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    Predefinito In risposta ad un quesito gnostico sulla perpetua verginità di Maria

    Cari Pier ed Ale,
    mi permetto, in punta di piedi, di aprire nel Vostro Forum, un thread per rispondere alle obiezioni sollevate dagli Gnostici nel loro riguardo alla perpetua verginità di Maria.
    So bene che su di me pesa il bando di postare qualsiasi cosa. Tuttavia io penso che, al di là delle divisioni ideologiche che ci dividono, abbiano molti elementi in comune: a cominciare dai principali dogmi della fede cristiana, che sono patrimonio comune di entrambi. Orbene, in nome di questo comune humus, in silenzio e timidamente, mi permetto di postare qualcosa su questo forum. Spero che almeno questa volta mi sia consentito.
    Orbene, Ichthys, in un suo post (http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=65751), risponde ad alcune verità cattoliche espresse dalla forumista ^asceta^ (alla quale tra l’altro, con l’occasione, porgo gli auguri di Buon Anno nel Signore).
    In primo luogo, si obietta che a Maria non spetterebbe alcuna forma di culto, essendo questo esclusivamente riservato a Dio. In secondo luogo, si contesta più nello specifico il dogma della perpetua verginità della Madre di Dio.
    Quanto alla prima obiezione, bisogna distinguere il culto di latria (adorazione) che spetta esclusivamente a Dio dal culto di dulìa (venerazione) o, meglio, iperdulìa (che spetta a Maria). La differenza non è di poco conto, dal momento che la Chiesa, ieri come oggi, ha sempre riconosciuto un ruolo di mediazione e, dunque, ha tributato a Lei una grande venerazione che non è affatto adorazione.
    Ma comunque non è questo il tema su cui mi voglio soffermare. Il mio interesse è appuntato sul secondo punto.
    Scrive Ichthys, in particolare, che sarebbe falso il dogma della perpetua verginità di Maria, in quanto, a suo dire, «In ebraico ah vuol dire solo fratello, come ah in arabo, ahu in assiro babilonese. Cugino è ben dod. Come mai, allora, si sarebbe utilizzato un termine dubbio per un concetto così delicato? E poi l'ebraico che c'entra? La lingua di riferimento dei Vangeli è il greco. Il testo dice: outos estin o tekton, o yios tes Maria kai adelfos Iakobou kai Iosetos kai Iouda kai Simonos? kai ouk eisin ai adelfai autou ode pros emas? E troviamo adelfos che vuol dire solo "fratello" e adelfe che vuol dire solo "sorella". La radice del termine è la stessa di delfus che vuol dire "utero", "vulva" e quindi adelfos indica inequivocabilmente un essere che proviene dalla stessa genitrice, anzi, addirittura il grado di parentela è espresso in maniera così stretta da significare, ad es. nell'uso che ne fa Eschilo del termine, "gemello"».
    Le argomentazioni filologiche proposte sembrerebbero accattivanti. Ma solo in apparenza.
    Prima di entrare però in disquisizioni terminologiche, permettetemi una premessa di carattere generale.
    Il tema dei “fratelli” e delle “sorelle” di Gesù è assai risalente nella Chiesa e che è stato, in special modo durante l’epoca protestante, uno dei “cavalli di battaglia” del veleno riformatore (e di ex cattolici come Loisy, Koch, Buonaiuti, Turmel) avverso la sana dottrina cristiana. Ancora oggi, molti protestanti sostengono ciò e da ultimo la setta dei testimoni di geova ne è convinta assertrice. La Chiesa, da parte sua, ha appellato la Madre di Dio con il nome di “Vergine” o “sempre Vergine”, intendendo con ciò che Maria ha persistito nell’integrità della verginità sempre, vale a dire prima del parto, nel parto e dopo il parto, in perpetuo (cfr. Paolo IV, Cost. Cum quorundam hominum, 7 agosto 1555).
    Tale convinzione della Chiesa si basava, oltre che sui testi evangelici, anche sulla testimonianza dei primi Padri della Chiesa, tra i quali grande rilievo riveste quanto riferito da Egesippo, un antico Padre, la cui opera è registrata da Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica.
    Veniamo adesso alle questioni terminologiche.
    L’argomento più forte a favore della presunta non verginità di Maria sarebbe costituito dal termine greco adelphos, parola greca, utilizzata dagli evangelisti e da Paolo che, quando non significa “prossimo” o membro della stessa tribù ovvero, in senso traslato, componente di una comunità spirituale, di norma indica il fratello carnale, sia esso fratello in senso stretto sia anche il fratellastro. Non è dato rilevare, del resto, né presso gli scrittori classici, né tra i giudei dell’epoca che hanno scritto in greco né nel N.T. la parola “adelphos” nel significato di “cugino”. Se gli autori neotestamentari avessero voluto davvero intendere i cugini di Gesù si sarebbero serviti del termine “anepsios”, che si trova in Col 4, 10. Questa sembra a prima vista la spiegazione più semplice ed ovvia.
