Sembra che rinascano i problemi di convivenza etnica nei Balcani....
18.03.2004
Kosovo, 31 morti: a fuoco chiese e moschee
di Marina Mastroluca
Una violenza sistematica, che divora con il fuoco le ultime tracce di convivenza in Kosovo. Bruciano le case dei civili, costretti alla fuga, almeno un centinaio di serbi sono stati evacuati dalla cittadina di Obilic e dai villaggi nei dintorni di Pristina. Bruciano le chiese e i monasteri secolari, almeno 14 in una notte e in un giorno di terrore. A sera, l’ultimo bilancio parla di 31 morti e 500 feriti da quando è divampata questa nuova stagione di orrori. Ma è una stima lontana dall’essere definitiva. Il portavoce dell’Onu a Pristina Malcolm Ashby si aspetta notizie peggiori, non tutte le località teatro delle violenze sono state raggiunte.
Le notizie che arrivano dal Kosovo risvegliano in Serbia rancori secolari. Nella notte vengono destate due moschee e un centro di cultura islamica a Belgrado, a Novi Sad e Nis, dove una folla grida slogan feroci: «Tagliamogli la gola». Il premier serbo condanna gli incidenti in patria, promette di riparare ai danni provocati dagli estremisti. Ma richiama l’Onu e la Nato alle loro responsabilità e chiede la convocazione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. «C’è un tentativo di pogrom», dice Vojislav Kostunica, mentre accusa gli albanesi del Kosovo di terrorismo.
La febbre di Mitrovica nel corso della notte ha contagiato l’intera regione. A Urosevac la Kfor è dovuta intervenire per portare in salvo tre serbi, accerchiati da una folla di kosovari albanesi che ha poi appiccato il fuoco alle loro case. Il vecchio convento di Djakovica, dove quattro anziane suore vivevano in una clausura forzata dall’ostilità, è stato devastato, le religiose tratte in salvo in extremis dai parà della Folgore. A Mitrovica una chiesa è stata data alle fiamme, a Lipljan sono state lanciate granate contro un edificio religioso. Vitine, Prizren, Caglavica, ovunque i militari della Kfor si sono trovati davanti una folla ostile, a stento tenuta a bada con gas lacrimogeni e tiri d’avvertimento. A Gnjilane tre civili serbi sono stati battuti a morte. Con un drammatico appello rilanciato da radio B92, la popolazione serba di Obilic ha chiesto armi per potersi difendere da sola.
Il quartier generale della Nato ha autorizzato ad usare le maniere forti se necessario, ma nella polveriera che ancora oggi è il Kosovo una raffica di mitra rischia di moltiplicarsi all’infinito. Già 35 sono i soldati del contingente internazionale rimasti feriti negli scontri, mentre sono state date alle fiamme anche le auto con le insegne dell’Onu e ieri sera una folla ha circondato la sede dell’Unmik, la missione delle Nazioni Unite a Pristina. Un’azione così precisa, così sistematica da far pensare che sia stata pianificata. Dal quartier generale dell’Alleanza Atlantica l’ammiraglio Gregory Johnson avanza il sospetto che non sia una fiammata spontanea.
Che si tratti di violenze pianificate ne è convinto il premier serbo Vojislav Kostunica, che critica Onu e Nato per non aver saputo garantire la sicurezza, ma offre la propria collaborazione. Lungo la frontiera interna con il Kosovo l’allerta è massima, Belgrado teme che l’incendio possa contagiare anche la valle di Presevo, dove vive una comunità albanese. La Serbia offre propri militari per riportare la calma nella regione, un’offerta che difficilmente verrà accettata, e rilancia la proposta di una divisione del Kosovo in cantoni.
Belgrado usa toni moderati mentre allerta i riservisti, proclama il primato della politica sulla forza delle armi, persino il leader dell’ultranazionalista partito radicale Tomislav Nikolic, che durante la campagna elettorale delle ultime politiche rivendicava il diritto a riprendersi il Kosovo, ieri ha condannato l’assalto alle moschee. «Questa non è una guerra di religione, è un attacco terroristico», ha detto Nikolic. Belgrado proclama il suo 11 settembre, il giorno in cui la violenza albanese ha gettato la maschera: «Non vogliono più solo l’indipendenza, vogliono la pulizia ernica». In serata il patriarca Pavle celebra una messa solenne per le vittime di queste ore. «La società multietnica è morta», dichiara il ministro serbo-montenegrino per i diritti umani, Rasim Ljajic.
Riuniti nel parlamento di Pristina i tre partiti kosovari albanesi sono concordi nel dichiarare che l’unica via d’uscita dalle violenze è l’indipendenza, mentre almeno tremila manifestanti circondano il quartier generale delle Nazioni Unite rivendicando maggiori poteri. Il paesaggio che si allarga tutto intorno richiama un clima da guerra. Chiuso l’aeroporto, bloccate le frontiere con la Macedonia, massima allerta su quelle albanesi. La strada che da Pristina porta a Mitrovica è un groviglio di check point. Nebojsa Covic, responsabile del governo serbo per il dossier Kosovo, rivendica a Mitrovica il diritto all’autodifesa. «Se la comunità internazionale non è in grado di proteggere i serbi allora che lo faccia chi sa e può farlo. Questa potrebbe essere la battaglia definitiva per la sopravvivenza dei serbi in Kosovo».
Ma quello che mi chiedo è perché questo articolo dell'unità tiene questo tono, come se questo episodio di 31 morti e 200 feriti sia solo il coronamento di una serie di altre situazioni.... mentre, da che io mi ricordi, nessun giornale ha riportato notizie sul Kosovo o sui Balcani da quando è stato ucciso Djindjic.... Perché i giornali devono tenere questi toni, direi io, come saltare subito alle conclusioni.... o ci sono stati molti episodi simili prima e non sono stati riportati, e allora mi dovrebbero spiegare perché, oppure è esagerato dire che questo clima di scontro da 31 morti e 200 feriti c'è sempre stato....