica sepoltura megalitica che continua con i Celti. I druidi
    elessero, infatti, la quercia ad albero sacro e svolgevano le loro cerimonie
    nelle prossimità dei megaliti.
    La civiltà megalitica è rimasta a lungo viva nella tradizione popolare dell?
    Occidente. A Carnai, in Bretagna, sulla parete esterna di una chiesa si
    osserva il bassorilievo di un santo nell?atto di benedire tori sacrificati
    davanti a dolmen e menhir. Il toro è un simbolo che percorre tutta la
    cultura europea, dai megaliti di Creta, Sardegna e Malta fino alle odierne
    corride. E come non pensare che ancora oggi i re d?Inghilterra sono
    incoronati sulla pietra sacra di Wesminster? Sempre in Bretagna, fino al
    secolo scorso, si cospargevano i menhir di burro, miele o olio. Qualcosa del
    genere si fa tutt?oggi in India con il lingam.
    In Scozia l?espressione gaelica per chiedere a qualcuno se andava in chiesa
    era. ?Stai andando alle pietre?? Un noto proverbio del Galles recita: ?Buona
    è la pietra assieme al vangelo.?
    Il popolo dell?antica patria nordica giunse a dominare molte altre regioni,
    fino alla Libia ed Egitto. Evidentemente nelle regioni mediterranee, più
    favorite dal clima, dà inizio a civiltà più evolute e complesse. In Egitto
    la religiosità continua ad essere imperniata sulla potenza fecondatrice del
    principio divino di cui il sole è l?ipostasi. Il supremo Dio apollineo è
    invariabilmente rappresentato negli affreschi, bassorilievi e statue, come
    ithifallico. I menhir diventano obelischi, i dolmen (celle sepolcrali
    coperte da tumuli di terra), diventano invece le piramidi, dalla forma delle
    dune del deserto.
    Alla fine dell?ultima glaciazione, circa 7mila anni fa, lo scioglimento dei
    ghiacci con l?innalzamento del livello marino sommerse vasti territori. Un?
    idea precisa dell?innalzamento del mare si è avuta studiando i depositi del
    Mar Baltico che da lago divenne un mare a causa dell?invasione delle acque
    dell?oceano Atlantico. Il livello del mare crebbe di 100 metri, sommergendo
    letteralmente villaggi e monumenti megalitici. Nell?isola di Er ? Lannic,
    golfo del Morbihan, in Bretagna, uno scavo ha portato alla luce un circolo
    di pietre che si prolunga con un allineamento di menhir al fondo dell?
    oceano, terminando con un altro cerchio completamente sommerso. Sempre in
    Bretagna, a Kermic, un cerchio di menhir si trova a 4 metri sott?acqua.
    A Malta antiche carreggiate di epoca megalitica finiscono in mare. Nel 1929
    è stata individuata una grande struttura, a due chilometri dalla costa
    maltese, sul picco di una montagna, perfettamente spianata e livellata per
    far posto, probabilmente, a quello che doveva essere un edificio sacro. La
    spianata, di 310 metri quadri, si trova 19 metri sotto il livello del mare e
    i monoliti, di cui alcuni ancora in piedi, misurano 10 metri. I sacerdoti
    egizi attribuivano la distruzione di villaggi e templi del popolo datore di
    civiltà ad un castigo divino. Lo appuriamo da un Dialogo di Platone nel
    quale un certo Crizia narra la fine della prima grande civiltà come l?aveva
    ascoltata da un suo omonimo antenato, il quale a sua volta l?aveva appresa
    da Solone e questi, appunto, dai sacerdoti egizi. In pratica i pionieri
    della civiltà, quelli cioè che si erano portati nel basso mediterraneo e
    medio oriente, col tempo, mescolandosi con la popolazione locale, avevano
    finito col degenerare, minando l?integrità della stirpe e i valori su cui
    questa si fondava. Dio allora vedendo spegnersi in loro l?elemento
    spirituale volle impartirgli un castigo affinché diventassero più saggi,
    colpendoli col diluvio universale.
    Del popolo rimasto nella terra d?origine, nel nord Europa, una parte,
    stanziata secondo alcuni studiosi nelle steppe orientali, altri tra le Alpi
    e il mar Baltico, altri ancora nelle regioni della Russia meridionale
    attorno al mar Nero, per motivi che non conosciamo perfettamente, cominciano
    a loro volta a migrare anch?essi verso la fine del III millennio. Motivi
    possono essere stati l?aumento demografico o gli effetti dell?esaurirsi dell
    ?onda del diluvio dell?ultima glaciazione che aveva trasformato in aride e
    steppose zone, assicurano i geologi, precedentemente umide e temperate. Un
    popolo avvezzo a resistere alle prove di un ambiente difficile che, primo al
    mondo, aveva imparato a addomesticare il cavallo, utilizzato, oltre che come
    animale da tiro, anche da combattimento: circostanza destinata a dimostrarsi
    formidabile negli scontri in campo aperto con avversari appiedati. Grazie
    alla superiorità militare occupano vaste regioni e impongono le loro usanze,
    lingua, divinità guerriere e maschili, sostituendole o, più spesso,
    integrandole con quelle femminili proprie delle religioni degli agricoltori.
    Le migrazioni durano millenni e seguono due direttrici fondamentali, una
    verso l?Indo, l?altra verso l?Europa e il Mediterraneo orientale. Occupano
    regioni diverse e assumono nomi diversi. Ary nell?Indo, Hittiti in Anatolia,
    Achei e Dori nella penisola ellenica, Celti nell?Europa centrale, Latini e
    Osco-Umbri nella penisola italiana, Traci e Illiri nella penisola balcanica
    e nelle regioni italiane affacciate sull?Adriatico, Popoli del mare in
    Egitto, Filistei in Palestina. Quelli rimasti nelle terre d?origine
    acquistano anch?essi nomi diversi secondo la regione geografica: Sciiti a
    nord del Mar Nero, nell?attuale Ucraina, Norreni e Baltici in Danimarca e
    Germania del nord.
    Il tempo e la lontananza geografica diversifica, naturalmente, nei diversi
    gruppi la lingua comune. La somiglianza tra molti vocaboli consente comunque
    di fare luce su queste popolazioni. Sappiamo ora che appartengono allo
    stesso ceppo tutte quelle parole che riguardano un clima freddo, nebbioso,
    nevoso, il fatto poi che non compaia mai la parola ?mare? esclude che le
    popolazioni interessate dalla migrazione abbiano avuto contatto con le coste
    a nord o a sud. Il modo di riferirsi agli alberi ha fatto nascere numerose
    questioni tra i linguisti: sono attestate parole relative ad alberi d?alto
    fusto. Allevavano pecore, buoi, maiali. Tra gli animali selvatici
    conoscevano il lupo, il cervo, l?orso, il castoro.
    Sappiamo che esisteva un modo particolare di intendere i rapporti tra
    persone. La parola ?padre? indicava che svolgeva una funzione di autorità e
    prestigio nella comunità mentre l?espressione ?atta? o ?tata? sembra
    riferirsi al padre di famiglia. I termini ?fratello? o ?sorella? non
    indicano solo i figli degli stessi genitori ma tutti i membri dello stesso
    gruppo familiare come motivo di distinzione tra una gens e un?altra.
    Nonostante le distanze geografiche molte tradizioni continuano a ripetersi
    per millenni. I defunti continuano ad essere sepolti in tumuli di terra.
    Tumulo che in Grecia ricopre una grande struttura rettangolare, sormontata
    da un perimetro di pali di legno. All?interno la camera funeraria contiene i
    resti del defunto, insieme a oggetti preziosi e resti di sacrifici umani e
    animali. Sepolture che trovano descrizione nei testi omerici. La costruzione
    ricorda, a un tempo, i tumuli centro-asiatici e l?assetto dei futuri templi
    greci.
    In Macedonia si seppellivano re e aristocratici in imponenti tombe
    sotterranee, ricoperte da grandi tumuli circolari, e costituite da edifici
    con volte a botte, suddivisi in un?anticamera e in una camera mortuaria, e
    decorati da imponenti facciate.
    La tomba degli sciiti era contrassegnata da un tumulo ?kurgan?, simile a
    quella degli hittiti.
    Tra le sepolture celtiche più importanti spiccano quelle di Magdalenenberg,
    nella Foresta Nera, risalente al 550 prima dell?era volgare; la sua
    estensione lascia sbalorditi pensando all?enorme quantità di terra rimossa
    per costruire un tumulo di cento metri di diametro.
    In Messapia, terra arida e pietrosa, le celle sepolcrali sono coperte da
    cumuli di pietre.
    In India il menhir darà espressione a un santuario composto di un recinto
    contenente un albero, un palo o una pietra sacra. Il dolmen diventerà lo
    stupa, reliquario monumentale che ripete in mattoni e pietra la forma dei
    primitivi tumuli. Si costituiscono di una volta emisferica piena, poggiata
    su un basamento di spessore minimo e sormontati da una piccola piattaforma
    sopraelevata che sostiene uno o più parasoli. Un monumento circondato da una
    balaustra in cui si aprono da uno a quattro ingressi, ognuno munito di
    portico.
    Dei simboli più comuni e caratteristici si ricordano la spirale, la
    svastica, i triangoli intrecciati, o stella di Davide per l?adozione di
    questo da parte dell?omonimo re israelitico.
    Nella seconda ondata migratoria, tra quelli diretti in oriente si
    distinguono per primi, in termini di civiltà, gli Arya, tra quelli diretti
    in occidente, gli Hittiti.
    In India gli Arya trovano una popolazione dalla pelle scura e naso camuso, i
    Dasa, che riducono in schiavitù. Le donne dei Dasa diventano spesso le
    concubine degli ary e non pochi risultano i matrimoni misti. Solo più tardi
    avvertono la necessità di difendersi dalla confusione razziale e a questo
    scopo proibiscono i matrimoni misti e ripartono la popolazione in gruppi
    sociali definiti, la cui designazione, varna, colore, chiarisce il motivo
    razziale. Un sistema, quello delle varna-ashrama, non coercitivo ma di
    armonizzazione sociale modulato da regole millenarie, volte a preservare le
    caratteristiche individuali dal rischio dell?uniformità. Praticamente la
    prassi della ?teoria delle equivalenze in opposizione a quella impraticabile
    dell?uguaglianza? (Alain Daniélou, I quattro sensi della vita e la struttura
    dell?India tradizionale, Neri Pozza, ed. Vicenza 1998). Un?accentuazione
    delle naturali differenze tra gli esseri umani, dovute al grado di sviluppo
    individuale, alle caratteristiche etniche, alle attitudini morali e
    intellettuali. Intento riuscito solo approssimativamente per i tempi della
    sua adozione. I nuovi venuti parlavano il sànscrito, una lingua assai affine
    al greco, e in questa lingua complessa composero i Veda, che sono tra i
    testi religiosi più antichi della storia. Gli Arya costituirono numerosi
    piccoli Stati.
    Gli Hittiti, stabilitisi in Anatolia derivano il nome da quello della loro
    capitale Hattusa. Il loro impero si estende verso la Siria e la Mesopotamia.
    Perfezionano la metallurgia e usano per la prima volta un metallo di cui
    detengono gelosamente il segreto: il ferro. Sono infine sopraffatti da genti
    della stessa stirpe che continuano a marciare verso ovest, occupando
    successivamente i paesi dell?Europa meridionale e centrale fino alle sponde
    dell?Atlantico.
    Movimenti questi che interessano però solo i grandi flussi migratori,
    giacché gruppi limitati, magari di pochi elementi, si spingono nelle più
    lontane contrade del globo terrestre e ovunque fanno dono delle loro
    scoperte, consentendo alle diverse razze di intraprendere un autonomo,
    congeniale discorso di promozione umana.
    Tutte le civiltà al mondo iniziano da un unico centro, un?unica esperienza.
    Per quanto possa sembrare incredibile è proprio così. L?archeologia non fa
    che appurarlo continuamente, sebbene pretendesse fino all?ultimo di ritenere
    leggendaria la memoria di uomini bianchi all?origine delle maggiori civiltà,
    tanto dell?estremo oriente quanto dell?estremo occidente. La frequentazione
    degli iperborei e dei loro discendenti è attestata in tutte le civiltà
    antiche.
    L?invenzione della ceramica, dovuta 23.000 p.e.v. al genio degli iperborei,
    è trasmessa alle genti che abitavano la mezzaluna fertile, il medio oriente,
    9.000 anni dopo e da qui giunge in estremo oriente. Le più antiche ceramiche
    trovate in estremo oriente sono di produzione mediorientale.
    Benché antichi manoscritti cinesi del II sec. p.e.v. parlano dei Yuezhi e
    dei Wusum, nomadi bianchi che vivevano agli estremi confini occidentali, gli
    storici si rifiutavano di crederci, preferivano pensare a una leggenda, ma
    hanno potuto farlo finché le aride colline delle Montagne Celesti, nel
    nord-ovest della Cina, e il deserto di Taklimakan, a sud, non hanno
    cominciato a restituire centinaia di cadaveri mummificati, dai lineamenti
    chiaramente caucasici, capelli castano chiaro o biondi, nasi lunghi, occhi
    incassati e crani dolicocefali, risalenti a 3.000 anni9. Mummie di una
    comunità nomade, proveniente dalle pianure dell?Europa orientale, che
    introdusse in Cina manufatti di base, come la ruota e i primi oggetti di
    metallo, ma anche nozioni di scienza medica. Un testo cinese del III secolo
    ricorda Huatuo, un medico straordinario capace, tra l?altro, di estrarre e
    curare organi malati. Una delle mummie ritrovate presenta tracce di un?
    operazione chirurgica sul collo, l?incisione è saturata con crine di
    cavallo. Insieme alle mummie si è trovato un pezzo di legno appartenuto alla
    ruota di un carro. La ruota era stata costruita fissando insieme tre assi di
    legno in parallelo e tagliandole poi in modo da formare un cerchio. Carri
    con ruote simili a queste percorrevano le pianure dell?Ucraina nel 3.000
    p.e.v.
    Un discorso a parte si potrebbe fare sulla popolazione degli Ainu nel nord
    del Giappone.
    Il nuovo continente, le due Americhe, era conosciuto molto prima di Colombo
    se nell?America del nord sono stati ritrovati ruderi di navi vichinghe, e
    nelle grandi civiltà del centro e sud America diversi manufatti archeologici
    europei, tra cui un giocattolo con due ruote in Perù. Circostanza strana in
    un continente che all?arrivo degli spagnoli mostrava di non conoscere la
    ruota.
    Anche la civiltà megalitica fiorita sulle Ande è attribuita dalla tradizione
    locale, come in Cina, all?arrivo di uomini bianchi, più precisamente a due
    figure mitiche giunte dal mare: Manco Capac e Viracocha. Il primo,
    proclamato re, volle per sé e i suoi discendenti l?appellativo di inca che
    in lingua quichua ha lo stesso significato di aryo, cioè signore. Viracocha,
    ricordato e venerato come dio portato dal mare, il suo nome significa,
    infatti ?schiuma di mare?, era raffigurato nelle sculture e pitture come un
    uomo dai tipici tratti europei con una fluente barba rossa.. La circostanza
    lasciò allibiti gli spagnoli, poiché gli indios non hanno né pelle bianca,
    né barba, né capelli rossi, e non sospettavano neppure di essere stati
    preceduti nel nuovo continente da altri europei molti secoli prima.
    Avrebbero, eventualmente, più facilmente immaginato rapporti con i cinesi,
    data la distanza geografica e l?affinità biologica tra le due razze. I
    romani, e prima ancora i vichinghi, i fenici, i greci, erano già stati nelle
    americhe. Inca e Atzechi ricordavano ancora, al tempo della conquista
    spagnola, antichissime relazioni tra amerindi e barbuti uomini bianchi.
    Infinite testimonianze dimostrano il contributo degli europei nella
    formazione delle civiltà evolute.
    Un apporto, contributo mai venuto meno tra occidente e oriente.
    Sulla base della rilettura di antichi documenti del quinto secolo dell?era
    volgare e del ritrovamento di vasi di terracotta con disegni di soldati
    schierati a testuggine (tipica formazione da battaglia dei romani, nei
    pressi del villaggio Zhelaizhai, sul limitare del deserto del Gobi, sorgeva
    una città chiamata Liqian (nome usato a quei tempi in Cina per indicare il
    potente impero romano) e che, molto probabilmente, costituiva una colonia
    romana. Guang Heng, storico cinese, e Homer Hasepfug Dubs, della Oxford
    University, osservano che soltanto due altre città cinesi sulla Via della
    seta è stata fondata nel 53 p.e.v. da legionari al seguito di Licino Crasso
    nella campagna contro i Parti. Fatti prigionieri e poi in seguito fuggiti,
    avrebbero gettato le fondamenta di una città- descritta in un libro della
    dinastia Han- circondata da una doppia palizzata di legno, secondo una
    struttura caratteristica ed esclusiva dei romani. Un?ulteriore conferma la
    forniscono gli attuali abitanti di Zhelaizai, dai sorprendenti riccioli
    castani e occhi chiari.
    A spingere i romani verso l?estremo oriente era la seta, ma anche il ferro.
    Plinio il Vecchio sosteneva che la migliore qualità di ferro era quella
    prodotta dai ?seres?, il nome dato dai romani ai cinesi, dal quale deriva il
    nostro aggettivo serico e il sostantivo seta. I contatti non avvenivano via
    terra, a causa dei Parti, acerrimi nemici di Roma, ma per via marittima. Dal
    Mar Rosso (i porti di Clysma e Berenice, erano collegati alle città
    carovaniere di Palmyra e Petra) costeggiavano la penisola arabica, toccando
    il porto di Cana e da qui seguivano il continente asiatico fino alle foci
    dell?Indo, oppure prendevano il mare aperto, toccando terra alle Maldive,
    dopo quattro o cinque mesi di viaggio. Uno dei grandi scali doveva essere l?
    antico porto di Phnam, nel delta del Mekong, dove sono state ritrovate
    monete romane con le effigi di Marco Aurelio e Antonino Pio. Anche fonti
    cinesi attestano queste spedizioni. Un documento del 166 e.v. registra l?
    arrivo di un?ambasciata di mercanti romani a Luoyang, capitale dell?impero,
    portando in dono corni di rinoceronte, corazze di tartaruga e zanne di
    elefante.
    E pensare che fino a poco tempo fa si riteneva che i romani avessero
    conoscenze geografiche molto limitate, addirittura di non essersi mai spinti
    oltre la Britannia. In realtà i comandanti di stanza in Britannia iniziarono
    subito dopo la conquista, una vera e propria opera di esplorazione del Mare
    del Nord e dell?oceano Atlantico, ritenuti i confini occidentali del mondo
    antico.
    Tra l?82 e l?84, il comandante romano Agricola, ricorda Tacito, circumnavigò
    la Gran Bretagna e localizzò le isole Shetland, Orcadi ed Ebridi. Una delle
    scoperte più interessanti è avvenuta in quella che fino a pochi anni fa era
    considerata l?unica terra celtica inviolata dai romani, l?Irlanda, Hibernia
    in latino. Nel gennaio 1965 gli archeologi del museo nazionale irlandese
    scoprirono le fondamenta di un forte romano, esteso su un?area di due
    chilometri quadrati a Drumanagh, a meno di trenta chilometri a nord di
    Dublino. Dalle monete rinvenute, risulterebbe datato tra il 79 e il 138 e.v.
    I dati di scavo spiegano l?accampamento militare come avamposto per
    controllare una piccola porzione dell?isola e proteggere la provincia di
    Britannia contro possibili incursioni delle popolazioni celtiche del luogo,
    i Pitti (pitturati di linee blu) e gli Scotti. Nel giro di pochi anni il
    castrum si ingrandì e divenne una testa per un?eventuale occupazione dell?
    isola. E? accertata la frequentazione di mercanti gallo-romani in
    Scandinavia, Norvegia e Svezia. Armi, argenti e vasi in vetro romani sono
    stati rinvenuti, in notevole quantità, in depositi o tombe principesche nell
    ?area dello Jutland occidentale e nel meridione di Norvegia e Svezia.