    Certamente “adelphos”, sotto il profilo linguistico, di regola significa fratello carnale in testi di ambiente veramente greco. Ma già qui troviamo delle eccezioni. Ad es., l’imperatore Marco Antonino chiama “adelphos” il padre di suo genero, Severo. Ed in una iscrizione greca del III sec. a. C., una donna sposata, chge era allo stesso tempo cugnina di suo marito, è chiamata “sua sorella e moglie”.
    Una studiosa, Orsolina Montevecchi, esperta papirologa, nel 1957, dichiarava che nei paesi ellenistici, e specialmente nel mondo orientale, il termine “adelphos” è un termine di così largo uso che, nei papiri, esso assume diversi significati, quale cugino, cognato, parente, marito (o moglie), oltre che fratello (sorella) in senso proprio.
    Ciò rientrava pienamente nel costume di chi, volendo manifestare a un parente più o meno prossimo la sua speciale simpatia o benevolenza, faceva ciò chiamandolo fratello e non cugino o nipote, secondo l’effettivo grado di parentela. Caligola, ad es., chiamava Tiberio, uno dei figli gemelli di Druso e di Livilla (zia di Caligola), “per discendenza cugino, per affetto fratello”.
    In testi semitici o di influenza semitica, è documentato un uso più ampio del termine “fratello”. Dato che in ebraico ed in aramaico mancava un termine appropriato per esprimere l’idea di cugino/a, non di rado si ricorreva alla parola fratello (in ebraico ‘āh; aramaico ‘ăhā’) o sorella (in ebraico ‘āhôt; aramaico ‘ăhātā’), per evitare complicate circonlocuzioni. Soltanto (e sottolineo soltanto) per i parenti del fratello del padrel’ebraico disponeva di termini più brevi, perché per indicare il fratello del padre esisteva la parola ebraica dôd; così il nipote per parte di padre poteva essere chiamato brevemente ben-dôd e la nipote bat- dôd. Non si hanno prove di derivati da questi termini. Per cui, per indicare il figlio/la figlia della sorella del padre era necessario ricorrere a più lunghe circolocuzioni. Queste poi erano assolutamente necessarie laddove si voleva parlare di parenti del fratello o della sorella della madre, dal momento che la lingua ebraica difettava di un termine adeguato per esprimere tale rapporto di parentela.
    Per evitare queste, allora è attestato nella stessa Scrittura, ed in special modo nell’Antico Testamento, un uso assai ampio della parola “fratello/sorella”. Ad es., in Gen 13, 8 Abramo chiama Lot, suo nipote, quale suo fratello (cfr. Gen 14,14; 14, 16); in Gen 24 ,48, Batuel, nipote di Abramo, è detto essere suo fratello; in Gen 29, 12, Giacobbe, nipote di Labano, si qualifica come fratello di questi; Gen 29, 15, Labano chiama Giacobbe, figlio di sua sorella, fratello; e gli esempi innumerevoli si potrebbero moltiplicare.
    Ora, in tutti questi testi, i LXX traducono con “adelphos”.
    Pertanto, gli scrittori neotestamentari, provenendo essi stessi da un ambiente semitico, senz’altro avranno usato il termine “fratello” in senso ampio, per indicare i cugini o parenti in grado più lontano di Gesù. D'altronde, dal N.T. emerge chiaramente che i "fratelli" del Signore, accanto agli apostoli, erano tenuti in grande considerazione e venerazione.
    E S. Giovanni Crisostomo aveva compreso che “fratello del Signore” era, nella prima comunità cristiana, un titolo onorifico per indicare i parenti di Gesù.
    Insomma, in conclusione, l’argomento filologico non autorizza a pensare, in alcuna maniera, che gli autori neotestamentari abbiano utilizzato il termine “fratello” nel senso che noi oggi attribuiamo all’espressione, bensì essi, come autori semitici, hanno senz’altro adoperato l’espressione sia in senso onorifico, che per designare parenti di un grado più lontano.
    Quindi, gli gnostici non possono legittimamente fondarsi sul termine indicato per escludere la perpetua verginità di Maria.
    Ora, il discorso si potrebbe allargare a quanto ritenuto dagli antichi Padri (ad es., il Crisostomo riteneva che Maria fosse la madre adottiva di Giacomo e di Ioses, in quanto figli di un precedente matrimonio di S. Giuseppe; qualcosa del genere, pare, sostenesse anche S. Gregorio Nisseno), ma usciremmo strettamente dal quesito a cui qui, da un mero punto di vista filologico, ho cercato di rispondere.
    Comunque, per chi volesse approfondire, raccomando vivamente l'ottimo ed insuperato studio di Josef Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Paideia, Brescia, 1974.
    Cordialmente

