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Discussione: Il processo invisibile

  1. #1
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    Predefinito Il processo invisibile

    Processo a Dell’Utri:
    «Era l'agente della mafia dentro la Fininvest»
    di Saverio Lodato

    La statua di sale ha indossato il solito vestito blu, la solita camicia celeste, la solita cravatta blu scuro. Elegante, distinta, impeccabile, ma non c'è niente da fare: la solita statua di sale. Trita e ritrita, vista e rivista, per chi la segue da vicino nei suoi processi. La statua di sale infatti non batte ciglio, ascolta senza tradire emozioni, ogni tanto sussurra a qualcuno dei suoi cinque avvocati, non prende appunti, non muove i muscoli facciali, non si concede ai cronisti, si considera appartenente a una stirpe divina, quella stirpe dei Berluscones che mai nessun processo, nessun pubblico ministero, potrà scalfire. Dopo un paio d'ore, a metà udienza, la statua di sale si muove lentamente, fa un piccolo inchino al presidente della seconda sezione del Tribunale di Palermo, Leonardo Guarnotta, punta diritto verso la porta dell'aula. E se ne va.
    A un cronista ansioso che l'ha rincorsa, la statua ha detto solo:
    "mi siddiò", mi sono stufato.
    Anche la pazienza delle statue di sale - evidentemente - ha un limite.

    E chi è invece Marcello Dell'Utri, senatore di Forza Italia, l'uomo che si nasconde dietro la statua di sale, per i pubblici ministeri che hanno ieri iniziato la loro requisitoria nel processo che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa?
    E cos'è, innanzitutto, questo processo?
    Questo processo non è, non è mai stato, né mai si è voluto che fosse, un processo politico.

    Semmai è il processo a un imputato che solo successivamente, nel 1996, diventò uomo politico a tutti gli effetti, deputato cioè di Forza Italia.
    mai sono stati raccolti elementi che avessero a che vedere con la sua attività politica.
    Motivo per cui, tutto si può dire di questo processo, tranne che si sia risolto nella messa sotto scacco del movimento politico che l'imputato contribuì a fondare.
    Il che però non significa - puntualizza il pubblico ministero Antonio Ingroia che ieri si è assunto l'incarico del primo round (l'altro pm che parlerà oggi è Domenico Gozzo) - che non si sia trovata la prova, tutt'altro che irrilevante, di accordi elettorali recenti fra Forza Italia e Cosa Nostra.

    Perché vennero stretti questi accordi?
    Non furono altro che estrema conseguenza di un rapporto organico, e di reciproco scambio, fra Dell' Utri e la mafia.
    Dunque il problema non è tanto l'appoggio elettorale dei boss nel corso di questa o quella campagna elettorale, quanto il fatto che quei rapporti furono effetto, non causa, delle frequentazioni pregresse dell'imputato.

    Direte: ce l' hanno con la statua di sale, perché mirano al bersaglio grosso, allo sfortunato Silvio Berlusconi, considerato cucchiaio di tutte le pentole dai soliti pubblici ministeri geneticamente diversi dal resto del genere umano.
    Ingroia dice che non è così. Che Berlusconi " non è un imputato occulto di questo processo".
    E che i nemici dei pubblici ministeri lo abbiano detto e ripetuto per sei anni, ma fuori dall' aula del processo, non è circostanza da sola capace di far diventare vera una menzogna.
    "Oggi possiamo replicare - dice Ingroia con il senso di liberazione che si deve provare quando si sputa un rospo- che Berlusconi non è mai stato imputato a Palermo, né virtualmente né realmente. Fu doverosamente sottoposto a indagini in presenza di notizie di reato. Era nostro dovere farlo. Alla fine, chiedemmo l'archiviazione perché gli elementi raccolti non erano sufficienti a sostenere l'accusa".

    Però, però.
    Anche Berlusconi, da statista qual è, la sua parte avrebbe potuto farla.
    Il 26 novembre 2002: a Palazzo Chigi, quando - ricorda Ingroia - ci aspettavamo che chiarisse i "buchi neri".
    Lui, com'è noto, "si avvalse legittimamente della facoltà di non rispondere".