    Tratto da :http://thule_italia2.tripod.com/dadove.htm

  3. #3
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito Introduzione di R. Del Ponte



    Di recente, la traduzione italiana dell'opera principale del Lokamanya B.G. Tilak, nonché l'uscita di studi specifici dedicati all'origine della tradizione artica [1], hanno riproposto all'ambiente tradizionale europeo la questione della fonte da cui le singole tradizioni traggono origine e giustificazione.
    Nel dibattito in corso negli ambienti tradizionali, da alcuni anni, sono ritornati quei temi fondamentali, anzi si è rimosso il nodo vero e proprio su cui tanto si è discusso in passato, sia al livello dei maggiori maestri che l'Occidente ha conosciuto nel nostro secolo, come Guenon, Evola o Reghini, sia a quello più modesto dei loro continuatori. Ha avuto od ha l'Occidente una sua tradizione peculiare ? É giusto, se non necessario, considerare il cristianesimo e le altre religioni rivelate nell'ambito della tradizione occidentale o non invece qualcosa di fondamentalmente estraneo all'animo dell'uomo europeo ?
    Tuttavia, al di là di artificiose suddivisioni spazio-temporali ed ancor più artificiose distinzioni spirituali, le categorie di Oriente ed Occidente - che si vollero riassumere in epoca relativamente recente nelle realizzazioni, in sé egualmente degne - della contemplazione e dell'azione - rappresentano 2 manifestazioni dell'Essere aventi un'unica origine ed il medesimo riferimento necessario: quello alla Tradizione per eccellenza, la primordiale o Iperborea, simbolicamente ed astronomicamente determinata dall'ultimo astro dell'Orsa Minore, la Stella Polare e fisicamente da una terra situata all'estremo Nord del mondo, la Terra del Sole o della Luce, la terra da cui traggono origine non solo le tradizioni dei popoli attualmente collocati nell'emisfero settentrionale del nostro pianeta, ma anche, geneticamente, la culla di quelli che, con termine alquanto vago, ancora oggi si designano come i popoli indoeuropei.
    La mitologia comparata, usi religiosi, riti, costumi, credenze, lo stesso folklore ormai degradato dei popoli della diaspora indoeuropea rimandano inequivocabilmente a questo Centro Primordiale, concepito come effettivamente esistente in un'epoca estremamente lontana ed oggi latente, così come il Saturno - dio sovrano dell'Età dell'Oro - che la più antica tradizione latina vuole celato in un Lazio pretertemporale.
    Proprio alla Terra di Luce è dedicato questo lavoro di sintesi di Christophe Levalois, lavoro che non ha la pretesa (né lo potrebbe viste le caratteristiche ed ambizioni) di essere originale, quanto il più possibile originario, rifacendosi quasi esclusivamente alle fonti che rimandano, nelle varie tradizioni disperse, alla nozione unica del Centro Primordiale.
    Il lettore dovrà dunque considerare questa non alla stregua di una opera letteraria qualsiasi, ma di giuda utile e preziosa, una introduzione o "iniziazione" ad un mondo di arcani da riscoprire sub specie aeternitatis da parte di coloro che, al di là di ogni possibile degradazione moderna, si sentono nonostante tutto esuli da una patria - qui veramente la Terra dei Padri - a cui anelano un giorno ritornare.



    1 - Cfr. il numero speciale della rivista francese "L'Age d'Or", nonchè il numero doppio di Arthos 27-28 (1983-84) dedicato a "La tradizione artica".