    Augustinus

  2. #2
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    Cari amici,

    Non stupisca il fatto che Augustinus posti qui da noi, dopo il bando che l'aveva colpito il 29 settembre dell'anno appena concluso.
    In questi mesi Augustinus si è comunque dimostrato, aldilà delle forti differenze teologiche ed ecclesiologiche che ci dividono ancor oggi, un forumista (e poi un moderatore) sensibile a molti aspetti della Fede cattolica.
    Ospitiamo quindi volentieri questo suo disinteressato intervento su tema spiccatamente mariologico e cattolico e lo ringraziamo cordialmente.

    Buona lettura!

    Guelfo Nero


  3. #3
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    REGINA SINE LABE ORIGINALI, ORA PRO NOBIS

  4. #4
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    Con tutto il rispetto personale che ho per Augustinus, che malgrado tutto è un interlocutore civile, questa promiscuità m'inquieta molto...

  5. #5
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    Gli argomenti proposti da Inchthys (http://www.politicaonline.net/forum/...378#post818378) sono già noti, in quanto più volte utilizzati dai protestanti (ed il libro di Miegge dell'edizione Claudiana ne è una riprova).
    Comunque consentitemi una replica puntuale per domenica, dal momento che gli impegni professionali mi impediscono di rispondere adeguatamente adesso.
    Cordialmente

    Augustinus

  6. #6
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    Per abbozzare, comunque, una prima e vaga risposta, mi permetto di postare un contributo della prof.ssa Marta Sordi, dell'Università Cattolica, proprio sulla scoperta di una fantomatica tomba di un certo Giacomo "fratello del Signore". L'articolo è stato pubblicato sulla rivista de Il Timone, n. 27 del 2003 e qui di seguito riprodotto.
    Vorrei comunque far rilevare come la scoperta o presunta tale, trattandosi verosimilmente di un falso, non sia stata subito confutata da parte cattolica, bensì anglicana, dal noto e famosissimo papirologo anglicano C. P. Thiede, famoso per aver avallato e dimostrato la correttezza della tesi del gesuita Padre O' Callagan, sulla datazione del famoso papiro di Qumran 7Q5. Sull'autorevolezza e l'onestà intellettuale di questa autore, sia pur di fede anglicana, non penso, si possa in alcun modo dubitare.
    Pertanto non appare congruo il riferimento ad un reportage della CNN, dal momento che si tratta di una "bufala" giornalistica (una tra le tante!!!!) che non potrà da noi essere presa in considerazione.
    Cordialmente

    Augustinus

    GIACOMO, IL FIGLIO DI UN CUGINO DI GESÙ
    di Marta Sordi

    Scoperto un ossario vecchio di duemila anni di un certo Giacomo. Un'iscrizione lo mette in parentela con Gesù. Ma non è il "fratello del Signore".

    • Il ritrovamento, tramite il mercato antiquario, di un ossario, proveniente da Gerusalemme o dintorni e databile fra il 20 e il 70 d.C., ha permesso ad A. Lemaire di portare alla conoscenza degli studiosi un'iscrizione aramaica che potrebbe essere di grande importanza per le origini del Cristianesimo: l'ossario, che è un parallelepipedo lievemente rastremato verso il basso, lungo alla base poco più di 50 cm e alla sommità 56 cm e largo 30,5 cm riguarda "Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù".