    E quali sarebbero questi "buchi neri"?
    Detto allora, a Palazzo Chigi, ripetuto ieri, in tribunale: il perché dell' assunzione ad Arcore e poi dell' allontanamento dello stalliere Vittorio Mangano, noto mafioso; la ragione autentica dei rapporti con Dell'Utri; la causa di anomali versamenti di danaro nelle casse delle holding che controllavano la Fininvest.
    Insomma, commenta Ingroia: una gran bella "occasione mancata", anche se in questo processo, di Berlusconi, si parlerà "inevitabilmente".

    E torna immediatamente al posto occupato dalla statua di sale: Dell' Utri, proprio per la sua veste di stretto collaboratore di Berlusconi, "è stato ed è così prezioso per Cosa Nostra".
    E il ruolo della statua di sale in questo scenario?
    Prima definizione: "Dell'Utri è il garante degli interessi mafiosi negli ambienti finanziari e imprenditoriali milanesi".
    Seconda:
    "Dell'Utri è l'ambasciatore di Cosa Nostra dentro il gruppo Fininvest".
    Terza:
    "Dell'Utri era l'agente assicurativo di Cosa Nostra".
    Che vuol dire?
    "Che Dell'Utri ha procurato un grande cliente a Cosa Nostra, aprendo un canale che poi negli anni ha prodotto all'organizzazione grandi utilità".

    Teoremi beceri per sbriciolare a colpi di scalpello una povera e innocua statua di sale? Calunnie infondate? Immondizia giudiziaria?
    Macchè, dice Ingroia. E svuota davanti al tribunale il sacco che in questi anni di processo, a sentire lui, è stato riempito di: solida piattaforma probatoria; fatti storici concreti e provati; testimonianze precise, spesso addirittura oculari; intercettazioni telefoniche; risultanze documentali; fotografie; filmati; tabulati telefonici, persino il libro mastro della mafia con la cifra e la dicitura "Gruppo Fininvest". Insomma:
    "le prove di oggi sono molte di più di quelle che avevamo nel 1997, al momento del rinvio a giudizio".

    Come mai? Perché la statua di sale "non ha smesso di commettere reati e ha continuato a aiutare Cosa Nostra persino durante lo svolgimento del processo".
    Il riferimento è agli incontri di Dell'Utri con Cosimo Cirfeta e Giuseppe Chiofalo che, secondo l'accusa, dovevano servire a delegittimare i 47 pentiti che lo accusano.
    Pagliuzze? Chissà.
    Sì, ma insomma, la statua di sale, li ebbe o non li ebbe questi rapporti coi boss?
    Ingroia:
    li ebbe con " Mangano, Bontate, Teresi, Citarda, Di Napoli, Pullarà, i Graviano, Calò , Santapaola, Riina, Provenzano".

    Possibile? Sicuro, provato, dice la pubblica accusa.
    Vi ricordiamo che la statua di sale, in processo, non è da sola. E'in compagnia di un fantasma, Gaetano Cinà, uomo d'onore della famiglia di Malaspina, che però in processo non viene mai, per questo ci permettiamo di dirgli: "fantasma".

    Bene.
    "Quando Cinà fu posato dall' organizzazione mafiosa (messo da parte ndr) continuò a svolgere un ruolo fondamentale in Cosa Nostra per espresso volere di Totò Riina. E ciò in forza del rapporto privilegiato che Cinà ha sempre mantenuto con Dell'Utri".

    Torniamo al nocciolo della questione.
    Per una trentina d'anni, Dell' Utri ha mantenuto rapporti con i boss. Introdusse lo stalliere Vittorio Mangano nella corte di Arcore, a metà anni '70, quando Berlusconi era molto preoccupato che i suoi familiari potessero diventare bersaglio dell' anonima sequestri che agiva indisturbata in Lombardia.
    C'è un teste oculare (Francesco Di Carlo) che ha raccontato e descritto l'incontro a Milano fra Berlusconi, Stefano Bontate e Mimmo Teresi e in cui fu decisa e formalizzata l'assunzione dello stalliere.