  4. #4
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito Il Polo del Mondo

    I popoli iperborei ! É impossibile resistere all'evocazione magica di queste parole
    Maurice Magre, La clef des choses cachées



    Nel IV sec a.e.v. la credenza meravigliosa, di saggi e immortali, situata a nord dell'Europa, è così forte che un navigatore greco di Marsiglia, Pitea, organizza una lunga traversata per recarvisi.
    Questo viaggio lo portò in Islanda, in Norvegia, forse sul mar Baltico; secondo i frammenti del suo giornale di bordo che ci sono giunti, avrebbe forse superato il Circolo Polare Artico. Sono numerosi gli autori dell'antichità che evocano l'Iperborea o Thule, il suo centro, e che lì collocano l'origine del nostro mondo. Tra i più conosciuti: Omero, Aristea, Eschilo, Pindaro, Erodoto, Ecateo di Abdera, Callimaco, Apollonio di Rodi, Eratostene, Pausania, Diodoro Siculo, Virgilio, Strabone, Ovidio, Seneca, Plinio il Vecchio, Plutarco, Tolomeo, Pomponio Mela, Giamblico, Avieno, ecc...
    Nel 306 e.v. l'imperatore Costanzo Cloro cerca a nord della Britannia quella contrada in cui, secondo le leggende a cui ci si rifersice, il Sole non tramonta mai. La navigazione di San Brandano nel VI sec e.v., racconto misterioso e fantastico, è ispirata dallo stesso mito. Qualche secolo più tardi il simbolismo polare fonde i racconti relativi alla leggenda del Graal. Un prete dell'epoca, Robert Wace - a cui dobbiamo tra l'altro il Roman de Brut e una Vie de Merlin l'enchanteur - riassume in 2 versi il mistero iperboreo:
    En north alum, de north venum,
    En north fumes nez, en north manum


    Contemporaneamente il misticismo islamico, il sufismo, e principalmente Sohravardi in Persia (che attinse alla tradizione mazdea) e Ibn Arabi in Spagna, restaurano e sviluppano il mito della terra polare originaria, attribuendole peraltro una realtà metafisica. Essa è Hurqalya, situata tra Terra e Cielo, Al-A'raf, la terra dei veglianti, dove sono gli uomini dell'Invisibile. Il polo Nord raffigura allora la realizzazione spirituale raggiunta, la trasformazione dell'individuo in un uomo di luce. Il continente artico è interiorizzato. In quest'ottica non si situa più in seno alla realtà materiale, troppo bassa perchè vi si possa incarnare. Risiede in un mondo che permane totalmente il suo, per l'eternità, quello dello spirito.
    L'affermazione dell'esistenza di una Terra di Luce, secondo un'espressione proveniente dal manicheismo, si ritrova nella maggior parte delle tradizioni, talvolta in maniera esplicita, o più sovente in maniera implicita, simbolica, velata. Ne costituisce anche la chiave di volta, il cuore.
    É chiamata in modi differenti: Iperborea, Terra Pura, Terra dell'Immortalità, Terra dei Viventi, Terra della Giovinezza, Terra Celeste, Terra d'Oro, Terra del Sole, ecc.. Talvolta assume l'aspetto di una città: Salem, Shambala, la città dei Salici, o di una montagna: il monte Meru, l'Alborz, il Qaf, la Roccia di Smeraldo, il Monte Alban, Montsalvat ecc... oppure ancora di un'isola :Isola Bianca, Avallon, Thule, Ogigia, Aztlan, Isola dei Beati ecc... Si colloca sovente all'estremo Nord. Congiunzione tra la Terra e il Cielo, l'umano e il divino, il visibile e l'invisibile, il mondo del divenire e quello dell'essere, il mondo attraverso cui prendono corpo gli spiriti e si spiritualizzano i corpi. [1]
    Diverse città, evidentemente centri religiosi, hanno rappresentato questo luogo nel corso della storia: tra le altre Babilonia, Tebe, Gerusalemme, Tara, Roma, Cuzco.
    Ogni uomo, a priori, alla fine della grande guerra santa, difficile e pericolosa purificazione, risveglio interiore, può giungere al polo. Il samsara, la ruota del divenire infine annullato, essendo al di sopra del tempo, egli diventa un uomo immortale, trascendente secondo il taoismo, ciò che equivale al jivan-mukta della tradizione indù, ossia il liberato-vivente.

    Tutto è collegato. Il mondo della tradizione opera per analogie. La realtà visibile esprime l'invisibile. Ogni centro materiale, geografico, storico, umano, terrestre presuppone un polo metafisico, atemporale, sovraumano, celeste. La perdita del centro fisico, formale, è grave, ma è riparabile se il polo spirituale non è andato perduto.

    Al contrario, se il centro divino viene dimenticato, rigettato, ne risulta una crudele agonia e poi la morte. La storia offre parecchi esempi di popoli i quali, pur avendo subito numerose calamità, distruzioni, massacri, hanno saputo ricostruire, mantenere la propria identità, la propria coesione, il proprio irraggiamento. Nello stesso tempo il mondo moderno presenta l'immagine evidente di popoli i quali, benché abbiano conservato i loro centri fisici - che d'altro canto sono solo residui folkloristici, mere apparenze - hanno perso il polo, la sorgente di vita; ne consegue una putrefazione lamentevole e tragica.

    Un mito può essere interpretato, validamente, da diversi punti di vista. Così il combattimento contro il Drago raffigura tra l'altro: una realtà personale, contro tutto ciò che trascina verso il basso e si oppone all'ascesa spirituale; una realtà comune contro la dissoluzione, l'anarchia; etnica, fra 2 razze, 2 culture; simbolica, tra il Cielo e la Terra, il fuoco e il ghiaccio; astronomica, il giorno e la notte; climatica, primavera-estate e autunno-inverno; cosmica, le forze costruttive che si ergono di fronte alle forze distruttive, tra la vita e la morte; iniziatica, la seconda nascita o il dominio del mondo basso, la supremazia dello spirito sulla materia, la conoscenza e l'ignoranza.
    Malgrado le innumerevoli difficoltà che sorgono all'interno di sé come all'esterno, la Via del Sole, che conduce alla Terra di Luce, può sempre essere intrapresa. É questo il destino, la cerca di coloro che sono figli e figlie del Sole, di Thule. Essi devono combattere dappertutto, senza posa, le potenze proteiformi uscite dalle tenebre.
    Quest'opera è lungi dall'essere esaustiva e definitiva. Restano numerosi documenti da consultare e un lungo cammino da percorrere. L'importante, qui, è di formulare dei principi, di indicare delle Vie.
    Il presente studio non deve essere preso come una realizzazione, ma come punto di partenza, come schema.


    Note

    1 - Moshen Fayz Kashani, estratto da Kalimat maknun citato da Henry Corbin in Corpo spirituale e terra celelste. Adelphi, 1986

  5. #5
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito Il continente artico

    Nei giorni del solstizio, avvicinandosi il Sole maggiormente al polo del mondo, e descrivendo un cerchio + ristretto, rischiara di un giorno continuo durante 6 mesi le terre che sono sotto di lui, e c'è inversamente notte continua, allorquando, nel solstizio d'inverno, il Sole passa dall'altro lato della Terra, ed è ciò che avviene nell'isola di Thule, così come lo descrisse Pitea il marsigliese (...) Thule, dove al solstizio d'estate noi abbiamo indicato non esserci più notte, allorquando il Sole attraversa il segno del cancro, e dove al contrario, non c'è più giorno nel solstizio d'inverno. E ciò, pare, durante 6 mesi continui. [1]

    Le tradizioni indù e persiane comprendono il maggior numero di elementi espliciti relativi ad un habitat e ad un'origine artica. Ciononostante bisognò attendere l'inizio del XX sec. affinché il Tilak spiegasse numerosi passaggi dei Veda, dell'Avesta, delle mitologie europee, e ne traesse logicamente la conclusione che le condizioni descritte provenissero da genti abitanti al polo Nord o vicino a questo. I Veda si situano tra i + antichi testi sacri che noi possediamo. Il più antico nella sua forma scritta, il Rg-Veda, risale a circa 1500 anni prima della nostra era. Tuttavia queste cifre non hanno alcuna importanza, poiché questi testi appartengono alla sruti, cioé alla rivelazione, la cui origine, non umana, si perde nella notte dei tempi. Ci fu, prima della loro stesura, un lunghissimo periodo di trasmissione orale. Una delle principali funzioni dei bramani consiste appunto nel conservare questa conoscenza immemorabile, questa eredità preziosa, vitale, scaturita dalla luce originale, espressione di un sapere superiore; in sanscrito Veda significa sapere e, per la sua radice indoeuropea, visione. Questi testi sono definiti nitya (eterni), anadi (senza principio), apaurusheya, (di creazione non umana). Il Shanti Parvan del Mahabharata riferisce:

    I grandi rishi, ai quali Svayambhu (colui che è nato da sé stesso) ha dato la potenza, hanno ottenuto grazie ai tapas (austerità religiosa) i Veda e gli Itihasas, che sono scomparsi alla fine del precedente yuga. [2]

    Tilak osserva che ogni manvantara o età ha così il suo proprio Veda, il quale non differisce da un Veda antidiluviano che per la forma e non per il senso, e queste differenze di espressione sono dovute all'imperfezione dei ricordi dei rishi (...) che ricopiano all'inizio di ogni età la conoscenza che essi hanno ereditato come fede sacra giunta a loro dagli antenati del precedente kalpa. [3]
    Questa conoscenza perduta, rappresentata da una terra, una città, o da uomini mitici, che si trovano all'inizio dei cicli, è la tela di fondo delle leggende nelle tradizioni occidentali, come quelle concernenti il Graal, aventi un rapporto con un re addormentato. Una delle più antiche proviene dalla mitologia greca e si riferisce alla prima età: si tratta del sogno di Crono, il dio dell'età dell'oro. [4] Sempre a questo proposito, il testo scandinavo dell?Edda afferma che dopo il Ragnarokk

    verranno trovate nella verzura le meravigliose Tavole d'Oro,
    che nei giorni passati i popoli possedevano
    .

    Un'altra strofa annuncia:

    Ella vede emergere
    una seconda volta
    una terra dal mare
    eternamente verde...
    [5]

    Simili sono questi versi di Seneca tratti dalla Medea :

    Nei secoli futuri, un'ora verrà
    in cui si scoprirà il grande segreto nascosto
    dell'oceano
    Si ritroverà la potente isola
    Teti nuovamente rivelerà questa contrada
    E Thule, ormai, non sarà più
    Il paese estremo della Terra


    Ugualmente simile questa visione dell'Apocalisse (v. 21):
    Poi vidi un cielo nuovo, una terra nuova: infatti il cielo e la terra di prima erano scomparsi; neppure il mare c'era più (...) Allora colui che siede sul trono disse: ecco facci nuove tutte le cose

    Il Polo e le regioni confinanti possiedono caratteristiche che non si incontrano da nessun'altra parte, salvo che al polo opposto. Ciò che colpisce maggiormente l'osservatore che vi si trova è la durata del giorno e della notte, che separano un'alba e un crepuscolo altrettanto lunghi. Tilak cita una testimonianza che permette di conoscere questo fenomeno:

    l'anno polare è così diviso: 194 giorni di sole, 76 giorni di oscurità, 47 giorni di alba e 48 di crepuscolo [6]

    Evidentemente questi dati sono variabili in funzione della latitudine. Più ci si allontana dal Polo in direzione dell'equatore, più l'alternanza del giorno si accelera, così come le albe e i crepuscoli. Altra singolarità del Polo è che il Sole, quando lo illumina, non si leva ad est per tramontare ad ovest, come dappertutto altrove, ma sembra girare attorno ad un asse invisibile, e così pure le costellazioni.
    Diventano così comprensibili alcune frasi che descrivono questa particolarità. Indra, dio vedico, qui identificato con Surya (il Sole), è descritto come

    facente girare la vasta distesa come le ruote di un carro.

