Fra gli effetti più “famosi” di una guerra nucleare generalizzata vi è sicuramente quello dell’inverno nucleare. Questa eventualità è stata ormai data per certa nel caso in cui un conflitto nucleare si svolga col lancio di massicci armamenti nucleari mentre una guerra nucleare di minore intensità non avrebbe sicuramente fra i suoi effetti catastrofici un evento del genere.
Il meccanismo fisico che provocherebbe un simile effetto è legato anch’esso all’innescarsi di grandi incendi in conseguenza delle esplosioni nucleari. Questi incendi immetterebbero nell’atmosfera enormi quantità di fumo che potrebbero oscurare la luce del sole per vario tempo.
La possibilità e l’estensione dell’inverno nucleare sono legate a vari fattori che vado ora ad elencare:
1) Innanzitutto nel caso i maggiori bersagli fossero i centri urbani e industriali le quantità di fumo immesse nell’atmosfera sarebbero enormi: i combustibili e soprattutto le materie plastiche presenti nelle città darebbero vita a incendi massivi che provocherebbero l’innalzamento di immense nubi di fumo causa principale dell’inverno nucleare.
2) Il ruolo della polvere innalzata dalle esplosioni, al contrario di quanto si pensa generalmente, sarebbe secondario sebbene non trascurabile nella formazione dell’inverno nucleare.
3) In relazione a quello detto precedentemente, una guerra nucleare strategica tesa all’eliminazione delle armi nucleari nemiche e non all’annientamento della forza industriale e demografica nemica probabilmente non avrebbe fra i suoi effetti l’inverno nucleare: sebbene le esplosioni si verificassero a terra (in quanto l’obbiettivo dell’attacco sarebbe quello di distruggere obbiettivi rinforzati come silos missilistici e depositi di armi) e quindi l’innalzamento di polveri sarebbe enorme, come detto il ruolo secondario da esse giocato non causerebbe l’inverno nucleare, vista la mancanza di massicce quantità di combustibili da incendiare.
(4) Bisogna sottolineare che al fine che si verifichi l’effetto dell’inverno nucleare il numero di testate esplose dovrebbe essere enorme, migliaia come solo in una guerra USA Russia potrebbe accadere.
5) La stagione in cui si verificasse (nell’emisfero nord naturalmente) questa ipotetica guerra nucleare giocherebbe paradossalmente un ruolo molto importante nell’evoluzione dell’inverno nucleare. Ma prima di descrivere questa altra incognita dell’equazione è necessario descrivere più specificatamente i processi fisici che porterebbero a questa situazione.
Dopo le esplosioni la formazione di grandi incendi innalzerebbe colonne di fumo nella troposfera e probabilmente anche nelle parte più basse della stratosfera (bisogna precisare che inizialmente il fumo non viene introdotto nella stratosfera, ma è evidente che il riscaldamento prodotto dall’assorbimento della radiazione solare determinerebbe la risalita del fumo in questa zona). A questi livelli, comunque, una parte considerevole dei fumi verrebbe immediatamente “autodepurata” dalla pioggia nera (una percentuale che varia dal 30% al 50%). La massiccia coltre di fumo probabilmente si coagulerebbe in formazioni di ampio volume che assorbirebbero la radiazione solare: inizialmente la percentuale di luce che giungerebbe sulla terra sarebbe equivalente all’1% di quella normale.
(a) In ogni caso, le conseguenze climatiche prodotte da questi densi strati di fumo sarebbero dipendenti, come anticipato prima, dalla stagione corrente: nel caso ci si trovi nella metà estiva dell’anno in pochi giorni le temperature potrebbero scendere anche di 30 gradi, se non 40, causando quindi temperature intorno allo zero nelle zone temperate dell’emisfero nord. Una stagione estiva con temperature così rigide sarebbe poi seguita dal conseguente inverno e questo determinerebbe almeno 12 mesi consecutivi di freddo intenso. Senza contare che il riscaldamento del sole in estate farebbe come detto salire la coltre fumosa.
(b) Se invece l’ipotetica guerra nucleare generalizzata si compisse nell’inverno boreale la temperatura subirebbe un calo moderato, probabilmente non superiore ai 5 gradi, e nella successiva estate il dilavamento della coltre fumosa, in stato avanzato, produrrebbe comunque un raffreddamento generalizzato, ma a livello più moderato (un’analisi più accurata, nelle prossime puntate, riguarderà appunto gli effetti meteorologici e biologici sia in conseguenza all’inverno nucleare che alla contaminazione radioattiva e all’inquinamento atmosferico).
Al fine di specificare meglio il punto (1) bisogna sottolineare che i combustibili fossili (petrolio, benzina, kerosene) e i prodotti da essi derivanti (materie plastiche, gomma, asfalto, materiali da rivestimento) sono fortemente concentrati nei centri abitati: la combustione anche di una piccola quota di questi materiali (supponiamo il 30%) genererebbe più di 200 milioni di tonnellate di fumo fuliggionoso. Di questa quota, il 50% sarebbe costituita da carbonio elementare amorfo, nero e assorbente la luce solare.
In caso di grandi immissioni di fumo alle latitudini subtropicali dell’emisfero settentrionale le temperature potrebbero scendere al di sotto dello zero in zone solitamente molto calde, senza contare che gli sconvolgimenti meteorologici potrebbero eliminare la circolazione monsonica, d’importanza topica per gli ambienti subtropicali.
Ma il forte riscaldamento del fumo presente nell’Emisfero boreale in caso di guerra nucleare nel periodo estivo porterebbe il fumo in alto e verso l’equatore: in pochi giorni sottili ma estesi strati di fumo potrebbero apparire in regioni di media latitudine nell’emisfero australe, precursori di successivi strati più uniformi (ma comunque inferiori nettamente a quelli dell’Emisfero boreale). Bisogna dire comunque che in quel periodo l’Emisfero sud si troverebbe già in inverno, quindi la diminuzione della temperatura dovuta alla coltre fumosa sarebbe in ogni caso di pochi gradi, provocando comunque una diminuzione della quantità di precipitazioni.
Gli studi sull’inverno nucleare sono ancora in corso: da questo intervento appare evidente che l’abbassamento di temperatura provocherebbe conseguenze ecologiche e ambientali di dimensioni catastrofiche, da analizzare successivamente.
Basti dire per ora che si ritiene probabile che il fumo ascendente rimanga nell’atmosfera almeno per un anno dopo le esplosioni, con una depurazione costante operata dalle precipitazioni, dall’ossidazione chimica e da altri fattori. Il raffreddamento del globo durerebbe probabilmente per numerosi anni, in considerazione anche della diminuzione della temperatura degli oceani mentre le precipitazioni potrebbero ridursi notevolmente con le conseguenti modificazioni ambientali.
L’incubo dell’inverno nucleare è stato molto forte durante la Guerra Fredda: la presenza di massicci arsenali fra le due Superpotenze e il pericolo sempre incombente di un confronto atomico rendeva reale la minaccia di una guerra nucleare totale e del successivo inverno nucleare.
In questo momento, come è evidente, il pericolo di uno scontro atomico di queste dimensioni è ormai passato, almeno in teoria: le relazioni fra USA e Russia si sono normalizzate (anche se più per le difficoltà economiche russe che per libera volontà) e la possibilità di guerre nucleari si sono limitate a scambi “modesti”, se così si possono definire.