    Dell'Utri viene assunto, per interessamento di Bontate, dal faccendiere siciliano Alberto Rapisarda che nel frattempo si era trasferito a Milano. Dell'Utri, dopo la parentesi lavorativa con Rapisarda, rientra nel gruppo Berlusconi, e inizia a consegnare a Cinà grosse somme di danaro per avere in cambio la protezione degli interessi televisivi Fininvest in Sicilia. All'inizio della guerra di mafia (anni ottanta), i primi a essere assassinati dai corleonesi saranno proprio Bontate e Teresi.
    Riina si intrufola in quel canale mafia- Berlusconi, propiziato da Dell'Utri. Cerca un rapporto con il PSI di Craxi, ora che la DC è venuta definitivamente a noia a Cosa Nostra. Inizio anni 90: attentati dinamitardi contro la Standa di Catania. Incontra Santapaola e altri boss di Catania, offre nuove garanzie. E - tanto per gradire- continuerà a tenere rapporti con Mangano sino a metà degli anni ‘90, nonostante lo stalliere entrasse e uscisse con cadenza regolare dalla patrie galere.
    Ormai sta per sorgere il sole azzurro. Cosa Nostra ammira estasiata la nuova forza politica che cambierà l'Italia, gradisce, si lecca i baffi.
    E l'attentato a Maurizio Costanzo, nel 1993, che c'azzecca? Semplice:
    "Maurizio Costanzo era molto vicino a Berlusconi, ma era fortemente contrario alla sua discesa in campo, a differenza di Dell' Utri che era favorevole".
    La matrice di quell' attentato? Immaginatela da soli.
    Insomma: Berlusconi non capiva niente? Più o meno.
    Ingroia:
    " Mai una sola minaccia venne a Dell' Utri. Tutte a Berlusconi. E Dell'Utri interveniva dopo, con Cosa Nostra per risolvere le questioni".
    Un po' come il "Wolf" di Pulp Fiction, quello che "risolveva i problemi".
    Chiaro?
    "In questo processo Dell' Utri non è mai stato vittima. Qui c'è Berlusconi che è stato continuamente oggetto di pressioni e minacce, di intimidazioni da parte di esponenti di Cosa Nostra. A lui e ai suoi figli sono arrivate le minacce. Così si spiega il sequestro, all'uscita da Arcore, dell'imprenditore Luigi D'Angerio, nel 1974. Così si spiega l'attentato del '75 alla sede delle società berlusconiane di via Rovani a Milano, e quello di undici anni dopo, e gli attentati alla Standa"… eccetera eccetera.

    Che ci avrebbe guadagnato la statua di sale?
    "Non è un caso se la carriera di Dell' Utri è stata contraddistinta dall'irrobustirsi dei suoi rapporti con la mafia. Quella di Dell' Utri è stata una continuativa condotta di agevolazione a Cosa Nostra". E per dirla tutta: "questa è intelligenza con il nemico dello Stato , di cui oggi Dell' Utri è senatore della Repubblica".

    Vogliamo vedere adesso lo spessore del processo?
    "C'è un'abbondanza insolita di prove per un processo di mafia. Tanto che il tribunale potrebbe decidere di condannare l'imputato anche per partecipazione, non solo per concorso esterno".

    I pubblici ministeri cambieranno il reato in corso d'opera? Non ci pensano neanche. Lo precisano solo perché di questi tempi ci sono "polemiche artificiose e cortine fumogene sul concorso esterno che qualcuno vorrebbe abolire".
    Ma per Ingroia, non basta l'abolizione del concorso esterno a garantire l'impunità a politici e potenti:
    "Dovrebbero abolire il 416 bis. Ma non voglio pensare che si arriverà a tanto".
    Quanto a Dell' Utri - è l'ultimo affondo - basterebbe ricordare la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che ha assolto Carnevale. Quella sentenza indica le fattispecie del concorso esterno:
    " Basterebbe uno solo di quei principi, per condannare Dell'Utri…"

    Se il buon giorno si vede dal mattino…
    E la statua di sale, alias Dell'Utri?
    Quando è troppo è troppo. Nel pomeriggio, a udienza conclusa, ha dichiarato a un'agenzia di sentirsi "assai inquieto di fronte alla leggerezza dimostrata dalla pubblica accusa, alle tante chiacchiere che si sono dette sul mio conto".
    Estremamente loquace, per una statua di sale come lui.

    Ma statue di sale tutte d'un pezzo si sono dimostrati invece certi direttori di TG, per i quali l'udienza di ieri non è praticamente esistita.

    Da Vespa, stasera, si parla di Sofri e di Battisti....

  2. #2
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    Predefinito Pillole

    "Per me Berlusconi era proprio come un parente. La fiducia che aveva in me era pari a quella che io avevo in lui e nella sua famiglia. A Berlusconi ci voglio bene, fino a oggi. E' una persona onesta, scrivetelo"

    (Vittorio Mangano, boss della famiglia mafiosa di Porta Nuova ed ex "stalliere" nella villa di Arcore, condannato a due ergastoli per mafia, omicidio e traffico di droga, Corriere della sera, 14 luglio 2000).

