QUATTRO ANNI DI GUERRA E DI PROMESSE VANE
6 Agosto 2002
Le precisazioni dell'agenzia MISNA sull'intesa firmata la scorsa settimana, presentata dai media come un vero accordo di pace
QUATTRO ANNI DI GUERRA E DI PROMESSE VANE, TRA SILENZI E CATTIVA INFORMAZIONE
E' un senso di doloroso sconcerto quello che sentiamo crescere di fronte a certi spettacoli offerti dal mondo dei media. Il velo di silenzio che la stampa occidentale ha steso da tempo sul conflitto congolese viene saltuariamente squarciato soltanto per fare disinformazione o, nella migliore delle ipotesi, informazione colpevolmente superficiale. E' avvenuto ad esempio la scorsa settimana quando, a seguito della firma a Pretoria del "protocollo d'intesa" fra il governo della Repubblica democratica del Congo e quello del Rwanda, in tanti si sono affrettati a sbandierare un presunto "scoppio" della pace nella regione.
Alla vigilia del quarto anniversario dell'inizio della guerra, caduto il 2 agosto scorso, si è voluta così archiviare la pratica senza preoccuparsi di verificare, al di là delle parole, quale sia la situazione sul campo. E d'altra parte, anche da un punto di vista strettamente formale, quello sottoscritto da Joseph Kabila e Paul Kagame non è in alcun modo assimilabile a un accordo di pace. Si tratta assai più semplicemente di una intesa destinata sulla carta a regolare una questione specifica (il destino dei cosiddetti ribelli interahamwe e degli ex soldati delle Far, le forze armate ruandesi all'epoca del defunto presidente Juvenal Habyarimana) e la cui reale portata resta ancora tutta da valutare. I fatti, viceversa, stanno purtroppo a dimostrare che non ci sono proprio le condizioni per affermare che la pace sia arrivata o sia alle porte in questo tormentato Paese.
Il protocollo di Pretoria non affronta le questioni chiave di un conflitto che ha già causato la morte di almeno un milione e mezzo di persone (secondo alcune stime oltre due milioni). Per offrire un'idea delle immani proporzioni del massacro può essere utile ricordare che il numero delle vittime è simile a quello fatto registrare dalla guerra in Sud Sudan, ma in un arco di tempo nettamente inferiore. Dal 1998 ad oggi si sono susseguite conferenze, trattative, impegni di cessate il fuoco che hanno alimentato speranze rivelatesi poi vane.
Nè gli accordi di Lusaka, nè l'estenuante maratona negoziale di Sun City hanno portato a svolte decisive ed è sbagliato alimentare illusioni mentre eserciti stranieri (ugandese e ruandese) stazionano sul territorio congolese e nulla viene fatto per dare spazio alla vitale società civile locale. Il Paese rischia seriamente di essere oggetto di una spartizione fra quanti puntano a continuare lo sfruttamento delle grandi risorse minerarie congolesi. In fondo, quando l'allora segretario di Stato Usa Madeleine Albright definì quella congolese come la "prima guerra mondiale africana" disse la verità, poiché gli interessi che si celano dietro a tutto questo non appartengono soltanto alle potenze continentali che vi hanno preso parte sul piano militare. Se finora la divisione e lo smembramento del Congo non sono divenuti realtà è perchè c'è una forte coscienza nazionale, che resiste ad ogni prospettiva di questo genere. Ma quella stessa società civile che rappresenta la grande speranza per il futuro è vittima quotidianamente di soprusi e violenze da parte di chi vorrebbe far tacere la voce di un intero popolo. Situazioni come quelle esistenti a Kisangani e nel Kivu non lasciano spazio a particolare ottimismo. Altrettanto dicasi per l'atteggiamento della comunità internazionale, la quale fa finta di non rendersi conto che la Missione delle Nazioni Unite nell'ex Zaire (Monuc) sarà condannata a restare inutile spettatrice fino a quando non si vedrà assegnare un mandato più ampio, che preveda la possibilità di contribuire attivamente al disarmo delle troppe fazioni operanti nel Paese. Appena sabato scorso una delegazione della Monuc atterrata in elicottero a Baraka, nel sud Kivu, è stata costretta da un centinaio di miliziani della Coalizione democratica congolese (Rcd-Goma) a fare dietrofront e tornare alla propria base. Altro che entusiastici proclami sulla pace a portata di mano. A quattro anni dall'inizio della guerra, Rwanda e Uganda, insieme ai movimenti locali loro alleati, non sono intenzionati a fare un passo indietro. E il documento firmato da Kabila e Kagame ha tutta l'aria di essere un tentativo di compiacere quegli ambienti diplomatici che garantiscono lauti finanziamenti e sono ben disposti a confondere un protocollo d'intesa con un accordo di pace.
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Attenzione, questo è un articolo molto vecchio ma ho pensato che fosse interessante pubblicarlo