LETTERA DAL NORD. PARLANO QUELLI CHE DAVANO LA CACCIA AI DEMOCRISTIANI LADRONI
Ingordi banchettavan gli sciacalli del regime
Poi la Fininvest ritirò le querele alla Padania
I rivoluzionari verdi raccontano la rivoluzione tradita: «La Lega non è morta ma è in coma profondo»
Treviglio. Una sera di diciassette anni fa, a Treviglio, Leonardo Facco era in giro con tre amici, gli stessi con cui aveva messo su una band new wave dal nome "Frend", una storpiatura dell'inglese friends. Pioveva, e così i quattro ripararono nel centro civico culturale. Nella saletta c'era un incontro pubblico e le sedie occupate erano solo sei, tutti anziani. Con i "Frend" la platea quasi raddoppiò. Il signore che parlava era un tizio sui quaranta. Da qualche tempo girava clandestinamente la Lombardia per spiegare quattro parole d'ordine: basta Roma ladrona; basta tasse; più mercato meno Stato; federalismo o secessione; morte alla partitocrazia. Il tizio era Umberto Bossi e quella sera Leo Facco, musicista, anticomunista e libertario nel senso americano del termine, scoprì di avere trovato il suo partito, lui che aveva deciso di non andare mai a votare. Oggi Facco ha trentotto anni e si dichiara «il peggiore nemico della Lega perché la Lega rappresenta il peggio della Prima Repubblica». Facco vive a Treviglio, ventiseimila abitanti in provincia di Bergamo, ed è un giornalista che fa anche l'editore. Con la Leonardo Facco Editore ha fatto conoscere il giovanissimo pupillo di Sergio Ricossa, Alberto Mingardi, e pubblica Enclave rivista libertaria. Nel suo catalogo c'è un libretto che si intitola Elefanti al guinzaglio e in cui si dimostra, «dati alla mano, che solo privatizzando il regno animale, facendolo fruttare, trasformandolo in una risorsa, si può evitarne l'estinzione. Come è accaduto con gli elefanti dello Zimbabwe. Del resto, vi siete mai chiesti perché le galline non si sono estinte a differenza, ad esempio, dei bufali americani?». Il libertarianism di Facco ha una verità o una ricetta per tutto, e sempre con un marchio d'autore. Per esempio, il libro Elettrosmog/Un'emergenza creata ad arte ha la presentazione di Umberto Veronesi, ministro della Sanità nell'ultimo governo di Giuliano Amato. Oppure c'è Pensioni: un affare privato con la prefazione dell'economista Antonio Martino, oggi ministro della Difesa, in cui si ricorda che «il migliore esempio per rivoluzionare le pensioni arriva dal Cile dove, nel lontano 1980, Josè Pinera, ministro del governo presieduto dal generale Augusto Pinochet, portò a termine una riforma epocale».
Uguali agli altri
Come giornalista, Facco ha la presunzione di dire che sono «pochi i colleghi ad aver capito la Lega», ma solo perché quasi nessuno «ha vissuto sul territorio e si è messo a girare veramente per le sezioni, per i bar, per i paesi dell'arco pedemontano», arco che comprende Varese, Como, Brescia, Bergamo e Treviso e «dove oggi la Lega va sparendo; persino in Valle Seriana, nell'indomita Bergamasca, ha subito una cocente sconfitta». Guai però a sentenziare che la Lega sia morta. «Semmai è in coma profondo. Dal 1994 tutti hanno cominciato a dire, persino Vittorio Feltri, che la Lega fosse morta e invece i becchini rimanevano immancabilmente a bocca asciutta. Questo giochetto aiutava Bossi perché poi faceva il pieno di voti. No, la Lega non è morta, morirà quando finirà Bossi, anche se già oggi il livello di scannamento interno è impressionante». In coma profondo, sostiene Facco, «la Lega ci è finita perché è diventata un partito di potere. Un tempo la gente bussava alle sezioni della Lega perché trovava un difensore civico. Oggi Bossi lottizza come i socialisti, sta sempre a Roma, è diventato innocuo e non conta nulla. Così gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori che lavorano dodici ore al giorno, e lavorano nonostante lo Stato, scelgono direttamente Forza Italia, perché la vedono come una Lega in giacca e cravatta, oppure non votano più perché sono rimasti delusi e pensano "iè istess di öter", sono uguali agli altri». Facco stracciò la tessera della Lega nel 1996. «Capii che Bossi non aveva un progetto politico, ma aveva in testa solo il potere personale, basta vedere tutte le giravolte che ha fatto. Assistevo poi alle porcherie che in tanti facevano per candidarsi alla ricerca di uno sgabello. Attenzione, ritengo legittimo tutto questo, io non voglio forgiare l'uomo nuovo. Solo che non mi andava di essere preso per il culo».