  3. #3
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    Predefinito

    Di tutto si può riproverare il senatore Dell'Utri, ma non certo di incoerenza.

    Ha scelto per sé un personaggio ardito mettendo in scena la caricatura d'una antichissima spocchia siciliana fatta di parole brevi e impercettibili sorrisi dietro i quali s'avverte sempre la noia. Che di tutte le pose siciliane è la più efficace: la noia evoca le stanze dello scirocco, i sorbetti del Principe, la noia è una misura del tempo quasi letteraria, lontana dai processi, dalle campagne elettorali, dall'adrenalina dei talk show televisivi.
    Una volta intervistarono il Nostro per una delle serate di Santoro: l'avevano appena rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa e il giornalista, spudorato, gli chiese se secondo lui la mafia esiste.
    Dell'Utri si stirò un sorriso da Beato Paolo in faccia, cercó la giusta pausa, poi rispose:
    “Se esiste l'antimafia, dovrà pur esistere anche la mafia...”. Da antologia.

    Come certe sue alzate di spalle a chi gli rimprovera frequentazioni non proprio illibate con stallieri mafiosi e picciotti palermitani.
    Altri, al posto suo, avrebbero trascorso il loro tempo a spiegare, distinguere, obiettare. Dell'Utri, no.
    Lo indagano per mafia? E lui si candida in Sicilia per il Parlamento Europeo.
    Lo rinviano a giudizio? Si ricandida a Palermo per fare il senatore.
    Lo processano in corte d'Assise? Terza candidatura, sempre in Sicilia.

    Come dire: nemmeno la soddisfazione di cercarmi un altro collegio vi regalo...

    Perchè la noia é anche questo, un senso di aristocratico disprezzo per tutte le umane consuetudini.
    La consuetudine, per esempio, a far davvero il parlamentare europeo una volta eletto: cosí, per pura decenza.
    A Strasburgo, invece, Dell'Utri c'è andato pochissimo: anzi, è riuscito ad essere subito l'ultimo della classe, il piú tenace degli assenteisti, seicentoventiseiesimo su seicentiventisei con un tasso di presenza del 15,23%.
    Perchè lui s'annoia, ecco.

    L'ultima deliziosa battuta è di tre giorni fa: Palermo, aula del dibattimento, i Pubblico Ministero che s'affannano a spiegare in punta di diritto perchè Dell'Utri va considerato amico e sodale dei mafiosi, citano fonti, episodi, date... A un tratto lui si alza dal banco degli imputati ed esce, mentre il giudice sta ancora parlando. Se ne va proprio. A un cronista che lo raggiunge sulle scale del palazzo di giustizia, l'onorevole porge solo due parole:
    “Mi siddiò”, mi ha stufato.
    Senza nemmeno alzare la voce.
    Come Robert De Niro in Scarface.

  4. #4
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    OVVERO L'INDIPENDENZA DELLA STAMPA
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    se l'europa non cambia sistema conviene andarsene...altrimenti ci ridurrà come e peggio della grecia.

  5. #5
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    "Marcello Dell'Utri ha lasciato un impiego in banca (alla Cassa di Risparmio di Belmonte Mezzagno, Palermo, ndr) per seguire Berlusconi ed, una volta qui, ha chiamato Mangano, pur essendo perfettamente a conoscenza - è risultato dalle informazioni giunte dal Nucleo investigativo del gruppo Palermo - del suo poco corretto passato"
    (da un rapporto investigativo dei carabinieri della stazione di Arcore, 27 dicembre 1974).

  6. #6
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    Predefinito In assenza d'informazione "unica"

