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  1. #1
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito Gianantonio Valli, Le radici ideologiche dell'invasione

    Gianantonio Valli
    Le radici ideologiche dell'invasione

    Si tratta di un articolo comparso sul n° 52 del'encomiabile rivista "L'Uomo Libero". Reperibile presso la libreria Ar (http://www.libreriaar.it) oppure tramite casella postale 1658 cap 20123 Milano (http://www.uomolibero.com/).
    L'articolo è eccezionale per la lucidità e la completezza con cui affronta le radici ideologiche del mondo moderno.

    Una recensione dello stesso:
    "Immigrare, falso mito
    […] che le argomentazioni addotte a sostegno dell’immigrazione da parte dei sui fautori siano liquidabili alla stregua di leggende metropolitane, per non dire di autentiche manipolazioni, ce lo spiega Gianantonio Valli nell’ultimo numero della rivista L’Uomo Libero (C.P. 1658, 20123 Milano. www.uomolibero.com). Attento studioso del fenomeno migratorio da molti anni, il Valli nel saggio pubblicato sul numero 52 di questa rivista (e significativamente intitolato “Le radici ideologiche dell’invasione“) smonta pezzo dopo pezzo le argomentazioni dei filomigratori. A cominciare da quella, forse la più assurda di tutte, che le migrazioni ci sono sempre state. “Come se fossero equiparabili - ribatte Valli citando Giovanni Damiano - gli spostamenti di popoli in un mondo quasi disabitato, con la situazione di oggi, che vede un pianeta già in larga parte sovrappopolato”. […] Ed aggiungiamo anche come, già in età antica, le migrazioni avvenute in terre già precedentemente popolate abbia sempre, immancabilmente portato alla scomparsa di uno dei due popoli interessati.
    Pensiamo solo alle migrazioni dall’Europa alle Americhe, tra ’700 e ’800, che hanno prodotto l’annientamento quasi completo dei nativi americani, oggi ridotti a piccole minoranze rinchiuse in riserve-ghetto. […]

    Gli immigrati sono una risorsa economico-sociale? “Sì, replica Valli - per chi pratica il lavoro nero, per gli industriali che comprimono il costo del lavoro, per i produttori di merci contraffatte, per il crimine organizzato (spaccio, contrabbando di sigarette, prostituzione), per affittuari irresponsabili, per la marea di persone che vive, grazie a contributi statali o a elargizioni del clero, nel mondo del “volontariato” (spesso tale solo di nome). L’immigrato è inoltre un futuro bacino elettorale per le sinistre in crisi di idee e di voti e per le varie chiese, incapaci di contrastare la dilagante secolarizzazione dell’Europa. Quanto all’effettiva utilità economica degli immigrati un solo dato: a fine 2000 erano un terzo dei detenuti nelle nostre carceri. Un carcerato costa allo Stato 550.000 al giorno. Il che vuol dire undici miliardi di lire al giorno, ben 4mila miliardi all’anno. Senza contare l’ammontare, senz’altro superiore, dei danni causati da questi delinquenti (non solo economici, pensiamo al danno morale di chi subisce una rapina in casa): migliaia di ore spese dai dipendenti della giustizia in processi e inchieste e dalle forze dell’ordine per indagini e interventi. Aggiungiamo al tutto i fondi destinati alle varie “Charitas” per i loro centri di accoglienza, il peso sul servizio sanitario nazionale e il mantenimento dei sempre più numerosi, grandi e inutili centri di accoglienza.
    A un attento esame quindi non si può non concludere come l’immigrazione costi attualmente al contribuente italiano decine di migliaia di miliardi delle vecchie lire ogni anno mentre vengono chiesti sacrifici per ripianare lo stratosferico debito pubblico.[…]"





    Gianantonio Valli
    Le radici ideologiche dell'invasione

    - Complici di Dio
    - Le basi psico-ideazionali
    - I pretesti per l'invasione
    - La distruzione del Terzomondo
    - L'unica possibilità di riscatto
    - Le premesse politiche
    - Il federalismo, faccia nascosta del mondialismo
    - Strategia di morte
    - ll vero autore della legge Mancino

  2. #2
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Complici di Dio - capitolo primo

    Sistema ideo-sociale nato 2500 anni fa dallo psichismo e dalle vicende
    storiche delle genti ebraiche, lo Stato Teocratico Universale vaticinato dal
    giudaismo con le espressioni "Nuova Terra e Nuovo Cielo", "Mondo Nuovo" e
    "Regno" è disceso fino ai nostri giorni dopo avere cercato invano, per
    quindici secoli, di inverarsi in concrete strutture politico-societarie,
    sempre venendo respinto dal realismo indoeuropeo.


    La Suprema Utopia - il Mondo alla Rovescia dei puritani e delle infinite
    altre sette protestanti - si afferma infatti nell'Inghilterra del Seicento
    (l'autodefinito Nuovo Israele), si radica nel Settecento oltreoccano nelle
    Tredici Colonie (l'autodefinito Paese di Dio: the Gods Own Country, raccolta
    degli spurghi cristiani più giudaizzanti), si laicizza nell'Ottocento nella
    bifronte concezione della democrazia (liberalmassonica da un lato e marxista
    dall'altro: pseudomorfosi ateistiche della gnosi giudaico-cristiana), sbocca
    infine, nel Novecento, nella teorizzazione e nella prassi del Nuovo Ordine
    Mondiale."'


    Teorizzazione e prassi che, discese dal criminale idealismo wilsoniano e
    passate per la criminale aggressività rooseveltiana, sostanziano in questo
    atroce passaggio di millennio il criminale stragismo mondialmente praticato
    dai due Bush e da Bill Clinton.


    Teorizzazione e prassi proprie delle infinite articolazioni dell'ebraismo:
    dagli ultraortodossi ai ricostruzionisti, dai conservatori ai liberali, dai
    più cabbalistici ai più "razionali", dagli ortodossi ai miscredenti, dai
    grandi-sionisti ai piccolosionisti, dai sionisti religiosi ai sionisti
    laici, dai supercapitalisti della Diaspora ai kibbutznik d'Israele, dagli
    antisionisti religiosi agli antisionisti "atei", anarchici, comunisti o
    borghesi, dai più feroci destristi ai più beceri sinistri. Individui tesi,
    tutti, nelle forme, nei modi e nei tempi più vari, a inverare il fantasma
    del Regno.


    Ed infatti, per la mistica della Qabbalah, il Regno, malkut, è la base
    dell'Albero della Vita, al di là del quale solo esiste l'ain sof, il "ciò
    che non ha limite", la "nessuna cosa", l'Infinito e il Nulla del Divino. Il
    Regno, l'Allucinazione la cui premessa è a livello teorico l'egualitarismo
    universale- l'individualismo assoluto da un lato e la distruzione delle
    nazioni dall'altro - è il veicolo finale di Dio, il portato della "bronzea
    necessità". E la più terrestre, la decima e ultima delle sephirot - le
    Potenze attraverso cui il Benedetto agisce nel mondo, equivalenti al
    Microcosmo dell'Uomo Archetipo. E' l'Armonia, è il Mezzo coi quali le altre
    nove - le Tre Triadi - realizzano il proprio potenziale.

    Il Sistema Mondialista - la Terra Senza il Male e l'Unico Mondo, cui danno
    sostanza le strutture psico-esistenziali del Sogno Americano e la
    suggestione dell'Immaginario Olocaustico - è il referente attuale del Regno.
    Regno che ha necessitato e necessita, per la sua instaurazione, di concreti
    artefici umani, scelti e arruolati, tra tutte le genti, dall'Unico Dio. E
    chi può vantare, nei secoli come oggi, tale ruolo con maggiore legittimità
    della nazione ebraica?


    Siamo quindi grati al "francese" Paul Giniewski per averci suggerito, a
    definire tali trascelti, la splendida espressione "Complici di Dio", icona
    del bimillenario percorso dell'Idea Mondialista: profeto-jahwista,
    farisaico-talmudica, esseno-zelota, terroristico-apocalittica, cristiana
    nelle sue mille sette ed infine: demoliberale da un lato e marxista
    dall'altro.


    Genesi e percorso - gesta Dei per Haebraeos - illustrati il 3 aprile 1959,
    senza ritegno, a milioni di telespettatori dal premier israeliano Ben
    Gurion: "Il senso di Israele è di perfezionare la creazione".


    Genesi e percorso rivendicati da Rabbi Michael Goldberg, per il quale gli
    ebrei - "linchpin in His redemption of the world, cardini della Sua azione
    redentrice del mondo" - devono "comportarsi da popolo di Dio, poiché solo da
    loro dipendono la redenzione del mondo di Dio e il nome stesso di Dio" (non
    per nulla l'omonimo M. Hirsh Goldberg, caporedattore del Baltimore Jewish
    Times, postilla, arguto nel significato mafiosamente ambiguo di connection,
    che "He is the Ultimate Jewish Connection, per l'ebraismo Egli è la Suprema
    Relazione").


    Genesi e percorso folgorati dall'"anglo-tedesco" Josef Kastein (nato Julius
    Katzenstein): "Tra le razze civili del mondo, il popolo ebraico è al
    contempo la migliore e la meno conosciuta ......Un popolo così intensamente
    vitale come quello ebraico non necessita di apologia. Al contrario, occorre
    anzitutto che gli si rammenti sempre la sua vera natura, cosicché non rischi
    mai di scordare le stupende responsabilità di cui è stato caricato su questa
    Terra [so that they may never be in danger of forgetting the stupendous
    responsibilities which have been imposed upon them on this earth]".




    Genesi e percorso vantati da Milton Steinberg in "Basic Judaism",
    "Fondamenti di giudaismo": "Proclamando l'unicità di Dio......... i profeti
    intendevano più che il ripudio dell'adorazione degli idoli. Erano risoluti a
    fissare i seguenti princìpi: la realtà è un ordine e non un'anarchia;
    l'umanità è una totalità e non un caos di conflitti; una legge universale di
    giustizia sovrasta gli esseri umani, trascendendo i confini [delle nazioni],
    oltrepassando ogni divisione di classe............... Basato sulle
    testimonianze del passato e del moderno rabbinato, il giudaismo opera
    oggi............ per una pace internazionale garantita da un governo
    mondiale, poiché la nozione dell'assoluta sovranità dello Stato nazionale è
    sempre stata un'oscenità agli occhi della Tradizione".


    Genesi e percorso rivendicati da Rabbi Aharon Barth ("il nostro compito è di
    creare la storia nello spirito di Dio") e psico-storicamente analizzati da
    Gerald Abrahams, che li sintetizza in pregnante pensiero: "La teocrazia,
    infatti, è uno dei grandi contributi non riconosciuti di Israele all'agire
    politico del mondo".


    Genesi e percorso ribaditi dall'insigne ("has ordained more rabbis than
    anyone else in history, ha ordinato più rabbini di chiunque altro") Joseph
    Dov Soloveitchik, "the Rav", il rabbino per eccellenza, rampollo di tre
    generazioni di talmudisti "lituani": "Per l'halachah il servizio di Dio
    (eccettuato lo studio della Torah) può essere svolto solo attuando,
    concretizzando i suoi princìpi nel mondo. L'ideale della giustizia è il faro
    di tale concezione. Il più fervido assillo dell'uomo halachico è di
    perfezionare il mondo sotto il dominio della giustizia e dell'amore:
    realizzare la creazione ideale, il cui nome è Torah (o Halachah), nella vita
    terrena". (3)




    Genesi e percorso rivendicati nel 1862 dal "rabbino comunista" Moses Hess,
    ispiratore e sodale di Marx: "Il genio divino della famiglia ebraica nella
    sua automanifestazione dice: "Per te saranno benedette tutte le famiglie
    della Terra" [Genesi XII 3]. Ogni ebreo ha in sé la stoffa di un Messia.
    Ogni ebrea ha quella di una mater dolorosa ....... La Fine dei Giorni, nella
    quale la conoscenza di Dio riempirà tutta la Terra, è ancora lontana da noi.
    Ma noi crediamo fermamente che giorno verrà in cui lo spirito santo del
    nostro popolo diverrà patrimonio dell'umanità; giorno verrà in cui tutta la
    Terra diverrà il Tempio in cui risiederà lo spirito di Dio. Perciò il Regno
    dello spirito è nella Bibbia annunziato come futuro".


    Genesi e percorso profetizzati due millenni prima nell'infocata pietraia
    qumranica: "E questo è il libro della Regola della Guerra. Un inizio si avrà
    allorché i Figli della Luce porranno mano all'attacco contro il partito dei
    Figli delle Tenebre, contro l'esercito di Belial, contro la milizia di Edom,
    di Moab, dei figli di Ammon, contro gli Amaleciti e il popolo della
    Filistea, contro le milizie dei kittim di Assur, ai quali andranno in aiuto
    coloro che agiscono empiamente verso il Patto. I figli di Levi, i figli di
    Giuda e i figli di Beniamin, gli esuli del deserto, combatteranno contro di
    essi; ... contro tutte le loro milizie, allorché gli esuli dei Figli della
    Luce ritorneranno dal deserto dei popoli per accamparsi nel deserto di
    Gerusalemme. E dopo la guerra se ne andranno di là, contro tutte le milizie
    dei kittim in Egitto...... Vi sarà una costernazione grande tra i figli di
    Jafet, Assur cadrà e nessuno l'aiuterà, scomparirà la dominazione dei kittim
    [leggi: dei romani] facendo soccombere l'empietà senza lasciare traccia, e
    non rimarrà alcun rifugio per tutti i Figli delle Tenebre. Verità e
    giustizia risplenderanno per tutti i confini del mondo, illuminando senza
    posa fino a quando saranno finiti tutti i tempi stabiliti per le tenebre. E
    al tempo stabilito per Dio, la sua eminente maestà risplenderà per tutti i
    tempi determinati in eterno per la pace e la benedizione, la gloria, la
    gioia, e giorni lunghi per tutti i Figli della Luce. Nel giorno in cui i
    kittim cadranno vi sarà un combattimento e una strage grande al cospetto del
    Dio di Israele; giacché questo è il giorno, da lui determinato da molto
    tempo per la guerra di sterminio dei Figli delle Tenebre nel quale saranno
    impegnati in una grande strage........Sarà questo il tempo dell'angustia per
    tutto il Popolo della Redenzione di Dio: tra tutte le loro angustie non ce
    ne fu mai simile, dal momento nel quale si scatena fino al suo compimento
    nella redenzione eterna".


    Genesi e percorso celebrati due millenni dopo dal Reform Rabbi di Cincinnati
    dottor Kaufmann Kohler (1843-1926), genero del grande David Einhorn, capo
    dell'ala sinistra del movimento riformista e successore dell'illustre Isaac
    Mayer Wise a presidente dello Hebrew Union College, nemico sia del concetto
    che della pratica di "nazionalità ebraica": "La speranza futura
    dell'ebraismo è racchiusa nell'espressione Regno di Dio, malkut shaddai o
    malkut shamajim, propriamente "signoria di Dio"...... La predicazione dei
    profeti che il Dio Unico di Israele verrà riconosciuto [dalle nazioni] quale
    Signore del mondo intero ha creato questa idealità futura dell'ebraismo e
    con ciò conferito alla storia del mondo una meta e uno scopo ultimo, facendo
    di Israele, Popolo di Dio, il suo fulcro e il suo perno........ La vera
    speranza messianica ha per sostanza il ristabilimento del Trono di
    Davide........Con specifico riguardo al Servo Sofferente del Deuteroisaia,
    il titolo di Messia sarà d'ora innanzi applicato al popolo di Israele:
    Israele, il Messia sofferente, diverrà alla fine dei tempi il Messia delle
    nazioni, coronato di vittoria" (in Grundrieb einer systematischen Theologie
    des Judentums auf geschichtlicher Grundlage, "Lineamenti di una teologia
    sistematica dell'ebraismo basata su fondamenti storici", edito a Lipsia nel
    1910, traduzione di Jewish Theology SystematicaIly and Historically
    Considered).

    Genesi e percorso per il quale nel 1920, scatenato l'Orrore bolscevico ormai
    da un triennio, recita il mea culpa Rabbi Oscar Levy prefando The World
    Significance of the Russian Revolution di George Pitt-Rivers: "Noi siamo
    stati colpevoli. Noi, che ci siamo posti come salvatori del mondo, noi, che
    ci siamo perfino vantati di avergli dato "il" Salvatore, non siamo oggi
    nient'altro che i seduttori del mondo, i suoi distruttori, i suoi
    incendiari, i suoi carnefici...... Noi, che abbiamo promesso di condurvi in
    un nuovo paradiso, siamo riusciti alla fine a condurvi in un nuovo
    inferno........ Non c'è stato alcun progresso, men che meno un progresso
    morale.......... Gli ebrei sono i padri spirituali della democrazia, e
    perciò della plutocrazia......... Ebraiche sono le forze propulsive sia del
    comunismo che del capitalismo".


    Genesi e percorso rivantati nel n.3-4 di Jeschurum - Monatschrift fur Lehre
    und Leben im Judentum, "Jeshurun - Mensile di dottrina e di vita del
    giudaiSMO",(4) marzo-aprile 1921: "Israele soltanto è in grado, per le sue
    qualità ereditarie, di donare profeti, uomini che possono entrare in
    relazione con Dio in maniera soprannaturale. Israele è come la semente che
    trasforma in propria natura gli elementi contenuti in seno alla terra:
    Israele è il cuore di quell'organismo che è l'umanità. E' il cuore delle
    nazioni ".


    Genesi e percorso folgorati nel 1923 dal rabbino sionista Louls Israel
    Newman: "The modern mission of the Jew is to assume the moral leadership of
    the world, La missione moderna dell'ebreo è di assumere la guida morale del
    mondo".


    Genesi e percorso ostentati, a impossibilità di fusione, dal celebre
    polemista Maurice Samuel nel 1924: "Voi avete il vostro modo di essere, noi
    il nostro. Per il vostro modo di vita noi manchiamo sostanzialmente di
    "onore". Per il nostro modo di vita voi mancate sostanzialmente di moralità
    [si noti la sottile distinzione delle virgolette in onore e della loro
    assenza in moralità!]. A voi appariremo per sempre privi di grazia, a noi
    apparirete per sempre privi di Dio............ Noi ebrei, noi, i
    distruttori, resteremo distruttori per sempre. Nulla di quanto farete
    placherà i nostri bisogni e le nostre domande. Distruggeremo in eterno,
    perché ci è necessario un nostro mondo, un mondo divino, che non è nella
    vostra natura edificare [We will.forever destroy because we need world qf
    our own, a God-world, which it is not in your ature to build]".

    Genesi e percorso ricantati, quindici anni dopo a New York, dal confrère
    Harry Waton, filosofo spinoziano e paramarxista, in A Program for the Jews
    and Humanity, varato dal Committee for Preservation of the Jews: "Come il
    comunismo, l'internazionalismo è il fondamento della società, la base di
    ogni umano progresso, la speranza della classe lavoratrice, il destino
    dell'umanità [ ] Facciamo sì che tutte le nazioni della Terra divengano
    razionali, facciamole entrare in una federazione di nazioni come in questo
    paese abbiamo una federazione di Stati. Ma al contempo gli ebrei sono
    nazionalisti in quanto ebrei.




    Gli ebrei, ovunque nel mondo, a prescindere dal posto in cui vivono, dalla
    lingua che parlano, dal sistema di vita e dagli usi e costumi che seguono,
    tutti si riconoscono l'un l'altro come un unico popolo"; Dio li ha scelti
    come il Suo Popolo, e "per questa ragione lo Stato ebraico giunse sempre
    dove fu il popolo ebraico [always was co-extensive with the Jewish people],
    e poiché ora gli ebrei sono disseminati su tutta la Terra, lo Stato ebraico
    si estende su tutta la terra. Questo è il motivo perché lo Stato ebraico è
    internazionale e così potente". Inoltre, poiché è vero che "gli ebrei sono
    il popolo più nobile e civile della terra [the highest and most Culture
    people on earth]", "gli ebrei hanno il diritto di sottomettere a sé il resto
    dell'umanità e di essere i signori della terra [have a right to subordinate
    to themselves the rest of mankind and to be the masters over the whole
    earth]"; "gli ebrei diverranno i signori della Terra e sottometteranno a sé
    tutte le nazioni, non attraverso la potenza materiale, non con la bruta
    forza ma con la luce, la conoscenza, l'intelligenza, l'umanità, la pace, la
    giustizia e il progresso".


    Genesi e percorso ribaditi nel 1949, dopo il Secondo Conflitto, da Rabbi
    Ignaz Maybaum in The Jewish Mission: "Il giudaismo è messianismo. Il
    messianismo vede la storia come uno stadio in cui il piano di Dio si
    auto-rivela, dove la Sua promessa, dataci attraverso i Suoi profeti, sarà
    compiuta [la storia non è che toledot ha-yeshuah, "storie della salvezza"!].
    Il Regno di Dio giungerà. Con questa speranza nel cuore l'uomo continua a
    lottare, resta distaccato da tutte le soluzioni e da tutti i successi
    celebrati nelle vittorie e nei giorni fausti della storia, e resta fermo e
    coraggioso nella catastrofe, nella frustrazione, nella sofferenza con cui la
    storia lo assedia. Egli prosegue il cammino. Il suo cuore gli dice: il Regno
    di Dio verrà. Come uomo messianico l'ebreo vive nella storia e oltrepassa la
    storia. Il giudaismo è messianismo. Ma il giudaismo non è solo messianismo.
    Sia il profeta che il sacerdote sono gli eterni archetipi dell'ebreo. Fianco
    a fianco col profeta, che insegna la speranza per il tempo promesso, sta il
    sacerdote. Il sacerdote non guarda avanti, al futuro. E' di fronte a Dio qui
    e ora, nei giorni di questa sua vita e nel luogo ove vive la sua vita [ ] Il
    grande pericolo per noi in quanto popolo messianico è di fermarci
    incondizionatemente in un'epoca, considerarla un "tempo compiuto" [ ]
    Dobbiamo essere più che cittadini di un qualunque Stato, in Palestina come
    altrove. Dobbiamo restare ebrei. Gli ebrei sono ebrei solo se restano
    cittadini del Regno di Dio".


    Genesi e percorso insistiti dal sionista-mistico "tedesco" Gershom Scholem
    nel 1963 in Zum Verstándnis der messianischen Idee im Judentum, "Per
    comprendere dell'idea messianica nell'ebraismo": "C'è nella natura
    dell'utopia messianica una componente anarchica [I"'anarchismo politico di
    principio" di cui tratta Shmuel N. Eisenstadt!], la dissoluzione dei vecchi
    vincoli, che nel nuovo contesto della libertà messianica perdono il loro
    vecchio senso".


    Genesi e percorso sottesi alla disinvoltura del laico "italiano" Shmuel
    ex-Edoardo Recanati, confidante al confratello Pezzana: "L'idea che Dio è il
    nostro Dio fa paura, però giustifica tante altre cose, è un messaggio
    fortissimo. Questo mi spinge a interrogarmi: non è forse il Dio di tutti? E'
    ovvio che lo è, ma nei confronti del popolo ebraico ha un atteggiamento
    particolare ...... Il popolo ebraico non è che uno strumento, un
    rappresentante che visita la clientela per conto del boss".


    Genesi e percorso che trovano infine il loro sbocco più alto nel criminale
    appello del "francese" André Chouraqui - già co-segretario dell'Alliance
    Israélite Universelle, consigliere di Ben Gurion e prosindaco di
    Gerusalemme, premio Fondazione Agnelli 1999 per l'espressione di una
    "dimensione etica nelle società avanzate" - sfrenato nella ricostruzione
    psico-fantastorica di Mosè: "Sappiatelo: le Porte del Paradiso sono ormai
    aperte davanti a voi. Uomini, miei fratelli, fate bene attenzione a non
    richiuderle mai più".

    (1) Tra le mille suggestioni bibliche, vedi Isaia LXV 17 e Apocalisse XXI I.
    Per il percorso propriamente storico indichiamo: Cohn N., i fanatici
    dell'Apocalisse, Edizioni di Coinunità, 1965; Gobbi R., Figli
    dell'Apocalisse - Storia di un mito dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli,
    1993; Hill C., Il mondo alla rovescia - Idee e movimenti rivoluzionari
    nell'Inghilterra del Seicento, Einaudi, 1981.

    Per il percorso psico-ideologico vedi: De Marchi L., Scimmietta ti amo -
    Psicologia, cultura, esistenza da: Neanderthal agli scenari atomici,
    Longanesi, 1984 e Natoli S., L'esperienza del dolore - Le forme del patire
    nella cultura occidentale, Feltrinelli, 1986. Da parte nostra abbiamo
    trattato la questione in "Lo specchio infranto" - Mito, storia, psicologia
    della visione del mondo ellenica, Edizioni dell'Uomo libero, 1989, e la
    stiamo approfondendo in "Le sorgenti di utopia - Il ruolo del cristianesimo
    e dell'Inghilterra secentesca nella genesi del mondo contemporaneo" e in "I
    complici di Dio - Genesi del Mondialismo". Fuorvianti e risibili sono gli
    strati lanciati dal giornalista Francesco Merlo contro i fondamentalisti
    della terza articolazione monoteista, quei "kamikaze di Dio" che, dopo
    avere, l' 11settembre 2001, "devastato New York, uccidendo migliaia di
    persone, di innocenti, di nostri fratelli americani", "vogliono portare
    l'Apocalisse nell'Occidente": "Di sicuro oggi sono soprattutto gli isiamici
    ad avere la presunzione di rappresentare Dio in terra. Finito il comunismo,
    sono loro i nemici più ostinati della tolleranza e della civiltà
    occidentali, sono i moderni interpreti di quella devastazione umana che è
    inevitabile ogni volta che si cerca di far stare l'Infinito nel finito, ogni
    volta che si vuole imporre agli uomini le leggi di un Dio, le leggi di Dio,
    il quale è e deve restare invece una grazia privata, la luce delle singole
    coscienze, una scelta di libertà individuale. L'irruzione di Dio nella
    storia si chiamava e si chiama Apocalisse". Invero, dimentico delle ben più
    immani responsabilità del fondamentalismo liberale nella distruzione
    dell'umanità e della natura, il buon liberale Merlo non può che essere cieco
    davanti al fanatismo liberale (e giudaico), per definizione inesistente.
    Inoltre, sempre da buon liberale, non può che ignorare che mai si è data una
    religione che, lungi dal restare patrimonio dei singoli, non abbia preteso
    di reggere da sola una società, emarginando o annientando ogni altra visione
    avversaria. Proprio non esiste una feroce religione liberale? O una feroce
    religione olocaustica?

    (2) Anche nella più generale tradizione ebraica il Regno viene identificato
    con la shekinah, la Sapienza Divina. Sapienza che nel Bet Hamiqdash - "la
    casa del luogo consacrato", il Tempio di Gerusalemme - sedeva nel Santo dei
    Santi, sulla roccia del monte Moriah usata da Abramo per il sacrificio di
    Isacco. Quella stessa donde Maometto sarebbe salito al cielo.



    (3) La halachah, "cammino", è la giurisprudenza, di fonte
    rabbinico-talmudica, che regge la vita rituale, personale e sociale
    dell'ebreo. Il termine Torah definisce i primi cinque libri biblici, noti ai
    cristiani come Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Dati a Mosé
    sul Sinai da Dio stesso, essi sono detti in greco Pentateuco e in ebraico,
    appunto, Hamiflah Humley Torah, "i cinque libri dell'Istruzione [o della
    Legge]".

    (4) Jeshurun = nome poetico per intendere Israele: "diletto", "giustissimo",
    "integro", "acuto".

  3. #3
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Le basi psico-ideazionali - capitolo secondo

    Se è quindi vero che i concetti di creazione e missione rientrano in una
    precisa visione delle cose scaturita da un preciso psichismo espresso da - e
    che ha in retroazione espresso e rafforzato - un preciso gruppo
    razziale-etnico-nazionaie (invero, le religioni non sono altro che "la
    spiritualizzazione deificatrice della razza", ci conforta il rabbino
    "francese" Kadmi Cohen in Nomades -Essai sur l'áme juive, 1929), essi non
    possono essere, anche se lo hanno da sempre rivendicato con improntitudine,
    "universalmente umani".


    Se, come afferma Giniewski, "l'idea di un Dio Unico e supremo fonda
    l'assioma religioso su una logica: dall'unità discenderà l'ordine; l'intera
    Torah non è che l'espressione di un certo ordine del mondo" - se, come
    afferma ltzchaq Abravanel, "la creazione è la radice e il fondamento su cui
    poggia tutta la Torah, la chiave di volta di tutte le credenze della nostra
    fede, che si tratti delle parole iniziali della Genesi, dei racconti dei
    patriarchi o dei miracoli e dei prodigi. Tutte le nostre credenze si
    giustificano solo se si crede nella creazione. Se l'uomo non crede alla
    creazione volontaria del mondo, non può avere una fede salda
    nell'onniscienza divina e nella provvidenza e nel rapporto che lega
    l'osservanza dei precetti alla ricompensa o al castigo" - e se, come recita
    lo Zohar, "Israel wetorah echad hu, Israele e la Torah sono la stessa
    cosa" - è allora evidente che chi ha sempre combattuto e rifiutato, ed
    ancora rifiuta e combatte, tale "ordine" non può che - anzi deve - rigettare
    l'assioma religioso che lo fonda. (5)


    Ancor più, istiga nel 1919 l'anarchico "tedesco" Gustav Landauer, invocando
    come Trockij la Rivoluzione Permanente, nessun ordine dovrà mai essere
    raggiunto, e neppure auspicato: "Il sollevamento come costituzione, la
    trasformazione e il rovesciamento come una regola prevista per sempre...
    tale era la grandezza e la santità di questo ordine sociale mosaico. Noi
    abbiamo di nuovo bisogno di questo: una regolamentazione nuova e un
    rovesciamento dello spirito, che non fissi le cose e le leggi in modo
    definitivo, ma dichiari se stesso come permanente. La rivoluzione deve
    divenire la regola fondamentale della nostra costituzione".


    E similmente continua Kadmi Cohen: "Diversamente da quanto è avvenuto per
    gli altri popoli, lo stato nomadico non ha mai avuto presso il semita un
    carattere di transizione, di stadio transeunte che precede e prepara alla
    vita sedentaria: esso nasce nel profondo del cuore semita [... ] Chi dice
    erranza di un gruppo umano dice al contempo isolamento di questo gruppo e, a
    dispetto deisuoi spostamenti, a ragione anzi dei suoi spostamenti, la tribù
    resta
    identica a se stessa"; similmente vanta il filosofo Abraham Joshua Heschel:
    "La nostra è una voce contro la sovranità di qualsiasi valore: sia esso
    l'io, lo Stato, la natura o la bellezza"; similmente conclude Rabbi
    Marc-Alain Ouaknin, direttore del Centre de Recherches et d'études juives
    Aleph: "L' ebreo afferma contemporaneamente l'impossibile fissarsi
    nell'identico e denuncia il concetto di identità............Il termine
    "giudeo", letto a partire dalla parola Yehudah dice esattamente che la
    definitiva identità è un'illusione e ci invita a pensare "al di là del
    principio di identità".............Essere ebreo entrando nel Nome significa,
    infatti, affermare la volontà di permanere al di fuori di una definizione e
    di un concetto".


    Nulla quindi, davvero, di che stupirsi della rivendicazione compiuta dal
    londinese The Jewish World del 9 febbraio 1883, meglio detto 2 adar 5643:
    "Il più alto ideale del giudaismo si pone in contrapposizione ad ogni
    separatistico radunarsi del popolo ebraico. L'aspirazione a ricostituire
    l'impero di Israele non è il vero obiettivo della religione giudaica, è
    soltanto un'abnorme escrescenza di accese speranze nate del tempo della
    persecuzione.............La missione [degli ebrei] può essere portata avanti
    solo in una sfera d'azione come quella loro permessa dalla diaspora. E
    chiaro, anche solo da un punto di vista tattico, che gli insegnamenti
    giudaici hanno migliori probabilità di venire inculcati fruttuosamente [nei
    non-ebrei], se questi sette milioni di missionari lavorano sparsi ovunque
    nel mondo, piuttosto che ridursi al silenzio da sé rinchiudendosi in precisi
    confini geografici, compromettendo in tal modo la possibilità di portare
    avanti la loro missione...........La razza ebraica è certo pura e la
    religione ebraica si trova certo in uno stato incontaminato, ma noi vogliamo
    costituire ben più di una semplice nazione, vogliamo per il mondo un'unica
    lingua ed un unico spirito.........Poiché gli ebrei sono il solo popolo
    cosmopolita, essi sono tenuti - cosa che peraltro fanno - ad agire come una
    forza dissolvente di ogni nazione o razza. Il più grande ideale del
    giudaismo non è ambire a mete separatiste, ma che il mondo venga permeato
    degli insegnamenti giudaici e che tutte le razze e le religioni scompaiano
    in una fratellanza universale delle nazioni, cioè in un più grande
    giudaismo; tutte le razze e le religioni scompariranno..........Gli ebrei
    elessero a domicilio l'intero mondo e ora tendono le mani agli altri popoli
    della Terra affinché seguano il loro esempio. Sì, essi fanno ancora di più.
    Attraverso l'impegno in campo letterario e scientifico, attraverso la loro
    posizione dominante in tutti i settori della vita pubblica, gli ebrei sono
    arrivati a conformare in forme ebraiche i pensieri e i sistemi dei non
    ebrei".
    Nulla quindi, davvero, di che stupirsi dell'appello lanciato nel 1915, in
    pieno conflitto mondiale, da Nahum Goldmann in Der Geist des Militarismus,
    "Lo spirito del militarismo": "Il senso e la missione storica del nostro
    tempo possono essere compendiati in questo pensiero: vostro compito è il
    riordino della civiltà umana, la sostituzione di un nuovo Sistema societario
    a quello finora dominante. Ogni riordino consiste in due fasi: nella
    distruzione del vecchio Ordine e nella formazione del nuovo. In primo luogo,
    tutti i pali di confine, tutte le barriere e le qualifiche del vecchio
    Sistema devono essere abbattuti, tutti gli elementi del Sistema scomposti,
    quegli elementi che, resi indifferenti, verranno poi riordinati. Solo dopo
    questa prima fase inizierà la seconda, il riordino degli elementi. Il primo
    compito del nostro tempo è quindi la distruzione: tutte le stratificazioni
    sociali, tutte le forme societarie
    create dal vecchio Sistema saranno distrutte, ogni uomo sarà strappato al
    suo mondo tradizionale, nessuna tradizione sarà più tenuta per sacra, l'età
    conterà unicamente come segno di malattia, la parola d'ordine è: ciò che fu,
    deve perire. Le forze che eseguiranno tale missione distruttiva sono: in
    campo economico-sociale il capitalismo, in campo politico-spirituale la
    democrazia. Come abbiano agito in passato, lo sappiamo tutti; ma sappiamo
    anche che la loro opera non è ancora terminata. Ancora il capitalismo lotta
    contro le forme della vecchia economia tradizionale, ancora la democrazia
    conduce un'aspra lotta contro tutte le forze della reazione. Lo spirito del
    militarismo compirà l'opera. Il suo principio livellatore realizzerà,
    integralmente, la missione distruttiva del nostro tempo: solo quando tutti i
    sostenitori della nostra idea avranno indossato i panni di soldati
    dell'idea, solo allora la missione sarà compiuta".


    Nulla quindi, davvero, di che stupirsi delle concordanze di un Georg Hermann
    (nato Borchardt): "Dobbiamo finalmente imparare a porre l'umanità al di
    sopra della nazionalità [... ] A tutt'oggi esiste un'unica stirpe di
    cittadini del mondo, e sono gli ebrei [... ] Come ebreo appartengo a una
    razza troppo vecchia per cader preda di suggestioni di massa. Parole come
    popolo, guerra e Stato non hanno per me colore né suono. Per me hanno suono
    unicamente le parole uomo e vita, ma un suono di tale altezza e ricchezza
    che, a quanto pare, le altre razze sono ancora troppo giovani per
    accoglierle" (in Randbemerk ngen "Considerazioni a margine", 1919) o di un
    Thomas Meyer: "Sempre il cosmopolitismo sovrannazionale fu il contrassegno
    storico della migliore civiltà ebraica" (postfazione al sempre ebreo Ludwig
    Thieben, Das Rátsel des Judentums, "L'enigma dell'ebraismo", 1931).


    Ma nulla quindi, anche, di che stupirsi del giudizio del grande storico, pur
    filo-ebraico, Theodor Mommsen: "L'ebreo è essenzialmente indifferente di
    fronte allo Stato; tanto è duro nel rinunciare alla propria peculiarità
    nazionale, tanto è pronto a travestirla con una qualsiasi nazionalità. Anche
    nel mondo antico l'ebraismo fu un attivo fermento di cosmopolitismo e
    decomposizione nazionale" (in Romische Geschichte, 111 7, 1879).


    Tara atavica di anarchia, sovversivo di ogni ordinamento, agente di
    dissociazione, dissoluzione e denazionalizzazione, il popolo ebraico si vede
    infatti obbligato dalla parola del suo dio a combattere un'eterna Guerra
    Santa, ad imporre la sua idea di Dio come "the central religious truth for
    the human race, la fede religiosa centrale per la razza umana"
    (dichiarazione della Reform Platform di Pittsburgh, 1885, diretta da
    Kaufmann Kohler), a perseguire quell' "inexorable universalisme" cantato
    dall'Alliance Israélite e ribaltare ogni altra struttura sociale. (6)




    Ancora più ampiamente, l'ebreo - "ogni grande popolo crede, e deve credere
    se vuole una lunga vita, di possedere, e di possedere esso solo, la chiave
    della salvezza del mondo, di vivere per essere alla testa degli altri,
    trascinarli dietro sé come un tutto e guidarli insieme alla meta finale
    preordinata per tutti",scrisse Fédor Dostoevskij, nel "Diario di uno
    scrittore", XII 22 - pervaso da una permanente infelicità nei confronti del
    mondo-com'è, da una profonda
    insoddisfazione delle presenti condizioni, da un'incessante
    inquietudine,dalla perenne ricerca di un Altro Mondo, eterno delirio di
    Nuovi Orizzonti, ancor più ampiamente l'ebreo si vede obbligato a
    sconvolgere ogni ordinamento naturale/tradizionale (ed invero, per l'ebreo
    l'epifania di Dio non si manifesta nella Natura ma nella Storia!) al fine di
    tiqqun olam, "restaurare/redimere/riparare/correggere/ornare/migliorare il
    mondo", "fare il mondo più giusto" - "to mend, repair and transform the
    world", suona il
    motto di Tikkun, il bimonthly di Rabbi Michael Lerner, consigliere
    spirituale dell'ex-presidente USA Bill Clinton - operare per il
    "ristabilimento del mondo sotto il regno dell'Onnipotente" (Aharon Barth),
    trasformare il mondo in una dimora per la Presenza avvicinando la venuta del
    Messia, "scopo ultimo dell'intera creazione" (il rav lubavitch Menachem
    Brod).


    Il tutto, pretendendo - cosa stravagante per l'uomo pagano, ma obbligante
    per il sanguinario jahwismo - di vincolare ai precetti del suo dio anche chi
    di un tal dio nulla abbia mai udito o voglia sapere: "Ogni uomo [ish ish]
    che maledirà il suo Dio porterà la pena del suo peccato. Colui che avrà
    bestemmiato il Nome di Dio sarà punito con la morte" (Levitico XXIV 15-16,
    oltre a Sanhedrin 56a-57b e 99a); e ciò perché "l'umanità una poteva sorgere
    solo sotto il Dio uno [... ] Il monoteismo è così in sé la causa immediata
    tanto del messianismo quanto del concetto della storia universale come
    storia dell'umanità. Senza il Dio unico non poteva sorgere l'idea
    dell'umanità" (il" filosofo" neokantiano Hermann Cohen,definito da Gillian
    Rose il "Kant tra i profeti") e perché "la credenza nell'unità della razza
    umana è il risultato naturale dell'Unità di Dio, poiché l'Unico Dio deve
    essere il Dio dell'intera umanità. Fu impossibile per il politeismo (la
    credenza in più Dei) raggiungere l'ideale di un'Unica Umanità" (Rabbi Israel
    H. Weisfeld della congregazione Shearit Israel di Dallas).


