Cari Pier ed Ale,
mi permetto, in punta di piedi, di aprire nel Vostro Forum, un thread per rispondere alle obiezioni sollevate dagli Gnostici nel loro riguardo alla perpetua verginità di Maria.
So bene che su di me pesa il bando di postare qualsiasi cosa. Tuttavia io penso che, al di là delle divisioni ideologiche che ci dividono, abbiano molti elementi in comune: a cominciare dai principali dogmi della fede cristiana, che sono patrimonio comune di entrambi. Orbene, in nome di questo comune humus, in silenzio e timidamente, mi permetto di postare qualcosa su questo forum. Spero che almeno questa volta mi sia consentito.
Orbene, Ichthys, in un suo post (http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=65751), risponde ad alcune verità cattoliche espresse dalla forumista ^asceta^ (alla quale tra l’altro, con l’occasione, porgo gli auguri di Buon Anno nel Signore).
In primo luogo, si obietta che a Maria non spetterebbe alcuna forma di culto, essendo questo esclusivamente riservato a Dio. In secondo luogo, si contesta più nello specifico il dogma della perpetua verginità della Madre di Dio.
Quanto alla prima obiezione, bisogna distinguere il culto di latria (adorazione) che spetta esclusivamente a Dio dal culto di dulìa (venerazione) o, meglio, iperdulìa (che spetta a Maria). La differenza non è di poco conto, dal momento che la Chiesa, ieri come oggi, ha sempre riconosciuto un ruolo di mediazione e, dunque, ha tributato a Lei una grande venerazione che non è affatto adorazione.
Ma comunque non è questo il tema su cui mi voglio soffermare. Il mio interesse è appuntato sul secondo punto.
Scrive Ichthys, in particolare, che sarebbe falso il dogma della perpetua verginità di Maria, in quanto, a suo dire, «In ebraico ah vuol dire solo fratello, come ah in arabo, ahu in assiro babilonese. Cugino è ben dod. Come mai, allora, si sarebbe utilizzato un termine dubbio per un concetto così delicato? E poi l'ebraico che c'entra? La lingua di riferimento dei Vangeli è il greco. Il testo dice: outos estin o tekton, o yios tes Maria kai adelfos Iakobou kai Iosetos kai Iouda kai Simonos? kai ouk eisin ai adelfai autou ode pros emas? E troviamo adelfos che vuol dire solo "fratello" e adelfe che vuol dire solo "sorella". La radice del termine è la stessa di delfus che vuol dire "utero", "vulva" e quindi adelfos indica inequivocabilmente un essere che proviene dalla stessa genitrice, anzi, addirittura il grado di parentela è espresso in maniera così stretta da significare, ad es. nell'uso che ne fa Eschilo del termine, "gemello"».
Le argomentazioni filologiche proposte sembrerebbero accattivanti. Ma solo in apparenza.
Prima di entrare però in disquisizioni terminologiche, permettetemi una premessa di carattere generale.
Il tema dei “fratelli” e delle “sorelle” di Gesù è assai risalente nella Chiesa e che è stato, in special modo durante l’epoca protestante, uno dei “cavalli di battaglia” del veleno riformatore (e di ex cattolici come Loisy, Koch, Buonaiuti, Turmel) avverso la sana dottrina cristiana. Ancora oggi, molti protestanti sostengono ciò e da ultimo la setta dei testimoni di geova ne è convinta assertrice. La Chiesa, da parte sua, ha appellato la Madre di Dio con il nome di “Vergine” o “sempre Vergine”, intendendo con ciò che Maria ha persistito nell’integrità della verginità sempre, vale a dire prima del parto, nel parto e dopo il parto, in perpetuo (cfr. Paolo IV, Cost. Cum quorundam hominum, 7 agosto 1555).
Tale convinzione della Chiesa si basava, oltre che sui testi evangelici, anche sulla testimonianza dei primi Padri della Chiesa, tra i quali grande rilievo riveste quanto riferito da Egesippo, un antico Padre, la cui opera è registrata da Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica.
Veniamo adesso alle questioni terminologiche.
L’argomento più forte a favore della presunta non verginità di Maria sarebbe costituito dal termine greco adelphos, parola greca, utilizzata dagli evangelisti e da Paolo che, quando non significa “prossimo” o membro della stessa tribù ovvero, in senso traslato, componente di una comunità spirituale, di norma indica il fratello carnale, sia esso fratello in senso stretto sia anche il fratellastro. Non è dato rilevare, del resto, né presso gli scrittori classici, né tra i giudei dell’epoca che hanno scritto in greco né nel N.T. la parola “adelphos” nel significato di “cugino”. Se gli autori neotestamentari avessero voluto davvero intendere i cugini di Gesù si sarebbero serviti del termine “anepsios”, che si trova in Col 4, 10. Questa sembra a prima vista la spiegazione più semplice ed ovvia.