    Il premier, Dell’Utri e il “fattore” Mangano
    Marco Travaglio

    Perché, a trent'anni di distanza, Silvio Berlusconi continua a non rispondere e Dell'Utri a mentire sull'ingaggio di Vittorio Mangano nella villa di Arcore?
    Che cosa nascondono mi due sull'assunzione di quello strano «stalliere» (o «fattore»), giunto apposta da Palermo a villa San Martino con moglie, figlie e suocera il 1° luglio 1974?
    “Lo credevamo un bravo ragazzo, poi abbiamo scoperto che non lo era e l'abbiamo allontanato”, è sempre stato il loro ritornello.
    Ma non ha mai convinto. E, alla luce delle ultime risultanze investigative emerse dal processo Dell'Utri e riassunte lunedì e martedì nella requisitoria dei pm Antonio Ingroia e Nico Gozzo, convince sempre meno. Da qualunque parte la si guardi, la versione ufficiale non sta in piedi.
    Non tornano le date, non collimano i racconti dei protagonisti, non regge la logica. C'è dell'altro, del non detto. Quell'«altro» che i magistrati di Palermo volevano sottoporre a Silvio Berlusconi il 26 novembre 2002, quando finalmente trovarono udienza a Palazzo Chigi, se non fossero stati respinti dal premier con un cortese ma fermo «mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Così il «buco nero» - come l'ha chiamato Ingroia - è rimasto. E anzi, come quello dell'ozono, s'è allargato vieppiù. Perché nel frattempo, su quegli strani movimenti tra Palermo e Arcore nella seconda metà degli anni 70 e nella prima degli 80, sono affiorati nuovi particolari. Che Gozzo, martedì, ha puntigliosamente messo in fila.
    Partiamo dai pochissimi dati certi. Dell'Utri conosce Berlusconi a Milano nei primi anni 60, forse all'università statale dove entrambi studiano legge. E comincia a lavorare per lui, come segretario, nel 1964. Marcello ha 24 anni. Silvio 28 ed è già un piccolo costruttore, con i primi fidi della Banca Rasini, legata secondo gli inquirenti alla mafia siciliana trapiantata a Milano.
    Nei numerosi interrogatori resi a Milano poi a Palermo, Dell'Utri non parlerà mai di questo primo impiego: chissà perché. Nel 1965 lascia Milano e trasloca a Palermo, per farsi le ossa in due banche. Fino al 1973 quando, verso la fine dell'anno, torna a Milano: di nuovo segretario particolare del futuro Cavaliere, per seguire i lavori di ristrutturazione di villa Casati, appena strappata per un pezzo di pane alla marchesina Annamaria Casati Stampa, rimasta orfana e per giunta assistita dall'avvocato Previti. All'inizio del 1974 va a trovare Mangano a Palermo e gli propone di seguirlo ad Arcore, in casa Berlusconi. Il giovanotto ha una sfilza di precedenti e carichi pendenti da far paura (denunce, arresti, processi, condanne), ma Dell'Utri dice di non saperlo, anche se basterebbe uno squillo ai carabinieri per informarsi. Al colloquio pre-assunzione partecipa anche il suo vecchio amico Tanino Cinà: è stato lui, d'altronde, a presentarglielo.
    Ma questo Dell'Utri e Cinà non lo diranno mai. Lo dirà però Mangano, e lo farà capire lo stesso Berlusconi. Perché Dell'Utri e Cinà no? Perché Cinà è imputato insieme a Dell'Utri per mafia: secondo l'accusa è un uomo d'onore della famiglia Malaspina, l'uomo chiave nei rapporti fra Cosa Nostra e la Fininvest sia sotto la vecchia mafia di Stefano Bontate e Mimmo Teresi, sia sotto quella corleonese di Riina e Provenzano.
    Spiegano i pm: Berlusconi teme un sequestro, riceve minacce dai mafiosi del Nord, e Bontate gli presta due suoi uomini per «segnare il territorio» di Arcore, far capire ai «malintenzionati» che Silvio non si tocca. I due uomini sono prima Dell'Utri, poi Mangano. Altro che segretario, altro che stalliere. L'assunzione di Mangano è suggellata da un vertice a Milano, presenti Berlusconi, Dell'Utri, i boss Bontate, Teresi e Francesco Di Carlo. Quest'ultimo, poi pentito, lo racconterà ai giudici. Da quel momento, secondo l'accusa, anche Berlusconi è «nelle mani di Cosa Nostra». Volente o nolente.