    Prodotto storico imperfetto, destinato a lasciare il posto ad un più alto
    ordine di cose alla Fine dei Giorni, il mondo non è, per l'ebreo, eterno o
    immutabile nelle proprie leggi. (7)


    Il tiqqun, l'espressione conclusiva dell'escatologismo cabalistico del
    divino Rabbi Yitzchak "Ari Zal" Luria Ha-ashkenazi (1534-72), è la fine del
    tzimtzum (il "ritrarsi" di Dio per far posto al creato, "esilio" della
    Presenza divina che ha il contraltare terreno da un lato nel fatto che da
    quel momento esiste qualcuno/qualcosa che, essendosi distinto da Dio, non ha
    la Sua stessa pienezza di vita e giustizia, e dall'altro nell' "esilio"
    diasporico di Israele), è il ristabilimento della Grande Armonia turbata
    dalla Rottura dei Vasi (Shvirat hakelim) e dal peccato di Adamo, è la
    Raccolta delle Scintille (nitzotzot) disperse nella qelippah -
    "scorza/conchiglia", cioè Questo Mondo terreno, il Regno del Male e delle
    forze demoniache, il Sitra Achara, l'Altro Lato - è la Pace, shalom,
    caratteristica fondamentale del tempo messianico ("Principe della Pace", è
    il Messia in Isaia IX 6; "porta della perfezione", dicono la pace Walter
    Homolka e Albert Friedlander; in parallelo, il senso originario della radice
    tqn vale "approntare", "preparare"). Quella pace che con l'etimo shlemut
    identifica la "perfezione" (in ebraico, shalem), la "totalità",
    l'"interezza", il "compimento".


    Compimento preteso dal Grande Vanitoso a propria maggior gloria, dato che il
    mondo è stato creato solo perché gli esseri umani potessero essere
    consapevoli della gloria e dell'eternità del Nome, il Dio Inconoscibile che
    trascende la creazione: "Ogni cosa che il Santo Unico, benedetto Egli sia,
    creò nel Suo mondo, lo creò solo per la Sua gloria, come è detto: "E ogni
    cosa chiamata [altra versione: Chiunque viene chiamato] col Mio nome è
    davvero per la Mia gloria che l'ho creata, che l'ho costituita, sì, che l'ho
    fatta" [Isaia XLIII 7], ed è detto: "Il Signore regnerà per sempre e in
    eterno" [Esodo XV 18]" (Abot VI 10/11 o baraita 11 di Abot 15b).




    Ed ancora, dalla bocca diretta di Dio: "Volgetevi a me e sarete salvi, voi,
    paesi tutti della Terra, ché io sono il Signore: non c'è altri! Lo giuro per
    me stesso: dalla mia bocca è uscita la giustizia, una parola che non torna
    indietro: sì, a me si curverà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua.
    Solo nel Signore si dirà, si trovano giustizia e potenza!". A lui verranno
    vergognosi tutti quelli che gli erano ostili; nel Signore menerà trionfo e
    vanto tutta la progenie d'Israele [... ] Sì, col fuoco il Signore farà
    giustizia su tutta la terra e con la spada su ogni mortale, e molti saranno
    gli uccisi del Signore [... ] "lo verrò per radunare tutte le nazioni e
    tutte le lingue. Esse verranno e vedranno la mia gloria"" (Isaia XVL 22-25 e
    LXVI 16 e 18).


    Ed ancora, aggiunge David Banon: "Questa restaurazione, questa cernita
    (berur) consiste nel separare le scintille della santità della luce
    eliminando le
    scorze, o meglio, nel trasfigurare le forze del male integrandole alla luce
    La redenzione pertanto dipende dall'avanzare di questo processo di
    restaurazione-cernita e dalla possibilità che l'uomo ha di portarla a
    termine. Ne consegue che questo compito è affidato soprattutto all'uomo,
    anche se resta una dipendenza dalla grazia di Dio, poiché assistiamo a una
    trasposizione dei concetti centrali di esilio e di redenzione dal livello
    storico al livello cosmico e divino. Il compito dell'uomo è di raccogliere
    le scintille di santità celate nel fondo di ogni realtà, scintille che sono
    sia nascoste che protette dalla scorza del male che le avviluppa. E' compito
    dell'uomo liberarle dalla loro scorza e reintegrarle nell'essenza divina da
    cui sono state separate. Lo strumento di questo processo di
    restaurazione-restituzione è la legge della Torah, e l'esilio di Israele è
    la condizione grazie alla quale le scintille disperse possono essere
    ritrovate e riunite. In questo senso, possiamo dire che, attraverso il suo
    destino storico, Israele lavora per la Redenzione di Dio stesso [sic!]".



    In questo contesto il Messia non è colui che apre l 'Era Messianica,
    preludio a quel Mondo Avvenire col quale spesso l'Era si confonde; non è
    colui che realizza la Redenzione; non è neppure il principio messianico,
    "grandiosa immagine solitaria di un sollevamento collettivi" (lrving Howe),
    ma è la manifestazione stessa della Redenzione compiuta. E in effetti,
    assevera Klausner chiudendo il suo saggio, "la nozione di perfezione
    proviene dall'ardente progressismo che è parte dei fondamenti del giudaismo
    [... ] la fede messianica ebraica è il seme del progresso, piantato dal
    giudaismo dovunque nel mondo". "Il Progresso, ecco, per l'ebreo moderno, il
    vero Messia", il Progresso, "cette notion moderne de la perfectibilité" che
    come la "nostra sete di giustizia e nostra ostinata speranza nella vittoria
    del diritto" scende dalle colline di Sion (il francese Anatole
    Leroy-Beaulieu).


    Quel Progresso alla fine cantato, a dispetto di ogni disincanto laico e
    riprova d'invincibilità genetica, dal sionista Max Nordau (il budapestino
    Max Simon Súdfeld, braccio destro del padre del sionismo Theodor Herzl):
    "Un'umanità senza avventure, senza guerre e rivolgimenti, senza
    superstizione e misticismo, senza grandiose figure audaci e fastose e senza
    schiere di servi ciecamente devoti, una società egualitaria composta tutta
    di uomini illuminati, colti, intelligenti, che sono tutti sani e morigerati,
    dove tutti lavorano e raggiungono una vecchiaia avanzatissima, dove tutti
    vivono in ordine, uniformemente ed agiatamente, sembra enormemente noiosa e
    riempirebbe i romantici di oggi d'un disperato desiderio di ritorno ai tempi
    della più antica e più selvaggia barbarie. Ma l'avvenire ci sembra così
    incolore e monotono solo perché il nostro occhio è educato a vedere come
    pittoresco l'aspetto attuale della società [... ] L'avvenire sarà
    incomparabilmente più felice di quello che è stato il passato. La scienza
    agevolerà il soddisfacimento di tutti i bisogni materiali. La conoscenza
    ampliata e approfondita diminuirà fino a farlo quasi scomparire il male che
    gli uomini si fanno a vicenda e che è la parte più crudele dei loro dolori.
    Le gioie nobili, procurate dalle scienze e dalle arti saranno più generali e
    più intense, perché verranno godute con uno spirito e con un sistema nervoso
    sviluppati più finemente. E per la felicità acuta ci penseranno gl'istinti
    organici e la cenestesia della giovinezza, dell'amore, della salute, del
    vigore che, in un'umanità libera da cure e vivente nell'abbondanza, sarà
    certamente più ricca e più robusta che in un'umanità sempre inquieta e
    spesso indigente. L' avvenire avrà una bellezza differente da quella del
    presente, più naturale, più elevata, più armonica".


    Ma cosa sia tale Regno, quale la sua struttura socio-economica, in realtà
    nessuno - neppure un Lenin, neppure un Marx - l'ha mai seriamente formulato.
    Infiniti sono stati, nei secoli, i progetti, le proposte di un cambiamento
    radicale, epperò tutti non tracciati sulla base del mondo reale, bensì
    sempre sognati da letterati, poeti, profeti à la Nordau o semplici folli che
    si proponevano di fuggire le asprezze, le contraddizioni, le limitazioni, il
    dolore di Questo Mondo. Il Regno - qualunque cosa significhi, comunque venga
    a strutturarsi può invero essere descritto in termini quasi unicamente
    negativi. Esso è Altro Mondo da quello terreno, è Resurrezione, compiuta
    attraverso il Dettato del Padre, il Messaggio del Figlio o le ferree Leggi
    della Storia, è Liberazione dalla Sofferenza, dalla Divisione,
    dall'Ingiustizia, dalla Morte.


    Come afferma il pio esegeta nella scia di un millenario sentire, in esso la
    violenza e la rozzezza scompariranno, passerà l'empietà, che consuma le
    forze migliori dei popoli. Le nazioni non saranno più devastate da cieche
    lotte e cruente battaglie, l'umanità non sarà più lacerata dalla discordia.
    E quando l'uomo, "questo essere corruttibile si sarà rivestito
    d'incorruzione, e questo essere mortale si sarà rivestito d'immortalità,
    allora si compirà la parola che fu scritta: "La morte è stata assorbita
    nella vittoria. O morte, dov'è la tua vittoria?" (I Corinzi, XV 54). Non si
    trovano invece parole per definire in positivo il Regno e il Nuovo Essere
    Umano, poiché, semplicemente, manca l'esperienza di ciò che entrambi
    saranno: "Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che
    quando Egli si sarà manifestato noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo
    così come Egli è" (I Giovanni, 111 2). "Sta scritto infatti: quelle cose che
    occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste
    ha preparato Dio per coloro che lo amano" (o che si sono concessi fidenti al
    materialismo dialettico e al progressismo illuminista).


    In ogni caso le sofferenze del presente, come quelle inevitabili e maggiori
    del periodo di transizione al nuovo stato di cose (le "doglie messianiche",
    chevleh mashiach) non sono neppure lontanamente paragonabili alla gloria e
    alla felicità che saranno rivelate all'uomo risorto a nuova esistenza nel
    Regno. Dio dimorerà in mezzo agli uomini, "ed essi saranno Suo popolo ed
    Egli sarà "il Dio con loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci
    sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima
    sono passate. E colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove
    tutte le cose"" (Apocalisse, XXI 3-5).


    E quindi il mondo, satireggia - anticipando ogni mentecatto
    giudaico-disceso, in primis i Testimoni di Geova - il russo Ascinà,
    antibolscevico riparato negli anni Venti nell'Italia fascista, non sarà
    distrutto, poiché dopo le inevitabili Doglie, la rovina e l'annientamento,
    gli uomini rimasti vivi ritroveranno il buon senso, dedicandosi al
    perfezionamento di sé, agli studi, alle invenzioni: "Arriveranno giorni
    felici. Tutti gioiosi, sani, scopriranno che la vita è un giuoco. Ci sarà
    poca fatica per tutti. L'energia solare muoverà le macchine, ogni cosa andrà
    a bottoni: pigia e parti dove vuoi. La lampada di Aladino sembrerà un
    balocco. Le case saranno tutte volanti: volendo, atterri sul monte e, se
    vuoi cambiare, navighi sull'acqua e sei sempre a casa. Non ti piace il mare,
    fermati in alto sopra le nuvole e non ti muoverai. Di figli ne verranno
    pochi, a secondo della tessera. La vita dell'uomo si prolungherà a mille
    anni e, per chi sarà più robusto, anche a duemila. L ' igiene, lo sport, i
    giuochi, il riposo, l'allegria. Il cibo sarà scientificamente controllato,
    non nocivo per l'organismo. Niente denaro, niente imbrogli, tutto
    abbondante, tutto per tutti. La velocità degli spostamenti sarà superiore
    alla velocità della luce, insensibile per noi. Fra i pianeti, tutti
    scoperti, si sceglierà quelli adatti per le colonie. Niente guerre, niente
    delitti, niente prigioni. Già al cibo saranno aggiunti elementi per
    l'equilibrio psichico. Gli uomini saranno sempre affabili, generosi, allegri
    e cercheranno una buona compagnia".


    Di conseguenza il mondo del tiqqun è il mondo della riforma messianica ("per
    i figli d'Israele è un dovere imperioso lavorare a realizzare le speranze
    messianiche", predica nel 1879 l'ebreo E.A. Astruc in Entretiens sur le
    judaisme, son dogme et sa morale). Dell'instancabile impegno di Israele (il
    vero Redentore sarà non un discendente di Davide, né un Re-Messia, né una
    persona-Messia, sarà "non più un individuo, ma Israele trasformato in faro
    delle nazioni, elevato alla nobile funzione di precettore dell'umanità, che
    istruirà coi suoi libri come con la sua storia, con la costanza nelle prove
    non meno che con la fedeltà alla dottrina", c'insegna, con Drumont, il Gran
    Rabbino Michel Weil; "il popolo d'Israele, nel suo insieme, è rivestito di
    una funzione specifica: deve preparare il mondo del tiqqun, riportare tutto
    al proprio posto, e ha il dovere di riunire, raccogliere le scintille
    disperse ai quattro angoli del mondo [... ] A partire da Luria non si
    attende più un movimento messianico determinato, legato a un Messia
    specificamente designato; il Messia diviene il popolo d'Israele tutto
    intero. E il popolo d'Israele, nel suo insieme, che con l'esempio si prepara
    a riparare la frattura originaria. In questo contesto si comprende come la
    Redenzione d'Israele, nel senso nazionale e politico del termine, sia stata
    vista come una prospettiva molto concreta", concorda Rabbi Ouaknin). Del suo
    rinato potere ("non si può affermare con certezza se Isaia abbia pensato o
    no all'apparizione di un Messia personale [... ] Certo è però che, con o
    senza un Messia-Re, gli ebrei costituiranno il centro dell'umanità, intorno
    al quale si raggrupperanno, dopo la loro conversione, i non-ebrei. I popoli
    si uniranno per prestare omaggio al Popolo di Dio. Tutte le ricchezze delle
    nazioni passeranno al popolo ebraico; esse staranno al seguito del popolo
    ebraico e si getteranno ai suoi piedi", conferma Rabbi Isidore Loeb, La
    littérature des pauvres dans la Bible, 1892).


    Condizioni, tutte, imprescindibili per la salvezza dei popoli ("il giorno di
    sabato saranno tutti congiunti in uno e tutti avranno un unico sabato",
    recita il Sefer ha-Temunah, "Libro della Figura").


    Il tiqqun è capovolgimento gerarchico nelle cose terrene, eliminazione
    dell'impurità dal mondo. Ed anzi, con più conseguente radicalismo, il tiqqun
    non è tanto un miglioramento del mondo, quanto la creazione di un mondo
    nuovo, di un mondo altro, ontologicamente diverso da quello conosciuto
    dall'uomo negli infiniti millenni della sua storia. Di un mondo non situato
    in uno spirituale Aldilà ma in un concreto Aldiquà: "Il Regno di Dio è la
    comunità ventura, quella in cui tutti coloro che hanno fame e sete di
    giustizia saranno saziati" (Martin Buber, Der heilige Weg, 1920).

    Il Maestro talmudico dichiara infatti, conferma Rabbi Isadore Goodman
    nell'eulogia rooseveltiana Man, Creator of God' Kingdom, "L'uomo, creatore
    del Regno di Dio", che ""ogni cosa è in potere del cielo, eccetto la paura
    del cielo" [Berakot 33b, oltre a Maimonide predatore di Abot II 15 e Hilkhot
    Teshuvah V 2/1 ]; ogni cosa è in potere del cielo, eccetto l'istituzione del
    Regno di Dio sulla terra; questo dipende dall'uomo. Quando Dio creò l'uomo,
    gli conferì il dono e il potere di creare veri mondi. E il "Regno del Cielo"
    non è un atto di Dio, è l'unico atto lasciato all'uomo, è con gli atti
    virtuosi dell'uomo, è coi suoi misfatti maligni, che il Regno viene creato o
    rimandato".


    Ed è ancora Buber, figura centrale del giudaismo novecentesco, "l'apostolo
    dell'ebraismo presso l'umanità" (almeno a sentire il goy Enzo Bianchi,
    prefatore de La leggenda del Baal-Shem), a porre nel punto locale dell'idea
    messianica il concorso attivo dell'uomo alla redenzione in quanto partner di
    Dio, del quale, in quanto "gemello" e controparte, ritiene immagine e
    somiglianza (l'unica differenza tra i due, afferma la tradizionale
    antropologia giudaica, è che l'uomo dorme, mentre Dio non dorme mai).


    Uomo che trasforma la realtà ("I filosofi hanno solo interpretato
    diversamente il mondo; si tratta ora di cambiarlo", aveva cantato il Rabbino
    Trevirense nel Manifesto del Partito Comunista), "co-worker of God,
    cooperatore di Dio" per destino (così Samuel Cohon, docente di Teologia
    Ebraica allo Hebrew Union College; per converso, predica nel febbraio 1999
    su Moment, il più diffuso mensile ebraico-americano non-confessionale, Rabbi
    Sherwin Wine, fondatore del laicizzante Humanistic Judaism, Dio è il
    "co-pilota" dell'uomo; vedi anche l'ex-Shaul in I Corinzi, III 9: "infatti
    noi siamo collaboratori di Dio").


    Fantasmatica giudaica, sottolinea David Noble, discesa nei secoli fino a
    quella "co-creazione" non solo permessa ma imposta dall'Onnipotente agli
    esseri umani (vedi lo schema millenarista di Gioacchino da Fiore, per cui
    l'uomo diventa, attraverso la storia, partecipe della propria redenzione e,
    di conseguenza, della ricostruzione della creazione per il compimento del
    piano provvidenziale per l'universo; vedi il filosofo rinascimentale
    Marsilio Ficino: "L'uomo agisce come vicario di Dio poiché domina tutti gli
    elementi e li coltiva e, presente sulla terra, non è assente dal cielo";
    vedi il Bacone dell'Instauratio Magna e della Nuova Atlantide). Esseri umani
    che sono gli ausiliarii, i co-esploratori, gli amministratori e i "gestori
    della creazione di Dio" (vedi gli "ingegneri genetici", e più in generale i
    tremila scienziati membri dell'American Scientific Affiliatio , operanti,
    recita il saggio di V. Elving Anderson, docente di Genetica all'Università
    del Minnesota, scritto nel 1994 con Bruce Reichenbach, On Behalf of God,
    "Per conto di Dio", per "cambiare la creazione in meglio").


    Espressioni ribadite dal Servus Jesus Reinhard Neudecker, doctor in
    theologia a Monaco e Innsbruck e in philosophia allo stesso HUC, docente di
    Letteratura Rabbinica al Pontificio Istituto Biblico: "Dio e Israele, in qua
    nto compartecipi o partner, sono legati l'uno all'altro. Insieme vanno in
    esilio, insieme fanno ritorno", poiché: "Quando essi [gli israeliti] un
    giorno ritorneranno dall'esilio, ritornerà, per così dire, anche la shekinah
    insieme con loro, come è detto: "E ritornerà il Signore, tuo Dio, con i tuoi
    deportati" [Deuteronomio XXX 3]" (in Mekhiltà de-Rabbi Ishmael Bo 14).


    Identico delirio nel "grande" rabbino "italiano" Elia Samuele Artom: "La
    funzione che Israele deve compiere è essenzialmente quella di preparare con
    i suoi atti esemplari e disciplinati dalle prescrizioni della Torah la
    venuta del tempo in cui tutti gli uomini riconosceranno di fatto quello che
    si chiama malkut shamajim, Regno dei Cieli, cioè la sovranità dell'Unico
    Dio, creatore, padrone e regolatore del mondo. Tale funzione può essere
    adempiuta da Israele solo se esso vive come popolo libero e indipendente
    nella terra che il Signore gli ha data [ ] Così la redenzione d'Israele e il
    rinnovamento spirituale del mondo sono, nel pensiero ebraico, elementi l'uno
    dall'altro inscindibili" (in La vita di Israele, 1937, trionfalmente riedito
    nel 1993).


    "Si è detto" - conferma Rabbi Lawrence Hoffman, sottoscrivendo
    l'insegnamento di Rabbi Morris Kertzer - "che è possibile riassumere
    l'intero credo ebraico in queste tre parole: Dio, Torah, Israele. Come usano
    dire i mistici, "Dio, la Torah e Israele sono un tutt'uno". Se perdiamo la
    fede in uno qualsiasi di questi elementi, gli altri due periranno
    velocemente. La realtà di Dio [il Dio della creazione, della rivelazione e
    della redenzione], la virtù e le potenzialità di ogni individuo, l'eterno
    patto che il Popolo d'Israele ha fatto con Dio e la guida, il conforto e la
    saggezza della Torah, questi sono i fondamenti del nostro credo [ ] Noi
    siamo i partner di Dio. Dio ha creato un mondo fisico: il corso delle
    stelle, le stagioni, l'ordinata crescita della natura, tutte le leggi della
    fisica, della chimica e della biologia. Ma noi esseri umani possiamo
    modellare le nostre stesse vite con comportamenti che creino un paradiso
    sulla terra".


    L'eredità dei Padri, la Terra Santa, la Città Eterna reintegrata sotto il
    dominio di Israele, l'unità futura del genere umano, il Messia ed il Regno
    sono un'unica, inscindibile realtà. L'indivisibilità di teologia e politica,
    ben rileva Schalom Ben-Chorin, scaturisce dalla struttura stessa
    dell'ebraismo; solo dalla Terra Promessa prenderà avvio la Redenzione
    divina, processo impensabile senza l'abbattimento del Giogo delle Nazioni
    (Shibud Malkhuta), senza la totale sovranità del Popolo Eletto (Am Segulah),
    del Popolo Sacerdotale (Am Kohanim) sull'intera Eretz Israel: "Il re
    messianico sorgerà nel futuro e restaurerà il regno di Davide nella sua
    potenza di un tempo. Ricostruirà il tempio e radunerà i dispersi di Israele.
    E tutti i precetti della legge torneranno ad avere vigore come un tempo. Si
    offriranno sacrifici e si osserveranno nuovamente l'anno sabbatico e l'anno
    giubilare secondo la legge, come è comandato dalla Torah. Chi però non crede
    in lui o non attende la sua venuta, rinnega non solo gli altri profeti, ma
    anche la Torah e il nostro maestro Mosè, perché la stessa Torah lo
    testimonia.........I sapienti e i profeti non hanno desiderato che il tempo
    messianico giungesse per poter dominare il mondo o ridurre in loro potere i
    pagani o per essere'esaltati dai popoli, o per poter mangiare e bere a
    sazietà, ma per poter trovare il tempo di studiare la Torah e la sua
    spiegazione, e perché nessuno li potesse ostacolare in questo loro lavoro"
    (Maimonide, Mishneh Torah XI e XII). (8)


    (5) Per converso, a chi rifiuti tale assioma non è logico né moralmente
    lecito perseguire un "ordine" similarmente universalistico o, per dirla con
    l'Evola del "vero" universalismo - quello del "superiore diritto" e della
    "missione di ordine supernazionale" - "imperiale".
    (6) Autodefinizioni di Israele - "colui che lotta con Dio" o meglio, per
    Martin Buber, "Dio lotta" o "Dio regna" - il popolo inquieto detto da Rabbi
    W. Gunther Plaut "mankinds greatest blessing, la più grande benedizione
    dell'umanità": la Primizia del Suo Raccolto (Osea II 25 e "Rashi" il Maestro
    Shelomo ben Jishaqi di Troyes, Commento alla Genesi, 1), la schoriana
    "everlasting nation, nazione eterna", il plautiano-hertzberghiano "Eternal
    People, Popolo Eterno", il peguyano "Popolo Eletto dell'Inquietudine", il
    berleano "barometro di civiltà in ogni epoca" e "political instructor of the
    entire world", il buberiano "luogotenente" umano di Jahweh, l'eisenberghiano
    "missionario, psichiatra e medico", la fritzkahniana "madre etica
    dell'umanità" (tale diventata per la "genialità dei suo cuore"),-----il
    bedaridano "Pellegrino della Speranza", "segnale d'allarme per
    l'umanità" e "termometro degli alti e bassi del sentimento morale nel
    mondo", presente nella Modernità "in funzione di protomartire e di nemico
    numero uno dei nazifascismo", il robertaroniano "popolo votato al
    sacerdozio", i "Trasognati" dei Salmi CXXVI 1, gli steinsaltziani "Pastori
    di Dio", i benkaplaniani "Eterni Stranieri", il polishiano portatore di
    "eternal dissent, eterno dissenso" ("di qualunque cosa si tratti, sono
    contro", lapideggia anche Groucho Marx in Horse Feathers, id., di Norman
    McLeod, 1932), gli hertzberghirtmanheimeriani "persistent dissenters in
    every society in which they have lived, ostinati dissenzienti in tutte le
    società ove hanno vissuto" ("è impressionante il numero degli ebrei che
    hanno lottato nelle diverse insurrezioni", ammira il cabarettista
    "bulgaro-italiano" Salomone "Moni" Ovadia, oloquerulo invasionista), i
    bernanosiani "vagabonds éternels", i neheriani/hescheliani "eterni
    costruttori del tempo". Non per nulla il termine "ebreo", ivri dalla radice
    avar "passare", significante il Padre Abramo in Genesi XIV 13 quale "uno
    dell'altra parte", esprime mobilità, propensione a vagare, incessante
    dispersione, tensione verso l'Altrove, indifferenza e dematerializzazione
    dello spazio, ossessione di un popolo formato nel vuoto dell'aggressione
    nomadica. Similmente Pepe Rodríguez, che fa derivare il termine da ibri
    khapiru o aperu, "miserabili, stranieri erranti, schiavi e banditi".

    Al contrario, a identificare il simbolo tedesco della foresta come rifugio
    archetipico - rifugio stanziale e vitale necessità di radici che si
    oppongono quanto più drasticamente all'ethos del Wandering Jew, quell'"ebreo
    errante" di cui è prototipo l'irrequieto Ahasvero - è il livido cabbalista
    Elias Canetti, Nobel 1981 per la Letteratura. Rimarcando la contrapposizione
    terra-mare già magistralmente evidenziata dal politologo Carl Schmitt, così
    infatti Canetti si esprime: "Il simbolo di massa dei tedeschi era
    l'esercito. Ma l'esercito era più di un esercito: era la foresta che
    cammina. In nessuna parte del mondo il senso della foresta è rimasto così
    vivo come in Germania. La rigidità e il parallelismo degli alberi ritti, la
    loro densità e il loro numero riempiono il cuore tedesco di gioia profonda e
    segreta. Un inglese si vede volentieri sul mare, il tedesco si vede
    volentieri nella foresta; è difficile esprimere più concisamente ciò che li
    divide nel loro senso nazionale". Ma è il politologo Reinhold Oberlercher a
    cogliere più profondamente, in "Essenza e decadenza dell'America",
    l'antitesi spirituale sottesa ai contrasti tra la potenza terrestre
    germanica e quella marittima angloamericana: "Le potenze marittime sono
    imperialiste. Esse formano imperi sconsacrati, perché il mare non conosce
    templi né porta travi o colonne celesti. Nessun tempio, nessun monte sacro
    si trova in questo elemento, nessun ordine e nessun diritto si possono
    radicare nell'acqua. L' elemento fluido, se non si lega a quello terrestre
    ma si raccoglie nell'immensità del mare, non risveglia alcuna fiducia, ma
    sempre diffidenza nella coscienza dell'onnipresente pericolo. Ci si può così
    poco fidare del mare come di una potenza marittima. Il mare non genera
    fiducia, bensì, accanto alla crudeltà del pirata, solo ipocrisia e finzione.
    Nel caso dell'anglo-americanismo la crudeltà è coperta dall'utopismo
    calvinistico-puritano della santità del successo, dunque dell'illusione del
    conseguimento della salvezza eterna nell'Aldilà attraverso l'attivistico
    operare sociale nell'Aldiquà. La scomparsa dell'Inghilterra come potenza
    marittima mondiale può valere, con qualche correzione, come paradigma per il
    tramonto degli USA". Spostando di poco il bersaglio, già RoderichStoltheim
    aveva rilevato, sulla scia di Sombart ("Deserto e foresta sono i due grandi
    elementi antagonistici attorno ai quali si dispongono le essenze delle terre
    e degli uomini che le abitano"), che "in effetti il vero luogo natale e di
    vita del germano è il bosco, che già fece la Germania così poco rassicurante
    ai romani, che il bosco odiavano. Solo nel bosco e sui campi può ancora
    crescere, oggi, il vero tedesco; e come il bosco e il deserto sono opposti
    fra loro, così anche nel germanesimo e nell'ebraismo possiamo riconoscere i
    contrasti più estremi del genere umano. E' certo che in ogni tempo
    l'agricoltura costituì il fondamento primo delle stirpi germaniche e che in
    nessuna epoca della loro preistoria essa è stata del tutto ignota ai popoli
    indoeuropei. Nella vita e nell'operare a stretto contatto con la natura,
    come accade per il contadino, si fonda l'essenza del germanesimo come quella
    di tutti i popoli civili e veri costruttori.

    L'estraneità nei confronti della natura è al contrario il marchio del
    semita". Ancor prima, Adolf Wahnnund sottolinea, insieme alla necessaria
    indifferenza del nomade per la
    natura, la sua necessaria rapacità, la sua necessaria ostilità verso i
    popoli sedentari, il suo necessario e connaturato bellicismo esistenziale,
    la necessaria e cruenta guerra da condurre contro ogni diverso, contro ogni
    infedele: "Si potrebbe ribattere che anche gli Stati contadini sono, non
    raramente, obbligati alla guerra, alla difesa come all'attacco - in verità
    per prevenire l'attacco - e che una tale condotta bellica appare cosa sacra
    anche al contadino, poiché con essa difende le sue cose più sacre; è però
    evidente che il crescere e prosperare del contadino è legato in massima
    parte alla pace, poiché la sua forza vitale dipende dalla pace e in un
    guerreggiare continuo crollano i suoi fondamenti naturali. Il contrario è
    per il nomade: quando lascia i pascoli, può spostarsi solo come portatore di
    guerra, applicando contro il contadino la propria legge vitale, alla quale
    deve in eterno ubbidire, pur se diventasse sedentario e contadino egli
    stesso, cosa mostratasi finora praticamente impossibile sia per i popoli
    semiti che per quelli turanici.
    E quindi contro i popoli stanziali egli deve restare in un incessante
    status
    di guerra, simile a una nobiltà conquistatrice, come i dori spartani contro
    i perieci e gli iloti lacedemoni - egli vive nel corpo e nello spirito tale
    status di guerra, e il suo dio è un dio della guerra, come lo sono Allah e
    Jahweh, nel cui nome conduce una guerra santa". In parallelo, opposta è la
    concezione dello Stato per il nomade e per il sedentario: "In senso proprio,
    lo Stato è, come dice il nome (status = che sta), un'entità stanziale;
    perché una mobile società di briganti, come quella dei pirati nell'ultimo
    secolo della repubblica romana o le più tarde società di corsari e
    filibustieri, non viene detta Stato. Ogni società politica mobile (non
    stanziale) non può non essere una società di briganti, poiché nel movimento
    non può soddisfare da sola le proprie necessità vitali, e d'altro canto ogni
    società di briganti dev'essere mobile, poiché ogni territorio che abbia
    confini viene presto del tutto spogliato. Il deserto ed il mare costringono
    al movimento, e quindi entrambi, entità senza confini, sono il vero teatro
    del brigantaggio e del nomadismo. Al mare e al deserto si contrappone la
    terra fruttifera, ove nascono e crescono le forme più alte di società umana.
    Solo la terra coltivata permette e al contempo esige una vita sedentaria,
    dalla quale nascono pure le più varie professioni. L'agricoltura e le
    professioni rigettano e disprezzano il brigantaggio, mentre al contrario
    esso è l'orgoglio del nomadismo. Per questo presso gli antichi l'agricoltura
    e le professioni avevano le medesime divinità pacifiche e, solo in quanto
    dovevano essere anche capaci di difesa, il medesimo dio della guerra". "Il
    "bosco" " - continua Luisa Bonesio, docente di Estetica a Pavia, facendo
    equivalenti spirituali ed esistenziali il mare, il deserto e l'asfalto
    metropolitano - "è il nome dell'essere in contrapposizione alla fallacia
    dell'apparenza e del movimento; è la stabilità, la permanenza di fronte
    all'impermanenza e all'effimero; è il luogo dell'immagine e dei poteri da
    cui il mondo trae vita, in contrapposizione con la sterilità crescente del
    deserto e la fuga degli dei. In una parola, il bosco è per Júnger lo spazio
    del sacro, dell'essere che sprigiona i suoi poteri, in cui posa "la
    eccedenza del mondo". Perciò è un luogo periglioso, cui solo pochi possono
    veramente accedere, tramite un passo laterale, o la scoperta dell'altra
    faccia di ciò che c'è di più abituale. Insomma, al bosco si passa con una
    conversione, ossia mettendosi in consonanza con i ritmi profondi
    dell'essere. Il bosco è quel "santuario", quella soglia, quello spartiacque
    invisibile tra la terra desertica e la terra celeste: l'unica dimensione a
    partire dalla quale potremo davvero capire perché l'inaccessibile fierezza
    di una selva di una montagna siano "meglio", e per noi più ricche di
    possibilità vitali, di un intrico di ciminiere o un reticolo di
    superstrade".




    (7) "Fine dei Giorni" = Baakharit hayamim, concetto di Genesi IXL 1 - nel
    greco dei Settanta: ep'eschátou ton hemeron, hemeronn-equivalente a "Tempo
    della Fine",Et haQetz, presente in Daniele Xl 4O e X 21.

    (8) La redenzione dei Figli di Israele per il Mondo Avvenire avverrà,
    secondo il tannaitico Rabbi Joshua su Esodo XII 42, la notte del 14 del mese
    di Nisan-aprile, giorno nel quale gli ebrei furono liberati dalla schiavitù
    egizia (la fine dell'Esodo viene celebrata istituendo la Pasqua dal 621
    a.e.v.), mentre il suo rivale Rabbi Eliezer, basato su Salmi LXXXI 4-5, pone
    l'epoca nel mese di Tishri-settembre: vedi Klausner su Mekhiltà, Bo', Pisha,
    cap.XIV, 16b nell'edizione Friedmann.

  4. #4
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    I pretesti per l'invasione - capitolo terzo


    A parte la maligna volontà dei più conseguenti liberali, quelli che
    propugnano la politica della "porta aperta" in nome del buonismo universale
    e del diritto cosmopolitico e dei più conseguenti liberisti, quelli che
    rigettano ogni restrizione alla circolazione di merci, capitali, bestie e
    uomini,(13) nel campionario degli invasionisti questi sono i pretesti più
    abusati:


    1)Il mitico arricchimento culturale ed umano

    Ad esempio, la quaedam de populo Ornella Rota dice : "I flussi migratori
    rappresentano un'inestimabile risorsa sia per il Paese d'origine, sia per il
    Paese d'arrivo" - aspetto assolutamente soggettivo, argomento malposto e
    oggettivamente sconsiderato.


    Inoltre, all'ultimo Alain De Benoist, il più noto teorico dell'esiziale
    "multicomunitarismo" o "etnopluralismo" o "antirazzismo differenzialista"
    (vale a dire, della presenza dei gruppi etnici più vari all'interno di uno
    Stato), e all'insonne scrivano fiorentino Marco Tarchi, già suo allievo
    neodestrorso ("Occorre reagire positivamente all'invasione migratoria,
    portando al centro del dibattito delle idee l'idea di una coesistenza delle
    specificità che è l'unico ragionevole punto di mediazione fra la disordinata
    insorgenza degli egoismi individuali, tribali o nazionali e il panorama
    avvilente di una società globale dove lo scambio fra aggregati umani,
    perdendo i suoi residui connotati simbolici, culturali e religiosi, sia
    ridotto a mera competizione fra risorse materiali e fra opposte aspettative
    di potere"), si aggiunge, per nulla originale, ma in linea con l'ecumenico
    parroco don Luigi Calonghi, promotore di un "tempio" per i sikh a Pessina
    Cremonese ("L'importante è pregare il buon Dio, non importa se a farlo sono
    fedeli di altre religioni. Anche il papa ha pregato a fianco di esponenti di
    altri credo religiosi"), persino l'"anticonformista" Massimo Fini,
    rampognatore delle manifestazioni anti-invasioniste della Lega Nord
    scoppiate nell'ottobre 2000 contro l'erezione di moschee in Lombardia: "Ora
    che sta con Berlusconi, Bossi deve marcare la sua identità. E si butta su
    una xenofobia inaccettabile. Una cosa è regolamentare i flussi degli
    immigrati, un'altra è dire: tu no, perché sei musulmano. Il politologo
    Giovanni Sartori dice che l'Islam ha differenze troppo forti? Meglio, anche
    a New York c'è Chinatown. E da noi il diritto alla diversità è già
    riconosciuto agli ebrei: perché non dev'esserlo all'Islam? Viva le identità.
    Altrimenti si diventa una società monoetnica, di uomini tutti uguali
    [sic!]"... come se ci fosse al mondo un paese variegato, articolato,
    individualista ed anzi diviso più dell'Italia!


    In realtà, affinché coesistano le specificità - a prescindere ovviamente
    dalla buona volontà e dalla predisposizione dell'Altro - non occorre certo
    importare milioni di alieni. Per un "assaggio di interculturalità" (così
    l'invasionista Vaifra Palanca, firmataria di una Guida al pianeta
    immigrazione per i comunistici Editori Riuniti) basterebbe aprire qualche
    ristorante tipico, sicché il suddito del Sistema, già fruitore di hamburger
    e Coca-Cola, possa apprezzare l'esotico riso al curry e non solo l'italica
    pizza, le tortillas invece delle piadine e della pastasciutta, il kefta alla
    marocchina invece degli agnolotti, le code di rondine oltre all'ossobuco
    alla milanese, il kebab piuttosto che il gorgonzola.


    2) Le migrazioni ci sono sempre state.

    Ribatte Giovanni Damiano: "Come se fossero equiparabili gli spostamenti di
    popoli in un mondo pressoché disabitato, con enormi estensioni di terre
    libere da presenza umana e con poche comunità già completamente stanziali e
    sedentarie, e la situazione di oggi, con un pianeta in larga parte
    addirittura sovrappopolato"!


    Sulla stessa falsariga, ma con espressioni di pesante "discriminazione"
    antiislamica in favore di immigrati di fede cattolica come sudamericani,
    filippini ed eritrei, persone "culturalmente compatibili" - espressioni che,
    non fosse un'Eminenza Porporata, varrebbero all'autore, malgrado l'assoluta
    rispondenza al reale,(14) le attenzioni liberticide della Legge Mancino: per
    molto meno era stato colpito sette anni prima il Fronte Nazionale - tuona il
    14 settembre 2000 il cardinale di Bologna Giacomo Biffi, tosto attaccato dal
    sinistrume di ogni risma, laica come religiosa e papa polacco compreso: "I
    criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solo economici e
    previdenziali. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità
    della nazione.L' Italia non è una landa disabitata, senza storia e senza
    tradizioni, da popolare indiscriminatamente [... ] lo dico che non esiste un
    diritto di invasione. Lo Stato italiano può ammettere chi vuole, giusto? E
    se vuole assicurare il benessere e l'identità del popolo italiano è meglio
    che faccia bene i suoi conti".(15)


    3) Anche l'Europa fu terra di emigrazione,

    per cui esisterebbe un obbligo verso i nuovi "poveri". In primo luogo,
    l'essere stati emigranti, lungi dal costituire un vanto e non una perdita e
    una vergogna per la comunità di origine, non può essere fonte di alcun
    obbligo, né morale né giuridico, soprattutto per chi, non essendo emigrato,
    è rimasto in Europa continuando a portare il proprio contributo alla
    comunità nazionale, ad esempio vivendo le terribili crisi dei conflitti
    mondiali. Inoltre, non è proprio l'ideologia liberale a considerare
    "responsabili" gli individui e non le collettività? A "pagare" per
    l'emigrazione degli italiani di un secolo prima dovrebbero essere gli
    italiani di oggi, magari neppure imparentati coi primi? Si invertirebbe il
    concetto olocaustico helmutkohliano di "grazia della nascita tardiva",
    sostituito da quello di "colpa della nascita tardiva"?. In secondo luogo,
    non si risolverebbero certo i problemi della miseria di miliardi di uomini
    facendosi invadere da qualche decina di milioni di individui invece di
    cercare, da un lato, soluzioni congrue nei loro paesi e di ridurre,
    dall'altro, il mortifero standard di vita dell'Occidente. In terzo luogo,
    assurdo è comparare situazioni storiche nelle quali, ad esempio, la
    costruzione di una strada richiedeva l'impiego per mesi di centinaia di
    uomini, con situazioni nelle quali quello stesso lavoro viene svolto oggi in
    pochi giorni da macchinari serviti da qualche decina di tecnici.