    Questa stessa divinità

    tiene separati il cielo e la terra come le 2 ruote di un carro sono supportate dall'assale [7].

    Lo stesso le albe, lo dimostra questa invocazione: o alba nuova: continua a girare come una ruota. [8]

    Il testo seguente, di Rufo Festo Avieno, poeta e geologo latino del IV sec e.v. contiene analoghe indicazioni:

    (...) Thule
    Là, come i carri del Polo,
    Si appresta a toccarci il fuoco apollineo
    Nella notte luminosa,
    La ruota del Sole brucia di una fiamma continua
    Il giorno chiaro si vede introdotto
    Da una notte non meno chiara.
    Poichè il Sole gira sull'obliquo asse del mondo
    E diritto sotto di lui invia i suoi raggi,
    Poiché è più vicino all'asse occidentale.
    Fino a quando, nuovamente,
    i suoi destrieri ansanti,
    nelle parti inferiori ed invisibile del Cielo
    Non siano ricevuti dal Notus
    [9]

    La tradizione vedica divide l'anno in 2 parti, il devayana (cammino degli Dèi), dal solstizio d'inverno al solstizio d'estate; il pitriyana (cammino dei Padri), dal solstizio d'estate a quello d'inverno. Viene precisato nella Bhagavad-Gita (canto VIII):

    Il fuoco, la luce, la quindicina chiara, i 6 mesi in cui il Sole va verso nord, là giunti, gli uomini che conoscono il Brahman vanno al Brahman. Il fuoco, la notte, così come la quindicina oscura, i 6 mesi in cui il Sole va verso il sud, in questo caso, avendo raggiunto la luce della Luna, lo yogin là torna all'esistenza. Queste 2 vie, chiara e oscura, sono in effetti considerate come caratteristiche permanenti del mondo dei viventi; attraverso l'una si accede al non-ritorno, attraverso l'altra si ritorna ancora.

    Una dicotomia identica è presente nella tradizione celtica: Samain e Beltane (...) sono i 2 poli dell'anno celtico, diviso ta la luce e la notte, come si conviene ad una concezione del tempo che si rifà ad origini nordiche. Questa concezione è stata così forte, così generale, così impellente, che rimane ancora nel celebre e strano testo detto Teanga bthnua (= La lingua perpetua), che dice: C'è in questo mare un'isola il cui mare è d'oro, e c'è un altro mare che si vede salire da Beltane a Samain, e scendere da Samain a Beltane, cioé una metà dell'anno a crescere e una metà dell'anno a decrescere. [10]
    Beltane si celebra il 1 Maggio, Samain il 1 Novembre. Ciascuna di queste 2 date introduce una metà dell'anno rispettivamente chiara e oscura. Ecateo di Abdera descrive gli Iperborei come viventi sotto uno stesso clima, con un anno che comprende un giorno di 6 mesi ed una notte della stessa durata. Il giorno e la notte formano insieme un anno per gli abitanti di questo luogo riferisce il Vanaparvan del Mahabharata.
    Un passaggio del Surya Siddantha, opera sanscrita di astronomia, dice: Al Meru gli Dèi contemplano il Sole durante metà della sua rivoluzione, dopo un solo sorgere nell'Ariete. Il sorgere nell'Ariete corrisponde all'equinozio di primavera. Ciò è designato dal termine uttarayana, viaggio al nord, via superiore. Uttarayana è un giorno degli Dèi[/i] indica un altro testo. Secondo Tilak, il periodo così denominato si estende dall'equinozio di primavera a quello d'autunno. Il Manava Dharma Sastra [11] espone ugualmente:

    Un anno dei mortali equivale ad un giorno ed una notte degli Dèi, ed eccone la divisione: il giorno corrisponde al corso settentrionale del Sole, e la notte al suo corso meridionale.

    Al momento di una domanda di Yima (il primo re) ad Ahura-Mazda a proposito dell'Airyanem-Vaejo, l'Avesta specifica:
    Là le stelle, la Luna, il Sole, non devono sorgere che una volta all'anno, ed un anno non sembra essere che un giorno [12]

    Tracce di calendario artico sono parimenti rintracciabili nella tradizione cinese. Narra Tchoang-tseu Se bisogna credere alle antiche leggende, nell'oceano settentrionale vive un pesce immenso, che può assumere la forma di un uccello. Quando questo uccello si alza, le sue ali si estendono nel cielo come nuvole. Sfiorando i flutti, in direzione del sud, prende il suo slancio su una lunghezza di 3.000 stadi, poi si innalza sul vento ad una altezza di 90.000 stadi, nello spazio di 6 mesi. [13]

    La durata dell'aurora e del crepuscolo è un'altra particolarità polare già segnalata. Tilak osserva che Usas, l'Alba, nei sacri testi vedici, conta un gran numero di inni riservati al suo culto, la cui recitazione oltrepassa di molto il tempo impiegato dal Sole a comparire, tanto in India quanto in Europa. I testi sacri attribuiscono una tale importanza all'alba, salutata come un evento straordinario che giunge dopo un lungo periodo di oscurità, che, evidentemente, non si tratta per nulla dell'aurora delle nostre regioni. É pure precisato che diversi giorni separano l'apparire dell'alba da quello del Sole. Ciò è chiaramente espresso da questo passaggio del Rg-Veda (VII, 76-3):

    Veramente, erano numerosi quei giorni che erano prima del levare del Sole e durante i quali, o Alba, tu eri vista avanzare come verso un amante, e non come una femmina che se ne va.

    Nel Taittirya Samhita le albe sono 30 sorelle. Altrove viene menzionata una sola alba che percorre 30 passi [14]. L'Aurora sembra così lunga che Indra minaccia di fulminarla se si attarda troppo. [15] Poiché, come dice l'Avesta:

    Quando il Sole non sorge, i demoni distruggono tutto sulla Terra.

    Uno dei principali miti dei Veda è il combattimento che oppose Indra al drago cosmico Vrtra. Quest'ultimo ostruiva il Cielo, sbarrando il passo alle acque celesti. Il mostro gigantesco, emanazione del serpente Shesa sula quale riposa Vishnu, impedisce qualsiasi rinnovamento e fecondazione. L'assimilazione di Vrtra alle tenebre è evidente:
    La liberazione delle acque porta alla vittoria della luce, del Sole e dell'alba. Indra ha riguadagnato la luce e le acque divine [16].
    Si tratta in forma mitizzata della vittoria del giorno sulla notte [17]. L'ampiezza e l'estrema importanza date a questi combattimenti sono concepibili solo per degli uomini che attendono con impazienza il ritorno del Sole. Un'alba di parecchi giorni suggerisce in modo sorprendente questa lotta grandiosa delle potenze della luce contro i demoni dell'oscurità. Prosegue Tilak: è per questo che noi possiamo concludere senza tema di errore che verso il 2500 a.C. il popolo vedico viveva in una tradizione che riportava che in altri tempi i sacerdoti si impazientivano della lunghezza della notte, di cui non si conosceva la fine, che pregavano con fervore le loro divinità di guidarli sani e salvi sino al termine di questa paurosa oscurità. Questa descrizione della notte può venire accettata solo nel caso in cui si ammetta che si riferisca alla lunga notte artica continua [18]

    Per ciò che concerne i mesi, si rivela degno di nota che da 7, gli Aditya [19], che rappresentano fra l'altro i differenti aspetti del Sole, se ne ritrovino poi 12 nei testi posteriori, dove corrispondono ai mesi dell'anno. Ai 7 Aditya originali se ne aggiunge un ottavo, Martanda, nato atrofico [20]. A tal proposito è scritto:
    (...) ella ha respinto Martanda affinché egli nasca e muoia di nuovo [21].
    Ciò indica la sua instabilità. Possiede una parte di Sole e una parte di ombra. ciò si riallaccia all'alba, la nascita, e al crepuscolo, la morte, caratteristiche di costituzione dei mortali. I 7 Aditya sono dunque 7 mesi di luce.
    Alcuni testi descrivono il carro del Sole come tirato da 7 cavalli, in altri sono 9, talvolta anche 10. Questo è dovuto a differenze di latitudine, non potendo gli Iperborei abitare tutti esattamente al polo Nord o alla stessa latitudine. É possibile anche che la formazione dei testi così come ci sono pervenuti sia databile in un periodo della discesa ciclica in cui il Sole era presente alternativamente 9 o 10 mesi. Per delle ragioni certamente identiche, a parte il simbolismo numerico, l'antico calendario romano non contava che 10 mesi. Plutarco attribuisce l'aggiunta dei 2 mesi a Numa:
    Numerosi sono coloro che sostengono che i 2 mesi di Gennaio e Febbraio furono aggiunti da Numa. [22]
    Egli afferma pure: L'anno romano non comprendeva inizialmente che 10 mesi e non 12, ne abbiamo una prova dal nome dell'ultimo, che noi chiamiamo sempre Dicembre, o decimo mese (...) [23].

    Alla maniera di Indra gli Ashvins, gemelli, anche denominati i 2 Nasatya, lottano per il ritorno del Sole [24]. Non guerrieri, sono legati alla rigenerazione che accompagna l'inizio di tutto il ciclo. Così bisogna comprendere la liberazione delle acque celesti attraverso la morte di Vrtra, simbolo di fecondità, della vita nuovamente zampillante. Parecchi episodi lo illustrano. I gemelli ridonano la giovinezza a Chyavana, prima vecchio e decrepito, e lo stesso al vegliardo Kali. Essi salvano Bhjyu abbandonato nel tenebroso oceano. Strappano dalla gola di un lupo una quaglia, simbolo dell'aurora e della primavera nella tradizione cinese. Rappresentati con alcune piante medicinali in mano, gli Ashvins guariscono cecità, sterilità, paralisi causate da un'infermità e varie malattie inerenti ad un periodo oscuro.

    I racconti medievali riferentisi al Graal implicano passaggi aventi un senso simile, secondo cui coloro che hanno perso il contatto con la luce divina sono afflitti da malattie invalidanti. Altre leggende traggono manifestamente la loro origine da un habitat polare. Quella relativa ai 3 passi di Vishnu, di cui 2 sono visibili e il terzo no, equivale ad 1 anno di 8 mesi di luce e 4 di oscurità. La correlazione tra il primo passo e il sorgere del Sole si impone per la sua evidenza in questa richiesta che Indra rivolge a Vishnu mentre si sta preparando ad uccidere Vrtra:
    O amico ! Scavalca lo spazio [25].
    Vishnu ha pure un altro nome, ma vergognoso e peggiorativo, Shipivashta [26], che evoca il periodo in cui deve rivestirsi di un'armatura scura per combattere i demoni e dunque non appare + brillante di luce. Questo nome si associa al terzo passo, quello che scavalca il mondo tenebroso, la notte. Si rivela anche paragonabile alla storia di Trita Aptya, in cui 2 fratelli si alleano per gettare un terzo in un fossato oscuro, dal quale lo tira fuori Brihaspati, alter ego di Indra [27]. Si ritrova qui la tripartizione dei 3 passi di Vishnu di cui uno, il terzo, si svolge al di sopra di un luogo oscuro. Una leggenda slava raggruppa questi differenti miti: una vecchia coppia ha 3 figli, 2 intelligenti e 1 no. Quest'ultimo, comunque, uccide un gigantesco serpente che teneva prigioniera la luce, permettendo così a questa di diffondersi per il paese. Secondo la tradizione islamica, per raggiungere la montagna polare, il Qaf, replica dell'Alborz dei Madeiani [28], occorrono 4 mesi di marcia in mezzo alle tenebre.
    L' Avesta [29] riporta che l'Airyanem-Vaejo, "culla degli Arii", "semente degli Arii", conosce 7 mesi di estate e 5 di inverno. Identici, di conseguenza, ai 7 mesi raffigurati dai 7 Adityas, alle 7 ruote del carro solare, ai 7 raggi che ne emanano, ai suoi 7 destrieri. Altri passaggi dello stesso libro sacro si basano su 10 mesi di estate e 2 mesi di inverno. Non c'è incompatibilità: come abbiamo già sottolineato, gli Iperborei non fruivano tutti dello stesso numero di giorni di Sole. Tra il polo Nord ed il circolo polare artico il Sole si trova al di sopra dell'orizzonte per una durata variabile, compresa tra 7 e 10 mesi, a seconda della latitudine del luogo [30], nota Tilak.
    Ciò spiega come secondo certi testi l'astro del giorno emetta 7 raggi e secondo altri 10.

