Famiglie palestinesi cacciate da Gerusalemme est, centinaia e centinaia di case per i coloni a sud di Nablus
MICHELE GIORGIO - GERUSALEMME
«L'evacuazione dei palestinesi da quella casa è una cosa meravigliosa». Il parlamentare, ex ministro e rabbino Beny Elon, uno dei massimi leader dei partiti di estrema destra uniti «Unione Nazionale-Yisrael Beiteinu», il 23 aprile non riusciva a contenere la gioia osservando dall'alto le ultime abitazioni palestinesi «conquistate» dalla sua «Fondazione Homot Shalem», in guerra per il controllo israeliano di Sheikh Yarrah, quartiere residenziale nella zona araba di Gerusalemme. Ore prima, nella notte, la polizia aveva espulso diverse famiglie palestinesi da case di «proprietà ebraica», ha sottolineato Elon. A nulla sono valsi i documenti di proprietà e di affitto, del periodo Ottomano, mostrati dai palestinesi. I giudici israeliani hanno dato ragione alla «Homot Shalem» che ha «ricomprato» proprietà in apparenza acquistate 120 anni fa dalla comunità ebrea sefardita di Gerusalemme e che, dopo il 1948, avevano occupato sfollati palestinesi. «Erano case nostre, e sono tornate nelle nostre mani. I palestinesi le avevano occupate e adesso è stata fatta giustizia» ha spiegato Elon, che da anni è impegnato a dare sostegno politico e morale alla «Homot Shalem», la società immobiliare usata dai coloni israeliani per occupare case nella Gerusalemme araba. E le tante case palestinesi a Gerusalemme ovest - alcune oggi hanno valore di mercato superiore al milione di dollari - date agli immigrati ebrei giunti in Israele dopo il 1948? E Beny Elon non manca neanche di commettere «gaffe» imperdonabili. «Se Hitler avesse "trasferito" sei milioni di ebrei (in Palestina, ndr) oggi Israele sembrerebbe diverso» ha dichiarato al quotidiano Yediot Aharonot offendendo la memoria delle vittime dell'Olocausto, come hanno notato in molti. Eppure il movimento dei coloni, motore dell'occupazione israeliana di Cisgiordania e Gaza, cresce, si rafforza, grazie al sostegno di un governo che si dice di unità nazionale ma che attua la linea della destra israeliana più oltranzista, che vive del mito della biblica «Terra di Israele» che da 35 anni è l'ostacolo principale ad una soluzione negoziata e fondata sulle risoluzioni internazionali del conflitto israelo-palestinese. Il 24 aprile accanto alle dichiarazioni di Elon, sul Yediot Aharonot si potevano leggere altre allarmanti notizie su come il governo Sharon-Peres porterà avanti la sua guerra ai palestinesi: non solo carri armati ed elicotteri «Apache» ma anche ancora più case per i coloni. Per mettere fine, per sempre, alla creazione di uno Stato palestinese sovrano. Un articolo di Ofer Petersburg ha riferito che sta per concretizzarsi un importante progetto di colonizzazione israeliana in Cisgiordania. Tra gli insediamenti di Elkana e Shaavei Tikva, a sud ovest di Nablus, su 40 ettari di terra, sorgeranno 350 appartamenti di lusso e un numero imprecisato di ville e costruzioni private. Un progetto che verrà realizzato in due fasi, grazie alla collaborazione tra l'«Autorità per la terra di Israele» e dell'ufficio competente per le proprietà del governo - eppure la Cisgiordania non è territorio dello Stato di Israele. Le prime ville saranno realizzate e vendute entro un anno. Un progetto «edilizio» che i coloni hanno accolto con un applauso. Per Marcel Ganz, presidente amministrativo di Elkana (3500 abitanti, costruita nel 1977), in un periodo così delicato, le nuove costruzioni «sono la migliore e più forte risposta sionista alla campagna di violenza del terrorismo palestinese». E il premier Sharon si è preoccupato di ribadire che non verrà evacuato alcun insediamento ebraico nei Territori Occupati perché le evacuazioni incoraggerebbero il «terrorismo»: «Il destino di Netzarim (a Gaza, ndr) è simile a quello di Negba e Yad Mordechai (in Israele, ndr)» ha affermato con tono perentorio. E Gerusalemme est è senza dubbio parte di questo disegno. «Siamo profughi del 1948, veniamo dal villaggio di Sarafand, dove oggi c'è la base militare di Tsrifin» ci ha detto Abdel Fattah Jawi, componente di una delle famiglie evacuate con la forza il 22 aprile per assecondare i progetti di Beny Elon. «Sono nato, nel 1952, in questa casa che vogliono prenderci e che dicono che non ci appartiene». «Alcuni di noi - è intervenuto Fayez, un altro degli espulsi - possedevano case a Talbieh e Katamon (nella zona ovest, ebraica, di Gerusalemme, ndr) e le vogliamo indietro. Se Beny Elon vuole queste case di Sheikh Jarrah faccia pure, ma prima ci restituisca le nostre abitazioni che Israele ha preso nel 1948».
il manifesto 28 aprile 2002
http://www.ilmanifesto.it