Processo a Dell’Utri:
«Era l'agente della mafia dentro la Fininvest»
di Saverio Lodato
La statua di sale ha indossato il solito vestito blu, la solita camicia celeste, la solita cravatta blu scuro. Elegante, distinta, impeccabile, ma non c'è niente da fare: la solita statua di sale. Trita e ritrita, vista e rivista, per chi la segue da vicino nei suoi processi. La statua di sale infatti non batte ciglio, ascolta senza tradire emozioni, ogni tanto sussurra a qualcuno dei suoi cinque avvocati, non prende appunti, non muove i muscoli facciali, non si concede ai cronisti, si considera appartenente a una stirpe divina, quella stirpe dei Berluscones che mai nessun processo, nessun pubblico ministero, potrà scalfire. Dopo un paio d'ore, a metà udienza, la statua di sale si muove lentamente, fa un piccolo inchino al presidente della seconda sezione del Tribunale di Palermo, Leonardo Guarnotta, punta diritto verso la porta dell'aula. E se ne va.
A un cronista ansioso che l'ha rincorsa, la statua ha detto solo:
"mi siddiò", mi sono stufato.
Anche la pazienza delle statue di sale - evidentemente - ha un limite.
E chi è invece Marcello Dell'Utri, senatore di Forza Italia, l'uomo che si nasconde dietro la statua di sale, per i pubblici ministeri che hanno ieri iniziato la loro requisitoria nel processo che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa?
E cos'è, innanzitutto, questo processo?
Questo processo non è, non è mai stato, né mai si è voluto che fosse, un processo politico.
Semmai è il processo a un imputato che solo successivamente, nel 1996, diventò uomo politico a tutti gli effetti, deputato cioè di Forza Italia.
Né mai sono stati raccolti elementi che avessero a che vedere con la sua attività politica.
Motivo per cui, tutto si può dire di questo processo, tranne che si sia risolto nella messa sotto scacco del movimento politico che l'imputato contribuì a fondare.
Il che però non significa - puntualizza il pubblico ministero Antonio Ingroia che ieri si è assunto l'incarico del primo round (l'altro pm che parlerà oggi è Domenico Gozzo) - che non si sia trovata la prova, tutt'altro che irrilevante, di accordi elettorali recenti fra Forza Italia e Cosa Nostra.
Perché vennero stretti questi accordi?
Non furono altro che estrema conseguenza di un rapporto organico, e di reciproco scambio, fra Dell' Utri e la mafia.
Dunque il problema non è tanto l'appoggio elettorale dei boss nel corso di questa o quella campagna elettorale, quanto il fatto che quei rapporti furono effetto, non causa, delle frequentazioni pregresse dell'imputato.
Direte: ce l' hanno con la statua di sale, perché mirano al bersaglio grosso, allo sfortunato Silvio Berlusconi, considerato cucchiaio di tutte le pentole dai soliti pubblici ministeri geneticamente diversi dal resto del genere umano.
Ingroia dice che non è così. Che Berlusconi " non è un imputato occulto di questo processo".
E che i nemici dei pubblici ministeri lo abbiano detto e ripetuto per sei anni, ma fuori dall' aula del processo, non è circostanza da sola capace di far diventare vera una menzogna.
"Oggi possiamo replicare - dice Ingroia con il senso di liberazione che si deve provare quando si sputa un rospo- che Berlusconi non è mai stato imputato a Palermo, né virtualmente né realmente. Fu doverosamente sottoposto a indagini in presenza di notizie di reato. Era nostro dovere farlo. Alla fine, chiedemmo l'archiviazione perché gli elementi raccolti non erano sufficienti a sostenere l'accusa".
Però, però.
Anche Berlusconi, da statista qual è, la sua parte avrebbe potuto farla.
Il 26 novembre 2002: a Palazzo Chigi, quando - ricorda Ingroia - ci aspettavamo che chiarisse i "buchi neri".
Lui, com'è noto, "si avvalse legittimamente della facoltà di non rispondere".
E quali sarebbero questi "buchi neri"?