    4)Gli immigrati sono una risorsa economico-sociale. Ma certo, e precisamente
    per i settori produttivi praticanti il lavoro nero, per gli industriali che
    comprimono il costo del lavoro o evitano la modernizzazione degli impianti,
    per il parassitismo affaristico dei produttori di merce contraffatta (oggi
    nazionali, domani planetari), di irresponsabili affittuari, dei costruttori
    di "alloggi sociali per immigrati" a spese dello Stato, per gli insegnanti e
    per chiunque ruoti intorno all'indotto migratorio, illegale o legale che
    sia. Si pensi anche solo al giubilo di Luigina Giliberti: "Arriva
    dall'Africa e "salva" la scuola - Un bambino dal Marocco e una ragazzina di
    Abbadia Lariana salvano la 1° media di Lierna. La classe, che rischiava
    d'essere soppressa per carenza di alunni, raggiunge ora il numero quindici
    previsto dal Provveditorato agli studi. Non resta che attendere il ritiro
    della soppressione e il ripristino della classe"!


    Ancora più fiera, nel febbraio 2000 la scuola media genovese "Baliano"
    totalizza 80 allogeni sui 110 iscritti e vanta il primato della classe 1 A,
    composta per il 100% da non-italiani, facendo esultare il provveditore agli
    studi Gaetano Cuozzo: "Siamo una città multietnica, e quella classe è la
    dimostrazione dell'avvenuta integrazione a Genova tra popolazione e
    immigrati". Inoltre, se nel 1996 gli studenti stranieri erano in Italia
    60.000 su una popolazione scolastica globale di sette milioni e mezzo, nel
    2000 sono già 140.000, cioè più del doppio, mentre nel 2016 toccheranno, a
    fronte del calo degli italiani, i 500.000.


    Inoltre, gli invasori sono una risorsa economico-sociale per le sinistre in
    attesa di garantirsi un illusorio bacino elettorale e una rivalsa
    psicologica per il loro miserabile fallimento storico-esistenziale, per le
    Chiese alla ricerca di presunti nuovi fedeli per fronteggiare il calo dell'
    "affezione" europea, per la criminalità organizzata che gestisce una
    manovalanza a basso costo, praticamente "invisibile", non controllabile
    dagli organi di polizia e facilmente rimpiazzabile.


    Quanto alla "utilità" degli immigrati, il politologo liberale Giovanni
    Sartori continua, sfiorando il terribile problema della predominanza
    dell'economia sull'etica e su ogni altro aspetto della vita associata e dei
    rapporti con la natura: "Sì, è ovvio che gli immigrati servono. Ma servono a
    tutti, indiscriminatamente, per definizione? E altrettanto ovvio che no. E
    dunque gli immigrati che servono sono quelli che servono. Davvero una bella
    scoperta. A parte il fatto, soggiungo, che la formula dell" "immigrato
    utile" soffre di due gravi limiti. Intanto, chi è utile a breve, è utile
    anche a lungo? E poi, secondo, il problema non è soltanto economico. Anzi,
    dirò nel libro, è eminentemente non-economico. E' preminentemente sociale ed
    etico-politico. Senza contare che anche l'utile economico può avere, e
    spesso ha, esternalità [!] "disutili", esternalità nocive. E dunque che
    l'immigrato possa risultare benefico pro tempore per l'economia, nulla
    dimostra fuori dall'economia e su quel che più conta: la "buona convivenza"
    ".


    Non è poi lecito prescindere dagli effetti morali della violenza, dal
    dolore, dall'ansia e dalla paura dei cittadini angariati dagli invasori ed
    irrisi proprio da coloro che dovrebbero tutelarne la sicurezza: politici,
    magistratura e polizia, effetti che agiscono in modo dissolvente sul vivere
    civile. Da un lato agevolando quando non promuovendo strutture criminali
    sempre più radicate e spavalde sia sull'intero territorio che in sempre più
    numerose "zone franche" nelle quali temono di entrare financo le forze
    dell'ordine (emblematici il quartiere San Salvario a Torino, la zona
    portuale a Genova o il quartiere Esquilino a Roma, o, per la Francia, le
    allucinanti periferie e gli agglomerati abitativi della cintura parigina),
    dall'altro aggravando l'impotenza e incentivando il pluridecennale
    disimpegno sociale degli italiani, la cinquantennale chiusura nel proprio
    "particolare".


    Quanto alla piatta "utilità economica", nel conto del dare-avere va
    conteggiata la "disutilità" prodotta dai crimini compiuti, dagli uccisi e
    dai feriti, dalle lesioni prodotte alle vittime con aggravio dei costi e
    delle strutture sanitarie, dalla perdita della produttività lavorativa
    dovuta ai ricoveri ospedalieri e ai periodi di malattia, dai furti, dalle
    rapine, dai vandalismi nelle abitazioni e dalle conseguenti misure per
    riparare o prevenire (con guadagno, certo, oltre che degli avvocati, dei
    benemeriti produttori di antifurti, dei fabbri e dei facitori di opere
    murarie e falegnameria). Ed egualmente, se pensiamo che un detenuto costa
    quotidianamente allo Stato 550.000 lire e che a fine 2000 gli stranieri sono
    un terzo dei detenuti, sfiorando le ventimila unità, vanno conteggiate, a
    prescindere dai costi e dalle migliaia di ore sprecate in udienze
    giudiziarie sempre più impotenti e kafkiane, le migliaia di miliardi di lire
    spesi per il mantenimento, assolutamente inutile in quanto per il 99% non
    redentivo, di una sempre più folta popolazione carceraria allogena.


    5)Vista la denatalità europea, sono una risorsa biologica. Come se
    l'afflusso di altri patrimoni genici andasse a tutelare il patrimonio genico
    europeo e non contribuisse invece ad accelerarne la scomparsa! Come se l'
    "ecatombe demografica" degli europei, da sempre irrisa e voluta da tutti gli
    antifascisti e da tutti gli "umanitari", non potesse venire contrastata e
    invertita con idonei provvedimenti di sostegno alle famiglie! Come se
    un'ipotetica supernatalità europea di per sé riducesse o annullasse la
    pressione alle frontiere, pressione che ci sarebbe sempre in quanto nata
    dall'irresponsabile esplosione demografica del Terzomondo!


    Criminale è poi l'ammonimento lanciato, attraverso il "francese" Joseph
    Alfred Grinblat, dall'ONU all'Europa nell'aprile 2000: per risolvere "in
    modo indolore", cioè senza tagli alle pensioni né aumenti degli anni
    contributivi, i problemi creati dalla denatalità - cioè dallo "spopolamento
    programmato [sic!] del continente", come si lascia sfuggire Laurence
    Caramel - entro il 2025 il Vecchio Continente dovrà accogliere 159 milioni
    di invasori. In particolare la Germania, l'Italia e la Francia,
    rispettivamente, 44, 26 e 23 milioni.

    Identico incitamento al suicidio, sulla base di identiche considerazioni,
    quello lanciato nel successivo novembre a Bruxelles, presentando alla
    Commissione Europea il primo Rapporto sulla situazione del "razzismo" in
    Europa, da Jean Kahn, già presidente della sezione francese del World Jewish
    Congress e del Congresso Ebraico Europeo, nella veste di presidente
    dell'Osservatorio Europeo sui Fenomeni Razzisti e Xenofobi: "L'Europa ha
    bisogno di immigrazione per svilupparsi. Si parla di cinquanta milioni di
    nuovi immigrati in dieci anni. Dobbiamo essere pronti ad accoglierli,
    altrimenti il nostro modello economico non sarà in grado di reggere". E per
    chi resti perplesso, bacchettate sulle dita: un'inchiesta dell'European
    Commission on Intolerance and Racism rivela che "la stampa britannica
    attacca troppo spesso i rifugiati e chi chiede asilo politico, mentre quella
    danese alimenta l'intolleranza verso i cittadini di fede islamica" (in
    Internazionale n.381, aprile 2001).


    Primo tra i "temi ebraicamente rilevanti che comportano l'assunzione di un
    ruolo politico da parte dell'ebraismo italiano" è infatti - assevera il
    presidente dell'UCEI Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Amos Luzzatto a
    Claudio Morpurgo sull'ufficiale Shalom nel maggio 2001 - "il razzismo, dato
    che qualsiasi forma di discriminazione, fondata su ragioni di appartenenza
    etnica, religiosa o politica, è di per se stessa l'anticamera
    dell'antisemitismo tradizionale. Il razzismo non si autolimita, ma ha una
    capacità di espandersi e di minacciare estremamente pericolosa. D'altra
    parte, poi, noi ebrei, da sempre colpiti da questo fenomeno, abbiamo una
    responsabilità particolare nel combattere il razzismo in tutte le sue forme
    [... ] E questo richiamo alla multiculturalità è ancora più significativo
    nell'attuale fase storica in cui, in Europa, gli Stati nazionali rinunciano
    a parte della loro sovranità per integrarsi in una realtà sovrannazionale.
    Si tratta di un fenomeno irreversibile, di grande potenzialità, ma
    estremamente difficoltoso. Basti pensare alle continue spinte
    particolaristiche che, spesso, generano conflitti come nei Balcani e che, in
    ogni caso, comportano, quasi ovunque, sentimenti diffusi di chiusura verso
    il diverso e verso le minoranze".


    Altrettanto esultante per una prossima "realtà irreversibile che oltre a
    cambiare la demografia finirà, in un modo o nell'altro, per ridefinire gli
    stessi fondamenti della nostra [sic!] identità nazionale", quasi non
    credesse ai suoi occhi, il 12 luglio 2000 era stato il recidivo sinistro
    maestrino "italiano" Guido Bolaffi: "L'immigrazione sta cambiando l'Italia
    assai più velocemente e in profondità di quanto si potesse fino a ieri
    persino immaginare. Gli ultimi dati dell'ISTAT mostrano infatti che, grazie
    alle tante nascite e all'incremento dei ricongiungimenti familiari, un
    segmento crescente della nostra popolazione è formato, e sempre più lo sarà,
    da coloro che hanno deciso di lasciare la loro terra per cercare da noi un
    futuro migliore per sé e i propri figli. Di fronte a un Paese che invecchia
    e che non vuole o non sa fare più figli, l'immigrazione funziona dunque come
    un possente meccanismo di riequilibrio esistenziale: una sorta di
    assicurazione sulla vita [!] per il Bel Paese del terzo millennio"; in
    parallelo, "consigliere" per l'immigrazione del socialista trotzkista
    francese Lionel Jospin è, all'epoca, l'ebreo Patrick Weil. (16)


    6) Gli immigrati fanno lavori umili-pesanti che gli europei non vogliono più
    fare. A parte la sempre più diffusa introduzione di macchinari robotizzanti
    e la prevedibile crisi di assorbimento della superproduttività industriale
    da parte di mercati sempre più saturi, che comporteranno a breve termine una
    disoccupazione epocale, è da vedere se sia davvero morale accettare che il
    "padrone" comprima, a vantaggio esclusivamente suo e non della comunità
    nazionale, i costi assumendo manodopera straniera da retribuire in nero o
    con salari inferiori. E' da stabilire se sia davvero morale una posizione
    che vede l'Altro come mera merce e forza-lavoro, infischiandocene della
    creazione di più acuti problemi sociali, e se davvero gli immigrati si
    adatterebbero a fare i lavori per i quali sarebbero stati richiesti, e in
    tutti i casi, fosse questo il motivo (anche se pretestuosa sembra la
    giustificazione degli invasori fondata sul proverbio soninké "dalle gumme ya
    mpasu kalle nga, meglio lavorare all'estero che morire in patria"... certo
    il concetto di "lavoro" suona differente da popolo a popolo; in ogni caso,
    scrive il "francese" Jean-Paul Gourévitch citando il rapporto dell'Haut
    Conseil a l'Integration del gennaio 2000, dei 120.000 immigrati in Francia
    nel 1998, solo il 5% lavora),

    E poi davvero si avrebbe poi il coerente coraggio di rimandarli a casa
    quando più non servissero per i lavori per cui sarebbero stati richiesti, o
    di impedirne la mobilità in altri settori già saturi?... e impedirla,
    ovviamente, non solo a loro ma anche ai loro figli?

    E se davvero ne servono sempre di nuovi, stanti i milioni di allogeni più o
    meno criminali o nullafacenti già presenti (di fronte alla "necessità" di
    manodopera straniera, tuttora non quantificata al di là dell'inverecondo
    balletto di cifre buttate al vento dai "responsabili" governativi e
    industriali, semplicemente criminali sono i messaggi lanciati
    oltre-frontiera sul "bisogno" e sulla cecità e viltà dell'Europa), e se sia
    davvero impossibile, da un lato attraverso l'eliminazione delle provvidenze
    clientelari e la riduzione dei sussidi di "disoccupazione" che ottundono la
    volontà di lavorare dei demoitaliani, dall'altro attraverso quegli adeguati
    incentivi economici che si renderebbero possibili liberando a favore dei
    connazionali le decine di migliaia di miliardi oggi dissipati pro-invasori
    (costruzione e gestione di centri di raccolta, strutture di "accoglienza" o
    repressione, edilizia popolare e servizi sanitari adeguati alle condizioni
    di salute spesso precarie dei nuovi "concittadini", scuole in lingua madre,
    edifici di culto, contributi assistenziali più o meno protempore,
    "ricongiungimenti familiari" anche fino al quarto grado e con pluri-coniuge
    se musulmani, etc.), la nazionalizzazione della forza-lavoro di un popolo di
    sessanta milioni di persone. Riordino in verità realizzabile solo da uno
    Stato Etico Nazionale, non certo dal fantoccio dis-animato dell'anarchismo
    liberista.


    7)Gli immigrati salveranno l'Europa dal collasso dei sistemi pensionistici.
    E come no... la salvezza verrebbe quindi non dalle pur possibili centinaia
    di migliaia di occupati in regola contributiva,(17) ma dalle decine di
    milioni di nullafacenti, vulavà, raccoglitori di pomodori, venditori
    ambulanti senza licenza, venditori di fiori o altra cianfrusaglia ai
    semafori e nei ristoranti, menestrelli vaganti per le strade, accattoni,
    spacciatori, prostitute, vandali ottusi, criminali e altra genìa!, individui
    sempre più numerosi, aizzati in primo luogo dal "buon cuore" delle sanatorie
    cattosinistre e dalla mancanza di reazioni dei paesi invasi. Inoltre, in
    futuro le pensioni agli Attuali Soccorritori non potranno che essere pagate
    da milioni di sempre Nuovi Soccorritori... e questo ovviamente a prescindere
    da ipotesi di riordino dell'intero sistema pensionistico, ad esempio con
    elevamento dell'età pensionabile (qualora non vi fossero giovani a rimpiazzo
    dei pensionandi, e in attesa della risalita della natalità europea) e con
    riduzione degli immorali cumuli delle "pensioni d'oro", sistema
    pensionistico da decenni saccheggiato per i più vari motivi di interesse,
    sia personali che demagogico-elettorali, proprio dagli invasionisti di ogni
    risma.


    8)Gli immigrati non sono molti e anzi sono pochi, rispetto al totale degli
    europei. A parte che avvicinarsi a un fienile o a un bidone di benzina con
    un fiammifero acceso non è poi molto diverso dall'avvicinarvisi con in mano
    una torcia, il "saldo" allogeno ha non solo l'effetto immediato degli
    invasori testé giunti, ma anche, ben più pericoloso e incontrollabile in
    quanto impostato su più toccanti motivi "umanitari", quello differito dei
    ricongiungimenti familiari (integrando Gourévitch, Guillaume Faye riporta,
    nel n. 1 di J'ai tout compris!, che sui centomila permessi di soggiomo
    rilasciati in Francia nel 1998, solo 4149 lo sono stati a titolo di lavoro,
    4342 a titolo di rifugiato e i 90.000 restanti per ricongiungimento) e,
    soprattutto, delle nascite sul luogo, aspetto ancora più pericoloso.


    Egualmente, nessun limite logico esiste all'arrivo in Europa di decine di
    milioni o miliardi di allogeni, stante che la causa prima dell'invasione è
    demografica, il primo problema dell'esubero umano in altri continenti
    essendo, appunto, una figliazione conigliesca da parte di quelle genti. Cosa
    della quale a parte l'introduzione missionaristica di cure mediche e
    vaccini - non sono certo gli europei a portare la responsabilità. Come dire:
    agli altri un'attività sessuale incontrollata, a noi rimediare alle
    conseguenze di una tale frenesia.


    Come nel 1995 aveva scritto Damiano Marabelli nella memoria difensiva contro
    la persecuzione giudiziaria scagliata contro il Fronte Nazionale proprio a
    motivo della preveggenza da esso mostrata quanto agli ingravescenti danni
    dell'invasione: "Coloro che si battono per abolire ogni controllo alle
    frontiere dell'Europa, danno a intendere all'opinione pubblica che dal Terzo
    Mondo provenga un flusso migratorio modesto. Ciò è falso. Sulla base dei
    dati forniti dall'Istituto Centrale di Statistica, è possibile stimare, ad
    esempio, che il numero complessivo di persone allogene immigrate in Italia
    nel volgere degli ultimi quindici anni ammonta a circa 1,9 - 2,3 milioni.
    Peraltro, la dimensione di questa immigrazione diviene ancora più
    inquietante se proiettata nello scenario dei prossimi due decenni, periodo
    nel quale le sole popolazioni nordafricane limitrofe alla nostra penisola
    avranno un incremento demografico pari a 165 milioni di unità".


    E si pensi, ripetiamo, che a tale invasione hard, legale, illegale e
    sanatorizzata, si aggiunge la colonizzazione soft di nascite,
    naturalizzazioni, ricongiungimenti familiari anche fino al terzo e al quarto
    grado, adozioni, matrimoni misti, etc.


    Conferma "d'autore" della tensione demografica che attraversa il
    Mediterraneo la si trova in XXI secolo, periodico mondialista della
    mondialistica Fondazione Agnelli (il cui primo presidente fu l' "europeista"
    massone Jean Monnet): "Mentre nei paesi europei della sponda Nord l'aumento
    degli anziani e i ridotti tassi di natalità lanciano nuove sfide ai sistemi
    di welfare, nei paesi della sponda Sud, dalla Turchia al Marocco, il ritardo
    nel completamento della transizione demografica porterà ancora ad un lungo
    periodo di espansione. Il rapporto numerico tra mondo arabo e Comunità
    Europea si sta capovolgendo: entro il 2010 avverrà il sorpasso". Si
    consideri che se nel 1940 la popolazione dei tre paesi nordafricani sotto
    dominio francese era la metà di quella francese, nel 2025 Marocco, Algeria e
    Tunisia ne avranno una tre volte superiore.




    Non dimentichiamo, poi, che le centinaia di migliaia di individui che ogni
    anno sciamano nel Vecchio Continente (e tacciamo delle centinaia di milioni
    di contadini africani e cinesi che, "spiazzati" dall'inarrestabile
    desertificazione del suolo africano e cinese e, per l'ex-paradiso maoista,
    dalla frenetica industrializzazione, sempre più cercheranno qualche
    "speranza" non solo nelle terre siberiane o nello spopolato subcontinente
    australiano, ma proprio in Europa) aggraveranno la già diffusa insofferenza
    degli europei verso l'invasione, oggi antidemocraticamente repressa dal
    Sistema con i mezzi più vari, dalla diffamazione dei reprobi a milionarie
    pene pecuniarie ed al carcere.


    Riscontro qualificato di tale tendenza viene nel luglio 1993 da
    Eurobarometro, un'indagine demoscopica a carattere periodico patrocinata
    dall'Unione Europea. Da tale ricerca risulta che il 64% degli italiani, il
    60% dei tedeschi, il 56% dei francesi e il 54% dei belgi ritiene ci sia, nei
    rispettivi paesi, una presenza eccessiva di stranieri. Talvolta - e come
    meravigliarsene? - si arriva financo a esplosioni di "razzismo e xenofobia"
    che colgono "di sorpresa" i fautori dell'abolizione dei controlli
    sull'immigrazione (comprese le anime pie del convegno dell'ONU che nel
    dicembre 2000 a Palermo hanno vincolato i paesi europei al divieto di
    introdurre nelle legislazioni la fattispecie di reato di ingresso
    clandestino!), i quali allora si scagliano contro le "paure irrazionali" o
    le presunte "responsabilità di demagoghi" che fomenterebbero l'odio verso
    gli stranieri. Il tutto, non venendo neppure sfiorati dal sospetto che alla
    base di tale "irrazionalità" ci siano da un lato quegli imperativi genetici
    di fitness radicati nella filogenesi (e che è certamente difficile
    "sublimare" nei contesti sociali degradati delle metropoli europee),
    dall'altro un istinto di difesa, sano e naturale, contro realtà criminali.
    Criminali non solo per nobili basi ideologiche, ma anche dal "volgare" punto
    di vista dell'egoistica incolumità personale e dell'ordine pubblico.


    A causa della fecondità debordante di altri continenti e della denatalità
    europea (6,9 per i negri dell'Africa occidentale, 3,2 per i magrebini, 1,7
    per i francesi, rileva Gourévitch; in alcune regioni d'Italia, come in
    Liguria, il tasso europeo di 1,5 precipita a 0,74, il che significa
    estinzione nell'arco di tre o quattro generazioni... estinzione in ogni caso
    agevolata dalle autorità statali, che continuano a finanziare e incentivare
    celibato, contraccezione ed aborto) (18) negli ultimi due decenni l'Europa
    ha perso quella che nella storia demografica del pianeta è l'equivalente
    della perdita da una guerra mondiale. Le cifre sono eloquenti: nel 2037, tra
    neppure quarant'anni, gli italiani saranno 45 milioni, 12 in meno rispetto
    ad oggi. In vent'anni, tra il 2000 e il 2020, i soli paesi della Comunità
    Europea perderanno 10 milioni netti di abitanti, mentre quelli del
    Nordafrica saliranno di 100 milioni e verranno attirati nelle "società
    aperte" dalla cattiva coscienza instillata negli europei dai predicatori del
    multirazzialismo e della droga, peraltro coerente coi postulati liberali,
    dell'edonismo individualista.


    9) L'Europa è moralmente tenuta, dal proprio codice etico fondato sull'
    "amore" cristiano e sulle sue propaggini liberali e socialcomuniste, a dare
    ricetto agli "sventurati" per motivi economici (quali che siano i loro
    meriti o demeriti o colpe: "anche loro devono pur vivere", guaiscono i
    benpensanti, giustificando il degrado, l'illecito, l'occupazione di case
    "vuote" il piccolo reato perpetrato dagli invasori clandestini come dai
    "regolari", obolizzando e compatendo i vulavà e i vucumprà, in attesa di
    fare altrettanto con i vuspaccià, o anche - commoventi episodi -
    "riscattando" e "redimendo" dai protettori prostitute variamente coloured o
    moldave o ucraine o romene o albanesi a seconda dei gusti), nonché
    giuridicamente obbligata da norme internazionali e dalle carte dell'ONU e
    dei Sacrosanti Diritti (l'Italia, inoltre, dall'art.10 della Costituzione) a
    praticare una politica di asilo indiscriminato per chiunque si dica
    "perseguitato", sia egli un singolo essere umano o siano decine di milioni
    di individui. Ognuno dovrebbe sapere che dietro persecuzioni e conflitti ci
    sono sempre, in modo diretto o indiretto, la grande mano del Sistema, come
    nel caso delle decine di migliaia di criminali albanesi, inviati in Europa a
    destabilizzarne le nazioni, e le piccole mani di governi che, come quello di
    Rabat per l'ingravescente irresponsabile esubero demografico marocchino, o
    quello impunito di Ankara per i curdi, vogliano liberarsi di milioni di
    indesiderati a spese altrui! (19)


    Puntuale, contro l'invasionismo quale "ideologia dell'espiazione", propagata
    in prima fila dal sinistrismo europeo, Daniele Giannetti: "All'indomani
    della caduta del muro di Berlino e dell'implosione del comunismo, vittima di
    quelle stesse contraddizioni che pretendeva di riscontrare negli altri, il
    marxismo persiste ancora in modo massiccio nella società europea, laddove a
    una clamorosa disfatta sul piano politico e su quello economico non è
    seguita una sconfessione su quello culturale. Grazie all'intuizione
    gramsciana che investe I' "intellettuale organico" del ruolo di
    predicatore - profano - in seno alla "società civile", l'intero apparato
    culturale, informativo e massmediatico è ancora oggi perfettamente allineato
    alle posizioni di quel sistema livellatore delle differenze che sembra ormai
    essere stato assunto a modello "perfetto" e universalmente valido.
    Attraverso simili, formidabili strumenti di formazione, persuasione e
    repressione la sinistra gode quindi di una posizione privilegiata,
    "egemonica", nel dettare i tempi per la preparazione, l'accettazione e
    l'instaurazione della società multietnica. L'altra e forse più importante
    valutazione in ordine alle motivazioni recondite che animano i postcomunisti
    [leggi meglio: neocomunisti] nella realizzazione del loro progetto va
    ricercata e individuata a livello psicologico o, più precisamente,
    psicopatologico. La sinistra odia l'Europa: la odia profondamente perché
    vede in lei la scandalosa e oltraggiosa testimonianza di una resistenza
    culturale che ha rifiutato e rigettato l'opzione comunista combattendola e
    sconfiggendola. Il grande peccato della civiltà occidentale [leggi meglio:
    europea] risiede proprio in questo: nell'aver compreso come lo schema
    ideologico comunista fosse irriducibilmente alieno alla storia, alla
    cultura, alla civiltà europea e nell'essersi mostrata immune di fronte alle
    promesse di "felicità" e di "paradiso terrestre" che il marxismo scandiva
    regolarmente".


    Ed ancora: "La "trasvalutazione" di tutti quei valori così peculiarmente
    europei che la filosofia marxista-leninista intendeva operare onde giungere
    a un "nuovo ordine" edificato sulle macerie di una civiltà sottoposta al
    procedimento della "tabula rasa" si ripresenta oggi sotto le spoglie di un
    "terzomondismo" nutrito dal senso di colpa - peraltro indotto - che l'uomo
    europeo prova di fronte alle presunte "ingiustizie" di cui le popolazioni
    extraeuropee sarebbero vittime. Il terzomondismo assolve allora la funzione
    di scardinare l'identità europea assicurando, da una parte, una copertura
    ideologica all'invasione allogena e comando, dall'altra, il vuoto lasciato
    dalla dinamica classica nella misura in cui alla dittatura del proletariato
    succederà la società multietnica e alla società senza classi subentrerà la
    riformato e rinata civiltà europea scaturita dall'integrazione e dalla
    fusione con i nuovi venuti".


    Ed ancora, concludendo: "L'Europa, in questo senso, assurge per la sinistra
    a simbolo delle proprie frustrazioni e delle proprie paranoie, a specchio
    impietoso dei propri fallimenti, a scomodo testimone dei propri crimini
    [... ] Qualsiasi opposizione all'ideologia multirazziale, infatti, seppur
    fondata sul ragionamento logico, sulle esperienze storiche, sui dati di
    fatto inoppugnabili, su fredde statistiche, è vana di fronte all'utilizzo di
    slogan che si caratterizzano, sempre più, come formule magiche irrazionali e
    prive di un riscontro reale atte a esorcizzare un presunto, incombente
    cataclisma sociale ("emergenza razzismo", "allarme xenofobia", "deriva
    populista", "rigurgiti nazisti", etc.). Su queste basi appare del tutto
    evidente l'intenzione di radicare nell'opinione pubblica il concetto di
    "antirazzismo militante" quale "sentinella democratica" delle istituzioni
    alla stregua di ciò che aveva rappresentato per il sistema I"'antifascismo
    militante" negli anni passati".


    "Si potrebbe completare il quadro" - aggiunge lo svizzero Eric
    Werner -"osservando che l'attuale regime occidentale s'adopera con zelo a
    far sì che la maggioranza autoctona della popolazione acquisisca sempre più
    una mentalità e i riflessi che gli antropologi e gli storici della cultura
    considerano abitualmente come caratteristiche delle minoranze, al primo
    posto l'odio-di-sé (Selbsthass) e una tendenza patologica
    all'autodenigrazione e all'autorazzismo. I massmedia invitano in permanenza
    i cittadini a espiare la loro colpa, a chiedere perdono per fatti, reali o
    immaginari, che i dirigenti proclamano al contempo, senza tema di
    contraddirsi, "inescusabili". Fatti che non si rimprovera ai cittadini di
    averli commessi loro stessi, bensì i loro genitori, nonni o anche antenati
    più o meno lontani. Perché, come nelle società primitive, la colpevolezza è
    collettiva, si trasmette di generazione in generazione. Si aggiunga che tale
    colpevolezza è a senso unico e che naturalmente a nessuno verrà in mente
    l'idea di rimproverare "l'Altro", sia chi sia, di essersi mostrato in
    passato avido, crudele, odioso, intollerante, vendicativo, etc. E'
    impensabile. "L'Altro" ha sempre ragione e mai torto. E naturalmente ha
    tutti i diritti".


    Altrettanto chiaro, rilevando l'odio-dei-propri-simili che muove gli
    "antirazzisti", Rémi Trastour: "La propaganda cosiddetta "antirazzista",
    perseguendo una politica "multirazziale", cerca di indurre nelle etnie
    recalcitranti sentimenti di colpa favorevoli alle sue teorie, con
    l'obiettivo, ne sia o meno cosciente, di rendere preponderanti certe etnie a
    scapito delle etnie autoctone o dominanti".


    10)Le migrazioni sono inarrestabili e tutte le società del futuro saranno
    multirazziali. Sfruttando il sottile ricatto psicologico dell'
    "inevitabilità" e della "coraggiosa" apertura alle "sfide", l'invasionista
    Gourévitch, farneticando di "una lotta contro la rassegnazione in nome della
    sperimentazione di soluzioni nuove, coraggiose, destinate ad essere valutate
    prima che generalizzate", guaisce: "Al contempo dobbiamo riconoscere il
    carattere ineluttabile di queste migrazioni dal Sud al Nord, che nessuna
    politica comune europea può frenare o impedire. L'unica cosa possibile è
    armonizzarle e regolamentarle in un mondo retto dalla globalizzazione, ove
    nessuno Stato né gruppo di Stati può alzare barriere definitive contro il
    flusso di persone, merci e messaggi chi dilagano per il pianeta..........
    Questa xenofobia richiede un trattamento terapeutico. Si può fare sparire la
    sofferenza ricorrendo a decreti che scaccino il male (l'espulsione
    dell'altro) o a una cura di lunga durata che porti ad associare l'altro alla
    sua guarigione ........... Non scamperemo all'avvento di una società di
    meticci Non scamperemo ad un'etica della transazione".


    "Premetto che io non credo agli inevitabili. Chi li afferma li produce. Dio
    li impicchi" - ribatte Sartori - "Ma la cultura della resa non proviene
    soltanto dagli "inevitabilisti". Proviene anche dai "mammisti" (copiosamente
    annaffiati dalle immagini lacrimose della televisione). E viene alimentata
    da chi ritiene che una società multietnica e multiculturale sia "buona", che
    sia da desiderare e da promuovere. Vediamo. L'argomento degli inevitabilisti
    è che tanto non ce la facciamo, che la resistenza è impossibile. Vedi, ci
    dicono, gli Stati Uniti, che vengono perforati al loro Sud da messicani e
    sudamericani a dispetto di ogni sorta di barriere e controlli. Sciocchezze.
    Se quei controlli non ci fossero, gli Stati Uniti verrebbero lestamente
    invasi non da centinaia di migliaia ma da milioni e milioni di clandestini.
    Idem per l'Europa. Se non resistesse, verrebbe sommersa; mentre ora come
    ora, o ancora, non lo è. L'argomento dei mammisti è invece che i derelitti
    del mondo debbono essere accolti per carità cristiana o perché è bene che
    sia così. Che far del bene sia bene, lo ritengo anch'io. Ma con un minimo di
    raziocinio. Volere il bene non equivale a conseguirlo. Le buone intenzioni,
    si sa, lastricano l'inferno. Oggi c'è chi ritiene buona la società
    multietnica. Ma lo è davvero? Il dubbio è più che lecito.


    "C'è poi, all'altro estremo, l'argomento utilitario. Non importa che gli
    extracomunitari piacciano o non piacciano; il fatto resta che sono utili,
    che ci servono e che lo sviluppo economico li impone. Senza negare che anche
    l'economia abbia le sue ragioni, questo argomento è particolarmente
    malposto. Importare mano d'opera non è lo stesso che importare immigrati, e
    cioè potenziali cittadini. Inoltre entrare in un Paese legalmente con un
    contratto di lavoro in tasca è un conto; entrarci illegalmente, e spesso
    senza possibilità o capacità di lavoro, è un altro. E il punto è che non è
    certo l'economia che ci chiede di trasformare il lavoratore-ospite
    nell'immigrato-cittadino. Dunque il problema degli extracomunitari è
    malamente librato tra inevitabilisti, mammisti e utilitaristi malveggenti".


    Quanto alla presunta multirazzialità planetaria, ben ribatte, in
    Archeofuturismo, Guillaume Faye: "Il cosmopolitismo egualitario ha suscitato
    paradossalmente il razzismo globalizzato, per ora sotterraneo e implicito ma
    che tra breve si manifesterà apertamente. I popoli messi uno di fronte
    all'altro, a stretto contatto nella Il città globale" che è diventata la
    Terra, si stanno preparando allo scontro e l'Europa, vittima di una
    colonizzazione di popolamento, rischia di diventare il principale campo di
    battaglia. Coloro secondo i quali il meticciato generalizzato è già scritto
    nel futuro dell'umanità si sbagliano, perché esso dilaga solo in Europa. Gli
    altri continenti, soprattutto l'Africa e l'Asia, costituiscono sempre più
    dei blocchi etnici impermeabili, che esportano i surplus di popolazione, ma
    non ne importano".


    Conclude, a ragione, Giovanni Damiano: "In breve: gli "argomenti suesposti",
    oltre ad essere tra loro eterogenei, e in fondo risibili, sono, soprattutto,
    assolutamente inadatti, per la loro pochezza, a giustificare eventi di tale
    portata: è grottesco, ad esempio, il solo pensare che l'avvento di una
    società multirazziale possa essere auspicato perché in grado di risolvere il
    problema delle pensioni o perché i nostri nonni erano emigranti!". Più ampio
    ancora è lo sguardo del procuratore dell'Aquila Bruno Tarquini nella
    Relazione inaugurale dell'anno giudiziario 1999: "Negli ultimi tempi il
    flusso migratorio ha assunto dimensioni così rilevanti [... ] che si è
    indotti a ritenere fondata la tesi di chi sostiene che si tratti di una vera
    e propria invasione dell'Europa: voluta e finanziata da centrali operative
    internazionali, allo scopo di determinare col tempo l'ibridazione dei popoli
    e delle religioni, onde possano realizzarsi più facilmente e più
    compiutamente progetti di dominio universale".


    A fronte alla lucidità intellettuale e al coraggio morale di Tarquini,
    ributtante è invece la "compassione" del procuratore di Cassino Gianfranco
    lzzo - inquirente sull'assassinio dell'undicenne Mauro lavarone, il 18
    novembre 1998 stuprato e strangolato da zingari - il quale, deduciamo, ben
    avrebbe visto colpevole un italiano: "Quando ad un certo punto le indagini
    si sono indirizzate verso quei due ragazzi nomadi, mi si è stretto il cuore.
    Mi creda, sospettare due nomadi, per me, è stato un vero sacrificio".
    Invero, il ventenne rom Denis Bogdan e il diciottenne peruviano Erik
    Schertzberger il 30 marzo 2001 saranno condannati rispettivamente
    all'ergastolo e a venti anni di carcere. Politically correct la protesta del
    Bogdan, che dimostra di avere capito la lezione: "Razzisti, mi condannate
    perché sono zingaro".

    nota:

    (12)Come ha fatto nelle tesi elettorali radicali del 16 aprile 2000 la
    mondialista filo-droga filo-aborto filo-invasione (il tutto:
    droga-aborto-invasione, ovviamente, "legale") Emma Bonino, all'epoca
    commissaria dell'Unione Europea: "L' immigrazione non è una minaccia da cui
    noi dobbiamo difenderci con la forza né una disgrazia di altri da affrontare
    con la solidarietà e la carità ..... poiché molti sono i paesi prigionieri
    di una povertà estrema, ed è un diritto inalienabile di ogni essere umano
    fuggire la povertà e trovare, dove può, un lavoro per salvaguardare la
    dignità propria e della propria famiglia".

    (13) Tra i mille, vedi l'Innocenzo Cipolletta boss confindustriale e adepto
    Bilderberg Group : "Fissare un tetto, indicare numeri precisi ha il sapore
    del mercato degli schiavi. Se crediamo fino in fondo alla globalizzazione,
    il discorso non deve valere solo per le merci: lasciamo che le persone
    circolino liberamente, entrino ed escano dai nostri confini. Vedrete che
    l'intera società ne trarrà enormi vantaggi", in Zuccolini R., Cipolletta:
    ampliamo gli ingressi, il mercato assesterà domanda e offerta, "Corriere
    della Sera", 8 dicembre 1998, concetti ribaditi in Zuccolini R., Cipolletta:
    aboliamo i limiti di ingresso per i lavoratori, "Corriere della Sera", 30
    marzo 2000.



    (14) Oltre al dovere di sterminare i pagani ovunque si trovino, permettendo
    nella Dar al-Islam un'esistenza, di secondo ordine, solo agli adepti del
    Libro (ebrei e cristiani, con aggiunti gli zoroastriani), non dimentichiamo
    il dovere, per i Sottomessi (muslim: musulmani), di soggiogare il mondo.
    Ovviamente, al fine di ridurre, se pure non di eliminare, la Dar al-Harb, la
    "Casa della Guerra", e cioè popoli e Stati non ancora convertiti.

