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    Predefinito 27 dicembre - S. Giovanni, apostolo ed evangelista

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Giovanni, Apostolo ed evangelista

    27 dicembre - Festa

    Betsaida Iulia, I secolo - Efeso, 104 ca.

    L'autore del quarto Vangelo e dell'Apocalisse, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo maggiore, venne considerato dal Sinedrio un «incolto». In realtà i suoi scritti sono una vetta della teologia cristiana. La sua propensione più alla contemplazione che all'azione non deve farlo credere, però, una figura "eterea". Si pensi al soprannome con cui Gesù - di cui fu discepolo tra i Dodici - chiamò lui e il fratello: «figli del tuono». Lui si definisce semplicemente «il discepolo che Gesù amava». Assistette alla Passione con Maria. E con lei, dice la tradizione, visse a Efeso. Qui morì tra fine del I e inizio del II secolo, dopo l'esilio a Patmos. Per Paolo era una «colonna» della Chiesa, con Pietro e Giacomo. (Avvenire)

    Patronato: Scrittori, Editori, Teologi

    Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

    Emblema: Aquila, Calderone d'olio bollente, Coppa

    Martirologio Romano: Festa di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.

    Martirologio tradizionale (27 dicembre): Presso Efeso il natale di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, il quale, dopo aver scritto il Vangelo, dopo essere stato relegato in esilio e dopo la divina Apocalisse, vivendo fino al tempo del Principe Traiano, fondò e governò le Chiese di tutta l'Asia, e finalmente, consunto dalla vecchiaia, morì nell'anno sessantottesimo dopo la passione del Signore, e fu sepolto presso la detta città.

    Giovanni, figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo il Maggiore, di professione pescatore, oriundo di Betsaida come Pietro e Andrea, occupa un posto di primo piano nell'elenco degli Apostoli. L'autore del quarto Vangelo e dell'Apocalisse verrà qualificato dal Sinedrio come "indotto e incolto", ma il lettore che scorra anche rapidamente i suoi scritti ne avverte non soltanto l'arditezza del pensiero, ma anche la capacità di rivestire con squisite immagini letterarie i sublimi pensieri di Dio. La voce del giudice divino è per lui "come il mugghio di molte acque".
    Giovanni è tuttavia l'uomo della elevatezza spirituale, più incline alla contemplazione che all'azione. E’ l'aquila che già al primo batter d'ali si eleva alle vertiginose altezze del mistero trinitario: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio".
    E’ tra gli intimi di Gesù e gli è vicino nelle ore più solenni della sua vita. Gli è accanto nell'ultima cena, durante il processo e, unico tra gli apostoli, assiste alla sua morte a fianco della Madonna. Ma contrariamente a quanto possono far pensare le raffigurazioni dell'arte, Giovanni non era un uomo fantasioso e delicato, e basterebbe il sorridente soprannome imposto a lui e al fratello Giacomo dal Maestro: "Figli del tuono", per farci pensare a un temperamento vivace e impulsivo, alieno dai compromessi e dalle esitazioni, fino ad apparire intollerante e caustico.
    Nel suo Vangelo egli designa se stesso semplicemente come "il discepolo che Gesù amava". Anche se non ci è dato indagare sul segreto di questa ineffabile amicizia, possiamo indovinare una certa analogia tra l'anima del "figlio del tuono" e quella del "Figlio dell'uomo", venuto sulla terra a portarvi non solo la pace ma anche il fuoco. Dopo la risurrezione Giovanni è quasi costantemente accanto a Pietro. Paolo, nella lettera ai Galati, parla di Pietro, Giacomo e Giovanni "come le colonne" della Chiesa.
    Nell'Apocalisse Giovanni dice di essere stato perseguitato e relegato nell'isola di Patmos a causa della "parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo ". Secondo una concorde tradizione, egli è vissuto ad Efeso in compagnia della Madonna e sotto Domiziano fu posto dentro una caldaia di olio bollente, uscendone illeso, e tuttavia con la gloria di aver reso anch'egli la sua " testimonianza". Dopo l'esilio a Patmos tornò definitivamente ad Efeso dove esortava instancabilmente i fedeli all'amore fraterno, come risulta dalle tre lettere, accolte tra i testi sacri come l'Apocalisse e il Vangelo. Morì carico di anni a Efeso durante l'impero di Traiano (98-117) e ivi fu sepolto.