  6. #6
    Mjollnir
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    Reminescenze polari sono ugualmente percepibili nelle mitologie europee oltre a quelle già segnalate. Secondo la mitologia greca, Ade trattiene Persefone presso di sé per 6 mesi. Ella passa i 6 mesi seguenti con sua madre, Demetra, Dea delle messi e della germinazione. Per tutto il tempo in cui Persefone dimora lontano da sua madre la terra è sterile e l?inverno domina [31]. Anche il combattimento tra Tifone e Zeus si ricollega all?anno artico. Il mostro si accoppia al Sud, al caos, alla distruzione, all?età oscura; mentre il re degli Dèi dell?Ellade si ricollega al Nord, all?ordine celeste [32]. Tifone, dice una leggenda, fu allevato dal serpente Pitone, che in seguito combatterà con Apollo e sarà ucciso dal Dio [33]. Questi differenti scontri, come quello che oppone Indra a Vrtra, a aVali, a Ahi, rappresentano altrettante varianti del conflitto cosmico tra le forse dell?Alto e le forze del Basso. La morte dei mostri segna la vittoria del Sole sulla notte, la restaurazione della chiarezza, della conoscenza, il ristabilimento della legge e della giustizia divine, l?avvento di un unovo ciclo, di un?Età dell?Oro. Tuttavia, prima del trionfo degli Olimpici, Tifone riuscì a richiudere Zeus nel cuore di una caverna [34].
    Sconfitta momentanea della Luce. Oscuramento del principio creatore nel mondo. Poi il figlio di Crono riprende la lotta e giunge finalmente ad annientare il demone. Il sangue sgorgato dalle sue ferite, colando sul monte Haemus, situato al nord della Grecia, residenza di Borea ? esplicita analogia con l?Iperborea ? fertilizzò la terra primordiale [35].
    La punizione di Sisifo ricorda parimenti l?anno polare. La salita della pietra verso la cima rimanda all?innalzamento del Sole in direzione del Nord. Il punto culminante si identifica con il solstizio d?estate. Una volta raggiuntolo, la pietra cade. Seconda parte dell?anno. Giunta nel punto + basso, ricomincia una nuova ascesa, un nuovo ciclo [36].

    Una delle ragioni dell?ostilità di Gea, la Terra, nei confronti di Urano, il Cielo, derivava che egli tentava di respingere alcuni mostri, frutto del loro accoppiamento, nelle profondità della terra. Questi, in particolarei gli Ecantochiri, hanno la prticolarità di possedere 50 teste e, soprattutto per quel che ci interessa in questo caso, 100 braccia. Questo corrisponde ai 100 ?giorni? della notte artica. Si noti che queste creature hanno la funzione di sorvegliare le entità legate all?Età dell?Oro. Briareo, uno degli Ecatonchiri, custodisce Crono. Un mostro dalle 100 teste, Ladone [37], veglia sulle Esperidi. Tifone possiede 100 teste di drago al posto delle dita. I Veda dicono che Indra dovette distruggere le 100, o secondo altri 90, fortezze (chiamate purah) di Vrtra. Ora , se dea-purah significa giorno, purah da solo equivale a notte. Così Indra distrugge le 100 notti, fortezze tenebrose del drago e, partendo, mette fine all?oscurità.
    Cento giorni oscuri, 3 mesi circa, lasciano 9 mesi confortati dalla presenza del Sole (solo o in alternanza alla notte).
    Le Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, la Memoria, in numero di 9, furono generate in 9 notti d?amore. Il più antico canto delle Muse è quello che intonarono dopo la vittoria degli Olimipci sui Titani, per celebrare la nascita di un nuovo ordine [38]. Il parto di Artemide e Apollo durò 9 giorni e 9 notti [39]. Parimenti per 9 giorni e 9 notti Demetra cercò invano sua figlia, rapita da Ade. Il decimo giorno ottenne dal Sole informazioni precise sulla sua sorte. 9 giorni ed altrettante notti errarono Deucalione e sua moglie Pirra sulle acque di un diluvio prima di arenarsi su una montagna della Tessaglia. Il numero 9 è onnipresente nella mitologia scandinava. Heimdallr il Bianco, il più brillante degli Asi è figlio di 9 sorelle vergini. Egli dimora ad Himinbjorg (Monte del Cielo) dal carattere manifestamente polare. Il suo cavallo si chiama Gulltopp (Crine d?Oro), allusione alla prima età. La Völuspa intravvede 9 mondi (...) 9 distese immense. Odino si appende per 9 notti all?albero cosmico Yggdrasill per acquisire la conoscenza delle rune. Frey, dio della vegetazione, della raccolta e della pace, attende la gigantessa Geirrod per 9 notti prima di consumare la loro unione. Hermod, messaggero degli Déi, cavalca 9 giorni e 9 notti per giugnere ad Hel, soggiorn dei morti, al fine di incontrare Balder [40]. La morte di quest?ultimo potra il crepuscolo, il suo ritorno fra gli uomini coincide con la nuova Età dell?Oro. Vali, figlio ed ipostasi di Odino, vecchio di una notte, dunque raffigurazione dell?Aurora, lo vendica. Tra i figli di Odino, 4 sono direttamente coinvolti, giocano cioé un ruolo determinante, nel confronto tra le forze della luce e quelle delle tenebre. Vali, Vidarr e Balder appartengono alle prime. Hodr, con l?uccisione del fratello, per colpa della propria cecità, si rivela essere un rappresentante delle forze oscure. 3 su 4 equivale a 9 mesi su 12.
    Nella battaglia che chiude il Ragnarokk, dopo aver martellato a morte il serpente gigante Jormungandr, Thor fa 9 passi all?indietro e poi muore a sua volta. Appare evidente il parallelo con i 9 mesi di luce dopo la morte del drago terminanti con un oscuramento. L?indietreggiamento mette l?accento sul ritorno alle origini, riassorbimento del ciclo, sistole cosmica.

    Il pantheon celtico ospita un dio, MacOc (figlio giovane), uno degli equivalenti di Apollo, il cui concepimento e venuta al mondo durarono un giorno, un ?giorno? dunque di 9 mesi.
    Nella tradizione cinese il 9 si associa sovente al Nord-Ovest, contrada dalle 9 oscurità, dove un abisso inghiottì le acque giunte dai 4 punti cardinali. Un mostro ne custodisce una porta e arrotolandosi 9 volte su se stesso con le sue 9 teste, divora un egual numero di montagne. Al di sopra dell?abisso stanno le 9 porte dei cieli sorvegliate dai lupi. Queste si aprono sulle 9 pianure del Cielo, i 9 Cieli, le cui immagini rovesciate sono le 9 sorgenti, con l?Albero del Mondo che congiunge queste posizioni estreme [41]. Il 9 precede il 10, la reintegrazione, il ritorno al principio: rappresenta quindi l?estensione massima del manifestato, sia visibile, espresso dai 9 giorni, sia invisibile, nascosto, espresso dalle 9 notti. Il Nord-ovest unisce la direzione della dissoluzione, il tramonto, a quella del rinnovamento. Spazio posto tra il mondo che fiisce e quello che comincia. Questo è simbolizzato dal K?ouen-louen, montagna e palazzo di 9 piani, in cui sprofondano 9 pozzi, passaggio verso la sfera celeste. In questo orientamento sono presenti i 2 Poli, l?infernale rappresentato dall?abisso, e i cieli, luminosità e ordine, peraltro solidamente chiusi col catenaccio, a cui è impossibile l?accesso per coloro che non ne sono qualificati.
    L?eroe, l?asceta e talvolta persino un Dio, devono dominare, trascendere, l?integralità di un ciclo, soffrendo ed adoprandosi per 9 giorni, e qualche volta per altrettante notti, per giungere al 10. Così, una credenza riportata da autori greci, vuole che gli Iperborei che alla fine della loro esistenza si immergono 9 volte nel lago Tritone, si trasformino in uccelli. Trasmutazione indispensabile affinché si operi un passaggio ad uno stato superiore [42].
    Il 9 in quanto decomposizione di un mondo, con la sua pretesa famelica e teratologica, si oppone totalmente all?Uno, rappresenta le ultime tappe dell?età oscura. Ciò è ben illustrato da una leggenda cinese in cui un imperatore comanda al suo braccio destro, il grande Arciere, di massacrare 9 soli che usurpano il posto al Sole unico. Tilak fa notare [43] che alcuni testi sacri evocano 7 terre, 7 oceani, 7 cieli, mentre altrove si tratta di 9 terre, 9 oceani, 9 cieli, talvolta persino 10. Secondo gli Aztechi l?astro luminoso gravita in 9 cieli. Ricordi confusi di anni in cui, a seconda della latitudine, il Sole brillava per 7, 8, 9 o 10 mesi e presentava altrettanti aspetti differenti.

  7. #7
    Mjollnir
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    I racconti di lunghi viaggi, la nostalgia di una terra simile all'Eden, la situazione polare di questa terra, tutto ciò lascia perplesso colui che, guardando un mappamondo, vede in luogo del preteso paradiso solo una impressionante distesa di ghiaccio. Se oggi il Nord è sinonimo di freddo, non è stato sempre così. Paul Emile Victor in Boreal ha raccolto vecchie leggende esquimesi , secondo le quali

    in tempi molto antichi la Groenlandia non era coperta di ghiacci come oggigiorno. C'erano grandi alberi ed altre piante e faceva molto caldo. Il paese si è coperto di ghiacci solo allorquando 2 inverni si sono succeduti senza essere separati dall'estate, ed è da tempi memorabili la Groenlandia è un paese freddo (...) Ora, sono stati trovati un pò dappertutto fossili di felce arborea che mostrano come la Groenlandia, in tempi remoti, avesse avuto una vegetazione ed un clima simile a quelli della foresta vergine.