    (15) E tuttavia il politically incorrect Biffi - attaccato senza conseguenze
    non solo dal Wall Street Journal, ma anche da cristiani ecumenici quali
    monsignor Riboldi, don Ciotti, don Mazzi, gli adepti della Caritas, quelli
    della Comunità di Sant'Egidio, i politici del Partito Popolare Italiano
    Castagnetti, Zecchino e Toia, etc. - non esce indenne dalla polemica. Il 28
    ottobre 2000 l'agenzia Corrispondenza romana riporta, unica fra i tanti
    organi di "informazione", che il Porporato è stato denunciato, sulla base
    della Legge Mancino, per "istigazione all'odio, al razzismo, alla
    segregazione razziale e alla discriminazione religiosa" da tale Habib Ben
    Sghaier, presidente di una tale Associazione Comunità Straniere. La medesima
    denuncia sulla base della Mancino viene firmata da don Vitaliano della Sala,
    personaggio già intruppato nella marcia per l'orgoglio gay tenutasi a Roma
    nel luglio precedente. Esattamente un anno dopo, il sinistro sacerdote è -
    col medico e miliardario cattolico Vittorio Agnoletto e col capo delle Tute
    Bianche Luca Casarini, boss dei Centri Sociali veneziani, stipendiato RAI e
    dell'invasionista ministra neocomunista per la Solidarietà Sociale Livia
    Turco, nonché persecutore dello studioso olorevisionista Franco Damiani,
    insegnante a Mestre - tra i principali istigatori "intellettuali" della
    contestazione del convegno del cosiddetto G8, aperto a Genova il 20 luglio e
    partecipato dai capi di governo o di Stato dei più ricchi otto paesi (USA,
    Giappone, Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Canada, appendicizzati
    dalla Russia). Recitata da una congerie di gruppi sedicenti "anti-global",
    la cruenta contestazione ai "potenti della terra" (ma non ai burattinai
    nascosti) non solo permette ai mondialisti "di destra" di proporsi al
    cittadino-medio come individui "responsabili" aggrediti da violenti
    criminali "di sinistra", ma offre, ai primi come ai secondi, un'eccellente
    vetrina propagandistica. Ai primi, che possiamo definire Globalisti Alti o
    Plutocratici, serve per proporsi al cittadino-medio come la consacrazione
    del governo mondiale in-carne-ed-ossa (troppo lontano e disincamato è
    l'ONU), distinto, comprensivo, pacato e pieno di buona volontà verso il
    Terzomondo (impagabile la sfilata di un pugno di capi di governo e di Stato
    negri o di altro colore), al quale si condonerebbero briciole di debito. Ai
    secondi, che potremmo definire Globalisti Bassi o Lerci, permette non solo
    di sfogare nella violenza (esercitata non contro i Potenti, ma contro il
    cittadino-medio e le forze di polizia) le infinite frustrazioni dovute al
    crollo di ogni loro ideale, ma anche di continuare ad illudersi di
    costituire l'alternativa ai primi... quando ne sono solo la stupida massa di
    manovra. In effetti, non vediamo proprio come tali utili idioti si possano
    pretendere "antiglobalisti" sbraitando, ovviamente in inglese, swahili
    mondialista par excellence, e magari ingurgitando à la Casarini cocacola ed
    hamburger, slogan come "no borders, no nations, niente confini, niente
    nazioni", ben accetti, e magari proprio da loro coniati, ai think tanks del
    G8. Infatti che senso ha avversare gli aspetti economici della
    globalizzazione, quando se ne condivide il progetto
    sociale-culturale-politico? Lucido è anche l'ebreo americano Michael Hardt,
    co-autore, col sinistro intellettuale italiano Toni Negri, di Empire,
    "Impero", summa teorico-politica del movimento "noglobal" pubblicata dalla
    Harvard University Press, la casa editrice di uno dei massimi centri
    forgiatori di cervelli per il Sistema: "Contrariamente a ciò che dicono
    molti massmedia, queste proteste non sono rivolte contro la globalizzazione
    in generale, ma contro l'attuale forma di globalizzazione, dunque a favore
    di una globalizzazione alternativa, che abbia come caratteristiche
    fondamentali l'uguaglianza e la democrazia. Per quanto riguarda
    l'uguaglianza, viviamo in un mondo con disparità sempre più profonde tra
    ricchi e poveri: è questa disparità che va sanata. Immaginare i meccanismi
    di una democrazia globale è più difficile. L' idea moderna della democrazia,
    infatti, era pensata e praticata nello spazio nazionale; sul piano globale
    la democrazia va inventata di nuovo" (corsivo nostro). Egualmente
    l'anarco-marxista Negri il 30 luglio, allucinato sul Corriere della Sera, il
    più diffuso quotidiano italiano (del supercapitalista Gianni Agnelli è anche
    la Rizzoli, editrice del volume): "Lo Stato-nazione è sempre stato un
    nemico, e io considero la globalizzazione come un effetto dei movimenti
    operai, delle lotte anticoloniali e anche delle battaglie contro il
    socialismo reale avviate a partire dagli anni Sessanta [ ] Lo Stato-nazione
    non è più adatto al controllo dei movimenti di classe, e dentro questo nuovo
    spazio il regime capitalista troverà difficoltà sempre più grandi [ ] Il
    popolo è un concetto creato dallo Stato capitalista, un concetto che abbiamo
    sottoposto a una critica feroce: è la moltitudine ridotta a partecipare a
    quello Stato. E il nome di nazione è una sua estensione,melmosa e schifosa.
    La patria, poi, è aborrita [ ] milioni di persone sono morte in suo nome: le
    lotte operaie per fortuna ci hanno liberato della patria e della nazione. Si
    spera che non compaiano mai più. Per questo l'Impero è benvenuto [ ] Perché
    se Dio vuole c'è la globalizzazione". In effetti, gli unici veri antagonisti
    del Sistema, gli unici radicalmente alternativi ai processi di
    mondializzazione, gli unici veri nemici del globalismo sono i "razzisti" e i
    nazionalisti.



    (16) Ex-boss sessantottino a Roma, dirigente della comunistica FIOM-CGIL, il
    Bolaffi assurge nel 1996 a capo dei Dipartimento per gli Affari Sociali
    presso la Presidenza del Consiglio e capo gabinetto del ministro per la
    Solidarietà Sociale di vari governi sinistri. Collaboratore di la
    Repubblica, acceso invasionista e membro della Commissione europea per la
    libera circolazione delle persone, il Bolaffi istiga a concedere la
    cittadinanza agli invasori purché... "con regole e quote", fino a
    concionare, il 23 maggio 2000 sul Corriere della Sera, contro "il grave
    ritardo culturale e istituzionale dell'Europa" nell'accogliere gli invasori.
    Malgrado tutto ciò, nell'agosto 2001 Roberto Maroni, neoministro "razzista"
    berluscoleghista del Lavoro e delle Politiche Sociali (alias ministro del
    Welfare), lo conferma, in attesa di farlo segretario generale del ministero,
    capo del dipartimento delle politiche sociali e previdenziali e, ad interim,
    del dipartimento delle politiche del lavoro.

    A - Boss lottacontinui e affini, poi riciclati quali colonne del Sistema e
    compartecipi della "mafia sessantottina" - familiarmente nota come la "old
    boys net, rete dei vecchi ragazzi" - che coinvolge il fior fiore
    dell'invasionismo quale il socialista Claudio Martelli e la neocomunista
    Livia Turco, sono anche, oltre agli ebrei Peter Freeman, Daniele Jeoffe, Gad
    Eitan Lerner, Paolo Mieli, Enzo Piperno e Luca Zevi, i goyim Lucia
    Annunziata (giornalista RAI, nel 2001 direttrice dell'agenzia online
    AP-eBiscom de La Sette, il "terzo polo" televisivo in cui si metamorfosa
    Telemontecarlo), Roberto Aprile (attivista nel "volontariato"), Gianfranco
    Bettin (sindaco di Mestre e protettore del sinistro Luca Casarini), Marco
    Boato (vicepresidente nazionale di LC, poi senatore verde), Giorgio Boatti
    (dirigente della sinistra editrice Baldini & Castoldi), Roberto "Nini"
    Briglia (direttore di Radio Popolare, giornalista al settimanale
    claudiomartellicolberlusconico Reporter, direttore del settimanale Epoca,
    direttore editoriale di Sorrisi e canzoni tv e di tutte le riviste della
    Mondadori berlusconiana, poi direttore di Panorama e del settore
    Comunicazione e Immagine della stessa editrice), Paolo Brogi (Corriere della
    Sera), Adele Cambria (già direttrice di Lotta Continua, ultrafemminista, il
    quotidiano centrosinistro Il Giorno), Toni Cappuozzo (inviato di
    telegiornali berlusconiani), Franco Carrer (manager), Mimmo Cecchini
    (assessore a Roma con l'ex-radicale ulivista Francesco Rutelli), Giovanni
    Damiani (ambientalista), Giovanni De Luna (studioso del Pd'A), Enrico
    Deaglio (direttore di Lotta Continua, poi a Reporter e l'Unità, subentra a
    Lerner quale conduttore di Milano Italia su Raitre, direttore di Diario
    della settimana, il settimanale de l'Unità edito dal supercapitalista Luca
    Formenton-Mondadori), Erri De Luca (juif honoraire, non tanto per essersi
    dedicato a "tradurre" libri veterotestamentari, quanto perché "sofferto"
    guru sterminazionista sul cattolico Avvenire e sul Corriere della Sera),
    Fiorella Farinelli (assessore a Roma con l'ex radicale ulivista Francesco
    Rutelli), Franca Fossati (ultrafemminista, giomalista su varie riviste
    femminili, portavoce della ministra neocomunista delle Pari Opportunità
    Livia Turco, recuperata dal duo Lerner-Ferrara quale caporedattrice di
    Stanlio e Ollio, il programma poi abortito di La Sette), Antonio Guidi
    (demopsichiatra, ministro primoberlusconico per la Famiglia), Ciccio La
    Licata (giornalista a La Stampa), Paolo Liguori (giomalista a il Giornale,
    direttore del cattolico il Sabato, de Il Giorno e del programma TV
    berlusconiano Studio Aperto), Luigi Manconi (tra i più frenetici guru
    invasionisti e, nel massacro NATO, tra i più ràbidi esponenti antiserbi,
    attivo anche sul Corriere della Sera, deputato e segretario/portavoce dei
    Verdi, un figlio con la telegiornalista picista/PDS Bianca Berlinguer,
    figlia dell'ex segretario picista Enrico), Andrea Marcenaro (marito della
    Fossati, giornalista a Lotta Continua e Reporter, poi sempre più destrorso a
    L'Europeo, Epoca, Il Giorno, il Foglio di Giuliano Ferrara e Panorama),
    Giampiero Mughini (direttore di Lotta Continua in attesa di farsi
    pluri-imperversatore liberal e sportivo dal Piccolo Schermo, Panorama),
    Giuseppe "Peppino" Ortoleva (massmediologo), Carlo Panella (su Lotta
    Continua e Reporter, poi ai televisivi Studio Aperto e Fatti e Misfatti),
    Marco Revelli (ricercatore-istigatore antifascista), Claudio Rinaldi
    (direttore di Panora a e L'Espresso), Sergio Saviori (dirigente
    dell'editrice Bruno Mondadori), Adriano Sofri (su Lotta Continua, l'Unità,
    Reporter Panorama, L'Espresso, la Repubblica e il Foglio, condannato coi
    sodali Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani quale mandante "morale"
    dell'assassinio del commissario Luigi Calabresi; dopo che il 24 gennaio 2000
    la Corte d'Appello di Venezia chiude l'ottava (!) revisione confermando la
    condanna del trio, Boato definisce il processo "il caso Dreyfus del 2000"),
    Guido Viale (ambientalista), Vincino (Vincenzo Gallo, vignettista
    sull'anarco-comunista il Male, sui picisti-neocomunisti Tango e Cuore, sui
    borghesi Panorama, il Foglio, Corriere della Sera e su Boxer, inserto
    satirico dell'"eretico" il manifesto).



    B - Della parallela mafia-lobby costituita dagli ex del Movimento
    Studentesco, il principale gruppo sessantottino, covo di picchiatori
    fratello-rivale di LC, sono gli ebrei Franco Piperno (poi
    fondatore/direttore di Metropolis e docente di Fisica all'Università della
    Calabria) il giomalista Stefano Jesurum (genero del goy Enzo Biagi, il
    top-giomalista per decenni imperversante su decine di giornali e in decine
    di teleprogrammi), il demoscopo Renato Mannheimer, il giornalista Giuliano
    Ferrara (notista su Epoca, Corriere della Sera e sull'effimero l'Italia
    settimanale, editorialista del settimanale lib-lab Tempi, anchorman sulle
    reti Fininvest/Mediaset, ex-comunista, ex-sessantottino ed ex-socialista
    divenuto ministro primoberlusconico per i Rapporti col Parlamento,
    fondatore-direttore del quotidiano Il Foglio e direttore di Panorama, del
    quale resta poi fondista, nel 2001 anchorman con Lerner a La Sette; marito
    della giornalista femminista Anselma "Selma" Dell'Olio, di madre "americana
    di origine russa" e padre pugliese, educata in collegio cattolico, la quale,
    dopo avere trascorso due "amori importanti" "entrambi ebrei e cioè un uomo
    d'affari e un compositore antropologo", e uno meno importante, il
    giornalista ebreo de l'Unità Franco Ottolenghi, nel 1987 impalma in
    Campidoglio il quarto arruolato, e cioè il Ferrara, officiante
    l'ex-partigiano picista Antonello "Duccio" Trombadori). Seguono i goyim
    Mario Capanna (incantatore di dame dell'alta borghesia progressista, in
    particolare della proprietaria del Corriere della Sera Giulia Maria Crespi,
    poi deputato ultrasinistro e nostalgico rievocatore della "rivoluzione"
    mancata in "Formidabili quegli anni"), Mauro Rostagno, Luca Cafiero, Luigi
    Bobbio (figlio dell'acido pater patriae Norberto), "Popi" Saracino (poi
    docente liceale, condannato per stupro su una studentessa), "Chicco" Testa
    (poi verde e presidente dell'Enel prodian-dalemian-amatiana, confermato dal
    destrorso Berlusconi), la già detta Lucia Annunziata, Silvana Mazzocchi (poi
    giornalista de la Repubblica), il poi senatore picista-diessino Claudio
    Petruccioli, Sergio Cusani (l'ex "barone rosso" capobanda all'Università
    Bocconi, poi agente di Borsa para-socialista e ufficiale pagatore - 148 i
    miliardi ufficialmente girati a esponenti politici - del tangentista Enimont
    supercapitalista Raul Gardini; suicida nel 1993 Gardini, il Cusani viene
    condannato a cinque anni e cinque mesi per corruzione) e i
    top-telegiornalisti Lamberto Sposini di Canale 5 e Raiuno e Michele Cucuzza
    di Radio popolare e Raidue.



    C - Da Potere Operaio, Avanguardia Operaia e dalle Brigate Rosse proviene
    l'ebreo Lanfranco Pace, ricielatosi giornalista su il Foglio e recuperato,
    come la shiksa Fossati, da Ferrara a La Sette.



    D - Infine, dal maoistico Servire il Popolo, giunge il salernitano Michele
    Santoro, poi livido topanchorman sulle TV sia berlusconiane che pubbliche.



    (17) In realtà, sui 900.000 stranieri ufficialmente occupati, nota Alberto
    Ronchey nell'agosto 1999, regolari contribuzioni vengono versate solo da
    300.000, e per importi minimi: i 2500 miliardi ufficialmente versati
    all'INPS sono nulla, assolutamente nulla rispetto ai 300.000 miliardi del
    costo dei pensionamenti. Inoltre, numerosi accordi bilaterali prevedono il
    pagamento all'estero delle pensioni ai lavoratori stranieri rientrati nei
    loro paesi e, in alternativa, una norma della riforma Dini del 1995 impone
    di rimborsare i contributi da loro versati. Infine, coloro che avranno
    acquisita la cittadinanza beneficeranno anch'essi, come ogni altro italiano,
    dell'integrazione al minimo delle pensioni sol che abbiano versato qualche
    contributo, o delle pensioni sociali e di altre forme di assistenza quando
    non abbiano mai versato nulla.

    (18) Fenomeno lucidamente prevista dai regimi fascisti settant'anni or sono
    e negli anni Settanta aggravato, col pretesto di "salvare l'ambiente", dalla
    dissennata prodicazione malthusiana dei verdi post-sessantottini (salvo poi
    difendere a spada tratta l'invasione multirazziale e richiedere le porte
    aperte per "rimpiazzare" la mano d'opera "mancante" per devastare
    ulteriormente il globo terracqueo!).

    (19) Vedi John Kleeves in "Rinascita": Una terra occupata. Operazione
    albanesi - Come i ceceni contro la Russia, così gli albanesi contro
    l'Europa, 4 febbraio, L'invasione continua - E l'Italia è complice della
    pulizia etnica turca, 7 giugno, e Criminalità albanese e politiche
    americane, 14 ottobre 2001.

  5. #5
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    La distruzione alimentare e sociale del Terzomondo - capitolo quarto


    "Non insisterò sul fenomeno" - scrive nel 1911 Wemer Sombart - "poco
    rilevante, del resto, che gli ebrei sono a capo, o almeno per molto tempo
    sono stati a capo, di parecchi e importantissimi settori commerciali,
    giungendo a monopolizzacene alcuni: il grano (principalmente nell'Ovest), il
    tabacco, la lana. Già a prima vista si comprende come si tratti dei tre
    fasci nervosi principali dell'economia americana, per cui chi detiene il
    monopolio di questi tre potenti settori dell'economia deve necessariamente
    svolgere una funzione di predominio nel contesto economico generale. Come ho
    appena detto, non insisto eccessivamente su tale circostanza, proponendomi
    di fondare la mia tesi del ruolo egemonico degli ebrei su ragioni molto più
    profonde".


    Nel 2000 le multinazionali con capacità di ricatto mondiale nel commercio di
    cereali, Cina compresa, sono cinque: quattro in mani ebraiche e una
    ebreo-controllata (ben minore è la sesta, l'italiana Ferruzzi, giunta alla
    ribalta negli anni Settanta ad opera di Serafino Ferruzzi e potenziata dal
    genero Raul Gardini), chiamate, in analogia con le compagnie petrolifere,
    "le sorelle del grano". Nell'ordine:


    1) Cargill di Minneapolis, della famiglia amero-scozzese Mc Millan, socio il
    "bielorusso" Julius Hendel. Prima delle cento imprese multinazionali
    agroalimentari elencate da Margherita Scoppola, fatturato totale 1997 di
    56.000 milioni di dollari (oltre 100.000 miliardi di lire), con le altre
    quattro più la Ferruzzi la Cargill oligopolizza l'80% del mercato mondiale
    dei cereali e, con Continental Grain, Dreyfus e Bunge y Born, l'80% di
    quello dei semi oleosi. Nel 1978 essa acquista il secondo più grosso
    produttore statunitense di carne, la MBPXL Corporation di Wichita/Kansas,
    mutandone il nome in Excel e trasferendo gli impianti a Dodge City. Scrive
    Jeremy Rifkin: "La decisione di Cargill di aggiungere al proprio portafoglio
    aziendale attività di lavorazione delle carni bovine rifletteva la tendenza
    all'integrazione verticale che caratterizzava la scena imprenditoriale degli
    anni Settanta; segnalava anche il consolidamento finale dell'industria della
    carne, con il raggruppamento di cerealicoltura, allevamento e macellazione e
    trasformazione della carne in un unico, grande complesso bovino ......
    Oggi, i tre grandi dell'industria della carne esercitano un significativo
    controllo su quasi tutte le fasi del processo produttivo della carne:
    posseggono le aziende che producono le sementi utilizzate per le colture di
    cereali destinati all'alimentazione bovina; producono i fertilizzanti e i
    prodotti chimici utilizzati sui terreni e sulle colture; sono proprietari di
    stalle intensive e di mandrie bovine sempre più numerose". (20)


    2) Continental Grain di New York, della famiglia ebraica americana Fribourg.
    Il capo-casata è Michel, nato ad Anversa nel 1913. Cento anni prima il
    bis-bisnonno Simon riforniva di granaglie gli eserciti napoleonici. La prima
    filiale oltreoceano viene aperta a New York nel 1922; nel maggio 1940,
    all'arrivo in Belgio dei tedeschi, Michel si porta negli USA con tutti i
    suoi beni liquidi. Il commercio con Mosca si apre nel 1963 con la vendita di
    800.000 tonnellate di grano; nel novembre 1971 viene contrattata la vendita
    di 2,9 milioni di tonnellate di cereali, soprattutto grano, orzo e avena;
    nel luglio 1972 la cessione all'URSS al prezzo "politico" di 1,68 dollari a
    bushel porta ad un rialzo dei prezzi sul mercato americano che giunge a 5,24
    dollari, mentre il mais triplica e la soia quadruplica per compensare il
    basso prezzo applicato all'URSS. Nel 1999 la CG si fonde con la Cargill a
    formare il supercolosso del settore alimentare.


    3) Dreyfus di Stanford e Parigi, della famiglia "francese" Louis-Dreyfus.

    4) Bunge y Born di Buenos Aires, della famiglia "argentina" Hirsh
    (tredice-sima nell'elenco Scoppola con fatturato 1997 di 12.000 milioni di
    dollari).

    5) Garnac di Chicago e Losanna, fondata nel 1877 dalla famiglia "svizzera"
    André, la quale, in difficoltà negli ultimi anni Novanta, nel marzo 2001
    alza bandiera bianca davanti a 43 banche creditrici, affidandosi a una
    procedura prefallimentare.


    Come scrive Giovanni Cesare Bianco, tale pentacipite superlobby
    economico-politica, mai quotata in Borsa e che non pubblica bilanci, è
    "molto aggressiva e determinata verso potenziali rischi e concorrenti,
    spregiudicata e rapace nei rapporti con contraenti, produttori ed
    acquirenti, quanto illuminata nei rapporti internazionali, votata al
    superamento della guerra fredda, alla composizione pacifica di ogni tensione
    locale o mondiale, alla massima apertura dei mercati e ad una politica
    internazionale molto avanzata e democratica, specie col blocco dei paesi
    comunisti ed asiatici ....... L' espansione innesca un nuovo cielo di lotta
    oligopolistica nello schieramento ricordato, violenta e senza esclusione di
    colpi, quindi con costi elevati ed esiti incerti, e ciò pur in presenza di
    una situazione configurabile come oligopolio collusivo su scala mondiale.
    Conseguenti ripercussioni sono l'esaltazione dei corsi sui mercati, relativa
    inefficienza e sottoutilizzazione delle capacità produttive, possibilità di
    operare in termini fortemente speculativi".



    Similmente Tony Spybey: "Le operazioni di queste società sono talmente
    estese che, considerata l'importanza del grano nella dieta umana, nel loro
    complesso esse formano il nucleo centrale del sistema alimentare globale. La
    portata delle loro operazioni è talmente vasta che esse impiegano la
    tecnologia satellitare per stimare l'offerta globale quando i cereali stanno
    ancora crescendo nelle praterie e nelle steppe dei vari continenti. Morgan
    [in Merchants of Grain , Viking Press, 1979] le presenta in questi termini:
    "Le società dei cereali furono coinvolte nel caso delle tanto controverse e
    pubblicizzare vendite di grano americano all'Unione Sovietica nel 1972. Fu
    solo però nell'anno successivo che, con il quadruplicarsi del prezzo del
    petrolio, si approfondi la consapevolezza dell'opinione pubblica
    sull'importanza strategica delle risorse fondamentali". Come già accennato,
    infatti, la crisi del petrolio del 1973 portò lo scompiglio nei prezzi delle
    merci intemazionali. Il grano, essendo un alimento di prima necessità, è
    anche un bene essenziale e strategico a tutti i livelli, eppure il corso
    delle azioni di queste società non viene quotato in Borsa, esse non
    pubblicano rendiconti e nel complesso sono controllate da un'oligarchia di
    sette famiglie. Si tratta di società che esercitano un impatto certamente
    transnazionale su una rete integrata di domanda e offerta, che comprende
    agricoltori, intermediari, spedizionieri, mugnai, fornai, supermercati e
    consumatori in tutti e cinque i continenti".


    Della potenza delle Cinque Sorelle relazione anche la Scoppola: "Pur
    svolgendo un ruolo centrale nel funzionamento dei mercati di alcune
    commodities [derrate] di base, le sei multinazionali sono rimaste nell'ombra
    per alcuni decenni. Questo alone di riservatezza, e perfino di segretezza, è
    stato anche favorito dalla struttura proprietaria delle imprese: una sola
    famiglia, infatti, controlla le quote di maggioranza della casa madre e di
    quasi tutte le filiali; inoltre i manager del gruppo provengono
    frequentemente dalla stessa famiglia o sono comunque legati ad essa
    attraverso rapporti di parentela. La concentrazione della proprietà e del
    management nelle mani di una sola famiglia ha consentito alle multinazionali
    di operare in un clima di estrema riservatezza, non dovendo rendere
    conto.all'esterno delle strategie di impresa".


    La potenza delle Cinque Sorelle si esplica anche in politiche aziendali
    volte alla diversificazione in sempre nuove attività, tendenzialmente tutte
    a rischio contenuto, nei settori bancario, assicurativo, immobiliare e
    industriale. Di converso, confrères attivi in altri campi prendono sotto
    tutela altri settori alimentari strategici: vedi il superspeculatore
    ex-"ungherese" George Soros, che dopo avere investito miliardi di dollari in
    giganteschi complessi alberghieri e per uffici a Città del Messico,
    partecipato ai venezuelani Banco Provincial e Fondo de Valores
    Immobiliarios, a Bogotà al Banco de Colombia, in Brasile a ditte immobiliari
    e alla telefonica Telebras, a ditte immobiliari guatemalteche e, quanto
    all'Argentina, ad imprese di costruzione, catene alberghiere, centri
    sportivi, centri commerciali e primarie ditte immobiliari, prende sotto
    controllo il più vasto dei parchi-bestiame argentini, comprendente a fine
    1997 oltre 160.000 capi.


    E a fine secolo tutti i settori affaristici sono talmente intricati che il
    mondo assiste, impotente, ai più impensati, ma sempre remunerativi,
    sconfinamenti. Nessuna sorpresa, quindi, se Arianna Dagnino ci avverte -
    oltre che delle consimili imprese della Virgin dell'"inglese" Richard
    Branson e della Monsanto del superamericano Robert Shapiro, che acquista
    terreni in Africa per sperimentare, indisturbata, le nuove, redditizie
    culture transgeniche approvate dal confratello Gary Goldberg, capo
    dell'America Corn Growers Association, "Associazione dei coltivatori
    americani di grano" (nel 1999 negli USA sono transgenici il 40% del raccolto
    di mais e il 60% della soia) - che Soros, "il genio delle speculazioni
    finanziarie", punta ora "sull'Africa, sull'agricoltura, sulla natura e su un
    bene che è destinato a scarseggiare: lo spazio":


    "Saremo pure all'economia delle idee e alla ricchezza impalpabile dei flussi
    di informazione, ma la terra, bene fisico per eccellenza, rimane un asset
    [risorsa finanziaria]. E George Soros l'ha capito. Mentre i più fanno a gara
    per salire sul vascello dell'information technology, alcuni grandi
    investitori intemazionali stanno puntando su ciò che l'Occidente pensava già
    di dover gettare fuori bordo: la terra. Terra come fornitrice di materie
    prime, di beni agro-industriali o minerali; terra su cui costruire case e
    complessi turistici; terra semplicemente come spazio (un bene che, a
    differenza delle idee, è limitato e tende sempre più a scarseggiare).


    "Ma dove stanno acquistando i finanzieri delle city di New York e Londra?
    Soprattutto nel continente dimenticato, l'Africa. E' questa la prospettiva
    strategica di società di investimenti come la londinese Blakeney
    Management - specializzata in mercati emergenti e unica, nel suo genere, a
    focalizzare i propri interessi esclusivamente in Africa e nei Paesi Arabi -
    che oltre a investire in azioni sulle borse locali ha cominciato ad
    acquisire società proprietarie di tenute e piantagioni. Dietro Blakeney
    Management ha fatto spesso capolino George Soros [... ] Il Soros Fund
    Management, infatti, fa parte del consorzio di investitori stranieri che,
    capeggiato da Blakeney Management, nel 1997 divenne il maggior azionista di
    African Lakes Corporation, una trading company [da to trade
    "commerciare/trafficare/approfittare/speculare", e quindi: compagnia di
    commercio/speculazione] quotata a Londra e da oltre un secolo attiva
    nell'Africa subequatoriale, dove è proprietaria, soprattutto in Malawi e
    Zimbabwe, di piantagioni e foreste. La stessa African Lakes ha ora acquisito
    Automotive Export Supplies, distributore di Land Rover e BMW in dodici paesi
    africani".


    Inoltre, "la presenza invisibile di George Soros si fece sentire anche
    quando nel 1998 Blakeney Management - il cui fondo d'investimenti per
    l'Africa include una coppia di banche newyorkesi e due fra i maggiori fondi
    pensione inglesi - divenne insieme ad African Lakes il maggior azionista di
    Lonrho Africa, una delle più importanti trading company del continente,
    quotata sia a Londra che a Johannesburg. Con sede a Nairobi, Lonrho Africa è
    proprietaria di grandi piantagioni di cotone, tè, canna da zucchero, enormi
    fattorie per l'allevamento di bestiame e immense foreste da taglio. I suoi
    interessi, radicati anche nel turismo e nella distribuzione di auto e
    macchinari industriali, toccano Ghana, Kenia, Uganda, Mozambico, Sudafrica,
    Mauritius, Zambia e Malawi. Sempre fra le società con un interesse in Lonrho
    Africa si trova un altro dei protagonisti di questo nuovo scramble for
    Africa [lotta per l'Africa].E' African Plantations, anch'essa associata a
    Soros. African Plantations Corporation è costituita da un gruppo di
    finanziatori lungimiranti, "convinti che le grandi piantagioni del
    continente abbiano di fronte a sé un futuro promettente, alla luce della
    crescente domanda di prodotti agro-industriali sui mercati internazionali e
    della concomitante riduzione di terre arabili nel resto del mondo", come
    recita il profilo aziendale. Ha acquistato grandi piantagioni di tè e caffè
    in Malawi, Tanzania, Zambia e Zimbabwe e vuole costruire la più importante
    società di produzione di tè e caffè di tutta l'Africa, con ramificazioni
    anche nelle foreste da taglio e nelle piantagioni di alberi della gomma
    [... ] D'altronde persino un avveduto e ascoltato international investor
    come Jim Rogers, da un anno in giro per il pianeta per analizzare di persona
    i vari mercati, consiglia di puntare sulle materie prime: riso, cotone,
    lana, prodotti minerari. Tutta ricchezza che si può ancora toccare con
    mano".


    A causa della politica agricola condotta dall'Occidente, in testa gli USA,
    nei confronti del Terzomondo, le gigantesche holding multi-transnazionali,
    in ispecie le Cinque Sorelle dei cereali, sono le responsabili prime di
    tutta una serie di fenomeni innescati




    1) dal mutamento delle colture e dalla sostituzione dei cereali locali - in
    Africa, ad esempio, miglio e sorgo - con monocolture più redditizie per gli
    acquirenti ma ipersfruttatrici del suolo: caffè, arachidi, banane, ananas,
    soia e altri legumi, zucchero, vaniglia, gamberetti, juta, tabacco, albero
    della gomma o perfino erba alfalfa, prodotta in Etiopia per il bestiame
    giapponese mentre i contadini etiopici muoiono di fame, così come in
    Centroamerica alla fine degli anni Settanta due terzi della terra arabile
    sono occupati da bestiame per lo più destinato al Nordamerica (osceno ed
    irresponsabile gioco, dato che il 90% dei nuovi allevamenti in Amazzonia
    sospende l'attività entro otto anni dall'avvio, causa l'impoverimento del
    suolo dovuto all'eccesso di pascolo) o ancor più direttamente dannose per
    gli indigeni: coltivazione di stupefacenti come Cannabis sativa, coca e
    papavero d'oppio, con formazione di strutture criminali anche a livello
    statuale e ulteriore inserimento di tali economie nel circuito
    mondialista... il "vantaggio comparativo" inneggiato da Adam Smith!:


    2) fenomeni, il più immediato dei quali è la vendita a tali paesi del
    surplus di cereali prodotti dall'agricoltore statunitense, il quale, per
    mantenere tale produzione,

    3) viene a dipendere sempre più dai prestiti bancari e dagli
    acquirenti/commercianti del prodotto, e

    4)impoverisce il suolo in modo sempre più aggressivo,


    5) richiedendo quantità sempre maggiori di pesticidi e fertilizzanti come,
    d'altra parte, il Terzo Mondo per le monoculture (per quanto concerne i
    cereali, nel quarantennio 1950-90 il consumo mondiale dei fertilizzanti è
    praticamente decuplicato),

    6) con una ricaduta negativa, diretta e indiretta, sulla salute non solo
    degli States, ma dell'intera popolazione mondiale,


    7) progressiva dipendenza alimentare dagli USA del Terzomondo (e con
    istruttivi risvolti: quando nel 1972 il Sahel viene devastato dalla siccità
    e dalla morte per fame, Washington paga ai propri agricoltori tre miliardi
    di dollari affinché lascino incolti cinquanta milioni di ettari che, se
    coltivati, sfamerebbero quelle popolazioni africane, e ciò per provocare un
    rialzo dei prezzi e trarre maggiore profitto sui grandi mercati: "I morti di
    fame del Sahel non avevano invece i quattrini sufficienti per comprare il
    grano a un prezzo interessante per i produttori americani", commenta Massimo
    Fini),


    8) sfruttamento intensivo di campi, foreste e materie prime per fronteggiare
    non solo le esigenze di una popolazione in rapida irresponsabile crescita,
    ma anche il deficit della bilancia commerciale,

    9)maggiore impulso, attraverso la commercializzazione di legname e minerali,
    alla capacità trasformativo-produttiva dei paesi industrializzati,

    10) conseguente ulteriore accelerazione dell'inquinamento ambientale e del
    tasso di malattie infettive e degenerative in tali paesi,

    11)abbandono, da parte dei governi locali, di ogni volontà di sviluppare le
    residue colture terzomondiali mediante costruzione, ad esempio, di difese
    arboree naturali o serbatoi e canali d'irrigazione,

    12) desertificazione e abbandono dei campi (oltre alla Cina, vedi l'Africa
    subsahariana),


    13)urbanizzazione accelerata, con formazione di megalopoli-cloaca composte
    da agglomerati di bidonville e favele, come ben riassume l'ebreo Giorgio
    Morpurgo il quale, all'interno di un realismo oltremodo pregevole, cede
    tuttavia a beceri spunti "antinazisti", scagliandosi contro l'unica
    Weltanschauung che abbia previsto e combattuto le devastazioni del
    Mondialismo: "Potrebbe a prima vista sembrare che l'esportazione dei
    ritrovati della nostra società non abbia portato che bene: disgraziatamente
    è proprio il contrario. Se la popolazione è aumentata, non per questo è
    aumentata la superficie delle terre coltivate e tutte le risorse che
    assicurano ad una popolazione una vita decente. Anzi, come vedremo in
    seguito, la superficie coltivata va gradualmente diminuendo. Fino ad un
    certo punto l'aumento della popolazione è stato compensato dall'aumento
    della produttività agricola dato dall'introduzione di varietà di cereali più
    produttive, un rimedio non privo di controindicazioni poiché le nuove
    varietà necessitano di maggiori quantità di costosi concimi, generalmente
    non prodotti nei paesi del Terzo Mondo. Una soluzione di questo genere, in
    assenza di un declino nel ritmo di accrescimento della popolazione, che si è
    verificato ma non è stato sufficiente, non può costituire che un palliativo.
    Dopo una breve pausa il male ritornerà più intenso di prima. La popolazione
    è aumentata più delle risorse e il risultato è stato il collasso economico e
    il completo degrado sociale delle popolazioni di ciò che siamo abituati a
    chiamare Terzo Mondo.


    "Si vive (per ora) un po' di più, ma a quale prezzo?... al prezzo di una
    vita a un livello subumano, della desertificazione del territorio,
    dell'abolizione di ogni valore culturale. La vecchia cultura è morta, la
    nuova non esiste. Lasciati a se stessi, questi paesi che avevano una loro
    propria vita, miserabile ma dignitosa, potevano riuscire ad evolvere verso
    qualcosa di meglio. O anche potevano restare com'erano, poiché certamente lo
    scopo primario degli uomini non è allungare la speranza di vita alla nascita
    ma, per quelli che sopravvivono, vivere una vita che abbia un senso. Adesso
    questi popoli non hanno speranza: l'aumento della popolazione fa sì che ogni
    possibile risorsa sia dedicata unicamente alla sopravvivenza, rendendo al
    tempo stesso impossibile sia il cambiamento delle condizioni economiche che
    lo sviluppo di una qualsiasi cultura. In tutti questi paesi si è poi
    verificato un altro fenomeno che nel giro di pochissimi anni ha assunto
    proporzioni mostruose. Spinti dalla fame ricorrente (è impossibile nelle
    campagne in assenza di uno Stato organizzato evitare le carestie dovute ad
    eventi climatici, malattie, etc.) la popolazione si riversa nelle città
    sperando di trovare qualcosa da mangiare. Nel giro di trent'anni Città del
    Messico è passata da 2 a 18-20 milioni di abitanti, Lima in Perù da 5 a 10
    milioni (circa la metà della popolazione del paese), il Cairo da 3 a circa
    16 milioni,quanto alla nigeriana Lagos, passa da 1 milione a 10 milioni etc.
    In tutti i casi le città hanno un centro con l'aspetto di una città come noi
    la concepiamo, relativamente piccolo, che raccoglie meno di un decimo degli
    abitanti, contornato da un agglomerato di catapecchie fatiscenti in cui non
    esistono fognature, acqua potabile, elettricità, etc.",


    14)esasperazione della dicotomia classi ricche/povere, che già caratterizza
    il Terzomondo, con la fon-nazione e l'imposizione, ancor più che nell'Europa
    del dopoguerra, di cricche dominanti prone al Potere. Scrivono gli ebrei
    Jeffrey Mander ed Edward Goldsmith: "Il modo più efficace per aprire i
    mercati è quello di occidentalizzare i quadri dirigenti locali e
    trasformarli in ardenti sostenitori dello sviluppo economico, che deve
    essere perseguito anche a danno della maggioranza dei concittadini [... ]
    Oggi questo è uno degli obiettivi principali dei cosiddetti programmi di
    sviluppo, che comprendono l'addestramento militare, la fomitura di armi e il
    sostegno economico ai governi filoamericani. Rientrano in questa logica
    anche gli aiuti alimentari forniti dagli Stati Uniti, che sono divisi in due
    categorie. La prima si compone essenzialmente di prestiti a interesse
    ridotto che vengono erogati ai governi del Terzo Mondo. Questi soldi, come
    scrive Danaher, "servono a comprare prodotti alimentari americani per poi
    rivenderli sul mercato trattenendo il ricavato". Questo tipo di aiuto è
    soltanto un trasferimento di valuta nelle casse dei governi che Washington
    considera strategicamente importanti. La seconda categoria di aiuti
    alimentari, invece, ha funzione di rendere certi paesi sempre più dipendenti
    dalle forniture statunitensi. Molti uomini politici americani, compreso l'ex
    vicepresidente [democratico] Hubert Humphrey, hanno detto che gli aiuti
    alimentari devono essere usati come arma",


    15)ulteriore spinta all'ingresso nel Mercato-mondo per l'importazione di
    modelli di vita occidentali e per la necessità di approvvigionare la
    popolazione urbana enormemente aumentata, il che porta non solo ad istituire
    "adeguate" strutture di controllo, trasporto e commercio, ma anche a forzare
    i contadini a produrre non più per sé ma per il mercato-mondo (ad esempio
    con la formula della "agricoltura su contratto", ove la grande impresa,
    nazionale o multinazionale, affitta dal contadino la sua terra e il suo
    lavoro e costui produce quanto gli viene richiesto), e conseguente maggiore
    impotenza economico-politica del Terzomondo nei confronti dell'Occidente,
    con la perdita del potere di controllo e difesa - come già fu nell'Ottocento
    in Cina con l'imposizione dell'oppio - nei confronti delle importazioni di
    alimenti giudicati dannosi dai singoli Stati: cibi transgenici, carni
    ormonizzate, vegetali disinfestati con precursori diossinici le cui
    caratteristiche e i cui limiti di tossicità vengono, rispettivamente, le
    prime sminuite e i secondi decuplicati su "base scientifica" per
    tranquillizzare l'"opinione pubblica", e l'acquisizione dei moduli
    comportamentali occidentali a livello di struttura mentale/politica (la
    democrazia liberale diviene inevitabile), ma non a livello
    economico/produttivo. A prescindere dall'umanità dei colonialismo di
    popolamento e strategico italiano, Massimo Fini rileva che il colonialismo
    classico, financo quello di sfruttamento commerciale di stampo
    anglo-olandese non si dimentichi inoltre che, come nel caso francese,
    l'impegno si concluse, dal punto di vista economico, in perdita per via
    delle infrastrutture create e lasciate nelle colonie - fu molto più
    responsabile e meno brutale dell'odierno colonialismo finanziario di stampo
    americano:


    "Non bisogna confondere l'omologazione del pianeta ad un unico modello
    economico con il colonialismo tradizionale. Non tanto perché quest'ultimo
    non arrivò mai ad occupare l'intero globo, quanto perché si tratta di due
    fenomeni che, seppur intrecciati, sono qualitativamente molto diversi. Il
    vecchio colonialismo, avendo soprattutto di mira la rapina di materie prime
    più che la conquista di nuovi mercati, tiene nettamente separate la comunità
    dei colonizzatori da quella indigena e non stravolge quindi l'esistenza e la
    cultura dei popoli autoctoni, che sostanzialmente continuano a vivere come
    hanno sempre vissuto. Il colonialismo economico invece, puntando sulla
    conquista di nuovi consumatori, ha bisogno di omologare le popolazioni
    indigene ai gusti, ai costumi, alla way of life del modello industriale, e
    quindi ne distrugge le culture, pur rispettando, almeno formalmente, a
    differenza del primo, la sovranità dei loro Stati", per cui quei paesi,
    entrati nel mercato mondiale e nel circuito internazionale del denaro,
    "vengono stritolati dalle interdipendenze create dal globalismo economico e
    dai suoi meccanismi. Per vari motivi. Perché, arrivando per ultimi, sono com
    unque troppo deboli per inserirsi nel meccanismo con qualche possibilità di
    successo. Perché i paesi industrializzati non solo gli rapinano, come han
    sempre fatto dall'epoca coloniale, le materie prime - e questo sarebbe
    ancora il meno - ma gli rivendono la loro roba inutile: Coca-Cola, radio
    portatili, pile, etc., impoverendoli ulteriormente. In alcuni casi i paesi
    del Terzo Mondo vengono persino "aiutati" [con prestiti o "donazioni"] per
    poterli depredare meglio"; conferma il politologo Giancarlo Galli: "I
    prestiti al Terzo Mondo, che non rientreranno mai in quanto tali, sono stati
    in realtà già recuperati attraverso un circuito parallelo: le importazioni
    di materie prime da questi stessi paesi, e le esportazioni di prodotti
    finiti, beni di consumo e armamenti. Spirale nefasta, che accresce la
    dipendenza dal capitalismo di questi paesi: è il neocolonialismo
    economico-finanziario",

    19) ulteriore devastazione, in vista della rovina definitiva, delle civiltà
    locali e delle culture rurali: nota Umberto Malafronte che "il dissolvimento
    di queste strutture sociali ha disintegrato e atomizzato le società tribali
    o tradizionali [... ] ingenerando uno stato di insicurezza e di
    disorientamento mal compensato dal parziale inserimento di una minoranza
    nell'economia formale sopravvenuta a quella originaria e principale causa
    della fuga di quegli individui dalle proprie terre e dai propri villaggi
    [... ] La spinta all'occidentalizzazione finisce per destabilizzare vecchi e
    consolidati equilibri senza che si intravveda l'approdo verso i nuovi
    assetti sociali ed economici auspicati per le ovvie incompatibilità
    storico-culturali",


    20) ed infine, per quanto direttamente ci riguarda, mostruosa e insensata
    (ma non tale nella strategia del Piccolo Popolo) accelerazione del
    migrazionismo invasore verso l'Europa.