    Autore: Piero Bargellini

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    Sempre dallo stesso SITO un'altra biografia:

    Il più giovane e il più longevo degli Apostoli; il discepolo più presente nei grandi avvenimenti della vita di Gesù; autore del quarto Vangelo, opera essenzialmente dottrinale e dell’Apocalisse, unico libro profetico del Nuovo Testamento.
    Giovanni era originario della Galilea, di una zona sulle rive del lago di Tiberiade (forse Betsaida Iulia), figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo il Maggiore; la madre era nel gruppo di donne che seguivano ed assistevano Gesù salendo fino al Calvario, forse era cugina della Madonna; il padre aveva una piccola impresa di pesca sul lago anche con dipendenti.
    Pur essendo benestante e con conoscenze nelle alte sfere sacerdotali, non era mai stato alla scuola dei rabbini e quindi era considerato come ‘illetterato e popolano’, tale che qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che lui abbia solo dettato le sue opere, scritte da un suo discepolo.
    Giovanni è da considerarsi in ordine temporale come il primo degli apostoli conosciuto da Gesù, come è l’ultimo degli Apostoli viventi, con cui si conclude la missione apostolica tesa ad illuminare la Rivelazione.
    Infatti egli era già discepolo di s. Giovanni Battista, quando questi additò a lui ed Andrea Gesù che passava, dicendo “Ecco l’Agnello di Dio” e i due discepoli udito ciò presero a seguire Gesù, il quale accortosi di loro domandò: “Che cercate?” e loro risposero: “Rabbi dove abiti?” e Gesù li invitò a seguirlo fino al suo alloggio, dove si fermarono per quel giorno; “erano le quattro del pomeriggio”, specifica lui stesso, a conferma della forte impressione riportata da quell’incontro.
    In seguito si unì agli altri apostoli, quando Gesù passando sulla riva del lago, secondo il Vangelo di Matteo, chiamò lui e il fratello Giacomo intenti a rammendare le reti, a seguirlo ed essi “subito, lasciata la barca e il padre loro, lo seguirono”.
    Da allora ebbe uno speciale posto nel collegio apostolico, era il più giovane ma nell’elenco è sempre nominato fra i primi quattro, fu prediletto da Pietro, forse suo compaesano, ma soprattutto da Gesù al punto che Giovanni nel Vangelo chiama se stesso “il discepolo che Gesù amava”.
    Fra i discepoli di Gesù fu infatti tra gli intimi con Pietro e il fratello Giacomo, che accompagnarono il Maestro nelle occasioni più importanti, come quando risuscitò la figlia di Giairo, nella Trasfigurazione sul Monte Tabor, nell’agonia del Getsemani.
    Con Pietro si recò a preparare la cena pasquale e in questa ultima cena a Gerusalemme ebbe un posto d’onore alla destra di Gesù, e dietro richiesta di Pietro, Giovanni appoggiando con gesto di consolazione e affetto la testa sul petto di Gesù, gli chiese il nome del traditore fra loro.
    Tale scena di alta drammaticità, è stata nei secoli raffigurata nell’"Ultima Cena" di tanti celebri artisti. Dopo essere scappato con tutti gli altri, quando Gesù fu catturato, lo seguì con Pietro durante il processo e unico tra gli Apostoli si trovò ai piedi della croce accanto a Maria, della quale si prese cura, avendola Gesù affidatagliela dalla croce.
    Fu insieme a Pietro, il primo a ricevere l’annunzio del sepolcro vuoto da parte della Maddalena e con Pietro corse al sepolcro giungendovi per primo perché più giovane, ma per rispetto a Pietro non entrò, fermandosi all’ingresso; entrato dopo di lui poté vedere per terra i panni in cui era avvolto Gesù, la vista di ciò gli illuminò la mente e credette nella Resurrezione forse anche prima di Pietro, che se ne tornava meravigliato dell’accaduto.
    Giovanni fu presente alle successive apparizioni di Gesù agli apostoli riuniti e il primo a riconoscerlo quando avvenne la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade; assistette al conferimento del primato a Pietro; insieme ad altri apostoli ricevette da Gesù la solenne missione apostolica e la promessa dello Spirito Santo, che ricevette nella Pentecoste insieme agli altri e Maria.
    Seguì quasi sempre Pietro nel suo apostolato, era con lui quando operò il primo clamoroso miracolo della guarigione dello storpio alla porta del tempio chiamata “Bella”; insieme a Pietro fu più volte arrestato dal Sinedrio a causa della loro predicazione, fu flagellato insieme al gruppo degli arrestati.
    Con Pietro, narrano gli Atti degli Apostoli, fu inviato in Samaria a consolidare la fede già diffusa da Filippo.
    San Paolo verso l’anno 53, lo qualificò insieme a Pietro e Giacomo il Maggiore come ‘colonne’ della nascente Chiesa.
    Il fratello Giacomo fu decapitato verso il 42 da Erode Agrippa I, protomartire fra gli Apostoli; Giovanni, secondo antiche tradizioni, lasciata definitivamente Gerusalemme (nel 57 già non c’era più) prese a diffondere il cristianesimo nell’Asia Minore, reggendo la Chiesa di Efeso e altre comunità della regione.
    Anche Giovanni adempì la profezia di Gesù di imitarlo nella passione; anche se non subì il martirio come il fratello e gli altri apostoli, dovette patire la persecuzione di Domiziano (51-96) la seconda contro i cristiani, che negli ultimi anni del suo impero, 95 ca., conosciuta la fama dell’apostolo, lo convocò a Roma e dopo averlo fatto rasare i capelli in segno di scherno, lo fece immergere in una caldaia di olio bollente davanti alla porta Latina; ma Giovanni ne uscì incolume.
    Ancora oggi un tempietto ottagonale disegnato dal Bramante e completato dal Borromini, ricorda il leggendario miracolo.
    Fu poi esiliato nell’isola di Patmos (arcipelago delle Sporadi a circa 70 km da Efeso) a causa della sua predicazione e della testimonianza di Gesù. Dopo la morte di Domiziano, salì al trono l’imperatore Nerva (96-98) tollerante verso i cristiani; quindi Giovanni poté tornare ad Efeso dove continuò ad esortare i fedeli all’amore fraterno, finché ultracentenario morì verso il 104, cosicché il più giovane degli Apostoli, il vergine perché non si sposò, visse più a lungo di tutti portando con la sua testimonianza, l’insegnamento di Cristo fino ai cristiani del II secolo.
    Sulla sua tomba ad Efeso, fu edificata nei secoli V e VI una magnifica basilica. In vita la tradizione e gli antichi scritti gli attribuiscono svariati prodigi, come di essersi salvato senza danno da un avvelenamento e dopo essere stato buttato in mare; ad Efeso risuscitò anche un morto.