    Simili resti di vegetazione adatta a paesi caldi sono stati scoperti nell'isola Spitzbergen. La menzione di 2 inverni consecutivi non è senza interesse. L'Edda evoca Fimbulvetr (= spaventoso inverno): ci saranno 3 inverni di seguito e nessuna estate nel frattempo. [44] Si può presupporre che questa glaciazione in alcune regioni fu repentina pensando ai mammuth, congelati in poco tempo poichè i loro corpi non si sono decomposti, ritrovati intatti nel nord della Siberia, vicino all'Oceano Glaciale Artico ed ai diversi mari che lo compongono. Ciò non esclude tuttavia che in altre zone l'abbassamento della temperatura sia avvenuto + lentamente. Così il sud della Groenlandia restava ancora abitabile in un'epoca relativamente recente, poiché una colonia vichinga vi prosperò fino al XVI sec, data in cui un ulteriore abbassamento della temperatura la fece sparire. [45]

    Per ciò che concerne la posizione geografica dell'Iperborea, abbiamo già visto che il suo territorio era esteso in latitudine, considerato che alcune popolazioni ricevevano la luce solo per 7 mesi, ed altre per 6, 8, 9, 10 il che equivale allo spazio situato tra il Polo ed il Circolo Polare Artico, e questo si rivela piuttosto considerevole.
    Al contrario, è + difficile situare l'Iperborea in longitudine. La sua condizione polare fa sì che si accavallino diversi continenti. Se ci si affida agli assi di dispersione, la Terra del Sole si trova compresa fra la Groenlandia (inclusa) e quella che oggi si chiama la Terra del Nord. Posizione, dunque, che comprende la Groenlandia, l'Islanda all'estremo sud, l'isola Jan Mayen, le Svalbard, l'Isola degli Orsi, la Terra di Francesco Giuseppe, la Novaja Zemlja e l'estremo Nord del continente eurasiatico fino alla Terra del Nord.
    I Celti si dichiaravano originari del Nord-ovest, il che situa la loro terra natale vicino alla Groenlandia e all'Islanda. Le leggende relative alle quattro isole a nord del mondo originali sembrerebbero indicare che l'Iperborea non comprendeva un territorio solo, senza soluzione di continuità, bensì parecchie isole. I Celti provengono probabilmente da una terra posta ad Ovest dell'Iperborea, che influenzò l'Atlantide a causa della sua vicinanza, così come afferma Guenon. [46]

    Il centro, la quinta terra, il "Regno di Mezzo", era sicuramente quello che i Greci designarono con il nome generico di Thule, i Toltechi Tula, ed i Celti trascrissero come Tara, capitale del regno di mezzo. Queste differenti denominazioni indicano il Centro primordiale del nostro ciclo e per analogia il centro di tutti i cicli, che servì da modello, man mano che si attuava la discesa ciclica fino a quando fosse rimasto vivo un barlume di memoria presso i mortali, ai diversi centri edificati dai popoli venuti dalla Terra di Luce o influenzati dalla tradizione polare. Per quanto riguarda la popolazione, diverse indicazioni convergono a favore di un insieme di popolazioni di razza bianca. [47] Purtuttavia è possibile che nei pressi del Circolo Polare Artico popolazioni di razza gialla avessero strette relazioni con gli Iperborei. Ciò spiegherebbe numerosi tratti e molteplici riferimenti comuni. Così si potrebbe capire la designazione del Nord come terra degli antenati dei semidei, dell'origine, nella tradizione cinese. Alcune consuetudini sono testimonianze di questa alta considerazione, persino venerazione, per il Nord. L'antica Cina associava a questa direzione la tartaruga, intermediario fra la terra e il cielo. [48] Quando un re riuniva i suoi vassalli, nessun altro oltre a lui doveva mettersi a nord rivolto a Sud. I morti venivano sepolti a Nord della città con la testa orientata verso settentrione. Il nord era considerato come la regione della terra + vicina al cielo, dunque + vicina alla saggezza divina. Su questo Marcel Granet osserva: il cielo è come la sede delle potenze d'ordine morale che donano forza alle maledizioni: io prenderò questi calunniatori, li getterò ai lupi ed alle tigri del nord! - Se i lupi e le tigri non li divorano, li getterò ai maestri del Nord ! Se i maestri del nord non li prendono, li getterò ai maestri del cielo augusto. [49]
    Un altro segno dei legami che dovettero esistere tra i gialli e gli Iperborei è lo swastika inciso sull'anello di Gengis Khan. Si tratta in qualche modo di una legittimazione del Cielo attraverso il Nord. Un altro parallelo, molto interessante anche se non se ne può trarre una chiara conclusione, viene tracciato da Vladimir Georgiev, specialista di indoeuropeo, tra l'indoeuropeo antico ed il cinese: L'indoeuropeo antico o proto-indoeuropeo è durato approssimativamente una quindicina di migliaia di anni dopo la fine del paleolitico. Durante questo periodo l'indoeuropeo è stato univocalico e monosillabico, e non esisteva alcun genere di morfologia (...) Questo stadio dell'indoeuropeo assomiglia grosso modo al cinese, in cui la maggior parte delle parole è monosillabica e non esiste la morfologia [50]

    Il primo sovrano della Cina, Fou-Hi, era bianco. chiamato con il titolo di Augusto, incarna una figura mitica la cui azione civilizzatrice ha potuto esercitarsi a lungo prima dei tempi storici e fuori dal territorio cinese o, altra possibilità, personifica l'Iperborea. Queste diverse interferenze hanno potuto anche prodursi ulteriormente nel corso della discesa ciclica.

  8. #8
    Mjollnir
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    Note al capitolo 2




    1 Plinio il Vecchio, Storia Naturale


    2 In sanscrito la radice tap significa calore, concentrazione, praticare l'ascesi.


    3 B.G. Tilak, La dimora artica nei Veda. Ecig, Genvoa, 1987


    4 Parimenti Vishnu tra 2 creazioni o interventi sprofonda in uno stato che è nello stesso tempo sonno e, soprattutto, contemplazione,


    5 Voluspa, strofa 59. Estratto precedente, strofa 61


    6 Op. cit.


    7 Rg-Veda X, 89, 4


    8 ibidem, III 61, 3. Caratteristica che si ritrova in questo estratto di una leggenda narrata da Saxo Grammaticus, dunque nel Medioevo oppure che tu visiti i paesi dal clima gelido, dove si manifesta l'asse del mondo, trascinante la volta dei cieli in un vivo vortice, e contempli da vicino la Grande Orsa Chiara allusione all'Iperborea.


    9 Tratto da Descrizione della Terra. Il notus indica il vento del sud.


    10 Les druides, F. Le Roux - C. Guyonvarch. Ogam celticum, Rennes, 1978


    11 Manava Dharma Sastra. Atanor, 1972


    12 Vendidad, Fargard II


    13 Les peres du systeme taoiste. Les belles lettres, 1983. Una nota aggiunge: Allegoria analoga a quella della salita e della discesa annuale del drago. Nubi del nord, condensate in pioggia a sud. Vapori restituiti dal sud al nord. Ciclo annuale di 2 volte 6 mesi.


    14 Rg-Veda VI, 59,6


    15 Egli talvolta attua le proprie minacce: E certo, Indra, tu ti comportasti da eroe, da maschio, quando battesti la cattiva donna, figlia del Cielo ! Sì, tu l'hai spezzata, Indra, l'Aurora, benché ella fosse la figlia del cielo ! Tu che sei grande, tu hai annientato colei che si faceva grande per affrontarti !. Rg-Veda Samhita IV 8, 9, 30 e in Cosmogonies vediques di Jean Varenne.


    16 Citato da Tilak, cap. IX, op. cit.


    17 Questo combattimento riveste differeenti aspetti. Indra affrontaparecchi mostri succedanei di Vrtra, quali Namuci, Ahi, Sushna, Shambara, Vala, Pipru, Kuyava etc. Similmente altre divinità lottano contro le forze del caos: Brhaspati, gli Angiras, i Navagvas, i Dashagvas etc. La maggior parte delle tradizioni implica combattimenti cosmogonici identici che si ripetono fra i cicli. Tishtrya contro il demone Apasha, o ancora Thraetaona e il drago Aji-Dhaka in Persia. Ra (il Sole), e Apopis, Horus e Seth in Egitto, Tyr e Odhinn contro Fenrir in Scandinavia. Zeus e Tifone, Apollo e Pitone, in Grecia. L'enorme drago, l'antico serpente, al quale si oppone San Michele nell'Apocalisse


    18 Tilak, op. cit.


    19 "Figli di Aditi". Questa rappresenta, secondo Aurobindo, "la luce che è la madre di tutte le cose", menzionata da Jean Herbert in Les Adityas, Derain, 1950. Il suo contrario e compagno, Diti, rappresenta la sua forma oscura, nera.


    20 Anche chiamato Vivasvat, il Sole nascente, fratello gemello di Indra. Si sdoppia in Yama, guardiano del Sud e dei morti, e Kuvera, signore del Nord e delle ricchezze, dal corpo brillante come oro. É l'avo di Manu Vaivasvata, discendente di Vivasvat. La sua ambivalenza caratterizza il mondo manifesto e ne fa il padre degli uomini.


    21 Rg-Veda Samhita, 10-72


    22 Re di Roma nell'VIII e VII sec. e.v.


    23 Vite parallele.


    24 Per l'aspetto, e non per la funzione, si avvicinano ai Doiscuri, Castore e Polluce. Da notare che dei gemelli romani il primo muore , mentre il secondo viene divinizzato e ottiene lo stesso favore per suo fratello. Asclepio, figlio di Apollo e di una mortale, è il padre di 2 medici famosi, Podalirio e Macaone. Nella tradizione celtica l'equivalente di Apollo guaritore, Diancecht, possiede 2 figli, Miach e Oirmiach, i cui nomi vogliono entrambi significare "staio" "moggio", denominazione che servì talvolta a designare la Grande Orsa in Cina. Per gelosia Oirmiach uccide Miach, rivelando così la sua natura mortale al contrario di suo fratello.


    25 Rg-Veda, IV 18,11


    26 "Avvolto come i testicoli", "dai raggi oscurati".


    27 Trita deriva da triteshu, "terzo". Aptya equivale a "nato e dimorante nelle acque". Alcuni autori hanno preso in considerazione come radice tri "attraversare", così come "mare", irlandese antico triath, greco triton, persiano thrita, sanscrito trita. Da accostare, in questa ultima lingua, a tirtha, "passaggio", "guado", della stessa famiglia del latino tarentum. Nella tradizione avestica Thraetaona Athwya, simile a Trita Aptya, sopprime il drago Aji-Dhaka: da notare che durante il cammino i suoi 2 fratelli cercano di ucciderlo.


    28 Corbin, in Corpo spirituale... cit., espone che "il geografo Yaqut attesta espressamente che la montagna Qaf un tempo si chiamava Alborz.


    29 Vendidad, fargard 1.


    30 Cap. XI, op. cit.


    31 I Romani chiamano Persefone Proserpina, che ritorna dagli inferi a primavera.


    b]32[/b] "Il serpente Tifone è un simbolo dell'asse del mondo legato nello stesso tempo al segno del Cancro. L'opposizione Cancro-Capricorno è molto spesso rappresentata dal combattimento di Zeus (che siede sull'Olimpo) e di Tifone" sostiene Jean Richer in Geographie sacree du monde grec, 1983


    33 Tifone e Pitone un unico principio. Una inversione della "t" e della "p" differenzia i loro nomi, come si rileva + chiaramente dalla traslitterazione dal greco: Typhon - Python). similmente lo stesso Apollo compare come il doppio di Zeus.



    34 Egli recide i muscoli ed i tendini del signore dell'Olimpo e li nasconde all'interno di un otre confezionato in pelle d'orso, allusione al Polo. Lo custodisce il drago femmina Delfina, eponimo di Delfi. Sulla simbologia della caverna v. nota 35 del capitolo Il polo e la simbologia del centro.


    35 Questo episodio va messo pure in relazione con le virtù attribuite al sangue del drago nel quale l'eroe deve immergersi. Così nella tradizione germanica Sigurd e Fafnir. Ugualmente Ercole con il leone di Nemea e, in maniera differente per quel che riguarda gli effetti, con la tunica di Nesso.


    36 Il Nord è l'origine e lo spazio intermedio tra il Cielo e la Terra, dunque il + alto situato nel nostro mondo. Tuttavia, in apparenza paradossalmente, talvolta è situato in basso, analogo in questo al simbolismo dell'albero rovesciato. Cfr. L'arbre inverse A. coomaraswamy, Arche 1984. Il Gylfaginning precisa : Il cammino di Hel va verso il basso e verso Nord e in irlandese il termine ichtar equivale a "nord" e "basso". Ugualmente la tradizione cinese situa il Nord in basso.


    37 Figlio di Tifone e di Echidna. Un'altra versione gli attribuisce per genitori Forco e Ceto. Ucciso da Ercole divenne per volontà di era la costellazione del Serpente. il levarsi solare di questa annuncia l'Inverno. Ciò corrisponde come orientazione simbolica al Nord-ovest, la' dove si trova il giardino delle Esperidi.


    38 Pierre Grimal, Dictionnaire de la mythologie grecque et romaine, PUF 1982


    39Per convincere Ilizia, dea delle nascite, Leto le offrì una collana d'oro e d'ambra lunga 9 cubiti.