Detto allora, a Palazzo Chigi, ripetuto ieri, in tribunale: il perché dell' assunzione ad Arcore e poi dell' allontanamento dello stalliere Vittorio Mangano, noto mafioso; la ragione autentica dei rapporti con Dell'Utri; la causa di anomali versamenti di danaro nelle casse delle holding che controllavano la Fininvest.
Insomma, commenta Ingroia: una gran bella "occasione mancata", anche se in questo processo, di Berlusconi, si parlerà "inevitabilmente".
E torna immediatamente al posto occupato dalla statua di sale: Dell' Utri, proprio per la sua veste di stretto collaboratore di Berlusconi, "è stato ed è così prezioso per Cosa Nostra".
E il ruolo della statua di sale in questo scenario?
Prima definizione: "Dell'Utri è il garante degli interessi mafiosi negli ambienti finanziari e imprenditoriali milanesi".
Seconda:
"Dell'Utri è l'ambasciatore di Cosa Nostra dentro il gruppo Fininvest".
Terza:
"Dell'Utri era l'agente assicurativo di Cosa Nostra".
Che vuol dire?
"Che Dell'Utri ha procurato un grande cliente a Cosa Nostra, aprendo un canale che poi negli anni ha prodotto all'organizzazione grandi utilità".
Teoremi beceri per sbriciolare a colpi di scalpello una povera e innocua statua di sale? Calunnie infondate? Immondizia giudiziaria?
Macchè, dice Ingroia. E svuota davanti al tribunale il sacco che in questi anni di processo, a sentire lui, è stato riempito di: solida piattaforma probatoria; fatti storici concreti e provati; testimonianze precise, spesso addirittura oculari; intercettazioni telefoniche; risultanze documentali; fotografie; filmati; tabulati telefonici, persino il libro mastro della mafia con la cifra e la dicitura "Gruppo Fininvest". Insomma:
"le prove di oggi sono molte di più di quelle che avevamo nel 1997, al momento del rinvio a giudizio".
Come mai? Perché la statua di sale "non ha smesso di commettere reati e ha continuato a aiutare Cosa Nostra persino durante lo svolgimento del processo".
Il riferimento è agli incontri di Dell'Utri con Cosimo Cirfeta e Giuseppe Chiofalo che, secondo l'accusa, dovevano servire a delegittimare i 47 pentiti che lo accusano.
Pagliuzze? Chissà.
Sì, ma insomma, la statua di sale, li ebbe o non li ebbe questi rapporti coi boss?
Ingroia:
li ebbe con " Mangano, Bontate, Teresi, Citarda, Di Napoli, Pullarà, i Graviano, Calò , Santapaola, Riina, Provenzano".
Possibile? Sicuro, provato, dice la pubblica accusa.
Vi ricordiamo che la statua di sale, in processo, non è da sola. E'in compagnia di un fantasma, Gaetano Cinà, uomo d'onore della famiglia di Malaspina, che però in processo non viene mai, per questo ci permettiamo di dirgli: "fantasma".
Bene.
"Quando Cinà fu posato dall' organizzazione mafiosa (messo da parte ndr) continuò a svolgere un ruolo fondamentale in Cosa Nostra per espresso volere di Totò Riina. E ciò in forza del rapporto privilegiato che Cinà ha sempre mantenuto con Dell'Utri".
Torniamo al nocciolo della questione.
Per una trentina d'anni, Dell' Utri ha mantenuto rapporti con i boss. Introdusse lo stalliere Vittorio Mangano nella corte di Arcore, a metà anni '70, quando Berlusconi era molto preoccupato che i suoi familiari potessero diventare bersaglio dell' anonima sequestri che agiva indisturbata in Lombardia.
C'è un teste oculare (Francesco Di Carlo) che ha raccontato e descritto l'incontro a Milano fra Berlusconi, Stefano Bontate e Mimmo Teresi e in cui fu decisa e formalizzata l'assunzione dello stalliere.
Dell'Utri viene assunto, per interessamento di Bontate, dal faccendiere siciliano Alberto Rapisarda che nel frattempo si era trasferito a Milano. Dell'Utri, dopo la parentesi lavorativa con Rapisarda, rientra nel gruppo Berlusconi, e inizia a consegnare a Cinà grosse somme di danaro per avere in cambio la protezione degli interessi televisivi Fininvest in Sicilia. All'inizio della guerra di mafia (anni ottanta), i primi a essere assassinati dai corleonesi saranno proprio Bontate e Teresi.