    Alle riunioni dei suoi discepoli, ormai vecchissimo, veniva trasportato a braccia, ripetendo soltanto “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” e a chi gli domandava perché ripeteva sempre la stessa frase, rispose: “ Perché è precetto del Signore, se questo solo si compia, basta”.
    Fra tutti gli apostoli e i discepoli, Giovanni fu la figura più luminosa e più completa, dalla sua giovinezza trasse l’ardore nel seguire Gesù e dalla sua longevità la saggezza della sua dottrina e della sua guida apostolica, indicando nella Grazia la base naturale del vivere cristiano.
    La sua propensione più alla contemplazione che all’azione, non deve far credere ad una figura fantasiosa e delicata, anzi fu caldo e impetuoso, tanto da essere chiamato insieme al fratello Giacomo ‘figlio del tuono’, ma sempre zelante in tutto.
    Teologo altissimo, specie nel mettere in risalto la divinità di Gesù, mistico sublime fu anche storico scrupoloso, sottolineando accuratamente l’umanità di Cristo, raccontando particolari umani che gli altri evangelisti non fanno, come la cacciata dei mercanti dal tempio, il sedersi stanco, il piangere per Lazzaro, la sete sulla croce, il proclamarsi uomo, ecc.
    Giovanni è chiamato giustamente l’Evangelista della carità e il teologo della verità e luce, egli poté penetrare la verità, perché si era fatto penetrare dal divino amore.
    Il suo Vangelo, il quarto, ebbe a partire dal II secolo la definizione di “Vangelo spirituale” che l’ha accompagnato nei secoli; Origene nel III secolo, per la sua alta qualità teologica lo chiamò ‘il fiore dei Vangeli’.
    Gli studiosi affermano che l’opera ebbe una vicenda editoriale svolta in più tappe; essa parte nell’ambiente palestinese, da una tradizione orale legata all’apostolo Giovanni, datata negli anni successivi alla morte di Cristo e prima del 70, esprimendosi in aramaico; poi si ha un edizione del vangelo in greco, destinata all’Asia Minore con centro principale la bella città di Efeso e qui collabora alla stesura un ‘evangelista’, discepolo che raccoglie il messaggio dell’apostolo e lo adatta ai nuovi lettori.
    Inizialmente il vangelo si concludeva con il capitolo 20, diviso in due grandi sezioni; dai capitoli 1 a 12 chiamato “Libro dei segni”, cioè dei sette miracoli scelti da Giovanni per illustrare la figura di Gesù, Figlio di Dio e dai capitoli 13 a 20 chiamato “Libro dell’ora”, cioè del momento supremo della sua vita offerta sulla croce, che contiene i mirabili “discorsi di addio” dell’ultima Cena. Alla fine del I secolo comparvero i capitoli finali da 21 a 23, dove si allude anche alla morte dell’apostolo.
    All’inizio del Vangelo di Giovanni è posto un prologo con un inno di straordinaria bellezza, divenuto una delle pagine più celebri dell’intera Bibbia e che dal XIII secolo fino all’ultimo Concilio, chiudeva la celebrazione della Messa: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio….”.
    L’Apocalisse come già detto è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento e conclude il ciclo dei libri sacri e canonici riconosciuti dalla Chiesa, il suo titolo in greco vuol dire ‘Rivelazione’.
    Denso di simbolismi, spesso si è creduto che fosse un infausto oracolo sulla fine del mondo, invece è un messaggio concreto di speranza, rivolto alle Chiese in crisi interna e colpite dalla persecuzione di Babilonia o della bestia, cioè la Roma imperiale, affinché ritrovino coraggio nella fede, dimostrandolo con la testimonianza.
    È un’opera di grande potenza e suggestione e anche se il linguaggio e i simboli sono del genere ‘apocalittico’, corrente letteraria e teologica molto diffusa nel giudaismo, il libro si autodefinisce ‘profezia’, cioè lettura dell’azione di Dio all’interno della storia.
    Colori, animali, sogni, visioni, numeri, segni cosmici, città, costellano il libro e sono gli elementi di questa interpretazione della storia alla luce della fede e della speranza.
    Il libro inizia con la scena della corte divina con l’Agnello - Cristo e il libro della storia umana e alla fine dell’opera c’è il duello definitivo tra Bene e Male, cioè tra la Chiesa e la Prostituta (Roma) imperiale, con la rivelazione della Gerusalemme celeste, dove si attende la venuta finale del Cristo Salvatore.
    Di Giovanni esistono anche tre ‘Epistole’ scritte probabilmente a Efeso, che hanno lo scopo di sottolineare e difendere presso determinati gruppi di fedeli (o uno solo, con la terza) alcune verità fondamentali, che erano attaccate da dottrine gnostiche.
    San Giovanni ha come simbolo l’aquila, perché come si credeva che l’aquila potesse fissare il sole, anche lui nel suo Vangelo fissò la profondità della divinità.
    È il patrono della Turchia e dell’Asia Minore, patronato confermato da papa Benedetto XV il 26 ottobre 1914; giacché Gesù gli affidò la Vergine Maria, è considerato patrono delle vergini e delle vedove; per i suoi grandi scritti è patrono dei teologi, scrittori, artisti; per il suo supplizio dell'olio bollente, protegge tutti coloro che sono esposti a bruciature oppure hanno a che fare con l’olio, quindi: proprietari di frantoi, produttori di olio per lampade, armaioli; patrono degli alchimisti, è invocato contro gli avvelenamenti e le intossicazioni alimentari.
    Anche i “Quattro Cavalieri dell’Apocalisse” che rappresentano conquista, guerra, fame, morte, sono un suo simbolo. In Oriente il suo culto aveva per centro principale Efeso, dove visse e l’isola di Patmos nel Dodecanneso dove fu esiliato a dove nel secolo XI s. Cristodulo fondò un monastero a lui dedicato, inglobando la grotta dove l’apostolo ricevette le rivelazioni e scrisse l’Apocalisse.
    In Occidente il suo culto si diffuse in tutta Europa e templi e chiese sono a lui dedicate un po’ dappertutto, ma la chiesa principale costruita in suo onore è S. Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma.
    Inizialmente i grandi santi del primo cristianesimo Stefano, Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, erano celebrati fra il Natale e la Circoncisione (1° gennaio); poi con lo spostamento in altre date di s. Pietro, s. Paolo e s. Giacomo, rimasero solo s. Stefano il 26 dicembre e s. Giovanni apostolo ed evangelista il 27 dicembre.