    Note:

    (20) li primo grande dell'industria della came, la IBP Iowa Beef Packers,
    acquistata nel 1981 dalla Occidental Petroleum del miliardario ebreo
    filo-comunista Armand Hammer, nel 1988 macella il 29% dei bovini USA e
    controlla il 35-40% del mercato USA della carne bovina confezionata. li
    terzo, la Read Meat Company, è creatura del colosso alimentare Con-Agra,
    dopo l'acquisto della Swift e di altre imprese.

  6. #6
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    L'unica possibilità di riscatto - capitolo quinto


    Poiché per gli artefici del Mondialismo assolutamente centrale è la perdita
    di ogni specificità personale e di ogni ricordo storico, il primo dovere
    verso i figli, verso la comunità e verso l'ambiente naturale si deve
    esplicare nel recupero e nel potenziamento della Memoria. Memoria, la cui
    perdita condanna gli esseri umani - ogni essere umano, a qualunque stirpe
    appartenga - alla perdita delle qualità più preziose:


    1) la facoltà di discriminare le cose, cioè di assegnare ad ognuna la sua
    specifica dignità, di distinguere, di decidere, (21)

    2) il sentimento della radicalità di ogni cosa, la centralità vitale del
    legame col passato, col proprio popolo, coi propri figli, con se stessi. Non
    per nulla la nazione ebraica è riuscita a sopravvivere alle prove più dure
    nel corso di due millenni: perché ogni suo membro, pur segnato o guidato
    dall'Allucinazione, si è sempre posto, nella storia e nei costumi, nella
    quotidianità e nello slancio al futuro, a testimone della propria stirpe e
    comunità. La Memoria è Coscienza, la Memoria è Anima.


    E' il politologo Ernesto Galli della Loggia, cantore tra i più illustri di
    Gods Own Country ad evidenziare nel modo più chiaro, in una Lettera agli
    amici americani, che questo è il nocciolo del problema, la ragione del
    contendere:





    "Sul principio "ci sono cose che non si possono comprare" l'Europa non può
    cedere. Se cedesse cosa le rimarrebbe? Assolutamente più nulla, in
    particolare nei vostri confronti. Perché al dunque quello che non si può
    comprare è una cosa soltanto: il passato. Ci sono cose - vuol dire quel
    principio - la cui essenza non sta nella loro consistenza effettiva e
    nell'uso che di esse si può fare, cose che alla radice non appartengono
    all'universo del "qui e ora", bensì all'universo stilistico che esse
    implicano e insieme richiedono: "stile" che solo al tempo è dato formare. Il
    tempo che filtra, che seleziona, che accumula .......Voi siete intimamente
    convinti che la democrazia possa vincere e cancellare il tempo. Che ogni
    giorno e in ogni occasione si possa ricominciare da capo, che basti la
    volontà per impadronirsi di qualsiasi conoscenza".


    Ma nel celebrare il Destino Manifesto che porta a rovina le nazioni e il
    pianeta, il Nostro si spinge ancor oltre, sulla via di una sincerità
    criminale, rasentando, peraltro tragicamente, il ridicolo: "Ai nostri occhi
    voi e la modernità siete la stessa cosa, e quel che più conta lo siete nella
    realtà. Sicché ci accorgiamo che non possiamo essere moderni senza
    "americanizzarci", senza divenire un po' americani anche noi. Nella paura e
    nell'ostilità verso I ' "americanizzazione" si manifesta nient'altro che la
    consapevolezza dell'Europa di possedere un'identità culturale ben poco
    congrua a ciò che è imposto dalla condizione dell'epoca ......L'Europa non
    si ferma a pensare che quella cultura [americana] ha strappato centinaia e
    centinaia di migliaia di uomini a un'immobilità di secoli, portando sotto i
    loro occhi o dandogli il modo di conoscere per la prima volta cos'è un
    ristorante, cos'è una metropoli, cos'è un aeroplano. Tutto ciò ha beninteso
    un prezzo: la distruzione dell'antico. La modernità [al pari della morte, ci
    si permetta di aggiungere] è notoriamente una strada senza ritorno".


    La cantata multirazzialista del Nostro, scandita per anni su tutte le
    gazzette in compagnia degli altri fratelli mondialisti (demoliberali,
    socialcomunisti e cristiani di ogni setta), sembra arrestarsi però nel 1994.
    Prendendo spunto da un fatto di cronaca - la condanna a morte, secondo la
    legge coranica, di un iraniano reo di avere abbandonato l'islam per il
    cristianesimo, annuncio di una prossima "guerra delle fedi", e
    specificamente tra la fede islamica e quella liberale - il Galli della
    Loggia viene folgorato dal dubbio se, tutto sommato, il multirazzialismo non
    comporti, oltre all'Apertura Mentale offerta dall'Esperienza dell'Altro,
    anche un qualche inconveniente per le società (intanto, sulla scia degli
    insegnamenti galliani, le condizioni socio-politiche dei paesi europei si
    degradano tragicamente sotto l'urto dei "migranti"). Considerare il
    multiculturalismo l'unica alternativa ad "un razzismo di sapore hitleriano",
    scrive il Nostro, non solo è una di quelle "soluzioni complessive ed
    ottimali" spesso "terribilmente ottimistiche", ma anche una forma di
    precondizionamento, una "preventiva opposizione di etichette etiche alle
    diverse posizioni presenti in campo". Essendo il multirazzialismo (da lui
    riduttivamente chiamato "multiculturalismo") contrassegnato da una etichetta
    positiva, chiunque sarebbe tenuto a non dirne che bene.


    Inoltre, mentre da un lato la convivenza tra le diverse culture non è mai
    sfociata in un irenico melting pot (il mitico "crogiuolo" nel quale
    dovrebbero scomparire tutte le differenze e fondersi tutte le razze a
    formare la superrazza del futuro), anche la salad bowl (la "insalatiera"
    nella quale ogni razza manterrebbe la propria individualità così come ogni
    componente dell'insalata, pur nell'amalgama dell'unico condimento, mantiene
    il proprio sapore) è solo una sorta di (effimera) pace armata:

    "Infatti lo scambio, la comunicazione, il passaggio senza di che il
    multiculturalismo non sarebbe altro che una forma di apartheid democratico -
    sono inevitabilmente destinati, in un giro più o meno breve di tempo, a
    dissolvere e a cancellare le identità culturali. Queste possono sopravvivere
    e svilupparsi solo a patto di una separazione, di una lontananza reciproca.
    L'idea dei multiculturalisti di conservare in un unico spazio socio-statuale
    le più varie culture con la loro diversità, ma al tempo stesso di assicurare
    lo scambio "democratico" tra di esse e insieme, per sovrammercato, di
    riconoscere ai loro membri un insieme di diritti ritagliati sull'individuo
    (com'è nella tradizione delle democrazie occidentali), tale idea si rivela
    altrettanto realistica, mi sembra, di quella di svuotare il mare con un
    cucchiaino".


    Ma - non ci si lasci sopraffare dall'entusiasmo per la scoperta di un
    presunto sodale - questo non è tutto! Il vero multiculturalismo, cioè il
    rispetto e la convivenza di culture dissimili entro una sola società, è
    incompatibile con l'idea stessa di società. Una società, afferma il Nostro
    Liberale con illiberale arditezza, "non è un condominio, di cui per far
    parte basta occupare un appartamento. Una società significa sempre, in
    qualche modo, un retaggio condiviso di valori, di tradizioni, di storia
    civile e religiosa. Ma come può aversi qualcosa del genere in un ambito che
    veda la presenza di culture ugualmente forti ma di segno assai diverso? Non
    ci si illuda: questa impossibilità vale anche per le società democratiche.
    La parola cittadino nasce insieme a quella di patria. Non esiste una
    democrazia cosmopolita e, anzi, forse più di qualsiasi altro regime la
    democrazia ha bisogno di uno spazio nazionale........... Gli Stati Uniti
    stanno sperimentando proprio in questi anni i cortocircuiti e le paralisi
    che il comunitarismo multiculturale rischia di produrre nel meccanismo
    politico di quella che è pure la più antica democrazia del mondo".


    Ora - a parte che non è certo da oggi che gli States sono percorsi da una
    letale tensione interrazziale, devastati da reciproco odio - quali sarebbero
    le soluzioni? "Come molte idee astratte, ricalcate su principi altrettanto
    astratti", conciona il Galli, "il multiculturalismo non è una buona
    soluzione per i nostri problemi". Bene, assente il lettore, avanti allora le
    conclusioni. E qui casca il Nostro, che non prende neppure in considerazione
    I' unica soluzione, per quanto impotente e irrealistica possa oggi sembrare,
    per tentare - e sottolineiamo e risottolineiamo: tentare - di non morire
    della Devastazione: l'arroccamento delle società europee su se stesse, con
    1) la chiusura all'Invasionismo nella pratica, 2) la distruzione
    dell'Allucinazione nella teoretica.


    Soluzione articolata in quindici punti - tutti da discutere, affinare a
    ampliare con la massima apertura mentale - teoreticamente basati sulla
    massima antica di Averroè: "Chi cerca la pace a ogni costo non avrà che la
    guerra. Chi apre le porte della città al nemico per evitare il saccheggio e
    l'incendio sarà saccheggiato e incendiato ancora più crudelmente che se
    avesse combattuto con coraggio per difendersi" e su quella moderna di Carl
    Schmitt: "Non sei tu che decidi chi è il tuo nemico, è lui. Potrai bene
    dirlo tuo amico; se lui decide di essere tuo nemico, non potrai farci
    niente", e operativamente su equilibrio morale, determinazione caratteriale,
    consenso popolare e forza esecutiva (intenda il lettore: se anche Trastour e
    Faye invocano l'adozione di misure tanto più radicali quanto più
    inassimilabili sono le etnie, il ripristino dell'ordine va attuato nei
    riguardi di tutti gli immigrati, a prescindere dalla
    razzaletnia/nazionalità/religione, poiché, ricorda Thierry Desjardins
    citando il tribunale di Rennes del 22 ottobre 1991, "non costituiscono
    provocazione all'odio razziale i discorsi che trattano un fenomeno
    sociologico come l'immigrazione nella sua globalità, ove non si faccia
    riferimento a persone o gruppi determinati, o ad un'etnia, nazione, razza o
    religione"):


    1)Varo legislativo di un organico pacchetto di provvedimenti, tra i quali la
    schedatura degli immigrati, compresi, come afferma nel settembre 2001 il
    procuratore di Vicenza Antonio Fojadelli di fronte allo scatenarsi della
    criminalità albanese, "quelli con regolare permesso di soggiorno, purché si
    trovi una formula tecnico-giuridica che non li discrimini. Prendere le
    impronte a tutti non è umiliante [... ] Solo chi non rispetta le regole ha
    da temere. Alle emergenze bisogna rispondere con strumenti idonei. Bisogna
    creare una banca dati per stranieri e coordinarci, altrimenti c'è il rischio
    che cresca l'intolleranza nei confronti degli immigrati con tutto ciò che
    comporta sul piano democratico. Perciò a tutti i clandestini vanno prese le
    impronte digitali e vanno fotografati".

    2)divieto del "ricongiungimento" dei familiari coi "lavoratori ospiti":
    semplicemente allucinante, al contrario, che nel 2001 la Corte di Cassazione
    presieduta da Corrado Carnevale (il giudice "ammazzasentenze" già salvatore
    di decine di criminali, operante con formalismo maniacale e garantismo
    esasperato, nel giugno condannato in appello a sei anni di carcere per
    concorso esterno in associazione mafiosa), l' 8 febbraio ammetta ed anzi
    promuova, in un'infinita "catena di sant'Antonio", la chiamata di un secondo
    familiare da parte di un primo individuo già "ricongiunto" a un invasore
    legale o sanatorizzato; ed ugualmente allucinanti le decine di giudici che,
    in sette casi su dieci, obbligano le autorità a rilasciare i visti ai
    ricongiungenti, assistiti da una pletora di azzeccagarbugli - "gli avvocati
    che difendono gli stranieri considerano questo genere di cause come
    contenziosi facili da vincere", sogghigna il giornalista Marco Galluzzo -
    sia il ministero degli Esteri sia quelle sempre più rare ambasciate italiane
    che osano dichiarare fasulli i presupposti del rilascio o non dimostrati
    identità, grado di parentela e l'essere i parenti a carico dell'immigrato),
    (22)


    3)ritiro della cittadinanza italiana a chi abbia contratto matrimoni "di
    comodo", ai criminali di qualsiasi genere e a chi abbia mantenuto la vecchia
    cittadinanza,


    4)divieto di concessione di diritti politici a qualsivoglia allogeno ad ogni
    livello, da quello circoscrizionale a quelli municipale, provinciale,
    regionale e nazionale,

    5)non rinnovo del permesso di soggiorno alla massima parte di chi ne sia in
    possesso e qualunque ne sia la tipologia (lavoratori richiesti, lavoratori
    non richiesti, pseudolavoratori, "profughi" od espulsi per motivi politici,
    migrati per motivi economici, nullafacenti, criminali, etc.),

    6)introduzione delle fattispecie di reato di ingresso clandestino e, nel
    caso di espulsione non osservata, di permanenza clandestina (aspetto da
    valutare con estrema attenzione, in particolare per evitare la piaga della
    durata del processo di primo grado e per non innescare il fenomeno del
    ricorso in secondo o terzo grado; lasciamo ai giuristi definire le soluzioni
    a tali incagli... magari adottando una legislazione speciale, come già fu
    per altri problemi centrali come il terrorismo rosso degli anni Settanta):
    malgrado il divieto a tali passi previsto dalla convenzione sottoscritta a
    Palermo da 38 - su 120 - paesi il 12-15 dicembre 2000, mentore
    l'invasionista Pino Arlacchi, sinistro mafiologo fatto sottosegretario
    generale dell'ONU e direttore dell'ufficio "per la lotta alla droga e la
    prevenzione della criminalità", il quale guaisce: "Gli immigrati non possono
    essere perseguiti penalmente per essere entrati clandestinamente in un Paese
    ..La non punibilità dei clandestini è il punto fondamentale per l'accordo.
    Noi vogliamo combattere l'organizzazione criminale del traffico per
    proteggere i diritti dei lavoratori: con questo articolo abbiamo tenuto il
    Protocollo al riparo dal pericolo della xenofobia, altrimenti un regolamento
    non calibrato sarebbe potuto diventare uno strumento per chi vuole chiudere
    la frontiera a qualunque tipo di immigrazione",

    7)introduzione della fattispecie di reato di favoreggiamento dei
    clandestini: in primo luogo affitto e sub-affitto di appartamenti, capannoni
    e locali commerciali, sempre più spesso acquistati da torbidi gruppi
    multinazionali, in ispecie asiatici, e adibiti ad alveari-dormitorio o a
    fabbriche per prodotti, in ispecie tessili, di infima qualità, ma
    altrettanto certamente anche assistenza, compresa quella sanitaria, fornita
    da enti parareligiosi come la Caritas o laici come il milanese NAGA
    (presieduto quest'ultimo, per inciso, dall' "austriaca per metà" dottoressa
    Elena Sachsel),


    8)espulsione amministrativa radicale e immediata dei clandestini (siano essi
    gli "invasori scalzi" di Giuseppe Sacco, i profughi "pietosi", i rifugiati
    sedicenti "politici" e i puri criminali), dei criminali e dei nullafacenti
    più vari (Anche se la "Carta dei Diritti Fondamentali" dei cittadini
    europei, approvata a Nizza il 7 dicembre, guarda caso una settimana prima
    della convenzione dell'ONU di Palermo, con l'art.19 vieta le "espulsioni
    collettive"), senza più quelle immonde "sanatorie" imposte dalle Chiese e
    dalle sinistre, vere e proprie istigazioni all'invasionismo e perciò al
    crimine.


    Secondo i dati ufficiali per l'Italia, 350.000 sono i sanatorizzati (cioè
    gli exclandestini) dal socialista Martelli nel 1990, 250.000 dal
    liberalcapitalista Dini nel 1995, 38.000 + 250.000 quelli in conseguenza
    della legge voluta dalla coppia neocomunista Turco-Napolitano e applicata
    nel 1998-99 dal secondo capitalcattocomunista governo D'Alema, in testa la
    neodemocristiana ministra dell'Interno Rosa Russo Jervolino, che invoca la
    doppia cittadinanza ai figli dei sanatorizzati nati in Italia, e il più
    sinistro suo successore Enzo Bianco del terzo capitalcattocomunista governo
    Amato (con code di 80.000 nell'aprile e 50.000 + altri 41.000 richiesti
    dalla Confindustria nell'estate 2000 ... in realtà, gli invasori giunti
    nella penisola, in massima parte adducendo pretesti di lavoro, nel solo 2000
    sono stati 270.000). E ciò, quando, a prescindere dai tre milioni di
    disoccupati italiani e dai milioni di allogeni già presenti, ad attendere
    nelle liste di collocamento ci sono 213.000 allogeni!


    Totale ufficiale di sanatorizzati, quindi, oltre un milione di individui,
    tutti illegali sin dall'inizio, tutti resi "graditi" e legali da un semplice
    tratto di penna... e tenendo conto in particolare di questo aspetto, altro
    che, come invocano i mondialisti di ogni risma, marxisti, liberali,
    cristiani e Anime Pie, la concessione del voto "amministrativo" agli
    invasori "presenti in Italia da cinque anni"!


    Dobbiamo imparare, se pur non dagli USA, almeno da Nigeria, Zaire, Zambia,
    dal Sudafrica mandeliano e dal Gabon, che nel 1995, senza porsi tanti
    problemi, hanno ricacciato centinaia di migliaia di stranieri sciamati negli
    anni precedenti? o da Malesia, Thailandia, Australia e Algeria, che in
    attesa di uno svelto rimpatrio li internano senza tanti scandali in appositi
    campi? In realtà "scandalo", ma neppure eccessivo, suscita a fine agosto
    2000 l'impiego da parte della polizia australiana di cannoni ad acqua per
    sedare una rivolta, con incendio dei quattro edifici dell'area, di ottocento
    clandestini, in maggioranza iracheni ed afghani, confinati a Woomera in
    attesa di rimpatrio... Identica repressione nel marzo 2001 nel campo di
    Curtin, sperduto nell'Australia occidentale, ove le guardie ricorrono ai gas
    lacrimogeni. Nessuno scandalo suscitano poi, filtrati a stento al pubblico,
    i propositi del ministro israeliano del Lavoro Eli Ischai, che nell'autunno
    propone, in attesa di procedere alle espulsioni, internamenti in appositi
    lager di decine di migliaia di immigrati illegali. Semplicemente
    allucinanti, al contrario, le sentenze di un pugno di demomagistrati
    milanesi, tra cui le giudichesse Rita Cerrino e Anna Bonfilio, che
    nell'ottobre-dicembre, col pretesto di una dissonanza dei provvedimenti
    amministrativi di polizia col dettato costituzionale che prevede che un
    individuo debba essere giudicato dalla magistratura, rimettono
    uccel-di-bosco centinaia di clandestini, temporaneamente rinchiusi in centri
    di raccolta in attesa di espulsione.


    9)Intelligente sbarramento delle frontiere, anche e soprattutto manu
    militari - troppo a lungo l'uomo europeo, intriso di nichilismo e viltà, ha
    voluto espellere la Forza dalla gestione delle cose umane, ed anzi dal
    novero degli strumenti della vita, per privilegiare al contrario la
    "non-violenza", la "benevolenza", la "comprensione" e la "carità", con
    l'unico risultato di ottenere il caos e di incentivare la violenza, e cioè
    una forza irrazionale, illegittima e incontrollata, troppo a lungo si è
    illuso che la Forza, quella divina Virtù che è l'opposto di quella violenza
    e di quella sopraffazione che prosperano sull'illegalità, la viltà e il
    tradimento, non facesse più parte della vita associata, soppiantata dall'
    "amore", dal "perdono" e dal cedimento - e ricerca di soluzioni produttive
    quanto più autarchiche, con conseguente riduzione dell'infernale meccanismo
    dell'iperproduttività industriale, della mortifera ipercommercializzazione,
    della mortifera devastazione mentale/ambientale e del "tenore di vita",
    peraltro già sulla via di un sempre più rapido ridimensionamento.


    10)Assunzione di responsabilità da parte dell'Europa per favorire una
    quanto-più-rapida esistenza autocentrata di un Terzomondo infine svincolato
    dal Nuovo Ordine Economico giudaico-anglosassone, Terzomondo finora
    deresponsabilizzato, derubato, desertificato e stragizzato in primo luogo
    dalla pelosa "fraternità" degli antirazzisti di ogni risma: proprio sotto la
    loro egida, dagli anni Sessanta agli Ottanta il divario del reddito pro
    capite tra i venti paesi più ricchi e i venti più poveri è salito da 30 a 1
    a 59 a 1. Assunzione di responsabilità attraverso: l'abbandono, da parte dei
    paesi industrializzati, della politica delle esportazioni (che serve solo a
    protrarre e incentivare la loro egemonia sfruttatrice), la formazione di
    tecnici e specialisti autoctoni, l'installazione nei paesi "sottosviluppati"
    di macchine utensili e infrastrutture atte alle esigenze locali, l'obbligo
    di investimento interno della quasi totalità dei guadagni delle imprese ivi
    impiantate (sia di quelle gestite dagli occidentali sia di quelle locali),
    l'annullamento unilaterale di tutti i debiti del Terzomondo (ma non si
    scordi, comunque, che la sua irresponsabile prolificità è, ancor prima dello
    sfruttamento capitalistico e dell'ideologia mortifera del Piccolo Popolo,
    causa assolutamente centrale dell'invasione). Tale terzo punto è non solo
    profondamente morale, ma altamente razionale poiché, come assevera nel 1997
    il rettore della moschea di Marsiglia Hadj Alili, "se l'Europa non si fa
    carico del problema Nord-Sud che oggi infiamma il Mediterraneo introducendo
    un po' di giustizia, gli arabi del Maghreb sbarcheranno a Marsiglia e la
    distruggeranno. Magari fra un secolo, ma la ridurranno a un campo di
    rovine".


    11)Obbligo per i datori di lavoro di provvedere a proprie spese all'alloggio
    della manodopera allogena legalmente permessa (con pene pecuniarie fino al
    sequestro e alla confisca della proprietà in caso di loro inadempienza),
    inasprimento delle pene per i fiancheggiatosi, a qualsiasi titolo,
    dell'invasione ("scafisti" e altre bande criminali, assistenti "pietosi"
    religiosi o politici "umanitari", affittuari clandestini, datori di lavoro
    "in nero", etc.) e fors'anche, incita Faye in attesa di sostituire
    all'insufficiente logica poliziesca restitutrice di un mero "ordine
    pubblico" un'intelligente logica militare che porti a riconquista (sul medio
    periodo, non certo nei sette secoli che durò la Reconquista in Spagna).

    12)riduzione al silenzio - sia dialetticamente sia con la rivalutazione,
    anche retroattiva (Norimberga docet!), del reato di Alto Tradimento della
    Nazione delle lobby invasioniste che ne hanno sempre celato la minaccia
    illudendo gli europei, che non vi sono nemici ma solo amici (ma il nemico,
    come detto, non lo scegli tu, è lui che ti sceglie!), causa prima di un
    trentennio di sbandamenti intellettuali e cedimenti morali.A chi storce il
    naso pensando alla libertà democratica violata relativa alle opinioni
    espresse è da ricordare che tale facoltà E' GIA' STATA REVOCATA IN NOME
    DELLA RAGION DI STATO. Con la messa in vigore di leggi come la
    Mancino -Modigliani . Difesa dai sedicenti custodi della libertà e della
    democrazia antifascista con il ragionamento,questo si tipicamente
    fascista,secondo cui certe idee uccidono perchè spingono alla violenza.
    Quindi è bene reprimerle per evitare poi violenze peggiori.
    E'quindi perfettamente legittima la costituzione di una democrazia in cui il
    rispetto delle opinioni altrui si fermi di fronte all'esaltazione di
    ideologie o comportamenti atti a offendere o indebolire il fondamento stesso
    dell'esistenza del popolo,cioè l'unità di sangue,anima e spirito. Perchè
    una società libera si nutre di valori e sentimenti condivisi.E condivisi
    nella carne e nella mente. Senza i quali rimane solo oppressione di classe
    e individualismo miserabile. La democrazia, intesa come
    ordinamento esteso ad una popolazione molto grande di individui che non
    siano parenti stretti, è patrimonio e orgoglio delle stirpi europee.
    Dobbiamo difenderla preservando la sostanza umana di chi compone la società
    perchè con la corruzione o l'imbastardimento di questa oltre alla
    delinquenza subiremo anche il totalitarismo e la dittatura.

    Aggiunge Trastour: "Non v'è dubbio, suvvia, che certe etnie dovranno
    andarsene. I responsabili del dramma sono coloro che hanno favorito
    l'immigrazione di gente inassimilabile all'etnia autoctona, col rischio di
    portarla a genocidio. I difensori dell'etnia autoctona saranno legittimati a
    prendere provvedimenti giudiziari, per crimini contro l'etnicità, nei
    confronti dei responsabili: governanti, parlamentari, funzionari,
    magistrati, giornalisti e scrittori. Il delitto potrà essere
    impreserittibile e la legge avere effetti retroattivi. Certamente, un tale
    comportamento non concorda con la mentalità europea e cristiana che inclina
    all'oblio delle colpe dopo la vittoria".

    Conclude Dario Binelli: "Ora, non vi è nessun motivo di credere che i
    fanatici dell'egualitarismo getteranno la spugna tanto facilmente: essi si
    stanno anzi organizzando ed adattando al mutato clima, puntando tutto sulla
    tutela degli allogeni e sulle tattiche politiche e psicologiche (prima
    ancora che repressive) per disarmare noi europei....... Ciò che va notato è
    che non si tratterà tanto di una lotta per o contro gli allogeni (come
    appare ad un'osservazione superficiale), quanto di una lotta tra l'anima
    europea e lo spirito occidentale che parassita da troppi secoli l'Europa,
    assieme al corollario di tutti i suoi aggregati antieuropei; una lotta tra
    europei "liberati" ed europei ancora infettati di anti-europeità. Tale
    guerra civile sarà, in definitiva, l'ultima febbre necessaria per liberarsi
    di tale "virus" parassita".


    13)Provvedimenti, quelli elencati, tutti preceduti/accompagnati da
    un'assidua, incessante opera di educazione dei connazionali: e da
    responsabilizzare quali membri di una comunità dotati di doveri prima che di
    diritti, comunità dotata di storia e legittimità millenarie. Da
    preferire quindi nelle assunzioni lavorative, con salario adeguato per il
    lavoratore e giustizia fiscale per le imprese, alle quali verrebbero imposte
    più basse aliquote fiscali (ma anche, come detto, con pene pecuniarie fino
    al sequestro e alla confisca della proprietà in caso di inadempienze da
    parte del datore di lavoro che usi manodopera illegale).

    14)Necessario inoltre sollecitare una politica demografica che riporti in
    attivo il tasso di crescita europeo (nella prospettiva, ovviamente, passata
    l'emergenza e rieducate le masse, di una strategia ecologicamente più
    meditata)

    15)rendere convinti della suprema moralità del rientro degli allogeni,
    incentivati con le opportune persuasioni, finanziarie e di altro genere, nei
    loro paesi: a parte i pesantissimi costi sociali sulla comunità nazionale -
    anomìa societaria, destrutturazione individuale, disoccupazione, aumento di
    una criminalità sempre più aggressiva ed inestricabile con quella autoctona,
    caos scolastico, degrado del territorio dovuto da un lato all'instaurarsi di
    bidonville e di ghetti, dall'altro alla costruzione di alloggi per i nuovi
    "fratelli", etc. - costa infinitamente meno, anche da un punto di vista
    meramente economico, regalare oboli milionari ai rimpatriandi... e d'altra
    parte ben vorranno, i democittadini, pagare in sonanti soldoni
    l'imprevidenza, l'ignavia, l'imbecillità, l'irresponsabilità e il "buon
    cuore" passati!


    Con brutale franchezza, e rischiando l'incriminazione da parte del Sistema
    ("Costituisce provocazione all'odio razziale la denuncia di un numero
    eccessivo di immigrati in termini voutamente allarmanti o guerreschi", Corte
    di Cassazione francese, 7 marzo 1989), Guillaume Faye scrive, in Nouveau
    discours a la nation européenne, che "nell'interesse della pace mondiale
    l'Europa dovrà imperativamente liberarsi del peso delle popolazioni
    immigrate e sradicare l'Islam dal proprio suolo, finendola di sognare una
    coabitazione impossibile. Questo, per potere poi intendersi con gli altri
    popoli nell'ottica di un governo intelligente del pianeta".


    E ciò anche se i paesi esportatori del loro surplus non vogliono il ritomo
    degli emigrati né dei loro figli.

    E ciò anche se l'arcivescovo (ebreo) cardinale di Parigi Jean-Marie (Aaron)
    Lustiger definisce l'Europa, intervenendo al Centro culturale San Luigi di
    Francia a Roma il 4 marzo 1999, uno spazio destinato ad accogliere
    "pacificamente e umanitariamente" gli altri popoli, invitando l'Islam
    invasore "ad adottare i valori europei fondamentali e a sottoporsi alla
    ragion critica, quand'anche questa si dica atea" e avallando la dottrina di
    legittimare l'impotenza e santificare la rinuncia: "L'Europa non è mai stata
    per i popoli d'Africa o d'Asia una terra d'immigrazione. Ma oggi, la
    situazione dell'Europa si capovolge. Essa provoca ( Elle provoque !)una
    pressione migratoria impossibile a contenere. Gli europei non possono
    ignorare questo fatto".


    E ciò anche se nel luglio 1999 il sinistro invasionista para-marxista
    tedesco Guenter Grass, Nobel per la Letteratura, ci ammonisce, su Focus, che
    il rispedire uno straniero indesiderato "in questo o quel paese" "in fondo,
    non è che il proseguimento della persecuzione delle minoranze sulla base
    dell'etnia".(24)


    Concordano i biologi Aldo e Lamberto Sacchetti: "C'è da prevedere percorsi
    di conversione produttiva ma, prima ancora, da promuovere cambiamenti di
    valori, di stili, di modelli organizzativi in coerenza con il principio di
    realtà. Che non potranno non incidere sull'educazione e non comportare il
    ricupero dell'autorità, rivalutazione della parsimonia, del risparmio, della
    disciplina, del senso di responsabilità verso gli altri e verso le
    generazioni future, superiorità dei valori sovra-individuali su quelli
    individualistici [... ] L'emigrazione dalle aree povere del mondo può essere
    demotivata nel quadro di una cooperazione a lungo raggio e di una pedagogia
    ecologica volte a massimizzare le potenzialità naturali dei rapporti di
    nicchia, a rendere le persone capaci di crescere autonome sulla propria
    terra, rovesciando la teoria della società multietnica per riaffermare il
    valore dei legami col territorio, la dignità storica delle culture
    nazionali, il loro diritto naturale alla libertà e all'identità".

    Note:

    (21) De-cidere, dal latino de-caedere: "tagliare, colpire, separare".
    Invero, tutto l'antico realismo europeo riecheggia il concetto che "omnis
    determinano est negatio", anche se del "discriminare", lehavdil, è il
    campione feroce, in senso moderno e aberrante maniera, proprio l'ebraismo.

    (22) Fatti altrettanto allucinanti: il TAR della Liguria, il 4 maggio,
    palesetììente forzando l'art.51 della Costituzione, ammette la
    partecipazione di extracomunitari a concorsi pubblici; il Consiglio di
    Stato, il 6 maggio, sentenzia che né l'arresto in flagranza né la condanna
    sono ragioni per negare la richiesta di regolarizzazione avanzata da un
    criminale extracoiyìunitario, neppure se clandestino; la prima sezione
    civile della Corte di Cassazione, con "una sentenza destinata a creare
    qualche disagio alle prefetture" (così, pudico, il Corrierc, della Sera del
    10 luglio) dà ragione, contro il ricorso del governo e fondandosi
    sull'art.24 della Costituzione, a tale Igor B., "un immigrato che aveva
    presentato ricorso al Tribunale di Pordenone contro il decreto di espulsione
    perché gli era stato presentato in inglese e non nella propria lingua",
    sentenziando che il decreto vale solo se è scritto nella lingua madre
    dell'immigrato (si immagini il lettore da sé i casi più singolari!). infine,
    il generale Luigi Caligaris, ex-eurodeputato berlusconico fameticante di
    storia, propone di aprire le Forze Armate, carta di militari dopo il voluto
    disfacimento cinquantennale e l'abolizione del servizio di leva varata il 14
    novembre 2000 dal governo capitalcattocomunista dell'ex-socialista Giuliano
    Amato, a froci, invasori e criminali: "Se si comportano bene potrebbero
    essere premiati, dopo cinque anni di servizio, con la cittadinanza italiana.
    Gli antichi romani ricompensavano con la cittadinanza gli stranieri che
    servivano nel loro esercito. Gli americani l'hanno imparato dai romani.
    Perché noi non possiamo seguire l'esempio dell'antica Roma'? [... ] lo direi
    che la carenza dei professionisti può essere risolta con gli immigrati e
    anche con i gay. Nelle Forze armate c'è qualche gay nascosto. lo propongo di
    arruolare i gay dichiarati che garantiscano di mantenere in caserma un
    atteggiamento decoroso. I francesi e gli inglesi hanno avuto il coraggio di
    reclutarli. In Inghilterra offrono l'opportunità della vita militare perfino
    ai detenuti". Pressoché impossibile, commenta Marco Nese, è infatti il
    ripristino della leva, visto che la legge lo prevede solo in caso di grave
    emergenza nazionale. In pratica, solo se scoppia una guerra.

    (23) La pena di morte per il reato di Alto Tradimento della Nazione fu
    abolita in Italia nel 1994 da un demagogico provvedimento del Polo
    centrodestrorso, allora fugacemente al governo.

  7. #7
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Le premesse politiche - capitolo sesto


    Una tale possibilità di riscatto dev'essere in ogni caso basata - a meno di un imprevedibile, supremo atto di disperata rivolta dei popoli europei - su
    due premesse, oggi fantapolitiche e irrealizzabili sul breve periodo.


    1-Pur infinitamente più elastico di ogni organismo statuale/sociale del
    passato, il Sistema - a prescindere dalle convulsioni politiche
    internazionali, dalla crescita o rinascita della potenza di nuovi paesi e da
    pur possibili "scontri di civiltà" o "sassolini nelle scarpe", nonché a
    dispetto di tutte le buone intenzioni neo-illuministe chiuse nel vicolo
    cieco dell'autocontraddizione finanziario-produttiva - non avrà vita lunga a
    causa dei guasti ambientali (crisi idriche, alimentari ed ecobiologiche),
    dell'esaurimento delle materie prime e delle contraddizioni politico-sociali
    che incessantemente genera. Il crollo dei mercato globale sarà il più
    decisivo degli eventi ("dalle conseguenze inimmaginabili", prevede un
    pessimista George Soros).


    Non può infatti essere più pensato né perseguito uno sviluppo sostenibile e
    neppure uno sviluppo alternativo e neppure una stabilizzazione in uno steady
    state che prolunghi l'attuale "benessere".


    Possiamo solo pensare un'alternativa allo sviluppo; compiere una virata
    intellettuale che dimostri tutta l'inconsistenza morale, la debolezza
    intellettuale e la criminalità pratica del paradigma destabilizzante dello
    sviluppo e di quella "società aperta" che, "esaltando ogni mobilità e
    sgretolando ogni barriera" (Lamberto Sacchetti), ne è la premessa "etica" e
    il brodo di coltura. Possiamo solo innestare, con tutti gli ovvii e
    mostruosi contraccolpi non solo economici ma di repressione e guerra civile,
    una pratica e dura retromarcia in direzione di un sistema a bassa entropia,
    meno dissipativo, fondato sulla regolazione al minimo di bisogni e consumi.


    E senza certo dimenticare né i delinquenti comuni né i delinquenti
    intellettuali cattosinistri né i delinquenti politici ultrasinistri, cani da
    guardia che, col pretesto dell' "antirazzismo", il Sistema, alla ricerca di
    un alibi "stabilizzante" per la propria criminale politica antinazionale,
    lancerà contro ogni non-conforme. Commenta sempre Sacchetti: "Il brigatismo
    sta sotto la cenere. Incrociare la protesta sociale con quella dei marginali
    extracomunitari è la nuova strategia rivoluzionaria. Una ricerca di alleanza
    già manifesta nelle iniziative dell'Autonomia e dei Centri Sociali e che può
    produrre, specie se si inasprisse il controllo dei clandestini, un composto
    ben più esplosivo di quello all'origine degli "anni di piombo". Gli
    stranieri marginali non hanno nulla da perdere, neppure le "catene" di cui
    al manifesto del 1848"!


    Possiamo e dobbiamo farci convinti della giustezza dell'analisi del ribelle
    radicale Theodore Kaczynski, meglio noto come Unabomber: "La tecnologia sta
    riducendo in modo permanente gli esseri umani e molti altri organismi
    viventi a prodotti d'ingegneria, a meri maiali d'allevamento nella macchina
    sociale"; la Rivoluzione Industriale "è stata un disastro per l'umanità, ha
    destabilizzato la società, svuotato la vita, umiliato e sbilanciato gli
    esseri umani, li ha ridotti a ingranaggi del meccanismo produttivo"; tale
    Sistema dev'essere distrutto: se ci si riuscirà "le conseguenze saranno
    molto dolorose, ma lo saranno sempre di più quanto più il Sistema crescerà,
    e dunque prima lo si distrugge meglio è"; i critici "conservatori" del
    Sistema sono "cretini che piagnucolano per il declino dei valori
    tradizionali e poi appoggiano entusiasticamente il progresso tecnologico e
    la crescita economica, causa dei rapidi mutamenti della società in tutti i
    suoi aspetti e dunque del crollo di quei valori tradizionali". (25)


    Ed ancora: "Le nostre vite dipendono da decisioni prese da altri, su cui non
    abbiamo controllo e che neppure conosciamo; cinquecento, al massimo mille
    persone prendono tutte le decisioni importanti nel mondo"; una possibile
    soluzione allo Sfacelo non sta "a sinistra", poiché i progressisti di ogni
    genia -marxisti, femministe, sessantottini, post-sessantottini, ecologisti
    da salotto, sinistri dei campus, fautori del politically correct,
    omosessuali, internazionalisti, pacifondai e altra spazzatura che s'illudono
    di combattere la società tecnoborghese aggravandone i mali e costituendone
    l'alibi - sono solo individui frustrati, pervasi da "bassa stima di sé,
    senso di impotenza, tendenze depressivi, disfattismo, senso di colpa, odio
    di se stessi", miserabili intrisi della stessa ideologia che porta il mondo
    alla rovina.