    L'autenticità dell'Iscrizione (non dell'ossario, che è autentico per tutti) è certa per il Lemaire, ma sospetta per il Thiede, proprio per l'eccessiva regolarità ed equidistanza delle lettere, che manca nelle epigrafi certamente autentiche degli altri ossari e, in particolare, di quello ben noto del sommo sacerdote Caifa.

    Autentica o no, l'iscrizione riguarda, per ambedue gli studiosi, l'apostolo Giacomo, detto anche dai Vangeli "fratello" di Gesù ed ucciso, secondo Flavio Giuseppe, nel 62.

    Per quel che riguarda la parentela con Gesù di questo Giacomo, il Lemaire, che pure ammette che i nomi di Giuseppe, Giacomo, Gesù erano molto diffusi nel 1° secolo d.C. in Giudea, "fa presenti tre possibilità: quella accolta dalle confessioni protestanti, secondo cui i fratelli e le sorelle di Gesù ricordati dal Vangeli (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, oltre a Salomé e a Maria) sarebbero figli di Maria e di Giuseppe e quindi veri fratelli naturali di Gesù; quella accolta dalla Chiesa ortodossa, e nota all'apocrifo Protovangelo di Giacomo, secondo cui Giacomo e gli altri sarebbero figli di un precedente matrimonio di Giuseppe e quindi fratellastri di Gesù; quella ammessa dalla Chiesa cattolica, secondo cui Giacomo e gli altri sarebbero stati cugini di Gesù (l'uso di fratello per cugino è ben attestato nel greco biblico e nei papiri), in quanto figli di un'altra Maria e di Clopa, fratello di Giuseppe.

    Se l'ossario di Giacomo riguardasse il Giacomo di cui parla il Vangelo, e che morì nel 62, le due prime possibilità sarebbero le due uniche esistenti e Giacomo sarebbe stato veramente fratello o fratellastro di Gesù, nato da un precedente matrimonio di Giuseppe.

    Non sono esperta di epigrafia e non posso entrare nella questione dell'autenticità dell'epigrafe: mi sembra però certo che essa non riguardi il Giacomo "fratello di Gesù" di cui Giuseppe Flavio (A. J. XX,1,9-199) ed Egesippo (apud Eusebio, H.E. II,23) riferiscono la morte nel 62.

    Questo Giacomo, infatti, che anche Paolo (Gal 1,19) chiama "fratello del Signore", era uno dei dodici Apostoli (Paolo dice che "degli Apostoli egli aveva visto nella sua visita a Gerusalemme, solo Cefa e Giacomo") e, nell'elenco dei dodici Apostoli (in Mt 10, 2sgg., Mc 3,16sgg, Lc 6,14sgg), ci sono due soli Giacomo, il figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, e il figlio di Alfeo: poiché Giacomo, fratello di Giovanni, fu ucciso da Erode Agrippa all'inizio del regno di Claudio (At 12,2), Giacomo "fratello" di Gesù ucciso nel 62 deve essere certamente il figlio di Alfeo.

    Egli era anche figlio di quella Maria, che i Sinottici ricordano presente sotto la croce, con Maria di Magdala e la madre dei figli di Zebedeo, indicandola appunto come " Maria madre di Giacomo e di Giuseppe" (Mt 27,56; Me 15,40, che presenta Giacomo come Giacomo minore, per distinguerlo dal figlio di Zebedeo, e 16,1; Lc 24,10) e che Giovanni indica invece come Maria di Cleofa (19,25).

    La possibilità che Cleofa (o Clopa) e Alfeo siano la stessa persona esiste: Alfeo, in greco con lo spirito aspro, potrebbe essere infatti la forma grecizzata di un nome aramaico con una forte aspirazione iniziale e le stesse consonanti.

    lo credo pertanto che, se l'iscrizione dell'ossario è autentica, essa non possa riferirsi a Giacomo figlio di Alfeo (o di Cleofa), ma ad un altro personaggio: la traduzione italiana, che rende perfettamente l'ambiguità presente, come mi è stato assicurato da esperti, anche nell'aramaico (in latino e in greco questa ambiguità non esisterebbe grazie alla diversa declinazione del nominativo e del genitivo), permette di individuare come "fratello" di Gesù sia Giacomo (in questo caso il greco direbbe adelphòs e il latino frater), sia Giuseppe (in questo caso il greco direbbe adelphou, il latino fratris) e noi sappiamo che Giuseppe era, insieme a Giacomo, Simone e Giuda, uno dei "fratelli" di Gesù (Mt 13, 55; Me 6,3).