    Autore: Antonio Borrelli



    El Greco, S. Giovanni evangelista , 1606, Museo del Greco, Toledo

    El Greco, S. Giovanni evangelista , 1594-1604, Museo del Prado, Madrid

    El Greco, S. Giovanni evangelista , 1577-79, Santo Domingo el Antiguo, Toledo


    El Greco, SS. Giovanni evangelista e Francesco d'Assisi, 1608 circa, Museo del Prado, Madrid

    Antony van Dyck, S. Giovanni evangelista , 1618-20, Jagiellonian University Museum, Collegium Maius, Cracovia, Polonia

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    Giovanni Bellini, Gesù morto sorretto dalla Madonna e da S. Giovanni, 1460, Pinacoteca di Brera, Milano

    Hans Memling, S. Giovanni evangelista a Patmos, 1474-79, Memlingmuseum, Sint-Janshospitaal, Bruges

    Hans Memling, S. Giovanni evangelista, 1475 circa, National Gallery, Londra

    Andrea del Sarto, Madonna delle arpie con i Santi Francesco d'Assisi e S. Giovanni evangelista, 1517, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Hieronymus Bosch, S. Giovanni evangelista a Patmos, 1504-05, Staatliche Museen, Berlino

    Hans Burgkmair, S. Giovanni evangelista a Patmos, 1508, Alte Pinakothek, Monaco

    Maestro italiano sconosciuto, Madonna in trono col Bambino e quattro Santi (SS. Giovanni evangelista, Francesco d'Assisi, Girolamo e Giovanni Battista), 1520 circa, Chiesa di S. Salvatore al Monte, Firenze

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    Donatello, S. Giovanni evangelista, 1410-11, Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

    Dosso Dossi, La Vergine appare ai Santi Giovanni evangelista e Giovanni Battista, 1520 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze

    Jan van Eyck, S. Giovanni evangelista, 1432, Cattedrale di S. Bavo, Ghent

    Francesco Furini, S. Giovanni evangelista, 1630 circa, Musée des Beaux-Arts, Lione

    Francisco de Zurbaran, S. Giovanni evangelista a Patmos, Jagiellonian University Museum, Collegium Maius, Cracovia, Polonia

    Pietro Lorenzetti, Madonna con Bambino tra i SS. Francesco e Giovanni evangelista, 1320 circa, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi



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    Jean Hey o Maestro di Moulins, Anna di Francia presentata da S. Giovanni evangelista, 1488, Musée du Louvre, Parigi

    Jacopo Pontormo, S. Giovanni evangelista, 1525, Cappella Capponi, Santa Felicità, Firenze

    Simone Martini, S. Giovanni evangelista, 1330-39, Barber Institute of Fine Arts, Birmingham

    Diego Rodriguez de Silva y Velázquez, S. Giovanni evangelista a Patmos, 1618 circa, National Gallery, Londra

    Moretto da Brescia, Pietà con Maria Maddalena e S. Giovanni, 1520, National Gallery of Art, Washington

    Piero della Francesca, SS. Giovanni evangelista e Nicola da Tolentino, Polittico di S. Agostino, 1460-70, rispettivamente al Frick Collection, New York ed al Museo Poldi Pezzoli, Milano

    Cosme Tura, S. Giovanni a Patmos, 1470 circa, Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

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    Predefinito Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant’Agostino, vescovo.

    Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita (cfr. 1 Gv 1, 1). Chi è che tocca con le mani il Verbo, se non perché il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi? (cfr. Gv 1, 14).

    Il Verbo che si è fatto carne, per poter essere toccato con mano cominciò ad essere carne dalla Vergine Maria; ma non cominciò allora ad essere Verbo, perché è detto: «Ciò che era fin da principio». Vedete se la lettera di Giovanni non conferma il suo vangelo, dove ora avete udito: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1).

    Forse qualcuno prende l’espressione «Verbo della vita» come se fosse riferita a Cristo, ma non al corpo di Cristo toccato con mano. Ma fate attenzione a quel che si aggiunge: «La vita si è fatta visibile» (1 Gv 1, 2). E Cristo dunque il Verbo della vita.

    E come si è fatta visibile? Esisteva fin dal principio, ma non si era ancora manifestata agli uomini; si era manifestata agli angeli ed era come loro cibo. Ma cosa dice la Scrittura? «L’uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25).

    Dunque la vita stessa si è resa visibile nella carne; si è manifestata perché ciò che può essere visibile solo al cuore, diventasse visibile anche agli occhi e risanasse i cuori. Solo con il cuore infatti può essere visto il Verbo, la carne invece anche con gli occhi del corpo. Si verificava dunque anche la condizione per vedere il Verbo: il Verbo si è fatto carne, perché lo potessimo vedere e fosse risanato in noi ciò che ci rende possibile vedere il Verbo.

    Disse: «Noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi» (1 Gv 1, 2), ossia, si è resa visibile fra di noi; o meglio, si è manifestata a noi.

    «Quello dunque che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1,3). Comprenda bene il vostro amore: «Quello che abbiamo veduto e udito, lo annunziamo anche a voi». Essi videro il Signore stesso presente nella carne e ascoltarono le parole dalla bocca del Signore e le annunziarono a noi. Anche noi perciò abbiamo udito, ma non l’abbiamo visto.

    Siamo dunque meno fortunati di coloro che hanno visto e udito? E come mai allora aggiunge: «Perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,3)? Essi hanno visto, noi no, eppure siamo in comunione, perché abbiamo una fede comune.

    «La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la vostra gioia sia perfetta» ( 1 Gv 1,3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità.

    Correggio, Lunetta con S. Giovanni evangelista, Chiesa di S. Giovanni evangelista, Parma

    Tiziano, S. Giovanni evangelista a Patmos, 1544, National Gallery of Art, Washington

    Frans Hals, S. Giovanni evangelista, 1625

    Rogier van der Weyden, Trittico della famiglia Braque (Cristo con Maria ed i SS. Giovanni Battista, Giovanni evangelista e Maria Maddalena), 1450 circa, Musée du Louvre, Parigi

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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo sul vangelo di Giovanni

    In Joannem Homil. I, 1-2, in PG 59, 25-27.

