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    Predefinito 19 novembre (17 novembre) - S. Elisabetta d'Ungheria, duchessa di Turingia, vedova

    Dal sito SANTI E BEATI:

    Sant' Elisabetta d'Ungheria, Religiosa

    17 novembre - Memoria

    Presburgo, Bratislava, 1207 - Marburgo, Germania, 17 novembre 1231

    Elisabetta, sposa di Luigi IV, Langravio di Turingia, fu madre di tre figli. Dopo la morte del marito si consacrò interamente alla penitenza, alla preghiera e alla carità. Iscrittasi al Terz'ordine Francescano, fondò in onore di san Francesco l'ospedale di Marburg, in cui ella stessa serviva i malati.

    Figlia di Andrea, re d'Ungheria e di Gertrude, nobildonna di Merano, ebbe una vita breve. Nata nel 1207, fu promessa in moglie a Ludovico figlio ed erede del sovrano di Turingia. Sposa a quattordici anni, madre a quindici, restò vedova a 20. Il marito, Ludovico IV morì ad Otranto in attesa di imbarcarsi con Federico II per la crociata in Terra Santa. Elisabetta aveva tre figli. Dopo il primogenito Ermanno vennero al mondo due bambine: Sofia e Gertrude, quest'ultima data alla luce già orfana di padre. Alla morte del marito, Elisabetta si ritirò a Eisenach, poi nel castello di Pottenstein per scegliere infine come dimora una modesta casa di Marburgo dove fece edificare a proprie spese un ospedale, riducendosi in povertà. Iscrittasi al terz'ordine francescano, offrì tutta se stessa agli ultimi, visitando gli ammalati due volte al giorno, facendosi mendicante e attribuendosi sempre le mansioni più umili. La sua scelta di povertà scatenò la rabbia dei cognati che arrivarono a privarla dei figli. Morì a Marburgo, in Germania il 17 novembre 1231. È stata canonizzata da papa Gregorio IX nel 1235. (Avvenire)

    Patronato: Infermieri, Società caritatevoli, Fornai, Ordine Francescano Secolare

    Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico

    Emblema: Cesto di pane, rose in grembo

    Martirologio Romano: Memoria di santa Elisabetta di Ungheria, che, ancora fanciulla, fu data in sposa a Ludovico, conte di Turingia, al quale diede tre figli; rimasta vedova, dopo aver sostenuto con fortezza d’animo gravi tribolazioni, dedita già da tempo alla meditazione delle realtà celesti, si ritirò a Marburg in Germania in un ospedale da lei fondato, abbracciando la povertà e adoperandosi nella cura degli infermi e dei poveri fino all’ultimo respiro esalato all’età di venticinque anni.

    Martirologio tradizionale (19 novembre): A Marpurg, in Germania, la deposizione di santa Elisabetta Vedova, figlia di Andrea, Re d'Ungheria, del Terz'Ordine di san Francesco; la quale, assiduamente occupata in opere di pietà, illustre per miracoli passò al Signore.