    40 Hel, lo ricordiamo, si situa al Nord. La sua trasformazione in luogo maledetto dovette avvenire nel corso della discesa ciclica. Non si tratta + allora della terra degli Avi e della felicità, benché vi risieda, imprigionato, il dio che personifica l'età dell'oro. Egli dona ad Hermod l'anello d'oro Draupnir, il quale ogni 9 notti produce 8 anelli simili. Rappresenta il principio che alla fine di 1 anno di luce genera il ciclo seguente sotto forma di succedanei, come i differenti centri nei confronti del polo primitivo, essendo il nono anello Draupnir l'originale.


    41 Su ciò: Il pensiero cinese. Adelphi, 1971



    42 Sul significato del lago Tritone ved. nota 27. Simbolicamente l'uccello equivale spesso all'angelo, oltre ad avere un rapporto con l'anima. Nella bibbia alcuni angeli hanno l'aspetto di aquile, mentre la tradizione celtica li rappresenta come cigni. In latino avis ha il doppio significato di uccello o messaggero o inviato (veramente questo doppio significato di avis non risulta: risulta invece quello di presagio, per estensione degli uccelli, aves, dall'osservazione del cui volo si traevano i presagi N.d.E.)
    In greco aggelos significa appunto messaggero. Esiodo afferma a proposito degli uomini dell'Età dell'oro " dopo che il suolo ha ricoperti quelli di questa razza, essi sono per volere di Zeus, i buoni geni della Terra, guardiani dei mortali, dispensatori di ricchezze: è il reale onore che fu loro attribuito" da Le opere e i giorni Rizzoli. Genio proviene dal latino genius, la cui radice significa "ciò che genera", e designa l'anima di una persona, di una stirpe, di una razza. Secondo il Mahabharata, "nessuno, salvo gli uccelli, va mai verso l'oceano nordico." Ved. anche R. Guenon La lingua degli uccelli Adelphi 1984.



    43 Cap. X, op. cit. . Evidentemente non tutta la simbologia dei numeri si riallaccia esclusivamente alla spiegazione polare, ma una parte relativamente importante vi si ricollega incontestabilmente.



    44 Gylfaginning, cap. 50



    45 Dimostrato anche dallo studio della carta di Zeno, pubblicata nel 1380, e di quella del geografo Tolomeo (II sec. e.v.) di cui la + antica edizione conosciuta risale al XIV sec. Nella prima la Groenlandia è rappresentata per la maggior parte libera dai ghiacci: vi si distinguono 2 catene di monti a nord e sud, al centro di estende una vasta pianura oggi ricoperta dal mare. La carta porta anche indicazioni su corsi d’acqua. Nella seconda, appare ugualmente libera dai ghiacci, salvo a nord, pure con laghi e corsi d’acqua. Resta comunque il mistero dell’origine delle informazioni che hanno permesso la stesura di queste carte. Cfr. Certaines choses que je ne m’explique pas di Remy chauvin, Retz 1976. La Blavatsky cita il seguente estratto di Mythical Monsters di Could, in La dottrina segreta, Sirio: [i]”Durante il Miocene la Groenlandia (70° lat. Nord) era ricoperta da una gran quantità di alberi come il tasso, al sequoia, affini alle specie californiane, il faggio, il platano, il salice, la quercia, il pioppo e il noce, così come un tipo di magnolia e di zamia”/i].


    46 R. Guenon, Forme tradizionali e cicli cosmici. Mediterranee1974


    47 Se pure è legittimo avanzare l’ipotesi che gli Iperborei fossero di razza bianca da un punto di vista biologico, esteriore, questo aspetto è comunque secondario: essendo il bianco principale quello della purezza interiore. In questa era di armonia l’aspetto esterno rifletteva quello interno, il visibile l’invisibile. Secondo il Narayaniya Parvan del Mahabharata, Svetadvipa, il continente bianco situato all’estremo nord del mondo è abitato dagli “uomini bianchi”, i “bianchi asceti”.


    48 Su questo ved. Mohammad Ishaq Siddiqi Lotus and Tortoise as symbols of the earth, incluso in Mythical Geography of the hinus, in north polar origin, Academy of Atlantology, Lucknow, 1984. L’autore spiega in particolare [i]Per procurarsi l’amrita (nettare d’immortalità) gli Dei e gli Asura decisero di battere l’oceano di latte. Vishnu era incarnato in una tartaruga che portava il monte Meru, utilizzato come pestello per la burrificazione.
    Il serpente Vasuki serviva da corda per girare il pestello. Per capire questo mito bisogna interpretare così i simboli principali: l’oceano di latte è l’oceano artico, il monte Meru la montagna polare del nord, la tartaruga l’isola polare del nord, Vasuki la costellazione del drago. Questo mito si riallaccia al racconto dell’eruzione di Meru, un vulcano in attività (da molto tempo sommerso). La catastrofe avvenne quando la stella polare era l’Alfa del drago. L’idea di una burrificazione fu presa a prestito da una rotazione degli astri intorno alla stella polare, denominata Kashyapa (che significa tartaruga). Nel Taittiriya Aranyaka 1,7,1 il monte Meru è descritto come la sede dei 7 Aditya, mentre l’ottavo Adita, Kashyapa, non lascia mai il grande Meru Mahameru. Kashyapa viene descritto + oltre come colui che trasmette la luce ai 7 Aditya, e che illumina di luce propria costantemente la grande montagna. Qui i 7 Aditya rappresentano le 7 stelle dell’Orsa maggiore, anche chiamate Sapta Rishi (sette saggi) dagli Indù.



    49 Marcel Granet, La religione dei Cinesi. Adelphi, 1978


    50 L’aspect novueau du verbe indo-europeen. Institut d’Etudes Indoeuropeens. Lyon 1982.


  9. #9
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito L'Iperborea

    "anche i popoli, la razza più antica, che abitano al nord, al di là delle rive di Borea (...)"
    Callimaco, Inno a Delo



    L?Iperborea corrisponde ad un?epoca idilliaca, l?Età dell?Oro. Il principale errore su questo soggetto, dovuto all?egocentrismo ipertrofico dell?opinione contemporanea, consiste nel considerare quell?età in funzione di questa attuale. In nessun caso la prima età è quella della pigrizia, del far niente, degli svaghi, dell?edonismo, della facilità, del trionfo dell?individualismo come di quello delle masse, l?età dei capricci realizzati in ogni maniera, dello stomaco sempre pieno, del confort assoluto. Non esiste alcun punto comune tra questa visione tipicamente moderna ed involutiva e l?autentica età dell?oro. Certamente le condizioni di questa erano gradevoli, ma bisogna vedere in questo solo una conseguenza, non una necessità primaria. Su questo Pierre Gordon ha giustamente scritto: (..) l?Età dell?Oro fu un?era di incomparabile ascesa e di rinuncia all?universo fenomenico. La beatitudine e la straordinaria longevità caratteristiche di quei tempi remoti non erano per nulla dovute ad una facile esistenza esteriore, ma dipendevano dalla totale padronanza del pensiero umano sulle sensazioni ed al numero ridotto di bisogni. Non si può comprendere questa nozione dell?Età dell?Oro se si perde di vista il fatto che si trattava di una concezione teocratica poggiante sulla preponderanza dello spirito e la mortificazione della carne. [1]
    Dal punto di vista di un individuo moderno che vive pienamente i principi che reggono il mondo attuale, credendoci fermamente, l?Età dell?Oro della tradizione non corrisponde per nulla ad un paradiso. Per contro, la sua età dell?oro, così come egli la idealizza, corrisponde all?età oscura della tradizione.
    Per noi, vicini al denudamento dell?età oscura, esiste un modo di avvicinarsi all?Iperborea con l?immaginazione, pur con tutti i limiti dei quali bisogna sempre avere coscienza, grazie alla dottrina dei cicli.. In effetti, secondo lo svolgimento ciclico e il posizionamento di un ciclo rispetto ad un altro, l?ultima età si pone all?inverso della prima, il mondo moderno all?opposto di quello iperboreo. Ciò è riassunto da questa nota di Michel Valsan : ?per poter realizzare la restaurazione dello stato primordiale bisogna invertire l?attuale orientamento umano? [2] Due poli opposti hanno una rassomiglianza nello spirito piuttosto superficiale. Ma uno è positivo (l?Età dell?Oro), l?altro è negativo (l?età oscura). É questo il significato di una leggenda cosmogonica finnica nella quale Dio, prima della creazione, scorgendo la propria immagine nel mare, le intima alzati. L?immagine è il diavolo.
    Qualche esempio illustrativo. Nell? Età dell?Oro, secondo gli Indù, non esistecva che una casta chiamata hamsa. Noi constatiamo ogni giorno di +, che il mondo moderno tende a ridurre la società in una sola classe ? si badi alla differenza fra i termini casta e classe. In realtà c?è totale opposizione. Hamsa si riferisce ad una unità spirituale contenente tutte le potenzialità espresse dall?alto attraverso lo spirito. La classe unica opera una uniformazione, un appiattimento verso il basso, attraverso la materia e la forma, priva di qualsivoglia potenzialità. La differenza si rivela quindi radicale.
    Un?altra immagine sintomatica su un piano politico-simbolico è rappresentata dalla falce e martello simboli del comunismo. La falce è uno degli attributi di Saturno, Dio dell?Età dell?Oro nella tradizione latina, Crono per i Greci. Se questo utensile nel suo aspetto positivo, per es. la falce d?oro dei druidi usata per raccogliere il vischio, simbolo di immortalità, rappresenta la luna crescente, la fecondità femminile, le messi, nel suo aspetto negativo invece diviene arma del tempo, rende eguali e provoca la morte.
    Durante i Saturnali, nel periodo del solstizio d?inverno, tutti gli uomini erano considerati uguali, reminiscenza della casta unica originaria. Al contrario il comunismo, emanazione della quarta casta, l?ultima, pone come principio l?uguaglianza di tutti gli uomini al suo livello e spinge, con la sua azione politica ed ideologica, ad un livellamento verso il basso, al collettivismo, sua sola concretizzazione possibile. Il martello, equivalente della scure, rappresenta il lampo, legame soprannaturale tra Cielo e Terra, fecondazione divina. Da strumento delle forze dell?alto oggetto delle potenze del basso per distruggere ogni giorno di più. Non si tratta più del martello di Thor, ma di quello di Efesto (**). Parallelamente la società dei consumi, detta dell?abbondanza, identica nel fondo e nel destino al comunismo, si ritiene paradisiaca, e ci si sforza in tutti i modi di provarlo. In effetti tutti gli individui da cui essa è composta sono prigionieri della materia, del loro ego, esattamente all?opposto della vera libertà che si conquista con la realizzazione spirituale mirante a raggiungere l?incondizionato. L?artificio, la tecnica, le scienze profane [3] le donano un aspetto eccezionalmente brillante, una lucentezza scintillante, ma non sono che catene e asservimenti, finzioni, oblio e putrefazione, bassezza e menzogna. Maya questo nome indica nella tradizione indiana sia la forma che la potenza nello spazio e tempo, sia la materia che, soprattutto, l?illusione, signora incontrastata di questo mondo.

    É ugualmente possibile distinguere l?Età dell?Oro dall?età oscura con 2 verbi: Essere e Avere. Gli Indiani chiamano la prima età Satya-yuga, età della verità, età dell?Essere. Il mondo attuale è quello dell?Avere, dell?illusione. Questa, spinta al massimo, offre un?impressione fittizia dell?essere grazie alla sua onnipresenza visibile ed artificiale come una brillante conchiglia vuota, L?Essere non ha per nulla bisogno dell?Avere, che non è che la sua parodia.
    Anche ricerche archeologiche effettuate allo scopo di portare alla luce resti di una ?civiltà iperborea?, nel caso poco probabile in cui potessero essere realizzabili, non raggiungerebbero agli occhi dei moderni che dei risultati scoraggianti, tanto la forza degli Iperborei risiedeva in essi e non al di fuori di essi.