    La parola dell'evangelista Giovanni si è propagata in tutto il mondo; e lo ha riempito non con rumore assordante, ma in virtù della grazia divina che la ispirava. E' meraviglioso che quella voce così forte non sia aspra e dura a intendersi; al contrario, è più dolce e gradevole di ogni armonia musicale e capace di fascino potente. Inoltre è insieme tremenda e santa, ricolma di grandi misteri, apportatrice di beni incalcolabili.
    Chi l'accoglie e la custodisce nel cuore con attenta premura non è più semplice uomo, non resta più legato alla terra. Elevandosi sopra tutte le contingenze terrestri, divenuto simile agli angeli, abita sulla terra come se fosse in cielo.
    Il figlio del tuono (Mc 3,17), in effetti, il prediletto di Cristo, la colonna di tutte le chiese esistenti nel mondo, colui che possiede le chiavi del paradiso, che bevve al calice di Cristo e fu battezzato col suo battesimo; colui che posò il capo confidenzialmente sul petto del Signore, è lui che ora ci convoca perché lo ascoltiamo.

    Accanto a questo Apostolo, stanno le potenze celesti: esse ammirano la bellezza della sua anima, la sua intelligenza e lo splendore della sua virtù, grazie alla quale egli attrasse a sé Cristo e poté ricevere la grazia spirituale.
    Giovanni ha reso la propria anima come una cetra stupenda, adorna di gemme e di corde d'oro, da cui ha tratto un canto grande e sublime, accordato al soffio dello Spirito.
    Ascoltiamolo, non come il canto di un pescatore o del figlio di Zebedeo, ma come la voce di chi conosce le profondità di Dio: intendo parlare dello Spirito Santo che fa vibrare questa cetra.
    Non ci dirà nulla di umano, ma attingerà tutto quello di cui parlerà dagli abissi spirituali, dai misteri ineffabili che neppure gli angeli conoscevano prima d'allora. Anch'essi infatti, insieme con noi e tramite noi uomini, hanno appreso dalla voce di Giovanni quello che abbiamo conosciuto di tali misteri.

    Stiamocene raccolti in profondo silenzio ad ascoltare Giovanni non solo oggi o quando ne udiamo la voce, ma per tutta la vita, perché è sempre un'ottima cosa ascoltarlo.
    Se vedessimo d'improvviso scendere dal cielo qualcuno con l'offerta di rivelarci esattamente quanto accade in cielo, accorreremmo certo in massa. Facciamo altrettanto anche ora. Quest'uomo ci parla dal cielo, egli non è di questo mondo, secondo la stessa testimonianza di Cristo: Non siete del mondo (2 Gv 15,19) In lui è il Paraclito che parla, lo Spirito ovunque presente, che conosce le cose di Dio, come l'anima conosce le cose dell'uomo. In lui è lo Spirito di santità, lo Spirito di verità, che ci orienta e ci guida verso il cielo.
    In lui è lo Spirito che ci dona occhi nuovi, ci abilita a vedere il futuro come fosse presente e a intravedere le realtà celesti superando la condizione corporea.
    Presentiamoci a lui in una grande quiete interiore, per tutta la durata della vita. Nessuna pigrizia, nessun torpore, nessuna turpitudine rimanga dentro di noi; trasferiamoci in cielo, dove l'evangelista parla a coloro che dimorano lassù.

    Se resteremo sulla terra, non ne trarremo alcun profitto. L'insegnamento di Giovanni non vale nulla per coloro che restano impantanati in una vita da porci, così come per lui non valgono nulla le realtà terrene.
    Il cupo fragore del tuono ci spaventa, ma la voce di Giovanni non turba nessuna anima fedele; anzi la libera dall'inquietudine e dal turbamento, e atterrisce solo i demoni o chi è schiavo dei demoni.
    Se vogliamo vedere in che modo egli spaventi tutti costoro, restiamocene in grande silenzio, esteriore e interiore, ma soprattutto interiore. Cosa serve tacere con la lingua, se l'anima è sconvolta, preda di una forte tempesta?
    La quiete che cerco è quella dell'intelletto, quella dell'anima, perché desidero che essa stia in ascolto. Non ci sconquassino l'avidità per il denaro, il desiderio di gloria, la tirannia dell'ira o il tumulto di qualsiasi altra passione. L'anima non purificata non potrà comprendere bene le altissime parole di Giovanni, non arriverà a farsi una giusta idea di quegli arcani e tremendi misteri, e di tutte le altre meraviglie celate nei suoi divini oracoli.


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    Predefinito Dal trattato "Il consenso degli evangelisti" di sant'Agostino

    De consensi EvangeIistarum. 1, 7‑8, in PL 34, 1045‑1046.

    I tre primi evangelisti si sono diffusi a narrare di preferenza i fatti contingenti che presenta la vita di Cristo sotto il suo aspetto sensibile e umano. Giovanni al contrario si volge soprattutto alla divinità del Signore per la quale egli è uguale al Padre. Questa divinità si propose d'inculcare con la massima cura nel suo vangelo, e vi si dedicò nella misura che ritenne sufficiente agli uomini.
    Pertanto Giovanni si leva molto più in alto che non gli altri evangelisti. Ti par di vedere i tre primi quasi trattenersi sulla terra con Cristo uomo; lui invece oltrepassa le nebbie che coprono la superficie terrestre e raggiunge il cielo etereo. Da lassù, con acutissima e saldissima penetrazione della mente, poté vedere il Verbo che era in principio, Dio da Dio, ad opera del quale tutte le cose furono fatte. Lo osservò anche fatto carne per abitare in mezzo a noi, precisando che egli prese la carne, non che si sia mutato in carne.