    Il Giacomo dell'iscrizione non è dunque "il fratello" di Gesù, ma il figlio di un'altro dei "fratelli" di Gesù, Giuseppe, figlio a sua volta di quella Maria moglie di Cleofa che i Sinottici indicano appunto come madre di Giacomo e di Giuseppe.

    L'importanza dell'iscrizione, se è autentica, è nella cura che i parenti di Gesù ponevano nel ricordare il loro rapporto con Lui anche nella seconda generazione. In effetti noi sappiamo da Egesippo che i discendenti di Cleofa ebbero grande peso, fino agli inizi del II secolo, nella Chiesa di Gerusalemme: non sorprende pertanto che per un nipote di Cleofa si indicasse, nella sua iscrizione funeraria, che suo padre Giuseppe era parente di Gesù.

    Si è detto che questa era la prima testimonianza "materiale", cioè non letteraria, sull'esistenza storica di Gesù: essa partecipa, come capita spesso alle testimonianze "materiali", a carattere epigrafico o archeologico, come capita in particolare alle testimonianze "materiali" riguardanti le origini cristiane (penso alla Sindone, al titulus Crucis, al cosiddetto editto di Nazareth) al rischio delle contestazioni sull'autenticità o sull'interpretazione: a questo rischio, come si è visto dalle osservazioni del Thiede, neppure l'epigrafe dell'ossario di Giacomo si sottrae. Le fonti letterarie, non solo gli scritti del Nuovo Testamento, alla cui storicità io credo fermamente, ma anche le testimonianze pagane (di Tacito e di Mara Bar Sarapion) e giudaiche (di Giuseppe Flavio) ci forniscono in definitiva la certezza più sicura

    Bibliografia
    · Lemaire, Burial Box of James the brother of Jesus, Biblical Archaeology Review, nov-dic 2002, 26/70

    · C.P. Thiede, L’ ossario di Giacomo, in Avvenire, 12 dicembre 2002, Agorà

    · M. Sordi, Chi è davvero il Giacomo di quell’ urna ? In Avvenire, 13 dicembre 2002, Agorà-

    · I. Ramelli, I parenti terreni di Gesù, in corso di pubblicazione su Vetera Christianorum 2003.

  7. #7
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    Predefinito

    Ecco l'articolo del papirologo anglicano Carsten Peter Thiede comparso su Avvenire del 12 dicembre 2002:

    Cristo, un falso quell'urna
    di Carsten Peter Thiede



    Il noto papirologo Thiede interviene sulla scoperta dell'ossario con la scritta «Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù»

    Le scoperte archeologiche sul periodo della prima cristianità ci affascinano sempre. L'impressione mondiale suscitata dall'ossario (un'urna per ossa) di «Giacomo figlio di Giuseppe fratello di Gesù» potrebbe dimostrarsi essere, appunto, solo un'emozione. Alcuni commentatori hanno già affermato che si tratterebbe della più antica prova archeologica dell'esistenza di Gesù. Ma se anche l'ossario dovesse rivelarsi autentico, sarebbe, comunque, soltanto il secondo pezzo di prova. Il più antico, e di gran lunga, è il frammento del «Titulus», l'iscrizione collocata sulla croce di Cristo da Ponzio Pilato, il 7 aprile dell'anno 30. Il frammento è conservato nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (l'ex palazzo dell'imperatrice Elena, madre di Costantino il Grande), ed è stato autenticato da una mia ricerca recente («La vera croce. Da Gerusalemme a Roma alla ricerca del simbolo del cristianesimo», Mondadori, 2001).

    Nel caso sia autentico, l'ossario di Giacomo dev'essere datato all'anno 63: Giacomo fu ucciso nel 62, e occorre circa un anno (o anche meno) perché in un cadavere sepolto le ossa siano liberate dalla carne - il momento cioè nel quale le ossa sono raccolte e ricomposte in un'urna, per attendere la risurrezione del credente negli ultimi giorni (si veda il capitolo 37 di Ezechiele).