    Secondo Dell'Utri e Berlusconi,Mangano rimane ad Arcore soltanto pochi mesi. Mangano però dice due anni, come del resto risulta dalle carte. Dall'estate '74 all'autunno '76. Secondo un rapporto della Questura di Milano, il «fattore» tuttofare lascia la villa «nell'ottobre 1976». Sicuramente è ancora lì il 6 dicembre 1975, quando esce di galera dopo una breve detenzione ed elegge domicilio in «via San Martino 42, Arcore»: l'indirizzo di Berlusconi. Già, perché in quei due anni di permanenza chez Silvio lo arrestano per ben due volte. E per ben due volte ritorna nella villa senza che il padrone di casa abbia nulla da obiettare. Accade di tutto. Il 7 dicembre '74 l'Anonima Sequestri rapisce Luigi d'Angerio, il miglior amico di Berlusconi, all' uscita dalla villa di Berlusconi, al termine di una cena con Berlusconi («quella sera a tavola c'ero anch'io, con mia moglie», racconterà lo stalliere «alla pari»). Gli inquirenti sospettano di Mangano e lo dicono a Berlusconi.Ma Berlusconi non lo mette alla porta. Tre settimane dopo, il 27 dicembre, i carabinieri prelevano Mangano e lo portano in carcere: deve scontare una condanna a dieci mesi per truffa. Esce il 22 gennaio '75, torna in villa, e Berlusconi lo riaccoglie a braccia aperte. Il 18 maggio '75 esplode una bomba contro la sede milanese della Fininvest, in via Rovani: Silvio e Marcello pensano subito a Mangano (come si diranno in una telefonata intercettata nel 1987, dopo un analogo attentato allo stesso edificio). Ma il fattore rimane al suo posto.
    Il 1° dicembre 1975 la squadra mobile di Milano lo arresta per porto abusivo di un coltellaccio e scopre che deve scontare un'altra condanna, stavolta per ricettazione. Il 6 dicembre Mangano esce e, appunto, elegge di nuovo domicilio a villa San Martino. Berlusconi gli spalanca il cancello, manco fosse il figliol prodigo. Ma il paese è piccolo, la gente mormora e i giornali cominciano a malignare. Racconterà Mangano: «Lo scrivevano tutti, anche Topolino, che Berlusconi si teneva in villa un mafioso, che io non ero uno stalliere, ma un guardaspalle della mafia. Ciò poteva offuscare l'immagine del Dottore. Ne parlai con Dell'Utri, che mi mandò da Confalonieri: “Dottore -gli dissi- è meglio che io torni a Palermo. Lei avrà visto i giornali. E poi Milano non fa per me, le ragazze sono palliducce, meglio il sole della Sicilia...”. Ma Confalonieri mi rispose: “Lei se ne fotta dei giornali, resti qui, se ci lascia Silvio si rimane male”. Io ringraziai per l'affetto, ma me ne andai». Sicuramente -dice Gozzo- nel 1976.
    Perché Dell'Utri nega l'evidenza e parla di «pochi mesi»? Perché - spiega il pm - vuole distanziare nettamente l'allontanamento di Mangano dal proprio. Che invece è quasi contemporaneo. Come già nel '65, anche nel '77 Dell'Utri lascia Berlusconi.
    E tutt'altro che spontaneamente. Perché? Secondo l'accusa, Silvio non è contento di lui. Il prezzo pagato per la protezione mafiosa si fa sempre più alto, tant'è che nel frattempo le minacce sono continuate: il sequestro D'Angerio, i pericoli per il giovane Piersilvio (trasferito per un po' col resto della famiglia in Spagna), l'attentato in via Rovani, gli strani furti di quadri nella villa, un viavai di personaggi equivoci (secondo alcuni pentiti, si tratta di mafiosi latitanti che Mangano ospita a casa Berlusconi). Cosa Nostra pretende di più e non s'accontenta nemmeno dei versamenti che periodicamente il gruppo del Biscione comincia a farle, tramite Dell'Utri e Cinà. Berlusconi è sceso a patti, ma non vuole perdere il controllo. Dell'Utri gli chiede una promozione per un ruolo dirigenziale nel gruppo, come l'altro segretario, Confalonieri. Ma Silvio glielo nega: «Non sei in grado di dirigere un'azienda». In pratica, lo liquida. Siamo alla fine del 1976 e non, come giura Dell'Utri, nel 1977-'78. Ecco un altro buco nero. «Marcello - racconterà Cinà - si prese un anno sabbatico, voleva