    Se il Verbo si fosse incarnato senza conservare immutata la sua divinità, non avrebbe potuto dire: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30). Non sono, infatti, una cosa sola il Padre e la carne.
    Ed è ancora lo stesso Giovanni che, unico fra gli evangelisti, ci riporta questa testimonianza del Signore nei riguardi di se stesso: Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9), e: Io sono nel Padre e il Padre è in me. Siano come noi una cosa sola, e: Quello che il Padre fa, anche il Figlio lo fa (Cf Gv 5,19).
    Queste parole e le altre, se ce ne sono, che designano a chi le capisce debitamente la divinità di Cristo nella quale è uguale al Padre,è Giovanni che, esclusivamente o quasi, le ha poste nel suo vangelo. Egli aveva bevuto più copiosamente e più familiarmente il mistero della divinità di Cristo; in certo qual modo lo ha attinto dallo stesso petto del Signore sul quale nella cena gli fu consentito di reclinare il capo.

    All'anima umana sono proposte due forme di virtù: quella attiva e quella contemplativa. Con la prima si cammina, con la seconda si perviene; nella prima si fatica per purificare il cuore e renderlo degno di vedere Dio; nella seconda si riposa e si vede Dio.
    La prima osserva i precetti che regolano la presente vita passeggera, la seconda gode della manifestazione della vita eterna. Pertanto l'una opera, l'altra riposa, poiché l'una ha il compito di purificare dai peccati, l'altra fruisce della luce di chi è già purificato. E per quanto concerne la presente vita mortale, l'una si occupa delle opere d'una buona condotta. L'altra consiste prevalentemente nell'esercizio della fede; e, sia pure in pochissimi, perviene a una qualche visione dell'immutabile verità, visione peraltro speculare, enigmatica e parziale.

    Queste due virtù troviamo rappresentate nelle due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele. In ebraico Lia significa affaticata, mentre Rachele visione del principio. Da questo, se lo consideriamo attentamente, possiamo concludere che i primi tre evangelisti si occuparono di preferenza dei fatti e detti temporali del Signore, validi innanzi tutto per la formazione dei costumi durante la vita presente; essi perciò si limitarono alla prima categoria di virtù, cioè quella attiva.
    Giovanni invece narra molto meno fatti riguardanti il Signore, mentre riferisce con maggiore cura e dovizia i detti di lui, specie quelli che presentano l'unità della Trinità e la beatitudine della vita eterna. Ne segue ch'egli mostra come il suo intento e la sua predicazione fossero rivolti ad inculcare la virtù contemplativa.

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    Predefinito Dal Commento ai salmi di san Basilio Magno

    Homil. in Ps. 45,7‑8; 32,1, in PG 29, 426‑430.323.

    La Scrittura invita coloro che sono lontani dalla Parola della verità ad avvicinarsi ad essa per mezzo della conoscenza; leggiamo infatti nel salmo: Venite, vedete (Sal 45,9). Per gli occhi fisici le grandi distanze rendono confusa la vista degli oggetti, mentre se ci avviciniamo, si scorgono in modo distinto. Succede lo stesso per i soggetti che possono essere captati dalla mente: colui che non si avvicina e non si rende familiare a Dio con le proprie opere, non può vedere le opere di lui con gli occhi della mente puri.
    Per questo la Scrittura dice: Venite, cioè prima avvicinatevi; e poi vedete le opere del Signore. Osserverete come sono prodigiose e stupefacenti.
    Venite, figli, ascoltatemi. E anche: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi. Questa è la voce di un padre, il quale a braccia aperte chiama a sé coloro che fino a poco prima si sottraevano alla sua autorità. Chiunque ascolta l'invito, si avvicina e si unisce a chi lo chiama, vedrà colui che ha pacificato tutto con la croce, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli (Col 1,20).

    Fermatevi e sappiate che io sono Dio. Fino a che punto siamo presi da occupazioni estranee a Dio? Perché in tal caso non possiamo giungere a conoscerlo.
    Se uno si preoccupa delle cose del mondo ed è sprofondato nelle passioni, come può applicarsi a scrutare la parola di Dio e attendere con cura alla contemplazione?
    Non vedi che la parola caduta tra le spine, dalle spine è soffocata? E spine sono i piaceri, le ricchezze, l'onore e le preoccupazioni della vita. Occorrerà che ne sia completamente alieno chi desidera conoscere Dio; conviene che prima si liberi dalle passioni, e solo dopo si accosti alla conoscenza del Dio vivente.
    In che modo il pensiero del Signore potrebbe penetrare nell'anima in balìa degli errori che l'hanno catturata?
    Anche il Faraone sapeva che soltanto chi è libero da ogni altro pensiero è disponibile per la ricerca divina. Per questo rimprovera Israele: Fannulloni siete, fannulloni! Per questo dite: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore (Es 5,17). Certamente non dover occuparsi in cose assillanti è cosa buona e utile a chi la pratica, perché genera una quiete atta ad accogliere gli insegnamenti della salvezza.