  10. #10
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    L?Età dell?Oro e l?Iperborea si distinguono dalle altre età e dalle altre terre per alcuni tratti tipici. Il clima innanzitutto. Esiste una stagione sola, la Primavera. Secondo Ovidio, la primavera era eterna, i tranquilli zefiri accarezzavano col loro soffio tiepido i fiori nati senza semente. [4] L?auotre latino indica per altro che invece, a partire dall?età dell?argento, gli uomini si rifugiarono in dimore, poiché Giove regolò in 4 stagioni il corso dell?anno, che da allora è come noi lo conosciamo.

    Si può concepire questa primavera continua solo se la Terra è orientata diversamente in rapporto al Sole. Ciò sottintende che qualche avvenimento catastrofico abbia variato l?orientamento del suo asse, di cui il più verosimile è l?impatto violento con un grosso meteorite. Così lo spiega Velikovsky: La primavera segue l?inverno, l?estate precede l?autunno, poiché l?asse di rotazione della terra è inclinato sul piano dell?eclittica. Se l?asse fosse perpendicolare a questo piano non ci sarebbero stagioni sulla terra. Se invece cambiasse direzione le stagioni cambierebbero d?ordine e di intensità. [5]
    In questo periodo la Terra offre agli uomini tutto ciò che necessita loro per nutrirsi: la Terra stessa anche, libera da ogni costrizione, risparmiata dal dente della zappa, ignorante la ferita del solco, donava senza essere sollecitata tutti i suoi frutti; soddisfatti da alimenti prodotti senza alcuna fatica, gli uomini raccoglievano le bacche del corbezzolo e le fragole di montagna, il corniolo e le more attaccate ai rovi spinosi e le ghiande cadute dall?albero frondoso di Giove (...) anche la terra, senza l?intervento dell?aratro si ricopriva di messi e di campi, senza alcun intervento, biancheggiavano di pesanti spighe; era l?età in cui scorrevano fiumi di latte, fiumi di nettare, in cui il biondo miele goccia a goccia cadeva dal verde leccio. [6]
    Virgilio aggiunge elementi analoghi: prima di Giove nessun contadino lavorava la terra: sarebbe stato persino sacrilegio delimitare i campi o dividerli con una cinta; ogni profitto veniva messo in comune e la terra produceva da sé con tanta più liberalità in quanto nessuno la sollecitava (...) [7] e similmente la tradizione scandinava afferma a proposito della prossima età dell?oro sui campi non seminati cresceranno i raccolti.

    Secondo le leggende greche, in conseguenza di questa abbondanza e del clima, gli Iperborei non possedevano case, vivevano nei campi e nei boschi. Essi erano vegetariani, come è chiaramente precisato da questa frase di Ovidio: (...) questa età antica a cui noi abiamo dato il nome di età dell?oro, considerava sua letizia i frutti degli alberi, delle piante nutrite dal suolo, e l?uomo non si sporcava la bocca di sangue. [9] Vedremo in un altro studio che la rottura con questo tipo di alimentazione coincide con la fine dell?Età dell?Oro. Per questo uso di non consumare carni e grazie alla loro purezza, gli Iperborei conversavano con gli animali, come ci riporta Platone: se i neonati di Crono, con tanti piaceri e facilitazioni per intrattenere propositi non solo con gli uomini ma ancora con le bestie, usarono tutti questi vantaggi per filosofeggiare, conversando con gli animali così bene che tra di loro e interrogando tutte le creature per vedere se ce ne fosse una, più felicemente dotata, che venisse ad arricchire con una scoperta originale il patrimonio comune di sapienza, è facile giudicare che quelli di allora superassero infintamente in felicità quelli di adesso. [10]
    Ovidio assicurava che a quei tempi gli uccelli senza pericolo svolazzavano nell?aria, la lepre senza paura vagava tra l?erba, il pesce non era preso all?amo, vittima della sua credulità. Dappertutto, senza che ci fossero da temere trappole o la frode, regnava la pace. [11]
    Nella bibbia sono presenti tracce di un?epoca in cui erano costanti un?intesa ed un dialogo con gli animali. Una leggenda cinese a afferma che nel paradiso i geni vivono mescolati alle bestie. I santi ricercano e sanno ottenere la familiarità con gli animali. [12]
    I testi antichi sottolineano e insistono sovente sulla longevità eccezionale degli uomini della primna età. Secondo la bibbia Adamo visse 930 anni. La tradizione cinese relaziona: Stanchi del mondo, dopo 1000 anni di vita, gli uomini sommi si elevano al rango di geni e, saliti su una nuvola bianca, giungono al soggiorno del sovrano dell?Alto. [13]
    Esiodo descrive in questi termini la longevità di allora: Gli uomini vivevano come Dèi (...) la vecchiaia miserabile non pesava su di loro, ma braccia e garretti sempre giovani (...) Morendo sembrava cedessero al sonno. [14]
    Secondo la tradizione ebraica procedendo man mano nell?involuzione i patriarchi vivono sempre meno a lungo, in particolare dop Noè. Mentre questo superò i 900 anni, Sem non visse che 600 anni, Eber 464 anni, Peleg 239 anni e Abramo 165 anni.

    Gli Iperborei non morivano effettivamente, ma si trasformavano in geni protettori, così come è indicato in questo passaggio di Esiodo: Dopo che il suolo ha ricoperto quelli di questa razza essi sono, per volere del potente Zeus, buoni geni della Terra, guardiani dei mortali, dispensatori di ricchezza: è l?onore regale che fu loro distribuito. [15] Il culto degli antenati deriva da questa credenza, così esposta da Evola: (...) non era il morto in sé, ma il morto concepito come una forza che sussiste, che continua ad essere presente negli strati profondi di una stirpe e nel destino di una famiglia, di una gens o una razza vivente ad agire positivamente su questa stirpe (...) Il morto resta unito ai viventi, non come semplice energia della razza, come via del sangue, ma trasfigurato come un principio luminoso che ha come corpo la fiamma accesa ritualmente al centro della dimora patrizia. [16]
    Altre caratteristiche dell?Età dell?Oro sono la pace e l?armonia. Il polo, punto di equilibrio, posto all?incrocio, al centro delle differenti forze e degli antagonismi,,li trascende. Secondo i Greci la giustizia, Astrea, risiedeva in mezzo agli uomini durante la prima età. Questo per sottolineare che per la loro purezza regnava la giustizia e dunque l?equilibrio e l?armonia di cui essa è garante. Ovidio insiste su questo aspetto: In assenza di qualsiasi giustiziere, spontaneamente, senza legge, vi erano praticate la buona fede e l?onestà. Il castigo e la paura erano ignoti. [17] La tradizione indiana presenta in questo modo gli uomini di quel periodo: Gli uomini sono in generale contenti, pieni di compassione, di benevolenza, i sensi appagati e domati; essi sono pazienti, tovano in sé stessi la loro felicità, vedono tutto con gli stessi occhi (...). Gli uomini allora tranquilli, ignoranti l?ansia, affettuosi, di umore costante, onoranti Dio con il loro ascetismo, la loro tranquillità d?animo e frenanti le loro passioni. [18]
    Callimaco dice di Delo, posta all?inizio di un ciclo per la nascita di Apollo: Né Enio né Ade calpestano il tuo suolo, Nè i cavalli di Ares. [19] Stessi accenni di Pindaro a proposito degli Iperborei: la Musa non lascia mai i loro paesi, dappertutto cori di giovanette, suoni di lira, canti di flauti, capelli annodati di allori d?oro, feste, gaiezza. Per questa razza santa né malattie né vecchiaia. Ingorando il lavoro ed i combattimenti, essi vivono protetti contro Nemesi giustiziera (...). [20]
    La tradizione cinese riporta: Il monte Lie-kou-ie si trova nell?isola Ho-tcheou. É abitato da uomini trascendenti, che non fanno uso di cibi, ma aspirano l?aria e bevono la rugiada. Il loro spirito è limpido come acqua di sorgente, il loro colorito è fresco come quello di una fanciulla. Gli uni dotati di facoltà straordinarie, gli altri soltanto molto saggi, senza amore, senza paura, vivono tranquilli, semplicemente, modestamente, avendo quello che occorre loro senza aver bisogno di procurarselo. Presso di loro lo Yin e lo Yang sono perennemene in armonia, il Sole e la Luna rischiarano ininterrottamente, le 4 stagioni sono regolari, il vento e la pioggia vengono a comando, la riproduzione degli animali e la maturazione dei raccolti giungono al momento opportuno. Nessun miasma mortifero, nessuna bestia nociva, nessun fantasma che causa malattia o morte, nessuna apparizione o rumore straordinario (fenomeni che denotano sempre un difetto nell?equilibrio cosmico). [21]

    Armonia che va di pari passo con la vita dello spirito. Erodoto chiama gli Iperborei uomini trasparenti. Altri autori ritengono che essi siano esseri immortali. [22] Un testo indù dice che gli uomini bianchi abitano a nord del mondo, e sono sprovvisti di funzioni sensoriali. [23] Non provano così che indifferenza di fronte al mondo fenomenico esteriore. Tchoang-tseu lo riporta attraverso questo dialogo:

    (...) nella lontana isola di Kou-chee abitano uomini trascendenti bianchi come neve, freschi come neonati, che non prendono alcun alimento, ma respirano il vento e bevono la rugiada. Passeggiano nello spazio servendosi delle nubi come carri e dei draghi come cavalcature. Con l?influsso della loro trascendenza preservano gli uomini dalle malattie e fanno maturare le messi. Sono evidentemente delle follie, perciò non ho creduto a nulla...

    Lien-chou rispose:

    [i]Il cieco non vede perchè non ha occhi. Il sordo non sente perchè non ha orecchie. Voi non avete capito Tsie-u perchè non avete spirito. Gli uomini superiori di cui ha parlato esistono, e pure hanno virtù ben più meravigliose di quelle che voi avete appena numerato. Ma per ciò che riguarda le malattie e le messi, essi se ne occupano così poco che, se pure l?impero cadesse in rovina e tutti li implorassero in soccorso, non si preoccuperebbero, tanto sono indifferenti a tutto. Il superuomo non è attaccato da nulla. Un diluvio universale non lo sommergerebbe. Un?esplosione universale non lo dilanierebbe. Tanto egli è elevato al di sopra di tutto. [24]

    La pace e la giustizia costituiscono i principi fondamentali in qualsiasi società tradizionale. Da qui derivano gli epiteti accordati a coloro che, nel corso della regressione ciclica, hanno incarnato il Polo e che un tempo con il loro esempio hanno suscitato fra gli uomini un soffio vivificante proveniente dall?Iperborea. Evola osserva: Il cakravarti, sovrano universale, oltre ad essere signore della pace, è signore della legge (o ordine, rito) e della giustizia. Egli è dunque dharmaraja. La pace e la giustizia sono attributi fondamentali delle regalità conservatisi nella civiltà occidentale fino agli Hohenstaufen (...) [25]. Un testo sanscrito sull?Età dell?Oro dice: Tutti gli Iperborei erano l?immagine del cakravarti (...) gli esseri compivano il loro dovere fin dalla nascita. [26] Per dovere si intende l?unione con la legge cosmica e divina ? ordine si traduce kosmos in greco ? e non il senso morale, esteriore, che caratterizza questo termine ai giorni nostri.
    Gli Iperborei vivevano al Polo, o vicino a questo, e, più importante, possedevano in sé stessi il centro. Al Polo metafisico corrispondeva il Polo fisico. L?assenza dell?uno sarà una perdita irreparabile e funesta per l?altro. Certo, nel corso della discesa ciclica, gli eredi della tradizione polare costituirono centri ad immagine del primo, Thule, dell?Isola Bianca primordiale, più o meno fedeli, ma nessuno eguagliò il modello originale. Divenne sempre più difficile accedere al polo spirituale, alla conoscenza e all?etica che vi si riferiscono, man mano che ci si allontanava dal polo geografico.

 

 
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