Riina si intrufola in quel canale mafia- Berlusconi, propiziato da Dell'Utri. Cerca un rapporto con il PSI di Craxi, ora che la DC è venuta definitivamente a noia a Cosa Nostra. Inizio anni 90: attentati dinamitardi contro la Standa di Catania. Incontra Santapaola e altri boss di Catania, offre nuove garanzie. E - tanto per gradire- continuerà a tenere rapporti con Mangano sino a metà degli anni ‘90, nonostante lo stalliere entrasse e uscisse con cadenza regolare dalla patrie galere.
Ormai sta per sorgere il sole azzurro. Cosa Nostra ammira estasiata la nuova forza politica che cambierà l'Italia, gradisce, si lecca i baffi.
E l'attentato a Maurizio Costanzo, nel 1993, che c'azzecca? Semplice:
"Maurizio Costanzo era molto vicino a Berlusconi, ma era fortemente contrario alla sua discesa in campo, a differenza di Dell' Utri che era favorevole".
La matrice di quell' attentato? Immaginatela da soli.
Insomma: Berlusconi non capiva niente? Più o meno.
Ingroia:
" Mai una sola minaccia venne a Dell' Utri. Tutte a Berlusconi. E Dell'Utri interveniva dopo, con Cosa Nostra per risolvere le questioni".
Un po' come il "Wolf" di Pulp Fiction, quello che "risolveva i problemi".
Chiaro?
"In questo processo Dell' Utri non è mai stato vittima. Qui c'è Berlusconi che è stato continuamente oggetto di pressioni e minacce, di intimidazioni da parte di esponenti di Cosa Nostra. A lui e ai suoi figli sono arrivate le minacce. Così si spiega il sequestro, all'uscita da Arcore, dell'imprenditore Luigi D'Angerio, nel 1974. Così si spiega l'attentato del '75 alla sede delle società berlusconiane di via Rovani a Milano, e quello di undici anni dopo, e gli attentati alla Standa"… eccetera eccetera.
Che ci avrebbe guadagnato la statua di sale?
"Non è un caso se la carriera di Dell' Utri è stata contraddistinta dall'irrobustirsi dei suoi rapporti con la mafia. Quella di Dell' Utri è stata una continuativa condotta di agevolazione a Cosa Nostra". E per dirla tutta: "questa è intelligenza con il nemico dello Stato , di cui oggi Dell' Utri è senatore della Repubblica".
Vogliamo vedere adesso lo spessore del processo?
"C'è un'abbondanza insolita di prove per un processo di mafia. Tanto che il tribunale potrebbe decidere di condannare l'imputato anche per partecipazione, non solo per concorso esterno".
I pubblici ministeri cambieranno il reato in corso d'opera? Non ci pensano neanche. Lo precisano solo perché di questi tempi ci sono "polemiche artificiose e cortine fumogene sul concorso esterno che qualcuno vorrebbe abolire".
Ma per Ingroia, non basta l'abolizione del concorso esterno a garantire l'impunità a politici e potenti:
"Dovrebbero abolire il 416 bis. Ma non voglio pensare che si arriverà a tanto".
Quanto a Dell' Utri - è l'ultimo affondo - basterebbe ricordare la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che ha assolto Carnevale. Quella sentenza indica le fattispecie del concorso esterno:
" Basterebbe uno solo di quei principi, per condannare Dell'Utri…"
Se il buon giorno si vede dal mattino…
E la statua di sale, alias Dell'Utri?
Quando è troppo è troppo. Nel pomeriggio, a udienza conclusa, ha dichiarato a un'agenzia di sentirsi "assai inquieto di fronte alla leggerezza dimostrata dalla pubblica accusa, alle tante chiacchiere che si sono dette sul mio conto".
Estremamente loquace, per una statua di sale come lui.
Ma statue di sale tutte d'un pezzo si sono dimostrati invece certi direttori di TG, per i quali l'udienza di ieri non è praticamente esistita.
Da Vespa, stasera, si parla di Sofri e di Battisti....