    Gli Ateniesi praticavano un cattivo tempo libero, perché non avevano passatempo più gradito di quello di ascoltare novità. Essi si valevano della vacanza dalle attività pratiche della vita solo per ricercare nuove dottrine. Una simile vacanza è piacevole per gli spiriti impuri. Dice il Vangelo: Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna (Mt 12,43-44). Non accada mai che per essere nell'ozio diamo adito al nemico. Anzi, procuriamo di tener sempre occupata la dimora interiore, ospitando in noi Cristo per mezzo dello Spirito Santo.
    Dobbiamo veramente saperci liberare dalle forze avverse che ci tirano di qui e di là, per potere nella quiete contemplare gli insegnamenti della Verità divina. Per questo Gesù afferma: Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (Lc 14,33). Occorre essere liberi per dedicarci all'orazione: liberi dagli assilli per la ricchezza, liberi dal desiderio di essere stimati, liberi dai piaceri, dall'invidia e da ogni cattiveria verso il prossimo. Allora il cuore sereno e tranquillo, non agitato da passioni, potrà ricevere come in uno specchio terso l'illuminazione di Dio.

    Talvolta nel tuo cuore scende come una luce e vi crea una repentina conoscenza di Dio, illuminando la tua anima in modo che essa ami Dio e non tenga più in alcun conto la terra con i suoi beni. Da quella immagine debole e fugace tu devi arguire la condizione dei giusti che si rallegrano di Dio senza alterazioni e senza intervalli.
    A te quella esultazione capita di rado, provocata dalla generosità divina che vuole richiamarti alla mente con questo piccolo assaggio ciò di cui sei privo. Nel giusto, invece, perenne è la gioia divina e celeste, da quando per la prima volta ha preso ad abitare in lui lo Spirito. Infatti il primo frutto dello Spirito è amore, gioia, pace (Gal 5,22).
    Esultate, dunque, giusti nel Signore. Il Signore è come un luogo che accoglie i giusti: chi vi si trova, necessariamente si rallegra, esulta.
    A sua volta il giusto diventa la dimora del Signore, perché egli lo riceve nel suo cuore. Invece il peccatore consegna questo spazio al demonio, trascurando la parola dell'Apostolo: Non date occasione al diavolo (Ef 4,27), oppure a quella di Qoelét che dice: Se l'ira d'un potente si accende contro di te, non lasciare il tuo posto (Qo 10,4).
    Stiamo dunque con il Signore e, per quanto possiamo, contempliamo le sue meraviglie; con questa contemplazione procureremo letizia ai nostri cuori.


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    Alessandro Algardi, S. Giovanni evangelista, 1629, San Silvestro al Quirinale, Roma

    Andrea Del Castagno, S. Giovanni evangelista, 1442, San Zaccaria, Venezia

    Giovanni Bellini, Pietà con S. Giovanni evangelista, 1472, Palazzo Ducale, Venezia

    Giovanni Bellini, Pietà con S. Giovanni evangelista, 1455, Accademia Carrara, Bergamo

    Sandro Botticelli, Lamentazioni sul Cristo morto con Santi (Maria Maddalena, Girolamo, Paolo, Giovanni Evangelista, le due Marie e Pietro), 1490 circa, Alte Pinakothek, Monaco

    Domenico Ghirlandaio, Madonna in Gloria tra i SS. Domenico, Michele Arcangelo, Giovanni evangelista e Giovanni Battista, 1490-96, Alte Pinakothek, Monaco

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    Domenico Ghirlandaio, S. Giovanni evangelista, 1486-90, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze

    Giotto di Bondone, S. Giovanni evangelista, 1320-25, Musée Jacquemart-André, Châalis

    Fra Filippo Lippi, S. Giovanni evangelista, 1454 circa, Duomo, Prato

    Pietro Perugino, Madonna in Gloria tra i SS. Michele, Caterina d'Alessandria, Apollonia e Giovanni evangelista , 1495-96, Pinacoteca Nazionale, Bologna

    Domenichino, Madonna in Trono con Bambino ed i SS. Petronio e Giovanni evangelista , 1629, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Dosso Dossi, SS. Bartolomeo e Giovanni evangelista con donatori, 1527, Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma

    Francesco Francia, Crocifissione con i SS. Girolamo e Giovanni evangelistai, 1485 circa, Collezioni Comunali d'Arte, Bologna

    Thomas de Keyser, S. Giovanni evangelistai, 1630, Amstelkring Museum, Amsterdam

 

 
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