    "Nei mille anni della sua formazione" - aggiunge David Noble - "la religione
    della tecnologia è diventata un incantesimo comune non soltanto per i
    progettisti della tecnologia ma anche per coloro che sono stati catturati, e
    rovinati, dai loro progetti divini. L'attesa di una salvezza finale
    attraverso la tecnologia, quali che siano i costi immediati umani e sociali,
    è diventata l'ortodossia non rivelata, rafforzata da un entusiasmo indotto
    dal mercato per la novità e sanzionata da un desiderio millenaristico di
    nuovi inizi. Questa fede popolare, indotta in modo subliminale e
    intensificata dalle spinte delle corporations, dei governi e dei media,
    ispira un timorato rispetto verso i suoi esponenti e le loro premesse di
    liberazione, allontanando l'attenzione da problemi più urgenti. Così, senza
    una ragione, a uno sviluppo tecnologico privo di limitazioni viene permesso
    di procedere velocemente, senza un attento esame critico o una supervisione.
    Appelli a una qualche forma di razionalità, a una riflessione sui tempi e
    sugli obiettivi, a un assennato utilizzo dei costi e dei benefici, persino
    quando il valore economico è chiaramente molto più alto del guadagno
    sociale, vengono evitati perché considerati irrazionali. Per chi crede in
    quella fede, ogni critica appare irrilevante e irriverente. Ma possiamo
    permetterei di sopportare ancora a lungo questo sistema di fede cieca ?
    Ironicamente, l'impresa tecnologica da cui noi siamo sempre più dipendenti
    per la conservazione e l'estensione delle nostre vite, rivela uno sguardo
    sdegnoso e di intolleranza verso la vita stessa".


    In ogni caso il destino del demoliberalismo - di questo mostro assassino - è
    inscindibile da quello del supercapitalismo, nozione presente anche al
    superliberale Galli della Loggia: "Siamo entrati in una fase in cui la
    democrazia non può più contare, almeno nella misura in cui ha potuto farlo
    finora, sulla carta del benessere .........Oggi la democrazia deve
    affrontare contemporaneamente risorgenti fremiti di messianismo politico
    [come se il supremo e più assassino messianismo non fosse quello
    democratico! n.d.A.] e il malessere sociale. Non saprei immaginare
    costellazione più sfavorevole. Forse anche in Europa occidentale si sta
    avvicinando la grande sfida per la nostra democrazia. Se supererà questa
    prova, vorrà dire che è veramente qualcosa di profondamente radicato nelle
    nostre coscienze. L'alternativa è la catastrofe. Bisogna convincersi che uno
    dei punti di maggior forza delle nostre democrazie è costituito
    dall'apparato industriale capitalistico, che diventa un fattore di
    aggregazione per tutte le energie che cercano di preservare uno spazio alla
    razionalità nell'organizzazione sociale e politica. Essa può mobilitare
    delle coalizioni di interessi a difesa del sistema liberaldemocratico".


    2-Gli Stati Uniti - la Casa-Madre del Sistema, the Aliens Nation la Nazione
    di Estranei, the Litigious Society, the Empty Society la Società Vuota, the
    God's Own Count , il Regolatore della Megamacchina, la Nazione Universale
    (definizione dell'ebreo Ben Wattenberg) - portano in sé tali e tanti
    contrasti socio-economici che nell'arco di due generazioni li condurranno,
    anche a prescindere da imprevedibili eventi politici catalizzatori
    anti-americani di cui potrebbero essere protagonisti Cina ed Europa o gruppi
    islamici di guerriglia come è stato l'11 settembre 2001, e dall'ovvia feroce
    reazione scagliata contro i dissidenti prima del crollo, ad una implosione e
    quindi ad una lacerazione della ragnatela dell'ONU, che solo sugli USA si
    regge. Segni, peraltro flebili, ne sono:


    Primo: la loro particolare crisi economica/finanziaria, celata al grande
    pubblico dallo sfruttamento militare-economico dell'intero pianeta e
    dall'ubiquitaria imposizione di quella carta-straccia che è il dollaro, e


    Secondo:l'inarrestabile degenerazione della loro vita sociale, nonché altre
    spie, certamente iniziali e assolutamente minori, ma in prospettiva
    significative, quali ad esempio la Proposizione 187 dell'8 novembre 1994,
    quando il 59% dei califomiani rigetta il Mito del Crogiuolo approvando un
    progetto che nega servizi medici e sociali agli immigrati illegali (sei anni
    dopo, a fine 2000, stando ai dati ufficiali peraltro riduttivi del fenomeno,
    i bianchi di discendenza europea, che ancora nel 1970 erano l'80% dei
    californiani, divengono minoranza: 17,4 milioni contro 10,7 di ispanici, 3,4
    di asiatici, 2,3 di negri e il resto ebrei, armeni e umanità varia, con
    aggiunto il fenomeno, ancora più grave, che su quattro neonati solo uno è di
    stirpe europea).


    E qui, manco dirlo, i capi protesta contro il referendum sono i tre ebrei
    losangelini Mark Slavkin, presidente delle scuole cittadine, Zev
    Yaroslavsky, consigliere municipale, e Jackie Goldberg, lesboconsigliera per
    Hollywood, Silver Lake ed Echo Park (che dopo l'immancabile oloparagone tra
    l'esito del referendum e le "retate naziste" si vanta: "I'm an illegal
    alien"), mentre un quarto Arruolato, la giudichessa liberal Mariana
    Pfaelzer, nel novembre 1996 ne blocca l'attuazione. Nel marzo 1997, mentre
    vengono arrestati gli ebrei Jerry Stuchiner ed Herbie Weizenblut, funzionari
    del servizio di controllo dell'immigrazione INS, con l'accusa di avere
    agevolato per lucro l'immigrazione illegale di cinesi, si scagliano poi
    contro Clinton e il Congresso, artefici per motivi d'immagine di una più
    restrittiva legge anti-ciandestini, l'ACLU e la testé fondata American
    Immigration Lawyers Association, capeggiate dagli ebrei avvocatessa Judy
    Rabinowitz e sociologo Rubin Cohen.


    Altri invasionisti sono Abraham A.M. "Crazy Abe" Rosenthal, editorialista
    del New York Times con rubrica On My Mind (nulla conta se siete immigrati
    illegali: "If you are born in America, you are immediately and forever
    American, Se siete nati in America, siete immediatamente e per sempre
    americani", 9 agosto 1996), e Peter Salins, la cui ultima opera,
    Assimilation american style, sottotitolo "Una appassionata difesa di
    immigrazione e assimilazione quali fondamenti della grandezza americana e
    del Sogno Americano", viene così presentata dal conservatore Commentary
    febbraio 1997: "Il sociologo Peter Salins offre argomenti lucidi e altamente
    suasivi per mantenere viva l'immigrazione, rigettando i pericoli del
    multiculturalismo e incoraggiando l'assimilazione come unica via per
    realizzare con certezza il Sogno Americano".


    E non parliamo dell' "italiano" Furio Colombo, tonitruante contro "lo spinto
    punitivo verso gli immigrati che un paese di emigranti, come gli USA, ha
    cominciato a dedicare ai nuovi venuti.L' America è stata fondata sul diritto
    di nascita: chi nasce negli Stati Uniti diventa americano. Era il
    superamento vitale e coraggioso del "diritto di sangue" europeo, secondo il
    quale si diventa cittadini di un paese solo per discendenza da cittadini di
    quel paese. Adesso basta, anche negli USA orologi indietro, ritomo alla
    brutalità europea [sic!] nel trattare "gli ospiti" ".


    Invero, per quanto il 2 maggio 1996 il Senato vari una legge che inasprisce
    le pene per la falsificazione di documenti, acceleri le procedure di
    espulsione e diminuisca i sussidi agli stranieri legali e illegali, resta
    invariata la quota di 750.000 persone annualmente ammesse nel Paese di Dio.
    Del resto, erano stati gli eletti sociologhi radical Abraham Maslow e Isaiah
    Minkoff a promuovere nel 1965 l'abolizione del McCarran Act del 1952, che
    consentiva l'immigrazione praticamente ai soli cittadini europei, mentre
    sempre nel 1965 il demo-ebraico duo formato dal senatore Jacob Javits e dal
    deputato Emanuel Celler aveva fatto varare il "ricongiungimento" dei
    familiari.


    Attivo nella questione fin dal 1922 e fatto nel 1948 presidente dello House
    Judiciary Committee, il Celler, inneggia l'Encyclopaedia Judaica, "used this
    position to introduce liberal immigration legislation, usò la sua carica per
    varare una legislazione liberale in materia di immigrazione". Similmente,
    ben giudica Peter Brimelow che l'invasionistico Immigration Act del 1965 fu
    "un atto di vendetta per le umiliazioni inflitte a qualcuno dei gruppi
    respinti nel 1921-24 e la prova dell'affermazione del loro status nella
    società americana. Per simpatica coincidenza, ciò fu incarnato dal deputato
    che nel 1965 promosse la legge, il democratico newyorkese Emanuel Celler.
    Costui fu allora l'unico deputato presente anche nel Congresso che aveva
    varato il sistema delle quote nel 1924 [legge che, commenta MacDonald III,
    fu "percepita dagli ebrei come diretta contro di loro", in quanto "le
    politiche liberali d'immigrazione sono un interesse ebraico vitale"].
    Egli tenne allora il discorso introduttivo in opposizione a quel disegno di
    legge. Nel 1965, parlando con un'emozione che traspare dai verbali, disse:
    "Sono felice di vivere oggi e di avere vissuto abbastanza per vedere che le
    mie idee [di allora] hanno avuto ragione, sono lieto che stiamo oggi per
    distruggere e annullare e cancellare quell'abominio che si chiama, per
    l'immigrazione, teoria delle origini nazionali" ".


    Su tale impegno commenta MacDonald III, sottolineando il callido uso di
    ideologie umanitario-universalistiche quali forme secolari di giudaismo che,
    nel perseguimento di precise finalità giudaiche (nazionalizzare la
    continuazione del proprio separatismo/etnocentrismo, e quindi del proprio
    potere, destrutturando al contempo la società ospitante, considerata sempre
    potenzialmente ostile), celano il ruolo dissolutore dell'ebraismo sulle
    strutture delle società ospitanti, trasformate in aggregati non omogenei e
    culturalmente/etnicamente pluralisti:


    "Il coinvolgimento degli ebrei nel distorcere il dibattito intellettuale
    sulla razza e l'etnicità sembra avere avuto ripercussioni di lungo termine
    sulla politica immigratoria americana, ma il coinvolgimento politico degli
    ebrei è stato ultimamente di significato ancora maggiore. Gli ebrei sono
    stati "il gruppo di pressione più assiduo nel favorire una politica liberale
    di immigrazione" negli Stati Uniti per tutto il dibattito sull'immigrazione,
    fin dal suo inizio nel 1881 ......... I dati storici sostengono
    l'affermazione che fare degli Stati Uniti una società multiculturale è stato
    uno dei maggiori obiettivi dell'ebraismo fin dal XIX secolo Come narrato da
    [Naomi] Cóhen, gli sforzi dell'American Jewish Congress per opporsi alla
    restrizione dell'immigrazione nei primi decenni del XX secolo costituiscono
    un notevole esempio dell'abilità delle organizzazioni ebraiche di
    influenzare la politica pubblica [... ] Cionondimeno, per timore
    dell'antisemitismo, ci si sforzò di prevenire la percezione del ruolo avuto
    dagli ebrei nella campagna anti-restrizioni..... A partire dagli ultimi
    anni del secolo XIX, gli argomenti anti-restrizione sviluppati dagli ebrei
    vennero tipicamente espressi in termini di ideali umanitari universali; come
    parte di questi sforzi universalizzanti, vennero reclutati non-ebrei di
    antica ascendenza protestante per farli agire da vetrinisti per gli sforzi
    ebraici, mentre le organizzazioni ebraiche come l'American Jewish Congress
    diedero vita a gruppi proimmigrazione composti da non-ebrei",


    L 'abolizione delle "quote razziali" votata il 21 luglio 1995
    dall'Università di California e l'approvazione della Proposizione 209 ad
    opera del 54% dei californiani, che il 5 novembre 1996 le elimina
    nell'intero Stato (manco ridirlo, il movimento Stop 209 che contrasta la
    consultazione e ricorre poi alla Corte Suprema è guidato dall'ebrea Kathy
    Spillar, mentre l'ebreo Mark Rosenbaum, direttore della sinistra American
    Civil Liberties Union per la California meridionale, spinge il giudice negro
    liberal Thelton Henderson a bloccare la conversione della proposizione in
    legge; la legge entra tuttavia in vigore il 28 agosto 1997 dopo la pronuncia
    della Corte d'Appello Federale),


    Da ricordare inoltre la bocciatura, con la Proposizione 227, il 3 giugno
    1998 e con una maggioranza dei 61%, di quel bilinguismo anglo-spagnolo che
    dalla fine degli anni Sessanta regna nelle scuole pubbliche di uno stato
    destinato a vedere nel 2020 una popolazione con maggioranza assoluta
    ispanica, e la sempre più forte opposizione dei bianchi al School Busing
    Program, che da vent'anni trasporta quotidianamente, in un "educante"
    tourbillon antirazzista, i ragazzi negri dai loro quartieri alle scuole
    delle zone bianche e i bianchi alle meno gradite scuole dei "ghetti", ed
    infine la formazione di gruppi di resistenza anti-govemativi sia neri che
    bianchi sempre più radicali, per quanto oggi privi sia di prospettive
    ideo-strategiche che di vera forza economica e militare.


    Della centralità dell'ONU nella difesa repressiva dello status quo mediante
    la criminalizzazione delle idee e dei gruppi eretici (a prescindere
    dall'impossibilità di accettare "democraticamente" un'eventuale democratica
    vittoria elettorale di forze antimondialiste francesi, tedesche, italiane o
    di altro paese: si pensi non solo agli artt.53 e 107 del suo statuto, ma
    anche agli artt.29/3 e 30 della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e
    all'art.18 del Grundgesetz!) è ben conscio anche il mondialista Gerhard
    Zwerenz, ex Volkspolizist, docente di Sociologia, la cui diserzione dal
    fronte nell'agosto 1944 era stata, scrive orgoglioso, una "dichiarazione di
    guerra al nazismo":


    "Tracciare confini precisi. Ciò che è criminale deve essere perseguito, cosa
    cui lo Stato è finora mancato. Criminale è ciò che viene definito tale dal
    Codice Penale. Criminale è il nazismo. Se lo Stato non procede contro di
    lui, è legale la resistenza (art.20/4 del Grundgesetz). Ribellismo,
    opposizione giovanile, ricerca di specifiche forme di espressione non sono
    criminali. Lo divengono in relazione al nazismo La tattica di contrastare il
    nazismo col silenzio, il disprezzo e la minimizzazione non solo non ha dato
    risultati, ma gli ha giovato e ne ha reso possibile l'offensiva.

    E' necessaria una difesa antinazista sotto forma di una controffensiva.
    Poiché in ciò lo Stato è finora mancato, i cittadini devono incalzare lo
    Stato. Altrimenti esso diverrà una vittima legale del nazismo come nel 1933
    [ ] Se il popolo fosse incapace di esercitare il diritto di resistenza
    garantitogli dalla Costituzione e non ci fossero altre possibilità di
    evitare la profanazione nazista del Grundgesetz (anche in caso
    d'impossibilità a tutelare da bande assassine la vita di singole minoranze
    minacciate), dovremmo chiedere l'invio di truppe di pace dell'ONU. Dobbiamo
    prendere in considerazione anche la possibilità di richiamare le potenze di
    occupazione alleate, cosa costituzionalmente praticabile reintroducendola
    nella giurisprudenza. Per quanto discutibili possano essere tali soluzioni,
    sono assolutamente da preferire alla nascita di un Quarto Reich".


    Parzialmente discordi dalla nostra analisi, ma non opposte ed anzi
    complementari, sono le considerazioni dell'economista steinerian-calassiano
    Geminello Alvi: "La situazione economica degli Stati Uniti non è affatto
    brillante, checché se ne dica. Il loro sviluppo attuale si deve a una
    congiuntura speculativa, al differenziale dei tassi di interesse tra
    l'Europa e l'America. Inoltre è la nazione più ricca del mondo, ma deve
    importare capitali. E deve importarli da un'altra nazione gravata da un
    debito enorme e da una situazione finanziaria precaria come il Giappone. Se
    questo flusso di capitali cessa, gli americani sono in un mare di
    guai.........Io non credo dunque che l'America possa vincere nel mondo per
    la forza dell'economia. Sì, gli americani possiedono le produzioni del
    futuro, le tecnologie del sogno - cinema, informatica. Ma il resto non è
    all'altezza di un paese leader. La forza degli Stati Uniti sta nelle bombe
    atomiche e in un'élite politica capace di gestirle come fattore di potenza.
    Questo è il vero motivo per cui anche il secolo futuro rischia di essere
    americano. Non certo l'economia, tantomeno la superiorità spirituale o
    morale.................Dobbiamo smetterla di pensare che sia l'economia a
    decidere. Dobbiamo restituire autonomia agli altri campi della vita. E
    questo significa avere il coraggio di lasciare andare per conto suo
    l'economia. Il liberismo in economia è la chiave per uno spiritualismo negli
    altri campi dell'esistenza. Se noi europei continuiamo a perseguire l'ideale
    americano di economicizzazione della felicità, poco conta stabilire se
    l'America sia o no in declino, perché continueremo ad essere
    americanizzati".


    Ma tomando al Galli della Loggia del gennaio 1994, la soluzione consiste
    invece - in attesa di passare dalla multirazzialistica salad bowl al
    monorazzialistico melting pot - nell'accelerare il disfacimento societario
    europeo, affogando al contempo le culture allogene nel pantano demoliberale:
    "Il semplice riconoscimento agli immigrati del diritto di voto nelle
    elezioni amministrative servirebbe a migliorare le loro condizioni di vita
    immensamente di più di tutte le vacue elucubrazioni sull'incontro tra le
    culture", aggiungendo, di lì a poco, che "non si può fare l'elogio o
    accettare il chador [il velo delle donne islamiche], simbolo di
    appartenenza. No, siamo tutti eguali, abbiamo acquisito i valori della
    democrazia europea".


    Il disfacimento di ogni nazione nel cosmopolitismo - la "cittadinanza
    planetaria" degli Allucinati - è condizione indispensabile per la
    democrazia, poiché "rinunciare all'universalismo significa aprire una
    contraddizione molto grave della costruzione ideologica della democrazia. Vi
    si può rinunciare di fatto, sottovoce, ma è difficile per un democratico
    sostenere pubblicamente questa tesi. Perché nel momento in cui si dice che
    la democrazia funziona per gli inglesi ma non per i cinesi o per i russi, si
    afferma, di fatto, la prevalenza sugli ordinamenti politici di valori non
    politici, ma storici, spirituali, psicologici".(26)

    Che sono poi, chiosiamo noi, le vere, uniche coordinate che strutturano non
    solo l'agire politico, ma l'intera vita dell'uomo.



    note:

    (25) "Il neoliberalismo è nemico di qualunque forma di comunità stabile
    [... ] l'estensione del libero mercato agli angoli più remoti del pianeta è
    ancora più pericolosa del "socialismo reale" per la vita e la cultura delle
    società del Terzo Mondo", concorda l'economista inglese John Gray in
    Enlightenment's Wake.

    (26) La dissociazione di individui quali il Galli della Loggia - che il 3
    novembre 1998 ha l'impudenza di protestare dalla prima pagina dei Corriere
    della Sera contro la neo-"moda" italiana di celebrare la festività USA di
    Halloween, dimenticando le proprie ricorrenze culturali - viene palesata in
    Francia da illuministi quali il ministro dell'Educazione Nazionale François
    Bayrou, che il 20 settembre 1994 vieta nelle scuole l'uso di simboli
    religiosi "ostentati". Dopo avere favorito il più sfrenato invasionismo
    terzomondiale esaltandone le peculiarità, la sezione francese del Sistema
    adotta una misura chiaramente diretta contro il chador e il più radicale
    abeyas o hijab (che copre il volto femminile lasciando visibili solo gli
    occhi; più radicale ancora è il burka "talebanico") con la motivazione che
    "la presenza e la moltiplicazione di segni ostentati" (tra i quali non
    rientra ovviamente la più discreta kippà) di appartenenza a una religione o
    comunità, rischia di "separare alcuni studenti dalle regole di vita comune"
    e devono essere proibite in nome "dell'ideale laico e nazionale" (!:
    aggettivo osceno sulle labbra di un mondialista). Similmente violatore dei
    Sacrosanti Diritti ed ennesima attestazione dell'aporia della tirannia
    liberale è il divieto a ricevere via satellite le TV musulmane imposto dal
    socialista Guy Briantais, sindaco di Courcouronnes, che il 7 agosto 1995
    vieta l'installazione di antenne paraboliche nella cittadina (è anche vero
    che su 15.000 abitanti il 40% è composto da africani e magbrebini!). Più
    clamorosi i due casi del "velo" scoppiati nel gennaio 1999: la settimana di
    sciopero indetta dai 68 docenti "laici" del liceo Jean Monnet di Flers in
    Normandia a protesta contro i foulard colorati indossati dalle dodicenni
    Esmanur e Belghin, turche musulmane ortodosse, e l'emarginazione che investe
    nel liceo di Gran-Combe, nel sud dell'Esagono, le sorelle Romina e Diana,
    figlie di un francese neo-convertito all'Islam. Nel loro caso, dopo uno
    sciopero attuato dai demodocenti nell'ottobre 1998, si arriva ad un
    compromesso: le ragazze vengono tenute in una sala isolata, dove possono
    studiare senza frequentare la classe regolare; i musulmani gridano
    all'intolieranza, commenta imbarazzato Stefano Cingolani, mentre i
    repubblicani intransigenti difendono la scuola laica, "sinonimo di
    integrazione", una scuola "che in realtà oggi si trova di fronte a dilemmi
    che i princìpi dell'89 non riescono a risolvere" (pilatescamente, il 27
    novembre 1996 il Consiglio di Stato decreta che il foulard islamico a
    scuola, pur essendo incompatibile col buon svolgimento dei corsi di
    educazione fisica, non attenta alla laicità dello Stato). Quanto all'Italia
    "ormai multietnica" (così Roberto Zuccolini) nell'ottobre 1999 un disegno di
    legge "contro le discriminazioni" approvato dal governo D'Alema su proposta
    della ministra per le Pari Opportunità Laura Balbo, super-invasionista
    "esperta" del "razzismo" con l'ex-lottacontinuo verde Luigi Manconi, prevede
    il ricorso ai tribunali per analoga "insensibilità" delle autorità
    scolastiche. Infine, tornando alla Francia, dopo una circolare che invita
    tutti gli uffici a contatto col pubblico a dotarsi almeno di un agente
    arabofono, una seconda circolare dei ministero dell'Interno invita con
    discrezione i gendarmi, per non offendere la sensibilità islamica, a
    togliersi il kepì nel caso di intervento nei confronti di giovani magrebini,
    essendo "insultante per un musulmano il presentarsi davanti a lui a capo
    coperto": detto fatto, il 25 marzo 2001 a Lunel nell'Héraut, ove il 30%
    della popolazione è aliena, i poliziotti intervengono a testa nuda per
    sedare moti di piazza provocati da magrebini.

  8. #8
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Il federalismo, faccia nascosta
    del mondialismo - capitolo settimo


    Non ci sembra coincidenza che la definizione di melting pot ("crogiuolo":
    autore il drammaturgo Israel Zangwill) e quelle, apparentemente opposte ma
    in realtà propedeutiche, di commonwealth of national cultures e cultural
    pluralism ("federazione di culture nazionali" e "pluralismo culturale": il
    politologo Horace Meyer Kallen, il superrabbino ricostruzionista Mordechai
    Kaplan, gli analisti politici Max Gottschalk e Abraham Duker), natio of
    nations ("nazione di nazioni": il giudice della Corte Suprema Louis
    Brandeis, i sociologhi Seymour Lipset e Martin Shils), symphony ("sinfonia",
    a significare una società composita dei più diversi orchestranti,
    necessitante ovviamente di un direttore d'orchestra: ancora Kallen e il
    superrabbino Judah Magnes), mortar ("malta": lo storiografo William Lecky),
    peuple ciment ("popolo-cemento": al pari della "malta" riferito da Paul
    Giniewski ai confratelli, cui da tre millenni spetta il compito di aprire le
    porte del Nuovo Ordine Mondiale cementando le nazioni nel blocco
    dell'umanità) e, perché no?, del "genio creatore della storia" e "forza
    naturale altrettanto sacra e creatrice" (il protocomunista Moses Hess),
    nonché la loro articolazione sociopolitica da parte di Michael Walzer (union
    of social unions, "unione di unioni sociali") e Arthur Schlesinger jr (salad
    bowl, "insalatiera"), concetti tutti alla base dell'impostazione mondialista
    delle cose, siano - al pari della open society, la "società aperta" coniata
    dal filosofo Henri Bergson ed imposta dal socio-filosofo Karl Popper - opera
    tutti, ma proprio tutti, di ebrei.




    Ed ugualmente dovrebbero venire considerate con attenzione le considerazioni
    avanzate su Planète del novembre/dicembre 1970 dal barone "francese" Edmond
    de Rothschild, il più potente della tribù e probabilmente il più ricco,
    discendente del ramo napoletano della famiglia, ardente sionista, adepto del
    Bilderberg e co-fondatore della Trilateral: "L'Europa dell'Ovest, vale a
    dire i sei paesi del Mercato Comune, più la Gran Bretagna ed eventualmente
    l'Irlanda e i paesi scandinavi, secondo modalità da definire costruiranno
    una Europa politica federale, ma poiché ogni individuo sente il bisogno di
    collocarsi in un ambiente ristretto, egli si identificherà con una
    provincia, si chiami Wurttemberg, Savoia, Bretagna, Alsazia-Lorena o paese
    vallone. In queste condizioni la struttura che deve saltare è la Nazione".


    Ancora più truce, ad approfondire il concetto su Entreprise il 18 luglio
    precedente era stato il confratello e banchiere-associato Jean-Jacques
    ServanSchreiber, figlio del vicepresidente della Alliance Israélite
    Universelle, anch'egli furbesco Trilateral e finto critico del mondialismo
    nel celeberrimo (a suo tempo) Le Défi américain, "La sfida americana":
    "Dobbiamo distruggere a tutti i livelli il concetto di Stato quale
    depositario del bene comune" ("gli Stati odierni sono la tomba dei popoli.
    Gli Stati sono bestialità collettive", aveva aizzato, mezzo secolo prima,
    Alfred Dóblin in Reise in Polen). L' idea di Patria-Nazione, e quindi di
    Stato, deve cioè venire distrutta in favore di micro-entità facilmente
    dominabili da quell'autorità sovrannazionale impersonata non tanto dalla
    Grande Finanza o da quel plateale Braccio Armato del New World Order che
    sono gli States, ma proprio dall'autorità "morale" dell'ONU.


    Per proteggere la nascita del Mondo Nuovo dal risorgere degli statalismi,
    dei nazionalismi e dal "rigurgito" dei "razzismi", primo tra tutti l'
    "antisemitismo", il più efficace strumento politico-istituzionale, dopo
    quelli legislativo-poliziesco, scolastico-educazionale e
    politico-invasionistico, è, come per il Reich sconfitto, cui fu imposta la
    frammentazione in Lander, il federalismo delle "piccole patrie", cioè la
    settorializzazione regionale dello Stato-Nazione, operante in sintonia con
    la longa manus economico-finanziaria delle imprese multi-transnazionali.


    Ciò, giusta l'antico-sempre-nuovo insegnamento di Ludwig Borne nato Loeb
    Baruch: "Die Jude sind die Lehrer des Kosmopolitismus, und die ganze Welt
    ist ihre Schule, und weil sie die Lehrer des Kosmopolitismus sind, sind sie
    auch die Lehrer der Freiheit. Keine Freiheit ist moglich, solange es
    Nationen gibt, Gli ebrei sono i maestri del cosmopolitismo, e l'intero mondo
    è la loro scuola, e poiché sono i maestri del cosmopolitismo, sono anche i
    maestri della libertà. Nessuna libertà è possibile finché esistono le
    nazioni" (Briefe aus Paris, 1830-1831, 103' lettera) e di Joseph Roth: "Gli
    ebrei sono più antichi del concetto di "nazione" ........... Tra la missione
    degli ebrei di dare un Dio al mondo, e la loro esigenza di possedere un
    "proprio paese", è contenuta un'enorme contraddizione [ ] Erano stati
    sparpagliati nel mondo per diffondere il nome di Dio" (Der Segen des ewigen
    Juden, "La benedizione dell'eterno ebreo", 30 agosto 1934).


    Di quel Roth che, recidivo, ribadisce: "Vorrei che non ci fossero patrie.
    Vorrei vedere su questo mondo nient'altro che un'unica "patria", il paese di
    Dio, padre di tutti noi, in cui ognuno possa andare in giro o rimanere senza
    passaporto, senza nome, come più gli piace o come corrisponde alla sua
    natura [ ] Non esiste altra possibilità se non quella che gli ebrei che non
    si assimilano nei loro paesi, e quelli che non vanno in Palestina pur
    rimanendo ebrei, diventino i portatori del pensiero di una patria comune. La
    nostra patria è l'intero mondo" (Jedermann ohne Pass, "Tutti senza
    passaporto", 6 ottobre 1934).


    Altrettanto illuminanti, Gottschalk e Duker in Jews in the Post-War World:
    "La migliore speranza per gli ebrei e per l'intera umanità sta in un mondo
    postbellico fondato su garanzie internazionali e sulla mutua comprensione.
    Se il futuro dell'Europa sarà costruito sulla cooperazione tra le Nazioni
    Unite, i diritti individuali e collettivi degli ebrei saranno adeguatamente
    protetti. Tale collaborazione sarà un fattore vitale per prevenire il
    risorgere del fascismo e dell'antisemitismo e per salvaguardare la posizione
    degli ebrei in tutto il mondo [ ] I progetti federativi piacciono agli
    ebrei. Un ordine mondiale previsto da tali piani richiama l'ideale profetico
    della fratellanza mondiale, così profondamente radicato nel giudaismo [ ] In
    un sistema federativo, le differenze di gruppo nazionali non saranno più in
    primo luogo politiche e nazionalistiche, ma culturali, linguistiche e
    religiose. Il problema dei diritti collettivi degli ebrei sarà
    essenzialmente culturale. Il principio del pluralismo culturale, che agirà
    in tale sistema, tutelerà automaticamente la vita religiosa e culturale
    ebraica . Gli ebrei amano la pace, di tutto cuore partecipano ad ogni sforzo
    per impostare una cooperazione internazionale. Inoltre, sono i precursori
    riconosciuti dei progetti che trascendono tutti i confini geografici".


    "Lo Stato è, nel percorso, un momento storico, che forse ormai tende ad
    essere anche un pochino messo in crisi come istituzione identificante. L'
    ebraismo, secondo me, è un modello simbolico che potrà, in futuro, proporsi,
    se ben gestito, come un Modello Super-Statale", auspica Ileana Chivassi
    Colombo (Shalom, giugno 1995). "In epoca postmoderna la nozione di sovranità
    nazionale assoluta si deve arrendere all'interdipendenza internazionale e il
    mito dello Stato nazionale cede il passo alla realtà della quasi
    universalità delle comunità politiche multietniche", incita di conserva,
    riconoscendo nel Patto biblico le radici genetiche del federalismo moderno,
    il politologo superamericano Daniel Judah Elazar, direttore del Centerfor
    the Study of Federalism presso la filadelfiana Temple University e
    dell'israeliano Jerusalem Center for Public Affairs, ove insegna
    all'Università Bar Ilan.


    Impudente come i sei Arruolati sull'essenza della regionalizzazione è nel
    2000 il sinistro ex-ministro italiano Pierluigi Bersani: "Il vero
    federalismo non significa una Regione-Stato a base etnico-culturale, poiché
    ciò sarebbe una chiusura alla globalizzazione".


    Altrettanto chiara, ed ancora più ovvia, la risposta di Vincenzo Mungo, per
    il quale i movimenti che si propongono di opporsi davvero alla
    globalizzazione devono assolutamente evitare di frammentare le nazioni
    storiche per chiudersi a difesa delle "piccole patrie" locali: "In questo
    caso si avvantaggia enormemente il sistema mondialista poiché esso, proprio
    perché opera su tutto il pianeta, può facilmente emarginare economicamente e
    socialmente un singolo paese che decida di estraniarsi dalla realtà mondiale
    e costringerlo, quindi, alla fine ad adattare le sue strutture sociali e la
    sua cultura alle esigenze del neocapitalismo. Questo tipo di discorso
    riguarda, ovviamente, a maggior ragione, i movimenti che si propongono di
    isolare le "culture" regionali esistenti nelle singole nazioni. Si deve,
    anzi, ritenere che in questi casi sia proprio l'attuale "Sistema"
    mondialista ad avere convenienza a che questi movimenti prendano piede. Esso
    può, infatti, meglio controllare delle realtà molto frammentate, che sono
    implicitamente più deboli rispetto a Stati nazionali ben organizzati".


    Un trentennio prima, così aveva scritto Dietrich Klagges, nazionalsocialista
    già capo del governo regionale di Braunschweig dal 1933 al 1945, arrestato,
    torturato e accusato di "crimini contro l'umanità", nel 1950 dannato
    all'ergastolo dalla BRD in base alla legge di occupazione, pena ridotta a
    quindici anni nel 1957 (rifiutando peraltro i testi a discarico in quanto -
    testuale - avrebbero "testimoniato a discolpa"), scarcerato dopo un
    dodicennio di vessazioni e morto nel 1971: "Nemici del nazionalismo sono da
    un lato il particolarismo e il separatismo, dall'altro l'internazionalismo.
    Il particolarismo e il separatismo non hanno fondamenti ideologici, ma
    possono lacerare e smembrare una comunità popolare storicamente affermata
    tanto meglio e con maggiore successo, quanto più determinato è il carattere
    nazionale, quanto meno si piega a diventare gregge".


    Ed ancora: "Esasperando diversità secondarie di natura e interessi tra le
    parti della nazione (stirpi, regioni, province), mettendole in primo piano e
    celando la ben più forte e radicata unitarietà del popolo, il particolarismo
    minaccia l'unità delle nazioni dall'interno. Esso si preoccupa anche di
    avocare a sé poteri politici e pertinenze statuali, cosicché il governo
    nazionale viene esautorato e indebolito fino all'impotenza. Se il
    particolarismo si spingesse fino a esigere e ottenere una piena autonomia
    statuale e il distacco di una parte del popolo, diverrebbe infame
    separatismo. Una tale situazione danneggia sia l'intera nazione sia la parte
    che si è distaccata. Il popolo della prima viene indebolito, dalla perdita
    demografica e territoriale, nella sua forza finanziaria, economica e
    difensiva, anzi in quella sua intera vitalità culturale che ne determina il
    posto e il rango nel mondo. Ma anche la parte distaccata, misera e
    insignificante fin dall'inizio, non riesce a difendere la propria esistenza
    sotto alcun aspetto, non può in autonomia assicurarla. Nel migliore dei casi
    essa vive delle rivalità dei suoi più forti vicini, nel peggiore è costretta
    a chiedere protezione ad un popolo straniero, fino a vedersi occupata e
    incorporata nel nuovo organismo. Diviene vittima o zavorra e parassita della
    politica di altri. Una condizione separatistica comporta inoltre sul lungo
    periodo non solo la perdita della coscienza dell'unità del popolo, ma anche
    la morte di differenze linguistiche, statuali e di destino storico, cosicché
    sorgono davvero diversità nazionali che renderanno impossibile una
    riunificazione. In virtù di queste conseguenze luneste per l'unità
    nazionale, le tendenze particolariste e separatiste vengono di buon grado
    sostenute dalle potenze straniere, venendo anzi artificiosamente esasperate
    per indebolire una nazione prospera ed escluderla, o almeno renderla
    impotente, nella gara per l'affermazione nel mondo".


    Il vero potere dell'ONU non risiede comunque tanto nelle decisioni politiche
    concrete, il più delle volte di mediocre portata o a rimorchio di decisioni
    prese in altra sede, quanto nelle funzioni ideologico-morali, nell'influenza
    politica che deriva al Palazzo di Vetro in quanto suprema istanza di
    legittimazione. I discorsi, le risoluzioni e tutti gli altri prodotti di
    tale funzione deliberativa esercitano un'influenza politica diffusa sulla
    scena mondiale. Nessun governo nazionale può permettersi di trascurare
    l'incidenza di tali attività, finendo quindi con l'improntare ad hoc sia la
    propria opinione pubblica che la formazione dei propri uomini politici.


    Come nota Pierre de Senarelens, docente di Relazioni Internazionali e
    direttore della Divisione Diritti Umani dell'UNESCO: "L'ONU, allo stesso
    titolo delle istituzioni specializzate di natura politica, ha per mandato la
    propagazione di certe idee, di certi valori. L'esame dei loro bilanci mostra
    infatti che la loro attività essenziale consiste nell'organizzare incontri,
    diffondere le loro raccomandazioni, suggerire politiche [ ] Esse
    contribuiscono alla concettualizzazione e, soprattutto, alla diffusione di
    numerosi temi politici, particolarmente in campo economico e sociale".


    A tale primaria funzione che forgia immaginarii collettivi universali
    attraverso vincoli "morali" e indiretti, negli anni Novanta si è però venuta
    aggiungendo, complice il crollo dell'antagonismo sovietico e l'ingresso
    della Cina nel Mercato-Mondo, la pura e semplice brutalità. Esercitata,
    anche senza gli onusici "caschi blu", dalle truppe di Washington con lo
    sciacallo inglese - vedi Iraq, Bosnia, Somalia, Serbia e Afghanistan - tale
    volpina violenza si riallaccia all'invocazione lanciata il 14 giugno 1946 da
    un decrepito Bernard Baruch, superbanchiere già intimo consigliere di
    Roosevelt, dal podio dell'onusica Commissione per l'Energia Atomica:
    "Dobbiamo infliggere un castigo immediato, spiccio e certo a chi violerà i
    patti raggiunti tra le nazioni. La penalizzazione è essenziale se la pace ha

    da essere qualcosa di più che un intervallo fra due guerre. E le Nazioni
    Unite devono prescrivere la responsabilità personale e il castigo secondo i
    princìpi applicati a Norimberga .I popoli delle democrazie non hanno nulla
    da temere da un internazionalismo protettivo, mentre non vogliono essere
    fuorviati da disquisizioni attorno a meschine sovranità, usate oggi per
    indicare l'isolazionismo".


    Affiancano Baruch, nell'analisi critica delle prospettive dell'instaurazione
    del Nuovo Ordine Mondiale, sei studiosi:


    1- "Il lessico e la sintassi teorica che usiamo nel riferirci ai sistemi
    politici occidentali oggi sono gravemente fuorvianti [ ] Nel funzionamento
    effettivo dei sistemi che chiamiamo democratici praticamente nulla sembra
    corrispondere a ciò che la teoria politica - e il linguaggio dei politici,
    dei giornalisti e in generale la comunicazione multimediale - presume o
    tenta di evocare con termini come "sovranità popolare", "partecipazione",
    "rappresentanza", "opinione pubblica", "consenso", "eguaglianza"" (Danilo
    Zolo).


    2- "La grande questione del nostro tempo non è se si possa o non si possa
    arrivare ad un governo mondiale [One World], ma se si possa o non si possa
    arrivare ad un governo mondiale con mezzi pacifici. Lo si voglia o no,
    arriveremo a un governo mondiale. La sola questione è se ci arriveremo con
    un accordo o con la forza" (James Paul Warburg, adepto del Council of
    Foreign Relations, alla Commissione Esteri del Senato americano, 17 febbraio
    1950).