Sillogismo canaglia
Nel 1993 Facco si candidò al Consiglio comunale di Treviglio e venne eletto con 130 voti nella lista della Lega. Erano i tempi in cui i leghisti organizzavano la caccia ai democristiani ladroni. Facco aveva però un amico dc che gli disse: «Guarda che questi (i leghisti, ndr) saranno la stessa cosa di quello che noi siamo oggi». La profezia si avverò quasi subito, come raccontano Ciro Paglia e Gennaro Sangiuliano nel loro Il Paradiso/Viaggio nel profondo Nord: nel giro di un anno, il 1993, Bossi cambiò due volte idea sulla Dc. Prima disse che era un partito di canaglie, poi una sera in pizzeria, a Varese, gonfiò il petto e proclamò: «Siamo noi la nuova Dc». Dimenticando però in seguito di completare il sillogismo.
Il fosso da saltare
Sostiene ancora Facco che la democristianizzazione di Bossi non spiega del tutto il coma profondo della Lega. «La Lega doveva essere un movimento rivoluzionario e liberista. Invece è diventata autarchica e protezionista senza capire che i piccoli imprenditori devono dire grazie alla globalizzazione». E la rivoluzione? «Tra il 1992 e il 1997 bisognava saltare il fosso. Conosco industriali anche importanti che erano pronti a sostenere questo passo. Lo strappo era possibile». Un'occasione propizia per fare la rivoluzione fu quando migliaia di leghisti si radunarono davanti al carcere di Modena, dove erano rinchiusi i Serenissimi protagonisti dell'assalto al Campanile di San Marco. Paolo Zanoni quel giorno era lì come camicia verde della Guardia nazionale padana: «I carabinieri ci chiesero aiuto per mantenere l'ordine pubblico. Roma non era in grado di fermarci, Roma vacillava. In quei lunghissimi momenti sarebbe bastato lasciar passare la gente, lasciare che si scagliasse con tutta la furia e la rabbia che aveva dentro contro quelle divise». Ma Bossi diede l'ordine alla Gnp di non far passare nessuno. Dice Facco: «Bossi non ha avuto i coglioni per fare la rivoluzione».
Fininvest padana
Nell'autunno del 1996 Gianluca Marchi era un giornalista disoccupato quando gli arrivò una telefonata per conto di Bossi. Dalla Lega avevano pensato a lui come il direttore di un quotidiano di commenti e opinioni, che non fosse necessariamente di partito. Dopo averci pensato a lungo, Marchi scrisse una lettera in cui spiegò che non era l'uomo adatto per quel progetto, che avrebbe potuto fare invece un giornale sul modello dell'Unità. La Lega cambiò idea e accettò il suggerimento di Marchi. Nacque la Padania. Il primo numero uscì l'otto gennaio 1997: ottantamila copie tirate ed esaurite già alle otto di mattina. Racconta Marchi: «Il progetto decollò solo grazie al know-how che ci mise a disposizione la Fininvest, grazie ad Aldo Brancher, oggi forzista di ferro. I migliori uomini di Berlusconi in fatto di media aiutarono la Padania a uscire». Eppure un anno prima, nel 1996, il Polo aveva perso le elezioni politiche perché la Lega se ne era andata per conto suo. Con Marchi direttore, la Padania fece poi la famosa campagna su Berlusconi mafioso e che causò in tutto 14 querele: 12 della Fininvest, una di Marcello Dell'Utri, una di Fedele Confalonieri. Le querele sono state poi ritirate in base all'accordo elettorale tra Berlusconi e Bossi alle ultime politiche. Marchi ricorda anche che allora la fortuna della Lega era quella di essere un partito monotematico: «Quando si parlava di pena di morte, c'era gente che scriveva dicendo: "Non dividetevi su questo, pensiamo al federalismo"». Per questo motivo fu creato il Parlamento padano: una volta realizzato il sogno autonomista ognuno sarebbe potuto tornare ai partiti di origine. Alle elezioni con le urne nei gazebo si presentò anche il Partito comunista padano, capeggiato da Matteo Salvini, oggi direttore di Radio Padania.
La Camisa Verda
Una volta sulla Padania c'era anche la voce del militante, in genere un corsivo in prima pagina firmato Camisa Verda. La Camisa Verda era Max Gnocchi. Max era un leghista duro e puro che quando ritornò dal viaggio di nozze scrisse nella sua rubrica: «Sceso dalla scaletta dell'aereo che mi riportava a casa, dopo poche ore sono quindi corso al congresso straordinario, per respirare aria di Lega dopo l'astinenza». Max ha 32 anni, abita a Gallarate e lavora nella pasticceria di famiglia dove si fanno degli amaretti morbidissimi che vengono venduti anche a New York, in uno degli store di Dean&De Luca. A Gallarate ha fatto il consigliere comunale per la Lega, ma oggi Max si è iscritto all'Udc «a causa del triplogiochismo di Bossi». Il suo sogno è quello di fare il leghista nell'Udc.
Il banchetto degli sciacalli
Dall'Inno della Lega Lombarda: «Ingordi banchettavan gli sciacalli/ sulle coscienze sporche del regime,/ ma quando maggio rinverdì le valli/ dal lungo sonno si svegliò il guerriero/ e tese la sua spada verso il cielo/ lo riconobbe il popolo lombardo/ che s'affrettò all'altare di Pontida».
Da "Il Riformista"