andare a studiare teologia in Spagna, pensava persino di farsi prete». Poi trova una vocazione migliore, in un altro gruppo immobiliare in odor di mafia: quello del costruttore e finanziere siciliano Filippo Alberto Rapisarda, amico di Vito Ciancimino e di altri mafiosi doc, numero tre dell'edilizia in Italia. Questo, nel 1978, lo mette a capo della Bresciano Costruzioni, che però sotto la sua guida ben presto fallisce. Bancarotta fraudolenta. Aveva ragione Silvio: «Non sei in grado...». Fallisce anche il resto della holding. Rapisarda fugge all'estero e Dell'Utri va ad abitare nel suo appartamento-ufficio milanese di via Chiaravalle, fino al 1983. Ma se la passa male, talmente male da non riuscire nemmeno a pagargli l'affitto.
    Non è vero, dunque, che sia Dell'Utri a fondare Publitalia nel 1980. È Giancarlo Foscale, cugino del Cavaliere. Marcello arriva solo nel 1983, ma subito dalla porta principale: amministratore delegato e poi presidente. Strano, osserva Gozzo: sei anni prima Berlusconi lo riteneva incapace di dirigere alcunché, e i fatti (crac Bresciano) gli avevano dato ragione. Ha forse ricevuto una proposta che non può rifiutare? Per rispondere, bisogna scavare nel «buco nero» che va dal 1977 al 1983. Che fa il dottor Silvio in quei sei anni? Di tutto e di più. Completa la costruzione di Milano2 e lancia il canale televisivo via cavo Telemilano, che presto diventerà Canale 5. Nel 1978 diventa Cavaliere del Lavoro e aderisce alla loggia P2 di Licio Gelli, che ha stretti rapporti con Totò Riina e Flavio Carboni. In società con quest'ultimo, avvia l'operazione Sardegna. I terreni della mega-speculazione edilizia («Olbia2») li acquista Carboni e poi li passa a 12 società, suddivise al 33% fra il gruppo Berlusconi, gli uomini del boss Pippo Calò e lo stesso Carboni. Intanto, nelle holding Italiana 1,2,3,4 (fino alla 37) che controllano la Fininvest cominciano ad affluire enormi capitali di provenienza ignota e molto sospetta (mafiosa, secondo alcuni pentiti ritenuti attendibili dalla Procura di Palermo), anche perché in parte arrivano in contanti. Nel 1981 Cosa Nostra cambia vertici: al termine della sanguinosa guerra di mafia, prendono il potere i corleonesi di Riina e Provenzano, dopo aver sterminato Bontate, Teresi, Inzerillo, Calderone e tutti gli altri. Subito la mafia si «rifà sotto» con nuove richieste di denaro a Berlusconi tramite la famiglia Pullarà: «Volevano tirargli il radicone» (cioè spennarlo, lasciarlo in mutande), dirà con linguaggio colorito il pentito Angelo Siino. In carcere, intanto, membri della famiglia Pullarà si scontrano duramente con Mangano (arrestato per mafia e droga nel 1983 da Falcone e Borsellino) proprio per avere l'esclusiva nel rapporto col Biscione.
    Nel 1983 Dell'Utri rientra trionfalmente nel gruppo Fininvest. Diventandone, dalla tolda di Publitalia, il numero tre: subito sotto Berlusconi e Confalonieri. E la storia ricomincia. «Cinà - spiega Gozzo - si fa portavoce presso Riina delle lamentele di Dell'Utri sulle nuove pretese dei Pullarà. A quel punto i nuovi vertici di Cosa Nostra rimodulano i rapporti con Arcore. Riina decide di gestirli personalmente, tramite Cinà e senza più i Pullarà, attirato dagli interessi televisivi del Cavaliere e dalla sua amicizia con Craxi, a cui Cosa nostra comincia a guardare con favore per dare una lezione ai vecchi referenti democristiani». Tra Palermo e Arcore, insomma, torna a regnare la pace.
    Tutto esattamente come prima. Compresi i momenti di crisi (come il secondo attentato del 1986 in via Rovani e gli incendi agli ipermercati Standa di Catania nei primi anni 90), prontamente risolti da Dell'Utri. «È un fatto – osserva il pm Gozzo - che negli anni 90 ritroviamo Dell'Utri in rapporti intimi con gli stessi personaggi- chiave dei primi anni 70: Mangano, Cinà, Rapisarda».
    Anche nel 1993-'94. Anche dopo la nascita della sua ultima creatura: Forza Italia.