    3- "Dove finirà la marcia del cosmopolitismo? Se non la fermeremo, ci
    condurrà verosimilmente al comunismo.Come in campo sociale la più pura forma
    di totalitarismo è il comunismo, possiamo esser certi che, se non ci
    opporremo, il logico sbocco del processo sarà questo. Se dovremo diventare
    un unico mondo, dovremo essere regolati come un tutto. La libertà, al pari
    di un'economia libera, può incoraggiare l'anticonformismo. Questo, i nostri
    governanti totalitari non possono permetterlo" (Bryan Campbell). (27)


    4- "Se dobbiamo salvarci, dovremo certamente rassegnarci a sottostare ad una
    quantità di cambiamenti politici ed economici altamente sgradevoli e poco
    accetti alla massima parte della gente. L'indipendenza sovrana dei 140 stati
    del pianeta dovrà, ad esempio, sottostare ad un unico governo mondiale.
    Possono queste indispensabili riforme essere compiute da un regime non
    dotato di poteri dittatoriali? Questo è, credo, il vero grande problema
    politico che oggi dobbiamo affrontare. L' ideale sarebbe naturalmente
    compiere queste riforme di buon grado [voluntarily] e in poco tempo, senza
    lottare od odiarsi l'un l'altro. Ma dovremo usare qualsiasi mezzo si renda
    necessario e ho quindi il presentimento che la carriera di Lenin testimoni
    di ciò che chiamiamo "l'onda del futuro". Lo penso, in quanto la condizione
    del pianeta in questo XX secolo è la stessa di quella della Russia nel XIX.
    L'unico rimedio alla decomposizione e al collasso dello zarismo fu una
    dittatura ancor più spietata .Immagino il mondo tenuto insieme e in pace
    nel Duemila da una dittatura atrocemente tirannica ,atrociously tyrannicall
    che non esiterebbe ad uccidere o torturare chiunque costituisse ai suoi
    occhi una minaccia all'accettazione assoluta (unquestioning) del suo
    assoluto potere . Un futuro stato mondiale sarà, letteralmente, a livello
    mondiale . E' altamente improbabile, temo, che verrà istituito di buon grado
    o anche con rassegnazione, dalla maggioranza degli uomini . Prevedo che
    l'umanità dovrà acconsentire ad una qualche forma di rigida dittatura
    leninista come a un male minore dell'auto-sterminio o di una continua
    anarchia che esiterebbe solo in un auto-sterminio. Se la riluttante
    maggioranza accetterà la dittatura su tali basi, penso farà la scelta
    giusta, perché ciò permetterà la sopravvivenza della razza umana" (lo
    storico Arnold J. Toynbee, membro Round Table e Royal Institute of
    Intemational Affairs, in Surviving the Future, 1971).


    5- "Il perseguimento di questi obiettivi richiede un notevole ampliamento
    dell'uso della costrizione da parte dei governi nei confronti dei cittadini,
    poiché in null'altro modo, sia all'intemo degli stati che nei rapporti
    internazionali, si potrebbe conseguire una vera omogeneizzazione di nazioni,
    società, gruppi e individui talmente diversi. Nasceranno da ciò notevoli
    tensioni sia in campo politico che sociale. Le energie e le risorse dei
    popoli verranno deviate dalle attività produttive a quelle politiche. Ne
    potrà certamente derivare un nuovo ordine economico internazionale, ma non
    sarà un ordine né di libertà né di benessere" (Peter T. Bauer, docente alla
    London School of Economics, commentando la Declaration on the Establishment
    of a New International Economic Order, approvata nella VI seduta
    straordinaria dell'ONU, 1974).


    6- "I governanti del mondo di oggi sono così ossessionati dall'idea di
    controllarci, di salvarci dalle nostre stesse cattive abitudini e dai nostri
    istinti primitivi, che non si fermeranno di fronte a nulla. Essi
    appartengono a una nuova generazione di dittatori ideologici, gli Utopisti
    del Nuovo Ordine Mondiale. E nessuna utopia è completa senza i suoi gulag"
    (Vladimir Bukovskij, nella prefazione a Carlo Stagnaro). (28)


    A questo punto, nota il fascista francese Maurice Bardèche - e per
    apprezzarne fino in fondo l'acume ricordi il lettore che non scrive nei
    nostri anni felici, ma nel lontanissimo 1949 - "vediamo dispiegarsi davanti
    ai nostri occhi il panorama del nuovo sistema.Non si tratta più di servaggio
    ma di ingerenza, non di controllo ma di pianificazione, non di
    malthusianesimo ma di esportazioni organizzate; ancor meno di occupazione,
    soltanto invece di conferenze internazionali, le quali sono una specie di
    consulti medici sulla nostra temperatura democratica. Intorno al tavolo ci
    sono tutti, ognuno ha la sua scheda per votare. Non ci sono vinti o
    vincitori. La libertà regna e ciascuno respira non come si respira con un
    polmone artificiale, ma come si respira nella cabina di un batiscafo o di un
    accostato dove la quantità di ossigeno è regolata da un sapiente meccanismo
    di immissione. Tutti hanno deposto all'entrata un certo numero di idee false
    e di pretese superflue, come i maomettani depongono le babbucce prima di
    entrare nella moschea. Tutti sono liberi, perché ognuno prima di entrare ha
    giurato di rispettare in eterno i principi democratici, ha firmato cioè,
    prima di ogni altra cosa, un abbonamento perpetuo alla costituzione degli
    Stati Uniti. Non è forse questa la felicità? Non è un compromesso felice tra
    i due ostacoli che ci fermavano? Così la quadratura del cerchio viene
    risolta. La Germania è condannata non solo per avere violato il trattato di
    Versailles, ma essenzialmente per aver agito contro lo spirito e gli editti
    della coscienza universale e cioè della democrazia. Può riprendere però il
    suo rango tra le altre nazioni libere, se giurerà fedeltà alla dea offesa".


    Quali sono le conseguenze pratiche di tale impostazione non tanto politica
    quanto concettuale? "Il ridurre gli Stati alla condizione di privati
    cittadini ha come primo risultato il consacramento dell' "attuale"
    distribuzione della ricchezza nel mondo. L'ineguaglianza sociale si
    riproduce nella medesima misura negli Stati, e nel medesimo rapporto con gli
    istituti giuridici. Il cittadino cioè è nominato guardiano
    dell'ineguaglianza che l'opprime. Voi siete liberi, ci si dice, ma liberi a
    patto di accettare la vostra sorte. Avete diritti uguali a quelli degli
    altri, ma dovete sapere che gli altri hanno rinunciato al diritto di
    discutere l'essenziale. Democrazia e immobilità: ecco la nostra divisa:
    tutto va per il meglio nel migliore dei mondi, e perciò s'invitano i
    diseredati a montare la guardia davanti al patrimonio dei giusti.
    S'incontrano così e si compenetrano due uomini all'apparenza estranei, il
    morale e l'economico. Norimberga pretende di garantire la pace. Accade però
    che la pace e la coscienza universale, benché seggano nell'empireo, sono
    come i re i quali, diceva Montaigne, sono sì seduti sui loro troni, ma sono
    pur sempre seduti sul culo".


    Presentendo la molto più tarda approvazione di leggi demorepressive à la
    Pleven/Mancino, Bardèche traccia, con sbalorditiva precisione per l'epoca in
    cui fu stilato, il profilo della Quarta Guerra: "Dapprima, abbiamo imparato
    che non avevamo il diritto di riunirci sulla piazza davanti alla casa del
    cadì, e di dire: "Questa città fu dei nostri padri ed ora è nostra, questi
    campi furono dei nostri padri e perciò ci appartengono". E adesso il cadì
    non ha più il diritto di camminare preceduto dalla spada della giustizia:
    egli ha abbandonato la sua sovranità, ecco agenti bellissimi con un casco
    bianco in testa i quali annunciano la pace e la prosperità. Benvenuti,
    agenti dei nostri padroni!.............. In questo mondo che poco fa
    sentivamo fluido, sfuggente a ogni definizione e certezza, c'è finalmente
    qualcosa di stabile, di definitivo, di irrevocabile: le leggi che ci rendono
    tributari. Da noi, nelle nostre città, più nulla vi è di sicuro, non
    esistono più limiti certi tra il bene e il male, non vi è più terra su cui
    poggiare i piedi: ma sopra di noi un'architettura vigorosa comincia a
    disegnarsi. Il cittadino francese, tedesco, spagnolo, italiano non sa bene
    quale sorte sia a lui riservata, ma il cittadino del mondo sa che
    l'impalcatura armoniosa dei patti si innalza per lui. La sua persona è
    sacra, le sue merci sono sacre, i prezzi di costo sono sacri, i margini di
    guadagno sono sacri. La repubblica universale è la repubblica dei mercanti.
    La lotteria della storia è ferma una volta per tutte. Vi è una sola legge,
    quella che permette la conservazione dei guadagni. Tutto è permesso, salvo
    il tornare su queste cose. La distribuzione dei lotti è definitiva. Siete in
    perpetuo venditore o compratore, ricco o povero per sempre, padrone o
    tributario fino alla fine dei secoli. Là dove le sovranità nazionali si
    spengono, comincia a risplendere la dittatura economica mondiale. Un popolo
    non ha più alcun potere contro i mercanti se ha rinunciato al diritto di
    dire: "Ecco i contratti, ecco gli usi, e voi pagherete questa decima per
    sedervi". Gli Stati Uniti del Mondo sono una concezione politica soltanto
    apparentemente: in realtà si tratta di una concezione economica. Questo
    mondo immobile non sarà più che un'enorme Borsa: Winnipeg dà il corso del
    grano, New York quello del rame, Pretoria dell'oro, Amsterdam del diamante.
    Quale rimedio ci rimane se non siamo d'accordo? La discussione tra ricco e
    povero? Ne conosciamo i risultati".


    "Ci rimane però una consolazione, ed è la coscienza universale che ci
    governa. Giuristi perfettamente aggiornati ci portano leggi già fatte. Essi
    sono i guardiani della vestale Democrazia. Simili ai grassi eunuchi che
    sorvegliano le strade dell'harem, hanno un volto sconosciuto e parlano un
    linguaggio a noi incomprensibile. Sono gli interpreti delle nuvole. La loro
    funzione consiste nel metterci a portata di mano i preziosi misteri della
    libertà, della pace, della verità .......... Oggi la giustizia e la
    mansuetudine illuminano le vostre fronti! Ingegneri invisibili tracciano con
    una cordicella il nostro universo. Avevamo una casa, avremo al suo posto la
    pianta di una casa. Un occhio in mezzo a un triangolo, come sulla copertina
    di un catechismo, governa la nuova creazione politica. Gli idealisti si sono
    scatenati. Ogni produttore di mostri ha diritto di parola. Il nostro mondo
    sarà bianco come una clinica, silenzioso come una camera
    mortuaria.............. Le nazioni sono evirate. La teoria degli Stati Uniti
    del Mondo è un'impostura fondata su un postulato politico, e il postulato
    dell'eccellenza democratica è un postulato esattamente simile a quello
    dell'eccellenza del marxismo. E' inoltre un mezzo di intervento proprio come
    lo è il marxismo. Noi non siamo più uomini liberi: non lo siamo più da
    quando il tribunale di Norimberga ha proclamato che sopra le nostre volontà
    nazionali esiste una volontà universale la quale, sola, può emanare le vere
    leggi. Non è il piano Marshall a minacciare la nostra indipendenza, sono i
    princìpi di Norimberga".

    Nel corso sempre più rapido di tale strategia, quarantatré anni dopo, il 31
    gennaio 1992, cooptati la Russia eltsiniana e la Cina denghiana nel
    Consiglio di Sicurezza, viene approvata una dichiarazione, preparata
    dall'Inghilterra, nella quale si prospetta il diritto dello stesso Consiglio
    di decidere interventi armati anche a dispetto di qualunque necessità di
    tutelare la "sicurezza collettiva".


    Del tutto naturalmente, il Direttorio formato dalle tre Superdemocrazie e
    dai due Supercomunismi riciclati si arroga il diritto di intervenire anche
    in caso di crisi non-militari, cioè "instabilità in campo economico,
    sociale, umanitario ed ecologico, quando diventino minacce alla pace e alla
    sicurezza" (ovviamente, a esclusivo giudizio dei concreti interessi dei
    Cinque). Il Grande Massacro iracheno, le minacce di bombardare Libia ed
    Iran, l'occupazione della Somalia per "riportare la speranza" (avallata dal
    papa polacco), l'invasione di Haiti, le minacce di guerra rivolte alla Corea
    del Nord (ma ugualmente il rifiuto di ogni fattivo intervento contro
    l'aggressione NATO alla Serbia e il massacro angloamericano rinnovato
    sull'Afghanistan) sono le prove generali della nuova ONU punitiva.


    Nel frattempo, di fronte alle difficoltà di imporre l'"ordine" al mondo, una
    strategia altra e alternativa rispetto all'ingerenza "umanitaria", una
    strategia "conservatrice", "isolazionista" e "tranquillizzante" come quella
    delle cosmopolite città americane coi quartieri abbandonati al degrado e
    alla violenza contigui e separati da quelli ricchi e "felici", si fa largo
    nell'oligarchia intemazionale. Progetto alternativo elaborato nei think
    tanks sistemici, cinico nel riconoscere il fallimento di Utopia, tale
    strategia, scrivono gli ebrei Max Singer ed Aaron Wildawsky (fondatore
    dell'Hudson Institute l'uno, docente di Strategia Militare a Berkeley
    l'altro), contempla, dopo averli sfruttati e sconvolti, l'abbandono a se
    stessi dei paesi "sottosviluppati":

    "C'è un atroce disordine nei sei settimi del mondo né ricco né democratico,
    e né noi né alcun altro può rendere quella parte del mondo stabile o
    pacifica nei prossimi decenni. Nel prossimo secolo milioni di persone
    morranno senza necessità di fame e malattie, di guerra e massacri di Stato e
    noi non possiamo impedire questi orrori [... ] I mezzi di comunicazione
    modemi ci daranno una poltrona di prima fila al susseguirsi di scene di
    devastazione e morte". Un sostegno dovrà quindi essere accordato solo agli
    Staticuscinetto lungo la linea che separa gli happy few [i Pochi Felici]
    dalla Barbarie Antidemocratica. I massacri che infurieranno nella terra
    incognita dovranno lasciare indifferenti i beati possidentes: ciò che
    avviene "al di là" è privo di senso. Solo i conflitti a ridosso del Vallo
    provocheranno la rappresaglia, se porranno in pericolo la prosperità del
    Regno.


    Ma fermiamoci qui. Una successione di eventi fortuiti può certamente
    influenzare il corso della storia, ma quando migliaia di eventi "fortuiti"
    vedono protagonisti gli stessi individui e all'opera le stesse forze
    spirituali, non può non sorgere qualche più ampio sospetto. O non maturare
    qualche più approfondita riflessione. Certe "coincidenze", e tanto più certe
    serie di "coincidenze", non si verificano facilmente. Coincidenza è parola
    che l'uomo usa quando non sa spiegare perché taluni fatti ed eventi sembrano
    convergere o davvero convergono. Quella che per taluni è una "coincidenza",
    non lo è affatto per chi è riuscito a comprendere i legami fra gli
    eventi.(29)

    (27) Quanto al riferimento campbelliano al "comunismo" - ad un comunismo
    oggi presuntamente defunto - come esito finale del liberalismo, non si
    spaventi il lettore, poiché basta intendersi sul termine. Invero,
    controfaccia della stessa medaglia mondialista, il liberalismo reale non è,
    nel suo più intimo nocciolo, che un "supercomunismo", un "comunismo del
    benessere" sempre più monopolistico, diverso dal "socialismo reale" solo per
    la maggiore ricchezza distribuita (in ogni caso: pro tempore). E
    soprattutto tale aspetto che gli permette di non esercitare particolari
    repressioni contro i dissidenti. Similmente Faye, dopo l'analisi compiuta
    nel 1985 in Nuova Società dei Consumi, in Pourquoi nous combattons: "Ben
    meglio di quanto non abbia fatto il comunismo, il liberalismo occidentale ha
    realizzato il doppio sogno di Marx - e di Trockij: costruire una
    civilizzazione planetaria e cosmopolita esclusivamente fondata sul
    materialismo e i rapporti economici. In questo senso, è il capitalismo della
    civilizzazione occidentale, e non il comunismo, che ha realizzato l'essenza
    del marxismo". Similmente, sempre nel 2001, Aurelio Lepre: "L'Eden laico
    sognato da Marx avrebbe dovuto essere il punto di approdo del massimo
    livello di sviluppo economico possibile nel capitalismo, il prodotto di una
    società ricca, che nel comunismo avrebbe trovato il mezzo per diventarlo
    ancora di più. Marx voleva il benessere per tutti: è stato anche lui il
    teorico di una affluent society , egualitaria ma opulenta. Non auspicò mai
    l'eguaglianza nella miseria ...................Oggi, i più lontani da Marx
    sono i movimenti che proclamano rivoluzioni o trasformazioni radicali. Se
    n'erano allontanati già i protagonisti del Sessantotto, che guardavano a Mao
    Zedong come a un maestro, ma ora il distacco è veramente completo. I nuovi
    rivoluzionari sono contro la globalizzazione, di cui Marx è stato il primo
    celebratore. Considerano una sciagura la formazione del mercato mondiale,
    che per Marx era l'indispensabile premessa per la costruzione di una civiltà
    universale. Avversano la ricchezza che Marx, invece, riteneva il fondamento
    necessario all'estrinsecazione di tutte le doti creative dell'uomo. Sono
    convinti che la natura venga violentata dallo sviluppo industriale, mentre
    Marx auspicava il suo assoggettamento. Non c'è una sola rivendicazione del
    cosiddetto "popolo di Seattle" [i presunti "contestatori" da sinistra delle
    oligarchie finanziarie mondiali, artefici del Nuovo Ordine Mondiale
    attraverso la globalizzazione delle economie] che lo troverebbe d'accordo.
    Tra chi difende ]'Occidente e chi lo contesta, soltanto i primi potrebbero
    ancora legittimamente riferirsi a Marx. Non è certo mia intenzione sostenere
    che egli non sia stato un duro nemico del capitalismo. Ci mancherebbe. Ma
    non lo è stato della civiltà occidentale, alla quale appartiene in pieno".

    Ed ancora l'antropologa Ida Magli: "Vogliamo deciderci a rompere un tabù?
    Vogliamo finalmente dirci la verità? Che il comunismo sia stato archiviato è
    un paradossale equivoco: lo stiamo vivendo. Si è realizzato. E si è
    realizzato molto al di là di quello che sperava o si proponeva Marx. Per
    questo non ne siamo consapevoli. E' vero, la classe operaia non governa, ma
    semplicemente perché le classi non esistono più. L'annullamento delle
    differenze le ha travolte tutte, e al potere non ce n'è nessuna. Tutti
    uguali, infatti, ha significato tutti ugualmente privi di potere. Con la
    fine della rappresentanza assegnata, come era avvenuto per molti secoli, ai
    vari strati sociali (clero, esercito, contadini, borghesi, nobili), si è
    formato un gruppo specializzato esclusivamente nella gestione del potere;
    l'unico perciò davvero "diverso" il quale, con il comunismo, difende il suo
    interesse a che non si formino altre diversità. I politici hanno così
    portato a termine l'opera di Marx proprio in quella parte dell'Europa che
    non soltanto vi riponeva una fede assoluta (era l'ateismo a mettere a
    disagio i cristiani, non l'egualitarismo e la solidarietà sociale), ma era
    anche ricca di spirito imprenditoriale. I grossi capitalisti, quelli che da
    secoli erano convinti che il mercato, il commercio e il denaro debbano
    scorrere senza mai trovare ostacoli davanti a sé, hanno capito che la fine
    delle "differenze", la fine delle classi, la fine degli Stati, la fine dei
    confini, era una macroscopica estensione della fine delle dogane,
    l'eliminazione di qualsiasi "barriera". E' stato così che in Italia e, con
    l'Unione, in Europa, ha trionfato il comunismo. Un comunismo che possiamo
    anche chiamare comunismo capitalistico. Ma non è necessario, perché il
    comunismo può vivere soltanto se è capitalistico; quando non è capitalistico
    crolla, come è successo nell'URSS, come a Cuba, come in Cambogia, in quanto
    non si può ridistribuire il denaro senza produrlo. Gli Stati dell'Unione
    Europea condividono questa situazione in quanto l'Unione è nata proprio per
    questo: estendere al massimo il territorio senza barriere a disposizione di
    banche, industrie e governanti. Il tema conduttore ripetuto ossessivamente:
    tutti i popoli sono uguali, tutte le religioni sono uguali, tutti i mestieri
    sono uguali, tutte le monete sono uguali, è il collante indispensabile al
    comunismo capitalistico che vede l'emergere di qualsiasi differenza come un
    pericolo"


    (28) Suggella il quadro Adolf Hitìer, il 21 febbraio 1945: "Gli
    universalisti, gli idealisti, gli utopisti mirano tutti troppo in alto. Essi
    promettono un paradiso irrealizzabile e, così facendo, ingannano il genere
    umano. Qualunque sia la loro etichetta, si autodefiniscano essi cristiani,
    comunisti, umanitari, o si limitino ad essere sinceri ma stupidi, o
    intriganti, o cinici, sono tutti dei facitori di schiavi".


    (29) Senza assolutamente volere entrare in una disquisizione sull'esistenza
    o meno di Grandi o Piccoli Vecchi che tirano i fili dietro le quinte, ci
    limitiamo a riportare due. ammissioni e due commenti. "Siamo riconoscenti al
    Washington Post, al New York Times, a Time e agli altri grandi giornali, i
    cui direttori hanno partecipato alle nostre riunioni rispettando per oltre
    quarant'anni le promesse di discrezione. Di fatto, ci sarebbe stato
    impossibile portare avanti il nostro progetto se in questi anni fossimo
    stati sotto i riflettori del pubblico. Ma il mondo è oggi più sofisticato e
    disposto a marciare verso un governo mondiale.La sovranità sovrannazionale
    di un'élite di intellettuali e di banchieri mondiali è certo preferibile
    all'autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati" (David
    Rockefeller, Bilderberg Group a Sand/BRD, il giorno 8 o 19 giugno 1991,
    riportato sia in Marco Dolcetta che in Eugène Krampon). "Qualche tipo di
    decisioni - quelle a conseguenze globali - dovranno essere prese da
    assemblee internazionali che rappresentano la popolazione mondiale. L'ordine
    internazionale dovrà essere organizzato di conseguenza. Ciò comporta
    l'abbandono volontario della sovranità nazionale così come la si intende
    oggi" (Club di Roma, Reshaping the International Order, 1977).

    "Quel che si vuole affermare è che, in contraddizione o a complemento delle
    risoluzioni prese nell'àmbito del governo nazionale, decisioni ufficiose,
    importantissime ed efficaci vengono prese dall'élite finanziaria senza che
    venga consultato nessun altro. Sono decisioni che, pragmaticamente, hanno la
    forza di vere e proprie leggi, perché provocano certi eventi e impediscono
    il verificarsi di altri. Naturalmente non esiste nessun "complotto". Ci
    sono solo certi atteggiamenti comuni, certi modi paralleli di condurre gli
    affari, che sono stati adottati da un piccolo gruppo di persone in continuo
    contatto tra loro" (Ferdinand Lundberg).

    "Gli scribacchini che ci accusano cercano di affogare nel ridicolo la tesi
    del complotto. Sarò allora più chiaro: non ci sono complotti della
    Trilateral, del Bilderberg, del sionismo o della massoneria in riunioni
    segrete tenute in luoghi segreti. C'è cento volte di peggio: la collusione
    spontanea di tutti i nemici della libertà contro gli uomini liberi. Cosa
    vuole il grande capitale? Dei produttori-consumatori intercambiabili e
    totalmente manipolabili dalla pubblicità. Ciò richiede la dissoluzione delle
    identità razziali, culturali, professionali e religiose. Cosa vogliono i
    capi del cristianesimo, dell'islam? Cosa vogliono i partiti? Un gregge che
    non discute e che non protesta se non quando gli si dice di protestare.
    Questo è il vero complotto, e non siamo i primi a lanciare l'allarme. In
    Brave New World l'ha fatto Aldous Huxley" (Robert Dun).

  9. #9
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    Strategia di morte - capitolo
    ottavo


    Ed infatti, la strategia della disgregazione dei popoli per facilitare un
    dominio planetario, quello che sempre più numerosi osservatori indicano col
    termine mondialismo, non solo appare evidente dai fatti, ma è stato
    teorizzato e preannunciato con estrema chiarezza dai più diversi Complici di
    Dio.


    Poiché non è qui il caso di dilungarci su tale aspetto, basti in primo luogo
    citare il nucleo delle speculazioni compiute dal mistico dotto Yesaiah
    Tishbi in Torat ha-Rave-ha-Qelippah be-Qabbalat ha-Ari, "La teoria del male
    e la sfera satanica nella Qabbalah" (1942), riportato da Michael Hoffman II:
    "La presenza di Israele tra le nazioni redime il mondo, ma non le nazioni
    del mondo. Esso non porta le nazioni più vicine alla santità, ma piuttosto
    estrae da esse la santità e in tal modo distrugge la loro capacità di
    esistere. Il fine della redenzione totale è distruggere la vitalità di tutti
    i popoli".


    Egualmente, ma con linguaggio più pacato, con sublime arroganza e sulla scia
    dell'opuscolo Jewish Survival in the Democracy of the Future, edito nel 1943
    dal Research Institute on Peace and Post-War Problems dell'AJC, Rabbi Arthur
    Hertzberg ricorda le conclusioni dell'insigne Salo Baron, docente di Storia
    alla Columbia University e presidente della Società Americana di Studi
    Ebraici (ribadite in particolare il 25 maggio 1940 in un discorso riportato
    dal Contemporary Jewish Record nel luglio-agosto seguente): "Il giudaismo
    gode di condizioni migliori quanto più una società è pluralista [leggi
    meglio: disgregata] in senso culturale e in senso religioso. Per esempio
    l'impero austro-ungarico, multinazionale e multireligioso, è stato un luogo
    e un tempo ben più felice per gli ebrei che non la monolitica Germania
    post-Weimar".


    Concetto, questo del sostanziale anarchismo sociale ebraico - o detto
    altrimenti: del "progressismo" ebraico, dell'"illuminismo" ebraico,
    dell'"apertura mentale" ebraica - lumeggiato anche da Charles Silberman:
    "Gli ebrei americani si dedicano alla tolleranza culturale in virtù della
    loro convinzione, saldamente radicata nella storia, che gli ebrei sono
    sicuri solo in una società che accetta un ampio spettro di attitudini e
    comportamenti, una diversità di religioni e di gruppi etnici. E questa
    convinzione, ad esempio, e non l'approvazione dell'omosessualità, che porta
    la stragrande maggioranza degli ebrei americani a sostenere i "diritti degli
    omosessuali" e ad assumere atteggiamento liberale nella maggior parte delle
    cosiddette "questioni sociali" ".


    Commenta finemente MacDonald III: "Un interesse di gruppo percepito dagli
    ebrei come concernente il pluralismo culturale trascende le personali
    posizioni negative nei confronti del comportamento in questione. La
    prescrizione che le società non-ebraiche devono adottare strutture sociali
    basate sull'individualismo radicale è anzi un'eccellente strategia per la
    continuità del giudaismo quale coesiva e comunitaria strategia di gruppo.
    Il maggiore pericolo per la strategia di un gruppo minoritario è
    l'affermazione di un gruppo maggioritario altamente unito e conchiuso, che
    considera il gruppo minoritario negativamente e come estraneo [outgroup].
    Per combattere questa minaccia potenziale, si è scelta la strategia di
    promuovere attivamente le ideologie universalistiche all'interno della più
    vasta società non-ebraica, nella quale la categorizzazione sociale
    ebreo/non-ebreo assume così un'importanza minima. Il giudaismo quale
    strategia di gruppo coesiva etnicamente fondata continua ad esistere, ma in
    maniera criptica o semicriptica. Modello esemplare di tale strategia è
    l'ideologia politica della sinistra: del resto, adottano una simile
    strategia anche la psicoanalisi e persino forme di giudaismo che minimizzano
    le diversità fenotipiche fra ebrei e non-ebrei, come il Reform Judaism. Gli
    interessi ebraici vengono serviti anche agevolando tra i non-ebrei
    l'individualismo radicale (atomizzazione sociale), mentre gli ebrei
    continuano a mantenere un potente senso di identificazione di gruppo - il
    programma della Scuola di Francoforte. Al contrario, l'identificazione di
    gruppo dei non-ebrei viene considerata un'indice di psicopatologia.
    Un'importante componente di questa strategia è la decostruzione dei
    movimenti intellettuali di maggioranza incompatibili con la persistenza del
    giudaismo. Questi movimenti intellettuali di maggioranza spaziano
    dall'assimilazionismo radicale (ad esempio, le conversioni forzate al
    cristianesimo) fino alle strategie esclusiviste basate sull'etnocentrismo
    del gruppo di maggioranza (ad esempio, il nazionalsocialismo)".


    Niente quindi di più esatto di quanto avanzato nel marzo 1948 su Commenta
    (articolo Why democracy is better, "Perché la democrazia è meglio") dal
    sionista Sidney Hook: "La diversità di esperienze [comprese le diversità
    etniche e culturali], diretta o indiretta, è immediatamente piacevole. Ci
    salva dal provincialismo e dalla tirannia di quanto ci è familiare, che
    talora può essere talmente forte da renderci incapaci di esprimere le nuove
    risposte necessarie alla sopravvivenza .Crescere nella maturità significa
    imparare ad apprezzare le differenze".


    "It is the horrible figure of nationalism, political and economia, which
    grins and mocks at us everywhere, E l'orribile immagine del nazionalismo,
    politico ed economico, che dovunque ci sogghigna e schernisce", aveva
    scritto, il 24 settembre 1935, la Chicago Jewish Sentinel.

    "We are on the side of liberalism against nationalism, Siamo dalla parte del
    liberalismo contro il nazionalismo", ribadisce Rabbi Freehof in Race, Nation
    or Religion. "Quanto alla politica, gli ebrei sono stati un gruppo
    fondamentalmente e sostanzialmente liberale,a quintessentially liberal
    group. Per almeno duecento anni sono stati strettamente associati coi
    movimenti riformatori e anche coi gruppi radicali che cercavano di
    migliorare le condizioni della nostra società, la vita degli svantaggiati e
    discriminati, e di ottenere la pace", aggiunge Murray Friedman, direttore
    dell'AJC.


    E "la devozione dell'ebreo americano al liberalismo è più forte perfino
    della sua devozione al Partito Democratico" - conferma James Yaffe - "Il
    liberalismo ebraico ha una doppia motivazione. Indubbiamente c'è in esso un
    forte elemento di idealismo altruista ....... Ma la seconda ragione del
    liberalismo ebraico è esattamente opposta alla prima. Anche quando è
    oltremodo altruista, l'ebreo non può fare a meno di farsi questa piccola
    domanda: "E buono per gli ebrei?" L'esperienza gli ha insegnato che il
    liberalismo è buono per gli ebrei".


    "L'individualismo tipico delle società occidentali è un ambiente ideale per
    il giudaismo in quanto strategia coesiva di gruppo - conferma MacDonald Il.
    Le società pluralistiche dal punto di vista etnico e religioso" "sono molto
    più adatte a soddisfare gli interessi ebraici di quanto lo siano le società
    caratterizzate da omogeneità etnica e religiosa tra il gruppo outgroup
    non-ebraico. In The Culture of Critique commento i dati che indicano come le
    organizzazioni ebraiche hanno vigorosamente promosso l'ideologia che
    l'America dev'essere una società etnicamente e culturalmente pluralistica e
    che hanno perseguito una politica di immigrazione aperta allo scopo di
    prevenire l'omogeneità religiosa ed etnica degli Stati Uniti [with the aim
    of preventing religious and ethnic homogeneity in the United States]. Una
    società multiculturale in cui gli ebrei sono solo uno dei diversi gruppi
    tollerati va incontro agli interessi ebraici, poiché in essa c'è una
    diffusione del potere tra una varietà di gruppi e diviene impossibile
    sviluppare gruppi [ingroups] non-ebraici omogenei schierati contro gli ebrei
    quali gruppo [outgroupl altamente visibile".


    In effetti, ponendo l'enfasi sul bene comune di un popolo etno-culturalmente
    compatto, le società tradizionali sono incompatibili col concetto
    pluralistico dei diritti dell'individuo - gli elastici Human Rights di
    ebraico-onusica ascendenza! - perché gli interessi comunitari prevalgono su
    quelli individuali.


    Ben scrivono quindi i tedeschi Reinhold Oberlercher: "Dove è stata attuata
    la distruzione totale della Comunità, là fioriscono i Diritti Umani.
    I Diritti Umani sono il gratuito patrocinio dell'individuo atomizzato [... ]
    Una comunità mondiale di possessori dei Diritti Umani darebbe vita alla
    Società Totale. Questa specie di Comunità è il grado più alto di distruzione
    della Comunità che si possa pensare", e Wolfgang Seeger: "Una repubblica
    mondiale non la si può costruire con popoli liberi, perché questi difendono
    la loro essenza e non si vogliono piegare al giogo di un governo mondiale
    che senza riguardi passerà sopra gli interessi dei singoli popoli. Popoli
    altamente frammischiati, al contrario, si lasciano dominare facilmente".


    Progetto, prassi e privilegio apertamente rivendicati dai Complici di Dio:
    "Il cosmopolitismo, la cittadinanza mondiale, è l'aspirazione indirizzata al
    bene dell'intera umanità, collegata all'ideale speranza di un unico popolo
    mondiale. Alle sue radici questo concetto è genuinamente ebraico e anche
    oggi trova i sostenitori soprattutto tra gli ebrei" (Zionistisches
    A-B-C-Buch, Berlino, 1908) e, persino più aperto, il conte Richard Nikolaus
    Coudenhove-Kalergi, il semi-ebraico ideatore di "Paneuropa", sulla Wiener
    Freimaurerzeitung "Gazzetta massonica viennese" n.9/10, 1923: "Der kommende
    Mensch der Zukunft wird ein Mischling sein. Fur Paneuropa wiinsche ich mir
    eine eurasisch-negroide Zukunftrasse ... Die Fuehrer sollen die Juden
    stellen, denn eine giitige Vorsehung hat Europa mit den Juden eine neue
    Adelsrasse von Geistesgnaden geschenckt, e cioè: l'uomo del futuro sarà
    meticcio. Per l'Europa unita mi auguro una futura razza eurasiatico-negroide
    [... ] Capi ne dovranno essere gli ebrei, perché con gli ebrei una benigna
    provvidenza, per grazia spirituale, ha concesso all'Europa una nuova nobiltà
    razziale".


    Commenta vigoroso MacDonald II: "Il pluralismo serve interessi ebraici sia
    interni (within-group) che esterni (between-group). Il pluralismo serve gli
    interessi ebraici interni perché legittima l'interesse interno ebraico
    nazionalizzando e patrocinando [nei singoli ebrei] un interesse ad
    impegnarsi nel gruppo ebraico e a non assimilarsi, funzioni che Howard
    Morley Sachar definisce "legittimare la difesa di una cultura minoritaria
    all'interno di una più vasta società ospitante". Il pluralismo etnico e
    culturale offre una soluzione alla richiesta ebraica di legittimazione nel
    mondo moderno, perché legittima forme aperte di identificazione ebraica. Il
    pluralismo etnico e religioso serve anche gli intressi ebraici esterni in
    quanto gli ebrei divengono uno dei tanti gruppi etnici. Ciò sfocia nella
    diffusione di influenza politica e culturale tra i vari gruppi etnici e
    religiosi, divenendo difficile o impossibile sviluppare gruppi coesivi di
    non-ebrei uniti nella loro opposizione al giudaismo. Abbiamo visto che
    storicamente i maggiori movimenti antisemiti sono nati in società omogenee
    dal punto di vista religioso o etnico. Società etnicamente e religiosamente
    pluralistiche sono dunque più adatte a soddisfare gli interessi ebraici di
    quanto non lo siano società nonebraiche caratterizzate da omogeneità etnica
    e religiosa".


    Ed è proprio per questo che, nonché perorare con le strategie più diverse
    dai più beceri discorsi genericamente "antirazzisti" (exempli gratia, per
    stare all'Italia: il Guido Bolaffi) alle incessanti rampogne contro il
    "gretto provincialismo" dell'Europa bianca (Tullia Zevi: "Da continente
    bianco e monoculturale l'Europa sta diventando multirazziale e
    policulturale. Non è preparata. A noi tocca educare al pluralismo religioso,
    etnico, politico e culturale", in Corriere della Sera, 13 agosto 1992),
    dalle aperte istigazioni repressive (il deputato repubblicano Enrico
    Modigliani, il vero padre della Legge Mancino) e dalle alate pressioni
    pro-"libertà di religione" (Claudio Morpurgo) al sostegno all'erezione di
    moschee (la Zevi e il caporabbino Elio Toaff) - l'invasionismo anche di
    gruppi virtualmente o realmente antiebraici-"antisemiti" come quelli
    islamici... ed è proprio per questo che l'ebraismo ufficiale, ed anzi
    l'intero ebraismo, tace o minimizza gravi e ripetuti episodi che, come
    nell'ottobre 2000 per reazione alla spietata repressione della seconda
    intifada, vedono in pochi giorni gruppi musulmani assalire a colpi di
    molotov e attentati incendiari le sinagoghe di Trappes, Bondy e Noisy-Ie-Sec
    alla periferia di Parigi, di Seyne-sur Mer nei pressi di Tolosa, di Rouen,
    Lilla, Tolosa, Lione e Strasburgo, più un'altra decina nelle settimane
    seguenti (all'opposto, bastano una barzelletta antiebraica o uno sfregio a
    vernice compiuto da una qualche "testa rasata" incosciente o prezzolata per
    scatenare contro il "rinascente nazismo" la canea dell'"indignazione
    democratica".

    Nulla di diverso aveva previsto nel lontano 1941 il tedesco Walter
    Grundmann: "L'ebraismo non vuole uno Stato conchiuso in una visione del
    mondo, non vuole un popolo unito in un credo [Das Judentum will keinen
    weltanschaulichen geschlossenen Staat, will kein glaubensmássig geeintes
    Volk], poiché solo la frammentazione e la decomposizione gli danno la
    possibilità di imporsi sfruttando il disaccordo".


    E gli stessi concetti hanno espresso, seppure con altre parole e differenti
    angolazioni, sia il fascista Bardèche: "La supremazia del mercante scompare
    quando entra in scena la sovranità nazionale", sia, dibattendo in favore
    della moralità del "libero" commercio, il filo-ebraico Paul Johnson: "Solo
    un impegno risoluto impedirà che nel prossimo secolo nascano un mucchio di
    fortezze mercantilistiche [leggi, recte: aree geopolitiche protezionistiche
    e autocentrate]".


    Ed ancora Ronald Reagan nel febbraio 1987, conferendo al boss
    dell'AntiDefamation League del B'nai B'rith Nathan Perlmutter la
    Presidential Medal of Freedom: "Voi avete fatto più di molti altri per
    rafforzare la tradizione americana dei diritti individuali [... ] il destino
    degli ebrei è indissolubilmente legato al destino della democrazia", e come
    Reagan il sinistro Francesco "Bifo" Berardi: "In questo senso l'ebreo è il
    rappresentante di un carattere essenziale all'uomo moderno: la
    deterritorializzazione, la disidentità, lo sradicamento. Perciò la
    demonizzazione dell'ebreo è tutt'uno con la ripulsa di un carattere profondo
    della condizione moderna, il carattere della non territoriabilità, del
    nomadismo e cosmopolitismo che sono segno vitale dell'inquietudine della
    modernità in quanto figura dell'erranza, l'ebreo rappresenta l'estraneità
    alle tradizioni culturali stabilite, all'appartenenza territoriale, alle
    identità nazionali".


    Ed ancora Piero Sella, rilevando con echi dell'analisi psicologica
    weiningeriana la fisiologica concordanza tra ebrei e posizioni
    antinazionali/antifasciste: "Condizionato dalla sua mentalità analitica,
    ipercritica, dal suo soggettivismo che gli preclude ogni costruttività,
    l'ebreo rifiuta la compattezza del fascismo. Quintessenza del minoritario,
    l'ebreo rifugge da ogni concezione totalitaria [altrui, beninteso!],
    comprendendo di trovarsi, in tale visione di vita, del tutto spiazzato. Una
    linea politica nazionale, unitaria, non gli offre alcun varco. E' quindi
    tipico che egli eserciti la sua influenza in ambienti politici che, per
    qualche sfumatura tra loro distinti, siano però tutti accomunati da scelte
    di fondo demo-intemazionaliste, compatibili quindi con quelle del sionismo.
    E' un approccio alla politica, questo, che gli consente di raccogliere
    consensi all'estemo della propria ristretta cerchia e di costruirsi, con
    forze altrui, quell'esercito che, in modo autonomo, per questione di numero,
    gli è impossibile mettere in campo. Gli ebrei costituiscono di fatto il
    telaio intellettuale ed organizzativo di tutti i raggruppamenti
    antifascisti, da quelli della sinistra a quelli più moderati della destra
    liberalcapitalista".