Certamente “adelphos”, sotto il profilo linguistico, di regola significa fratello carnale in testi di ambiente veramente greco. Ma già qui troviamo delle eccezioni. Ad es., l’imperatore Marco Antonino chiama “adelphos” il padre di suo genero, Severo. Ed in una iscrizione greca del III sec. a. C., una donna sposata, chge era allo stesso tempo cugnina di suo marito, è chiamata “sua sorella e moglie”.
Una studiosa, Orsolina Montevecchi, esperta papirologa, nel 1957, dichiarava che nei paesi ellenistici, e specialmente nel mondo orientale, il termine “adelphos” è un termine di così largo uso che, nei papiri, esso assume diversi significati, quale cugino, cognato, parente, marito (o moglie), oltre che fratello (sorella) in senso proprio.
Ciò rientrava pienamente nel costume di chi, volendo manifestare a un parente più o meno prossimo la sua speciale simpatia o benevolenza, faceva ciò chiamandolo fratello e non cugino o nipote, secondo l’effettivo grado di parentela. Caligola, ad es., chiamava Tiberio, uno dei figli gemelli di Druso e di Livilla (zia di Caligola), “per discendenza cugino, per affetto fratello”.
In testi semitici o di influenza semitica, è documentato un uso più ampio del termine “fratello”. Dato che in ebraico ed in aramaico mancava un termine appropriato per esprimere l’idea di cugino/a, non di rado si ricorreva alla parola fratello (in ebraico ‘āh; aramaico ‘ăhā’) o sorella (in ebraico ‘āhôt; aramaico ‘ăhātā’), per evitare complicate circonlocuzioni. Soltanto (e sottolineo soltanto) per i parenti del fratello del padrel’ebraico disponeva di termini più brevi, perché per indicare il fratello del padre esisteva la parola ebraica dôd; così il nipote per parte di padre poteva essere chiamato brevemente ben-dôd e la nipote bat- dôd. Non si hanno prove di derivati da questi termini. Per cui, per indicare il figlio/la figlia della sorella del padre era necessario ricorrere a più lunghe circolocuzioni. Queste poi erano assolutamente necessarie laddove si voleva parlare di parenti del fratello o della sorella della madre, dal momento che la lingua ebraica difettava di un termine adeguato per esprimere tale rapporto di parentela.
Per evitare queste, allora è attestato nella stessa Scrittura, ed in special modo nell’Antico Testamento, un uso assai ampio della parola “fratello/sorella”. Ad es., in Gen 13, 8 Abramo chiama Lot, suo nipote, quale suo fratello (cfr. Gen 14,14; 14, 16); in Gen 24 ,48, Batuel, nipote di Abramo, è detto essere suo fratello; in Gen 29, 12, Giacobbe, nipote di Labano, si qualifica come fratello di questi; Gen 29, 15, Labano chiama Giacobbe, figlio di sua sorella, fratello; e gli esempi innumerevoli si potrebbero moltiplicare.
Ora, in tutti questi testi, i LXX traducono con “adelphos”.
Pertanto, gli scrittori neotestamentari, provenendo essi stessi da un ambiente semitico, senz’altro avranno usato il termine “fratello” in senso ampio, per indicare i cugini o parenti in grado più lontano di Gesù. D'altronde, dal N.T. emerge chiaramente che i "fratelli" del Signore, accanto agli apostoli, erano tenuti in grande considerazione e venerazione.
E S. Giovanni Crisostomo aveva compreso che “fratello del Signore” era, nella prima comunità cristiana, un titolo onorifico per indicare i parenti di Gesù.
Insomma, in conclusione, l’argomento filologico non autorizza a pensare, in alcuna maniera, che gli autori neotestamentari abbiano utilizzato il termine “fratello” nel senso che noi oggi attribuiamo all’espressione, bensì essi, come autori semitici, hanno senz’altro adoperato l’espressione sia in senso onorifico, che per designare parenti di un grado più lontano.
Quindi, gli gnostici non possono legittimamente fondarsi sul termine indicato per escludere la perpetua verginità di Maria.
Ora, il discorso si potrebbe allargare a quanto ritenuto dagli antichi Padri (ad es., il Crisostomo riteneva che Maria fosse la madre adottiva di Giacomo e di Ioses, in quanto figli di un precedente matrimonio di S. Giuseppe; qualcosa del genere, pare, sostenesse anche S. Gregorio Nisseno), ma usciremmo strettamente dal quesito a cui qui, da un mero punto di vista filologico, ho cercato di rispondere.
Comunque, per chi volesse approfondire, raccomando vivamente l'ottimo ed insuperato studio di Josef Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Paideia, Brescia, 1974.
Cordialmente
Augustinus