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    Dell’Utri; per il pm "ha messo Berlusconi in mano ai boss"
    Scontro su una cena ad Arcore con il Cavaliere e Mangano
    I magistrati:
    "Confalonieri ha mentito". La replica:
    "Non è vero"


    PALERMO - Protagonista del tentativo di rendere la Fininvest "amica" di Cosa Nostra. L'uomo che, tra il 1974 e il 1976 "ha messo" Silvio Berlusconi "in mano" ai boss mafiosi. E' la descrizione che di Marcello Dell'Utri ha fatto oggi a Palermo il pubblico ministero Domenico Gozzo nella sua requisitoria al processo nel quale il senatore di Forza Italia è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

    "C'è stato il tentativo - ha detto Gozzo - di fare diventare la Fininvest un'impresa amica dell'associazione mafiosa, ma Berlusconi non lo sapeva, mentre Dell'Utri sì".
    Poi, ha ripercorso gli anni "delle minacce subite dalla famiglia di Silvio Berlusconi", e ha letto in aula le dichiarazioni rese nell'87 dal finanziere Alberto Rapisarda alla Procura di Milano: dopo averlo definito "un personaggio da prendere con le pinze", Gozzo ha ricordato che egli "aveva detto che Dell'Utri si era dovuto interessare per fare terminare le minacce a carico di Berlusconi" e che queste dichiarazioni sono state confermate in un interrogatorio del '96 dallo stesso Dell'Utri.

    Così, prendendo in prestito un detto siciliano, Gozzo ha sottolineato che "Dell'Utri è un soggetto che tiene il piede in due scarpe", e ha portato a supporto anche le dichiarazioni rese da Salvatore Cucuzza, considerato "altamente attendibile anche dalla Cassazione".

    "Cucuzza - ha spiegato - dice che i tramite di Dell'Utri erano Cinà (Gaetano, coimputato del senatore, ndr.), Mimmo Teresi (boss mafioso, ndr.) e Vittorio Mangano".
    Il famoso stalliere della villa di Berlusconi ad Arcore, che secondo Cucuzza sarebbe stato assunto dall'attuale premier "perché era preoccupato dei pericoli nei confronti della sua famiglia". Insomma, il mafioso Mangano sarebbe stato "un paravento, che faceva il fattore, ma che in realtà si doveva interessare di altro".

    Nella requisitoria il pubblico ministero si è poi soffermato sul tentativo di sequestro del principe Dangerio, effettuato nel '74 nei pressi della villa di Arcore. Secondo Gozzo, Dangerio aveva partecipato a una cena a casa di Silvio Berlusconi, alla quale erano intervenuti il nobile, Fedele Confalonieri e appunto Vittorio Mangano. E proprio sulla partecipazione alla cena da parte di Mangano l'accusa ha sostenuto che il presidente di Mediaset avrebbe mentito, dicendo a suo tempo che lo stalliere non era presente:
    "Ci dobbiamo chiedere il perché di questa menzogna - ha detto Gozzo - e perché nell'immaginario di Confalonieri la presenza a tavola di Vittorio Mangano e di sua moglie era pregiudizievole per Silvio Berlusconi e per Marcello Dell'Utri".

    Su quest'ultimo episodio scatta quasi immediata la reazione dello stesso Confalonieri, che dice di "ritenersi offeso dall'arbitraria ed indimostrata affermazione del pm, che considero frutto di pura foga accusatoria". Al contrario, il presidente di Mediaset insiste nel dire che fra i partecipanti a quella cena nella villa di Arcore Vittorio Mangano non c'era, e che se Gozzo sostiene che lui ha mentito "allora io dico che a mentire è lui, e mi riservo ogni azione a tutela della mia onorabilità".

    (19 aprile 2004)

  8. #8
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    Visto che nessuno risponde ... è opportuno utilizzare il presente 3D alla maniera ...

    "Dell'Utri ... on line ... tuttomafia ... minuto per minuto"

    Al cantar l'uccello ...

    B.

  9. #9
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    dal Giornale di Sicilia di oggi ... 19/04/2004

    Dell'Utri, afferma che
    Berlusconi sarebbe stato costretto
    ad avere contatti con i mafiosi.


    Al cantar l'uccello ...

    B.

  10. #10
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    In Origine Postato da Barbanera
    dal Giornale di Sicilia di oggi ... 19/04/2004

    Dell'Utri, afferma che
    Berlusconi sarebbe stato costretto
    ad avere contatti con i mafiosi.


    Al cantar l'uccello ...

    B.
    Come TUTTI.
    Quanti ne conosci, tu, che possano desiderare di prendere SPONTANEAMENTE contatto con la mafia?

    Che l'ammettano, allora.
    E che si tolgano dalle balle....

 

 
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