    Del resto, prima di Grundmann, Bardèche, Johnson, Reagan, Berardi e Sella la

    tesi era stata formulata dal sionista radicale Jakob Klatzkin nel 1921 in
    Krisis und Entscheidung im Judentum, "Crisi e decisione nell'ebraismo" (nato
    da uno straordinario saggio sull'essenza del giudaismo apparso sul mensile
    Der Jude n.9, 1916): "L'America si trova ancora nel mezzo del suo farsi
    nazione, ancora non esiste un americanismo. Quando il suo miscuglio di
    popoli uscirà dal crogiolo come unità ed assumerà la fisionomia di nazione,
    non potremo più tenere nelle nostre mani la nostra colonia d'oltreoceano
    [werden wir auch unsere uberseeische Kolonie nicht behaupten kónnen]. Noi
    possiamo vivere come nazione solo fra quei popoli che non hanno ancora
    raggiunto la loro maturità nazionale". (31)

    Quando essa fosse raggiunta, suggerisce il Supremo Nazihunter Szymon
    Wizenthal in "Giustizia, non vendetta", nascondendosi dietro il dito della
    necessità di punire l' "aizzamento all'odio di razza", va comunque
    distrutta: "La componente più importante di questo incitamento è ancora oggi
    la xenofobia: dovunque compaiano - in Inghilterra, in Francia, in Austria o
    negli Stati Uniti i neofascisti invitano la maggioranza a difendersi
    dall"'invasione straniera". Dall'invasione degli immigrati di colore dalle
    colonie britanniche, dall'invasione degli immigrati di colore dalle ex
    colonie francesi, dall'invasione dei Gastarbeiter jugoslavi o turchi,
    dall'invasione dei messicani o dei portoricani. Gli ebrei in questi opuscoli
    non sono menzionati per primi, è vero, ma duemila anni di storia dimostrano
    che sono sempre loro i primi a essere colpiti".


    Last but not least, a sostenere l'indispensabilità, per le fortune del pesce
    ebraico, del mare inquinato dell'incoscienza multirazziale, (32) è la Calabi
    Zevi, che invoca nel maggio 1993, al Congresso Mondiale Ebraico in
    Gerusalemme, l'integrazione europea contro "il risorgere dei nazionalismi
    fanatici rinfocolati dallo spettro delle guerre di religione" (integrazione
    beninteso economicofinanziaria e a prescindere dalle radici
    spirituali-razziali del continente).


    Dopo avere plaudito per settant'anni al criminale assemblamento sudslavo
    compiuto a Versailles, l'ebraismo, non pago dei milioni di morti provocati
    dall'utopia modernista, insiste per bocca zeviana a propagare il veleno del
    multietnicismo: "Ho cercato di mettere in guardia contro le nuove ideologie
    dello Stato omogeneo. Noi ebrei fungiamo in questo caso da cartina di
    tornasole, fu così durante gli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale
    [... ] Mi sembra ingiusto che si sia accettato il principio del sezionamento
    del paese su criteri etnici. Non credo sia difficile capire perché una
    minoranza come quella ebraica rimpianga lo stato federale. Ecco perché
    occorre insistere subito sull'unità europea quale unica garanzia per il
    pluralismo e la difesa delle minoranze".


    A convalidare la nobiltà di tali tesi, nel medesimo giorno gli israeliani
    innaffiano di piombo le folle palestinesi nei Territori Occupati
    assassinando cinque persone, tre delle quali durante un funerale, e
    ferendone decine.




    (31) Dell'articolo su Der Jtíde ci ragguaglia in primo luogo Ernst Seeger in
    Der Krieg der unsichtbaren Fronten - Vom Kriegsrecht der Juden, "La guerra
    dei fronti invisibili - Sul diritto bellico ebraico", edito in proprio a
    Túbingen nel 1933. In esso Klatzkin riconosce che gli ebrei sono, prima che
    una comunità religiosa, una comunità giuridico-economica dotata di specifici
    codici di comportamento, poiché il giudaismo, prima che una religione, è una
    Costituzione statuale che, pur formalmente accettandoli ed anzi subendoli,
    rigetta gli ordinamenti e le Costituzioni degli altri Stati: "Il segreto
    della nostra durata nel galut va cercato nella nostra religione. Essa è la
    forza che ci separò dai popoli e ci mantenne uniti nella diaspora. Le mura
    esteriori dei ghetto alzate dai nostri nemici non avrebbero potuto adempiere
    a tale compito. Invece le mura interiori, che abbiamo fondato con la nostra
    religione, portato con noi nelle peregrinazioni e sempre rafforzato quando
    ci fermavamo in nuovi centri, queste mobili "tende di Giacobbe" sono ciò che
    ci hanno ovunque assicurato una patria. Il giudaismo è ricco di recinzioni
    che delimitano il nostro essere contro il mondo che ci circonda e
    allontanano ogni cosa straniera. Il giudaismo è ricco di forme che ci
    uniscono e contrassegnano nella sostanza e nella forma. Diversamente dalle
    altre religioni, la nostra non è una dottrina concettuale, ma una dottrina
    giuridica. Nelle nostre leggi opera il diritto all'autodeterminazione.
    Abbiamo perso il nostro Stato ma non la costituzione dei nostro Stato; la
    salvammo in quanto Stato da portare con noi, ed essa ci rese possibile
    un'autonomia nazionale anche nella diaspora". Ed ancora: "Certo, molte leggi
    persero valore dopo la perdita del nostro Stato, ma in complesso la nostra
    Costituzione spirituale restò sempre in vigore; venne ampliata, completata e
    perfezionata da più puntuali decisioni. Solo il codice giudaico rese e
    conformò la nostra vita in ogni espressione. Solo la giurisprudenza giudaica
    fu determinante. Mai ci siamo appellati alla giurisprudenza dei goyim, mai
    ne abbiamo riconosciuto i codici. Quando ci hanno costretto alle loro leggi,
    le abbiamo considerate imposizioni gravi e maligne, che sempre ci si è
    adoperati a rimuovere o aggirare. Esse hanno mantenuto il carattere di
    "gserot [sciagura, violenza] di un empio dominio" anche quando siamo stati
    costretti ad accettarle con la formula "la legge del paese è la legge" [dina
    de-malkuta dina, cioè: vale il diritto dello Stato"]. Perciò il delatore
    (mossar), cioè un ebreo che aveva denunziato al potere un confratello, fu
    sempre condannato a rifondere il danno o a scontare altra pena ed espulso
    dalla Comunità. I nostri esilarchi, gaonim e rabbanim non erano sacerdoti e
    curatori di anime... come piace definirsi, seguendo la spiritualità
    cristiana, ai moderni rabbini occidentali che riducono il giudaismo a
    Chiesa; erano invece capi e amministratori della Comunità; erano giudici,
    dajanim; erano le massime autorità del nostro Stato in esilio [... ] Quindi
    il dominio straniero non ha potuto sottrarci la nostra autoamministrazione,
    finché siamo rimasti sotto lo scudo delle nostre leggi e dei nostri
    giuristi. Non siamo stati una comunità di fede, ma una conchiusa comunità
    giuridica ed economica . Non tanto una professione di fede, quanto un codice
    di comportamento fu la struttura portante del nostro popolo. Non la dottrina
    religiosa ed etica del giudaismo, quanto le concrete forme della
    Costituzione del nostro Stato ci separarono da tutte le nazioni ove ponemmo
    le tende. Non riposammo nei giomi di riposo del popolo che ci ospitava, né
    festeggiammo nei suoi giorni festivi, non partecipammo delle sue gioie e dei
    suoi dolori, non ci demmo cura del benessere di uno Stato che ci era
    estraneo. Un possente muro, da noi stessi eretto, ci separò dal popolo che
    ci ospitava, e dietro il muro visse uno Stato ebraico in miniatura [... ]
    Così abbiamo chiamato "Terra di Israele" la nostra residenza in Babilonia. E
    rav Huna potè dire: "In Babilonia ci consideriamo come in Terrasanta. Anche
    in ogni altra terra ove poi ci stabilimmo, il ghetto - che aveva fondamento
    e ragione nella nostra costituzione giuridica e non nei malvagi propositi
    dei nostri nemici - fu uno Stato nello Stato" ". Commenta al proposito l'
    "antisemita" Ernst Seeger: "Se l'ebraismo non volle dissolversi, se non
    volle "assimilarsi", dovette, lottando per il proprio essere e la propria
    sopravvivenza - lotta nata da un particolare rapporto amico-nemico con gli
    altri popoli fare esperienze e da tali esperienze formarsi regole di vita.
    Tale ufficio lo compì il rabbinismo, ponendo nella Bibbia e nel Talmud le
    esperienze della lotta per l'essere e la sopravvivenza della comunità
    religiosa giudaica. Ciò che per il contadino sono la tradizione e gli
    insegnamenti contadini, per l'ebreo la tradizione della Torah e del Talmud.
    Come il contadino perderebbe la propria contadinità abbandonando la
    tradizione contadina, così l'ebreo perderebbe la propria ebraicità
    abbandonando la tradizione talmudica. Rinnegare la tradizione talmudica, se
    fosse peraltro possibile, equivarrebbe per l'ebreo a perdere se stesso. Se
    vogliamo penetrare lo spirito della legislazione ebraica nella Torah e nel
    Talmud, dobbiamo cercare di penetrare il significato della lotta rabbinica
    per il popolo ebraico. Il significato di questa lotta è: "Preservazione del
    popolo ebraico ad ogni costo" ".

    (32)Benjamin Ginsberg,docente di storia alla Georgetown University ,nota
    comunque ben finemente per chi abbia orecchie,che il "liberalismo ebraico è
    più un fenomeno istituzionale che attitudinale. Lo schierarsi politico degli
    ebrei si basa su una scommessa istituzionale a lungo termine,più che su
    confacenti atteggiamenti e opinioni altrui"

  10. #10
    Orazio Coclite
    Ospite

    Predefinito

    ll vero autore della legge
    Mancino - capitolo nove


    A dimostrare la centralità del Paradigma Olocaustico nell'immaginario
    contemporaneo, è anche, intrecciata con la lotta al revisionismo storico, la
    crociata condotta dal Sistema contro il "razzismo" .

    Tra i percorsi legislativi più emblematici quanto alla duplice repressione
    del pensiero, è quello francese. Invero, se già il Palazzo di Vetro ha
    imposto agli Stati di recepire, dopo il delirio dei Sacrosanti Human Rights,
    la repressione mondialista incarnata dalla "Convenzione Internazionale
    sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale" (aperta
    alla firma a New York il 7 marzo 1966 e recepita in Italia dalla legge 13
    ottobre 1975 n.654) e se già l'antesignano Israele ha posto il veto ad ogni
    olodubbio il 16 luglio 1986, il primo tra i paesi del Libero Occidente a
    introdurre nella propria legislazione il crimine di revisionismo storico è
    la Francia. (34)


    A chiarirci le cose nel modo più limpido è infatti il presidente socialista
    François Mitterrand, firmatario della legge 90-615 - alias "Fabius-Gayssot"
    o anche solo "Gayssot", eponimizzata dai cognomi dell'ebreo socialista
    Laurent Fabius e del goy comunista Claude Gayssot - il 13 luglio 1990,
    vigilia della 201esima ricorrenza della Gloriosa Bastigliese, coi ministri
    Rocard, Dumas, Arpaillange, Chevènement, Tasca, Pierre Joxe e Jack Lang (i
    due ultimi, anch'essi ebrei). La legge liberticida, progettata fin dal 2
    giugno 1986 sulla falsariga della legge Pleven del primo luglio 1972 (a sua
    volta impostata sul Decreto Marchandeau del 24 giugno 1939), riceve inatteso
    vigore dalla Isteria Democratica e dalla Mobilitazione Generale scatenate
    dopo che, nella notte tra il 10 e l'11 maggio, era stato opportunamente
    profanato da ignoti/immondi "nazisti" il cimitero ebraico di Carpentras, in
    Provenza.


    Ideata sotto l'egida del Gran Rabbino René-Samuel Sirat da una cricca
    formata dal mulatto Harlem Désir, dal bianco Jean-Pierre Azéma e
    dall'ebraico quintetto composto da Hélène Ahrweiler, François Bédarida,
    Serge Klarsfeld, Pierre Vidal-Naquet e George Wellers, la 90-615, pur
    respinta due volte dal Senato, viene approvata dall'Assemblea in seduta
    notturna il 29-30 giugno da 308 socialcomunisti, di cui 305 assenti (ma con
    delega conferita ai tre presenti), contro 265 oppositori, di cui 263
    assenti. I due unici oppositori presenti sono il deputato liberalgollista
    Louis de Brossia e la rappresentante del Front National Marie-France
    Stirbois (unico deputato del FN in virtù del sistema elettorale
    maggioritario, malgrado il partito di Le Pen abbia raccolto il 13% dei
    suffragi).


    Senza pudore, l'art.9 suona: "Saranno puniti delle pene previste [... ]
    coloro che avranno contestato, attraverso uno dei mezzi enunciati
    all'art.23, l'esistenza di uno o più crimini contro l'umanità, come sono
    definiti dall'art.6 dello statuto del Tribunale Militare Internazionale
    annesso all'Accordo di Londra dell'8 agosto 1945 e che sono stati commessi
    sia dai membri di una organizzazione dichiarata criminale in applicazione
    dell'art.9 del detto statuto, sia da una persona riconosciuta colpevole di
    tali crimini da un tribunale francese o internazionale".


    Ancora non soddisfatti della repressione del pensiero ottenuta con
    l'Oscenità Fabiusiana, a partire dal dicembre 1992 gli ebrei Charles Korman
    (avvocato della LICRA) e Patrick Gaubert (incaricato dal ministro
    dell'Interno Charles Pasqua della "lotta contro il razzismo e
    l'antisemitismo") (35) vanno elaborando dispositivi legali ancora più duri e
    restrittivi, che per il "crimine" di revisionismo non prevedono più pene da
    un misero mese ad un anno di carcere, misere multe da 2000 a 300.000 franchi
    e sanzioni a favore di associazioni "antirazziste", ma le elevano a due anni
    di carcere e mezzo milione di franchi, oltre a più dure sanzioni suppletive;
    per il 1995, "anno europeo dell'armonia tra i popoli" - il delirio è del
    "belga" Arieh Doobov in The Jerusalem Report del 20 maggio 1993 - è previsto
    il varo di un duplice piano contro l'"intolleranza razziale" e il
    revisionismo storico da parte dell'Europarlamento.


    Nella primavera 1993 anche in Italia, prendendo a pretesto l'esistenza dei
    cosiddetti naziskin - superior stabat lupus, già ammoni' Fedro - e le
    atrocità della lotta interetnica nell'ex Jugoslavia, sulla scia delle leggi
    anti-revisioniste che imperversano in Europa e sull'onda emotiva di fatti
    montati quali l'"aggressione neonazista" a suon di benzina e sfregi
    denunciata il 15 aprile dal cingalese Mohideen Nowfer (tosto precipitata nel
    dimenticatoio da ogni demo-maitre-à penser dopo la scoperta che lo
    "squilibrato" le lesioni se le era auto-inferte per attirare commiserazione
    dai benpensanti), il Regime di Occupazione Democratica approva un
    decreto-bavaglio. Immerso nella melma della corruzione, timoroso delle
    crescenti reazioni popolari contro un'immigrazione insensata e criminale,
    col pretesto di punire il "vilipendio", l' "incitamento all'odio razziale" e
    la violenza "di stampo razzista" il governo del socialista Amato pone, in
    extremis prima delle ingloriose dimissioni, le basi per punire col carcere
    fino a sei anni ogni indagine storica "non conforme", in particolare ogni
    critica al Popolo Santo.


    Il terroristico decreto n.122 del 26 aprile 1993, convertito il 25 giugno
    nella terroristica legge n.205 "Misure urgenti in materia di discriminazione
    razziale, etnica e religiosa", formalmente nato nel cocuzzolo del
    sessantottin-socialista Claudio Martelli, conferisce infatti dal 27 aprile
    1993, giorno di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.97, poteri di
    repressione discrezionale pressoché illimitati non solo ai magistrati, ma
    anche direttamente agli organi di polizia. Ciò in virtù della
    criminalizzazione del pensiero, dell'evanescenza del vocabolo
    "discriminazione" (vedi la critica dell'ebreo Pierre-André Taguieff,
    scettico sulla possibilità di trovare al termine un nucleo semantico che lo
    definisca inequivocamente in riferimento alle infinite situazioni percepite
    come "discriminatorie") e dell'assoluta vaghezza precettizia. Con tale
    pronuncia legislativa il vero problema è rappresentato dall'arbitrio riposto
    nelle mani di un qualsiasi procuratore della repubblica e di un qualsiasi
    funzionario di polizia che vogliano perseguire semplici esposizioni di idee
    contrarie alle loro (compresa, ad esempio, come afferma nel settembre 2001
    il già detto ministro leghista Roberto Maroni, la necessità di adottare una
    corsia immigratoria "preferenziale" per i figli e i nipoti degli italiani un
    tempo emigrati), affermando che le stesse sarebbero fondate sulla
    "superiorità", sull'"odio" o sulla "discriminazione" razziale.
    Criminalizzando, cioè, espressioni di pensiero fondate sul ragionamento,
    sullo studio e sull'approfondimento storico.


    Le supreme finalità del democratico abominio vengono esplicitate
    nell'anniversario della Liberazione Antifascista dal ministro democristiano
    di Polizia Nicola Mancino (guidato nel percorso non tanto dal Martelli,
    quanto dal caporabbino di Roma Elio Toaff e dal deputato repubblicano Enrico
    Modigliani, ebreo, il vero artefice della legge). Nessuno osi alzarsi contro
    il Bene del Mondialismo e le Bellezze del Multirazzialismo: l'Europa e
    l'Italia devono svolgere il ruolo di province dell'Impero, trangugiare
    anch'esse, volenti o nolenti giusta il monito di James Paul Warburg, il
    boccone mortale.


    Il 25 aprile 1993 concorda quindi Mancino (otto mesi dopo inquisito coi
    tirapiedi del servizio segreto SISDE per una torbida vicenda di sottrazione
    di fondi statali, poi defilatosi per un triennio, assurto dal maggio 1996 al
    maggio 2001 a seconda carica dello Stato quale presidente del Senato con il
    democristosinistro Romano Prodi, il neocomunista Massimo D'Alema e
    nuovamente il mondialista ex-socialista Giuliano Amato, infine addirittura
    favorito nella gara a Inquilino del Quirinale nell'aprile 1999): "Siamo
    ormai una società che deve guardare alla sovrannazionalità e alla
    multirazzialità". Rimobilitato per rinverdire l'Immaginario Partigiano,
    ribadirà il concetto, incitando al liberticidio, il 25 aprile 2000: "Al
    razzismo riaffiorante si unisce un revisionismo che non ha alcun diritto di
    cittadinanza storica e culturale. Guai se noi italiani esorcizzassimo, in
    nome di una presunta bonomia, i fantasmi che agitano le nostre città. Guai
    se tollerassimo come semplici ragazzate lo sventolio di simboli di morte"
    (corsivo nostro).


    In parallelo Tullia Calabi Zevi, testé fatta decima "donna coraggio"
    dall'Associazione Nazionale Donne Elettrici di Brescia (il 31 marzo, "nel
    salone varivitelliano di Palazzo della Loggia, alla presenza del prefetto
    Antonio di Giovine, del sindaco Paolo Corsini, di Flavia della Gherardesca,
    presidente nazionale dell'ANDE e di Beatrice Rangoni Macchiavelli,
    presidentessa del gruppo attività diverse dell'assemblea economica della
    Comunità Europea", giubila Shalom n.4/1993) e "Cavaliere di Gran Croce al
    Merito della Repubblica Italiana" dall'Inquilino del Quirinale Oscar Luigi
    Scalfaro su proposta del presidente del consiglio Amato, presidentessa
    dell'Unione delle ventuno Comunità Ebraiche italiane, rilascia benemerenze
    alla psico-polizia, bacchettando i credenti nel libero pensiero: "La
    decisione del ministro dell'Interno di chiudere le sedi dei gruppi naziskin
    è coerente con la determinazione da lui sempre espressa contro tutte le
    tendenze eversive. In democrazia è necessario vigilare contro tutti coloro
    che sono contrari ai suoi princìpi" (sic!, "sono" e "princìpi", non:
    "compiono atti" criminali, a meno certo che per la Zevi siano crimini anche
    il pensare e discutere).

    Già nella prolusione all'ANDE, del resto, la "donna coraggio" aveva unito al
    monito antirevisionista l'istigazione repressiva invasionista: "Un premio
    che cade in un momento particolare. Sono infatti trascorsi cinquant'anni
    dalla fine della guerra e dai campi di sterminio nazisti, e il passare del
    tempo comincia a sentirsi: il senso di colpa va attenuandosi, si iniziano a
    negare gli orrori e vanno profilandosi alcuni precisi segnali di pericolo
    per la convivenza civile; questi non vanno ingigantiti ma su di essi bisogna
    attentamente vigilare.E' infatti possibile arrivare all'accettazione del
    diverso solo mediante un lungo lavoro di educazione e conoscenza, per il
    quale e nel quale le donne possono avere un posto di primo piano".


    Pochi mesi più tardi l'argenteocrinita maestrina - ripetiamo, il 13 agosto
    1993 auto-candidata alla direzione pedagogico-pratica dei destini europei
    spargendo veleno dalle colonne del Corriere della Sera: "Da continente
    bianco e monoculturale l'Europa sta diventando multirazziale e
    policulturale. Non è preparata. A noi tocca educare al pluralismo religioso,
    etnico, politico e culturale" - reinfierisce contro la ricerca revisionista
    del vero, trincerandosi dietro la formula "se il mondo potesse essere
    convinto che Auschwitz non è esistita, una seconda Auschwitz sarebbe più
    facile" (fantasie certo, anche se nel 1938 il cassandrico padre antifascista
    "intuì che dietro l'adozione delle leggi razziali c'era il progetto di
    sterminio. Via dall'Italia, dunque, prima a Parigi, poi a New York. Tullia
    Zevi studiò, lavorò. Si guadagnò da vivere suonando l'arpa nelle orchestre
    di Frank Sinatra e Leonard Bernstein").


    Si risaldano quindi, e nel modo più chiaro, questione democratica, questione
    ebraica e questione mondialista.


    Ma tornando alla repressione mondialista della Mancino, è obbligo rilevare
    che, come sempre, l'illuminazione viene da God's Own Country . Prototipo di
    ogni liberticidio "antirazzista" - dalle leggi francesi Marchandeau 1939 e
    Pleven 1972 all'italiana Mancino 1993 - è infatti l'americano Rafferty Act.



    Varato l'8 aprile 1935 dal governatore Hoffmann del New Jersey, esso, rileva
    l' "antisemita" Robert Edward Edmondson, da un lato aveva praticamente
    abrogato l'art. 1 della Costituzione di quello stato, che garantisce ad ogni
    cittadino la libertà di espressione, e dall'altro, nonostante le enormi
    pressioni esercitate in sua difesa, era stato dichiarato incostituzionale
    dalla Corte Suprema del New Jersey il 5 dicembre 1941: "Qualunque persona o
    gruppo che diffonderà un discorso o dichiarazione, o deterrà allo scopo o
    con l'intento di distribuire, cedere, far circolare esponendo, o per radio,
    alla vista di un'altra persona, una dichiarazione, discorso, pronunciamento
    o cosa stampata o ciclostilata, o emblema, fotografia, vessillo o bandiera
    che, in qualunque modo, o in qualche sua parte, sia indirizzato a promuovere
    o promuova o inciti all'ostilità, all'odio o alla violenza contro un gruppo
    o contro persone residenti in questo stato - a cagione di razza, colore,
    religione o modalità di culto, sarà condannato per crimine e unito con una
    ammenda da 200 a 5000 dollari, o col carcere da 90 giorni a tre anni".
    Sull'onda dell'euforia nata dall'effimero varo del Raffer Act, il 9 gennaio
    1936 il senatore ebreo Jacob J. Schwartzwald di Brooklyn tenterà di
    introdurre nella legislazione dello stato di New York, coi Bill n.163, un
    duplicato ancora più liberticida.

    Il 24 giugno 1939 segue in Francia il Decreto Marchandeau. "La legge che
    vietava gli scritti e le iniziative razziste fu opera del Fratello
    Marchandeau", esulta il massone André Combes, ricordando che già nel 1870,
    all'epoca del contestato Decreto Crémieux che dava automatica cittadinanza
    agli ebrei d'Algeria, "la Massoneria francese era sempre stata un ambiente
    accogliente per gli ebrei .Le logge reagirono positivamente, rinunziarono a
    chiedere l'abrogazione del decreto, espulsero i pochi massoni antisemiti e
    fecero arretrare, così dissero, I ' "idra antiebraica" ". Felice di
    rivendicare ai confratelli la genesi della Marchandeau è anche Herbert
    Lottman: "[Già nel dicembre 1939] il Consistoire [l'organizzazione centrale
    degli ebrei francesi] si affrettò a creare un Gruppo israelita di
    coordinamento di aiuti e protezione. Furono lasciate cadere le precedenti
    remore contro le manifestazioni pubbliche e il Consistoire si dedicò a
    iniziative più incisive, oltre a esercitare pressioni sul governo (che
    furono una delle cause del veto, introdotto nell'aprile 1939,
    all'incitazione all'odio razziale)".


    Quanto alla Pleven, basata su: la Carta onusica del 1945, la Dichiarazione
    Universale dei Diritti dell'Uomo del 10 dicembre 1948, la Dichiarazione
    onusica del 20 novembre 1963 sulla "eliminazione di tutte le forme di
    discriminazione razziale" e la Convenzione internazionale del 21 dicembre
    1965 concernente lo stesso soggetto, essa, scrive Christian Lagrave, "ha
    segnato un grande progresso nell'asservimento del popolo francese ai suoi
    padroni occulti", ponendosi a simbolo, aggiunge Pierre Lassieur, della "fine
    della libertà di espressione".


    All'epoca la Pleven, varata dal destrorso governo Pompidou, passa
    praticamente inosservata, anche in virtù della sapiente scelta di un momento
    in cui la mente dei francesi è occupata nelle ferie estive (altro artifizio,
    come quello che approverà la Fabius-Gayssot, è quello di votare in seduta
    notturna, ove centinaia di deputati assenti delegano il voto a un pugno di
    colleghi presenti), non provocando dibattiti né proteste: "Coloro che
    avranno incitato alla discriminazione, all'odio o alla violenza nei
    confronti di una persona o di un gruppo di persone a motivo della loro
    origine o della loro appartenenza a una etnia, a una nazione, a una razza, a
    una religione determinata, saranno puniti con la reclusione da un mese a un
    anno e con un'ammenda da 2000 a 300.000 franchi. Saranno del pari puniti
    come correi in un'azione criminosa o delittuosa coloro che con discorsi,
    scritti o minacce proferite in luoghi o riunioni pubbliche, ovvero con
    pubblicazioni, disegni, incisioni, dipinti, emblemi, immagini o qualsiasi
    altro supporto della parola o dell'immagine messo in vendita, distribuito o
    esposto in luoghi o riunioni pubbliche, ovvere con insegne o manifesti
    esposti al pubblico, avranno incitato direttamente l'autore o gli autori a
    compiere le suddette azioni, se tale incitamento ha prodotto effetti" (art.
    I; corsivo nostro). Chiarissimi gli intenti, non solo "antirazzista" e
    pro-invasionista, ma anche antirevisionisti: ad esempio, avendo commentato
    che l'Olocausto si basa su un'odiosa menzogna e una gigantesca truffa
    perpetrata anche a fini di estorsione finanziaria, il 3 luglio 1981 il
    professor Robert Faurisson viene condannato, a norma di Pleven, per
    "diffamazione e incitamento all'odio e alla violenza razziale".


    Ancor più, proponendosi di sradicare quanto più completamente i "crimini"
    razzisti, il legislatore stima opportuno che la ricerca, la
    segnalazione-denuncia e la traduzione dei "criminali" davanti ai tribunali
    venga affidata a gruppi di delatori altamente "motivati":

    "Tutte le associazioni regolarmente registrate da almeno cinque anni alla
    data dei fatti, che si propongono per statuto di combattere il razzismo "o
    di assistere le vittime di una discriminazione basata sulla loro origine
    nazionale, etnica, razziale o religiosa", possono esercitare i diritti
    riconosciuti alla parte civile per quanto concerne le violazioni previste
    dagli articoli 24 (ultimo comma), 32 (comma 2) e 33 (comma 3) della presente
    legge" (art.48/1; è per tale ragione che infurieranno gruppi quali LDH,
    LICRA, MRAP e SOS-Racisme). Rilevi il lettore che le sole "scappatoie"
    leguleiche concesse dalla Pleven, peraltro acutamente eliminate dalle Tre M,
    sono costituite dall'aggettivo "determinata" (che nell'ottobre 1996 il
    progetto di riforma del gollista Jacques Toubon, ministro della Giustizia di
    Alain Juppé, cercherà di eliminare... tale aggravio della repressione sarà
    impedito solo dalla mancata rielezione di Toubon nel giugno 1997) e
    dall'inciso "se tale incitamento ha prodotto effetti".


    Quanto ai veri autori dell'Infamia italica, stupenda l'impudenza del
    Modigliani, presidente dell'apposito intergruppo parlamentare, in un
    colloquio interebraico riferito da Shalom n.2/1994: "Ho partecipato
    attivamente in Parlamento alla stesura della nuova legge sulle
    discriminazioni etniche, razziali o religiose. Posso anzi dire che la
    commissione che se ne è occupata ha recepito in gran parte le mie proposte
    [in particolare, per l'estensione della repressione alle "discriminazioni"
    compiute per "motivi religiosi", prima giuridicamente meno incriminabili in
    quanto basate, ancor più delle altre, sull'adesione a motivazioni di
    pensiero]. lo mi sono sentito particolarmente impegnato su questo tema in
    quanto ebreo, ma i parlamentari della commissione dal canto loro mi hanno
    riconosciuto una certa maggiore competenza, se non proprio diritto, a
    trattare l'argomento perché riconoscevano che in quanto ebreo, con alle
    spalle tutta la storia ebraica, avevo il dovere di testimoniare e di
    prevenire e perché dobbiamo vaccinare la società contro ogni discriminazione
    nei confronti di qualsiasi diverso. Questo dovere non può essere confuso con
    una autodifesa ebraica, in quanto oggi gli ebrei non corrono nel nostro
    paese proprio alcun rischio, ma riguarda il nostro rapporto con gli
    immigrati del terzo e quarto mondo" (corsivo nostro).


    Singolarmente, come l'opera del Modigliani diviene universalmente nota come
    "la Mancino" - dal cognome del democristiano ministro dell'Interno, poi
    assurto a presidente del Senato, cioè a seconda carica dello Stato (il terzo
    autore dell'infamia è il socialista Claudio Martelli, ministro di Grazia e
    Giustizia, che porta in dote alla legge la terza M) - così la legge francese
    antirevisionista Fabius-Gayssot, varata dall'Assemblea Nazionale il 13
    luglio 1990, vigilia della ricorrenza della Gloriosa, ed opera dell'ebreo
    Laurent Fabius e del goy comunista Claude Gayssot, diviene "la Gayssot",
    concedendo i due classici piccioni con una fava: sollucchero per i goyim,
    passati all'eponima Storia e all'eletta Riconoscenza, soddisfazione per gli
    ebrei, defilatisi, a risultato comunque ottenuto, dalla responsabilità degli
    osceni provvedimenti.


    Il 23 marzo 1995 il combattivo sacerdote tradizionalista don Curzio Nitoglia
    diffonde da Verrua Savoia un comunicato, non ripreso da nessun organo della
    Libera Stampa Democratica: "L'Istituto Mater Boni Consilii e la sua rivista
    Sodalitium, assieme a vari avvocati, magistrati e cattedratici, sta formando
    un comitato per chiedere l'incostituzionalità della "Legge Mancino", in base
    anche alla lettera dell'allora Ministro degli Interni, che alleghiamo, e ad
    una intervista dello stesso onorevole Mancino al quotidiano l'unità (25
    novembre 1992), nella quale affermava: "Siamo in Italia, la situazione non è
    esplosiva, e dunque preferirei un disegno di legge. Sono però sollecitato a
    scegliere il Decreto Legge". "Sollecitato"! Da chi? E anche questo che
    occorrerà appurare, mettendo in relazione l'intervista del 25 novembre 1992
    con la lettera del 20 giugno 1993". Poiché il lettore già sa da Chi il
    Nostro fu "sollecitato" (e di quali "Paesi" egli parli), ci limitiamo a
    riportare la lettera di don Nitoglia a Mancino del primo giugno 1993 e la
    risposta del Nostro del 20 giugno successivo:

    "Onorevole Ministro, sono un sacerdote cattolico ed ho letto sul mensile
    ebraico Shalom (30 aprile 1993) un articolo sull'intervista che Lei ha
    rilasciato a Paolo Guzzanti de La Stampa ( 14 aprile 1993). In tale articolo
    Shalom scrive: "Anche se Mancino non ha pronunciato la parola ebrei né
    Israele, la descrizione della congiura giudaico-massonica non poteva essere
    più chiara e palese" (pag.3). Nella lettera che Lei ha inviato alla signora
    Zevi il 22 aprile 1993 (e riportata da Shalom) Lei scrive: "Mi sono limitato
    a parlare di reazioni della Massoneria ...........alla politica
    filo-araba..............dell'onorevole Andreotti. Personalmente.............
    non trovo alcuna identità tra Massoneria e finanza internazionale e mondo
    ebraico; non vedo perciò la ragione della sua reazione" (Shalom, pag.3). Mi
    perdono se oso scriverle per suggerirle che mi sembra lecito rispondere alla
    signora Zevi - con pacatezza ed obiettività - che grandi autorità
    israelitiche e massoniche hanno scritto esplicitamente del rapporto che
    esiste tra Massoneria e mondo israelitico. Per esempio l'ex rabbino di
    Livorno Elia Benamozegh ha scritto: "La teologia massonica corrisponde
    abbastanza bene a quella della Càbala" (Israele e l'umanità, Marietti,
    Torino, 1990, pag.49). Bernard Lazare, noto scrittore israelita, ha scritto:
    "E' certo che vi furono degli ebrei alla culla della Massoneria
    ....................... degli ebrei cabalisti" (L'antisémitisme, Documents et
    témoignages, Vienne, 1969, pag. 167). L' ebreo convertito al cattolicesimo
    Joseph Lémann ha scritto: "E' incontestabile che vi sia nel giudaismo
    predisposizione alla Massoneria" (L'entrée des Israelites dans la société
    francaise, Avalon, Paris, 1886 [1987], pag. 234). Potrei continuare a lungo
    con tali citazioni, ma non voglio rubare il Suo tempo prezioso. Forse Lei ha
    messo il dito nella piaga, ecco la "ragione della reazione" della signora
    Zevi e della rivista Shalom, che si esprime in tali termini riguardo alla
    Sua persona: "Uomini politici in preda ad una sindrome dissociativa, visto
    che lo stesso ministro Mancino varava con procedura d'urgenza la legge
    contro i Naziskin" (Shalom, pag.1). Tale modo di esprimersi non mi sembra
    corretto, specialmente nei confronti di un Ministro. Prego per Lei che il
    Signore le dia luce e forza per vedere chiaro in queste vicende che tanto
    danno stanno arrecando alla nostra cara Italia, culla del Papato e della
    Fede Cattolica, sorgenti di ogni bene per il mondo intero. In Jesu et
    Maria".

    risposta

    "Gentile don Curzio, trovo molto coerenti con il mio pensiero le opinioni da
    Lei manifestatemi con lettera dell'1 giugno a proposito della polemica
    ShalomZevi ed anche altri nei miei confronti. Le buone relazioni tra Paesi
    suggeriscono prudenza anche a un ministro che nel merito aveva ragione.
    Grazie per le belle parole di solidarietà che ha voluto indirizzarmi. Con
    molti cordiali saluti".

    Quattro anni dopo, a fine novembre 1999, il presidente dell'Unione delle
    Comunità Ebraiche italiane Amos Luzzatto, mosso dall'affaire romano che vede
    una bomba-carta esplodere accanto al Museo della Liberazione e un secondo
    ordigno "antisionista" rinvenuto presso il cinema Nuovo Olimpia a "protesta"
    contro Un specialiste - Portrait d' un criminel moderne ("Uno specialista -
    Ritratto di un criminale modemo" dell'israeliano Eyal Siven, olodocumentario
    selezionato dalle 350 ore di riprese al kidnappingato Adolf Eichmann),
    incita, tra una istintiva canea politica-giornalistica e ovviamente per
    contrastare il "razzismo", a "intensificare gli interventi nelle scuole,
    organizzare incontri, assemblee, sviluppare gli scambi culturali e rivedere
    la legge Mancino [in senso più repressivo]. Ma quest'ultimo è mestiere dei
    nostri parlamentari" (corsivo nostro). In parallelo, ineffabile
    nell'improntitudine, quanto a "Uno specialista", all'olo-"memorialistica"
    orale spielberghiana The Last Days, "Gli ultimi giorni", 1999 e alla fiction
    antineonazi American History X, id., di Tony Kaye, 1999, il commento di Ciak
    gennaio 2000: "Questo proliferare di film legati direttamente o
    indirettamente all'Olocausto non è casuale, ma nasce da un identico senso di
    malessere e da un cinema sano e socialmente utile: la necessità di
    salvaguardare la memoria storica, di opporsi a un pericoloso revisionismo,
    l'urgenza di fare i conti con i fantasmi dell'intolleranza e del nazismo che
    tornano a manifestarsi nel nostro mondo".


    114

    113


    112

    (34) Specifiche leggi antirevisioniste varano l'Austria il 26 febbraio e 19
    marzo 1992, la Germania il 28 ottobre 1994 ampliando l'art.130 del Codice
    Penale (complessivamente, gli articoli dello STGB Strafgesetzbuch rivolti a
    reprimere il "delitto di opinione" sono i nn.84, 85, 86, 86a, 90, 90a, 103,
    104, 130, 131, 166, 185, 186, 187, 188 e 189), la Svizzera il I' gennaio
    1995, il Belgio il 23 marzo 1995 (all'obliqua legge del 30 luglio 1981
    "tendant à réprimer certains actes inspirés par le racisme et la xènophobie"
    segue la più specifica legge "tendant à réprimer la négation, la
    minimisanon, la justijication ou l'approbation du génocide commi par le
    regime national-socialiste allemand pendant la seconde guerre mondiale", che
    per tale "crimine" infligge da otto giorni ad un anno di carcere), la Spagna
    l'l 1 luglio 1995, il Lussemburgo il 19 luglio 1997 (rifacimento
    dell'art.457/3 del Codice Penale, che colpisce col carcere da otto giorni a
    sei mesi o con ammenda da 10.000 a un milione di franchi "chi contesta,
    minimizza, giustifica o nega l'esistenza di uno o più crimini contro
    l'umanità o crimini di guerra, come definiti nell'art.6 dello statuto del
    Tribunale Militare Internazionale [... ] e compiuti da un membro di
    un'organizzazione dichiarata criminale dall'art.9 dei detto statuto o da
    altro individuo, dichiarato colpevole di un tale delitto da un tribunale
    lussemburghese, straniero o internazionale") e la Polonia nel gennaio 1999.
    In Canada e in Australia reprimono il pensiero, più subdole, le Human Rights
    Commissions, dotate di poteri quasi-tribunalizi. In Inghilterra, Italia (a
    parte un tentativo, abortito, di varare una legge-museruola da parte del
    primo governo berlusconico nell'autunno 1994), Cechia, Svezia ed Olanda un
    residuo pudore vieta, per ora, formule di tale brutalità. Anche se alla
    bisogna intervengono, disinvoltamente riesumate, norme
    "antifascio-razziste", "antisobillazione" o "antidiscriminazione": in
    Albione il Publie Order Act del 1986, nella Penisola la Legge delle Tre M, a
    Praga gli articoli 198a e 260 del Codice Penale, a Stoccolma l'art.8 del XVI
    capitolo del Codice Penale, in Tulipania l'art. 429/4 del Codice Penale.


    35) Patrick Gaubert, dentista, nato nel 1948 a Parigi XVI da Ancial
    Goldenberg di Craiova /Romania, è marito di Eliane Frenkel, ereditiera,
    immobiliarista e amministratrice degli Etablissements Frenkel, casa di
    produzione e vendita di tessuti e indumenti, il cui padre Harry è primario
    importatore "francese" di jeans. Ispiratore del ministro dell'Interno
    balladuriano Charles Pasqua in quanto "chargé de mission pour la lutte
    contro le racisme et l'antisémitisme", l'ex-Goldenberg, è membro d'onore del
    Mossad e boss della LICRA, della quale nel 1999 diviene presidente
    subentrando a Pierre Aidenbaum. Presidente del gruppo DAVID Décider et agir
    avec vigilance pour Israél et la Diaspora, è tra i più feroci militanti
    sionisti, antirevisionisti e invasionisti.

 

 
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