    Ma il reperto è autentico? Molte sono le domande che restano senza risposta. Teoricamente, l'iscrizione incisa sull'urna potrebbe riferirsi a quel Giacomo chiamato «fratello del Signore» da san Paolo (Galati 1,19). Persino se Giacomo fosse solo cugino di Gesù, sarebbe stato chiamato «fratello». Ma anche lo studioso che per primo ha identificato l'iscrizione (il professor Lemaire della Sorbona di Parigi) ammette che Giacomo, Giuseppe e Gesù erano i tre nomi più popolari in Galilea, Giudea e Samaria in età neotestamentaria. E anche a Gerusalemme, come lo stesso Lemaire ammette, c'erano - statisticamente - almeno 20 famiglie nelle quali era possibile la combinazione di questi tre nomi. Sicché non sarà mai conoscibile con sicurezza chi fosse il «Giacomo» i cui resti erano raccolti nell'ossario. Va detto che, al tempo della sua morte, Giacomo era una persona molto importante. Dopo la partenza di san Pietro, era l'autentico leader della Chiesa di Gerusalemme. Alcuni studiosi lo chiamano «il Vescovo», altri, come il tedesco Martin Hengel dell'Università di Tubinga, sottolineano la sua importanza chiamandolo «il primo Papa». Sarebbe dunque stata tranquillamente evitabile la sua identificazione riferendolo a «Gesù». E se un riferimento a suo fratello era necessario, sarebbe stato usato l'epiteto aggiuntivo «il Signore» (si veda, anche, Galati 1,19), o «il Messia», o «il Figlio di Dio». Inoltre, «Yeoshua» inciso sull'ossario è sospetto per un'altra ragione: Giacomo e Gesù provenivano dalla Galilea, e nell'aramaico galileo «Gesù» era «Yeshu», senza la «a» finale.
    A maggior ragione l'ossario non è stato trovato «in situ» (in una tomba precedentemente non aperta) ma sul mercato antiquario. Tutti gli archeologi perciò dubiteranno della sua autenticità. L'iscrizione aramaica è molto chiara e leggibile; può essere compresa da chiunque (!) conosca l'ebraico moderno. È perciò molto difficile che nessuno sapesse cosa vi fosse scritto prima che la vedesse il professor Lemaire.
    La chiarissima, curata scansione delle lettere sull'ossario suscita un'altra domanda: nelle urne per ossa di questo periodo l'iscrizione era aggiunta all'ultimo momento, quando essa era già stata posta nella tomba. Perciò lo scrivente cominciava dal lato destro continuando verso sinistra ed era impossibile finire un'iscrizione con tutte le lettere equidistanti. Verso la fine le lettere sarebbero state condensate, curvando verso il basso (chiunque può provarlo per via di esperimento!). Un ottimo esempio è l'autentico ossario di «Joseph Bar Kaiaphas», il sommo sacerdote, scoperto nella tomba della famiglia di Caifa nella parte sud-est di Gerusalemme. Le lettere sono incise in maniera affrettata, e pendono verso il basso. Gli archeologi israeliani che hanno espresso commenti sull'ossario di «Giacomo» hanno sottolineato che la stessa urna per ossa probabilmente è del primo secolo, ma che ci sono centinaia di tali ossari senza iscrizioni. Resta il sospetto che la troppo curata iscrizione sia stata aggiunta più tardi da un falsario. E non è difficile «invecchiare» un'iscrizione aggiungendo una patina artificiale.
    Questi sono i principali aspetti che gettano il dubbio su questo ossario. È un falso? E se non lo è, si riferisce realmente a Giacomo, figlio di Giuseppe di Nazareth, «il fratello del Signore» (in italiano nel testo ndt) o a qualcun altro con lo stesso nome? Possono esserci risposte. Ma non sono state date e può essere che sia impossibile darle. Per tutti coloro che siano interessati a un ossario senza dubbio autentico di una persona menzionata nel Nuovo Testamento, l'Università Ebraica di Gerusalemme possiede quello di «Alessandro, figlio di Simone di Cirene». Tutti gli studiosi concordano sul fatto che sia la persona di cui si parla nel Vangelo di Marco 15, 21!



    Ecco l'iscrizione "incriminata" che ha fatto ritenere la falsità della stessa, dovuta presumibilmente ad un falsario


  8. #8
    scemo del villaggio
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    Predefinito

    Articolo già da me postato a suo tempo sotto il titòlo: "Ravasi vs. Thiede: buon senso ("protestante") contro modernismo ("cattolico").

  9. #9
    de-elmettizzato.
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    Predefinito Re: In risposta ad un quesito gnostico sulla perpetua verginità di Maria

    Preferisco di no.

 

 

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