    La prima cosa che colpisce, parlando di Santa Elisabetta d'Ungheria, ricordata oggi dal Calendario della Chiesa, in anticipo rispetto alla data tradizionale dei 19 novembre, è la tenerezza degli affetti umani, di donna e di sposa. Fidanzata a soli quattro anni, la figlia di Andrea Il d'Ungheria, aveva sposato a quattordici anni Luigi dei Duchi di Turingia (Beato Ludovico IV, Langravio di Turingia), che ne aveva venti. Ed era stato un matrimonio felice." Se io amo tanto una creatura mortale - diceva Elisabetta alla fedele serva Isentrude - quanto dovrei amare di più il Signore, immortale e padrone di tutti! ".
    Anche Isentrude insiste sul reciproco affetto dei due sposi, quasi per ribadire che la pietà divina non op-prime né sopprime l'affetto umano. " Si amavano di un amore meraviglioso -ella scrive - e s'incoraggiavano dolcemente, l'uno con l'altra, nel lodare e servire Dio ". Elisabetta amava teneramente Luigi, e Luigi amava lei, per la sua bellezza, la sua gentilezza e la sua grazia. Eppure non si rendeva seducente con mondani accorgimenti: anzi, tra le gentildonne della Turingia, ornate e superbe, la Duchessa era quasi disprezzata per la sua semplicità nel vestire e per la sua modestia nel vivere.
    Nel castello di Wartburg, non si distingueva quasi di tra le serve, sempre in faccende, quasi mai in divertimenti. D'altra parte, la giovanissima Duchessa avrebbe avuto poco tempo per le distrazioni mondane; a quindici anni aveva avuto il suo primo figlio; a diciassette una figlia, a venti un'altra figlia, ed era già vedova da venti giorni!
    Il dolce e affettuoso connubio era durato poco, non offuscato da incomprensioni, benché qualche volta il marito trovasse eccessiva la devozione della moglie, come quando si faceva svegliare di notte, all'insaputa del marito, per pregare inginocchiata al letto coniugale.
    "Anche quando il marito viveva - dichiarò poi Isentrude - ella era come una religiosa: umile e caritatevole, tutta dedita alla preghiera. Compiva tutte le opere di carità nella più grande gioia dell'anima e senza mai mutar di volto". Ma nell'estate del 1227 Luigi parte per la Crociata, mentre Elisabetta aspetta il terzo figlio. Dopo tre mesi, un messaggero porta la notizia che il Duca è morto in Italia. "Morto! - grida Elisabetta. - E con lui è morto ogni mio ben nel mondo".
    Appena vedova, si scatenano contro Elisabetta le cupidigie dei cognati, che forse non l'avevano mai sopportata. Viene scacciata dal castello di Wartburg; le sono tolti i figli, per i quali rinunzia all'eredità.
    Ridotta in povertà, si veste di bigio, come le Terziarie francescane, e si dedica tutta alle opere di misericordia. Nello spirito e dietro l'esempio di San Francesco, morto soltanto da un anno, ella soccorre gli ammalati e cura i lebbrosi, mettendosi sotto la direzione spirituale di un religioso terribilmente esigente, che le infligge la fiagellazione per ogni piccola ammenda.
    Per quattro anni fa vita di estrema penitenza e di intensa carità, non mangiando, non dormendo, dando tutto ai poveri, accorrendo al letto degli ammalati. E tutto questo, dai venti ai ventiquattro anni, età della sua morte, nel novembre dei 1231.

    Fonte: Archivio Parrocchia

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    Sempre dallo STESSO SITO altro profilo biografico:

    A quattro anni di età è già fidanzata. Suo padre, il re Andrea II d’Ungheria, e la regina Gertrude sua madre l’hanno promessa in sposa a Ludovico, figlio ed erede del sovrano di Turingia (all’epoca, questa regione tedesca è una signoria indipendente, il cui sovrano ha il titolo di Landgraf, langravio). E subito viene condotta nel regno del futuro marito, per vivere e crescere lì, tra la città di Marburgo e Wartburg il castello presso Eisenach.
    Nel 1217 muore il langravio di Turingia, Ermanno I. Muore scomunicato per i contrasti politici con l’arcivescovo di Magonza, che è anche signore laico, principe dell’Impero. Gli succede il figlio Ludovico, che nel 1221 sposa solennemente la quattordicenne Elisabetta. Ora i sovrani sono loro due. Lei viene chiamata “Elisabetta di Turingia”. Nel 1222 nasce il loro primo figlio, Ermanno. Seguono due bambine: nel 1224 Sofia e nel 1227 Gertrude. Ma quest’ultima viene al mondo già orfana di padre.
    Ludovico di Turingia si è adoperato per organizzare la sesta crociata in Terrasanta, perché papa Onorio III gli ha promesso di liberarlo dalle intromissioni dell’arcivescovo di Magonza. Parte al comando dell’imperatore Federico II. Ma non vedrà la Palestina: lo uccide un male contagioso a Otranto.
    Vedova a vent’anni con tre figli, Elisabetta riceve indietro la dote, e c’è chi fa progetti per lei: può risposarsi, a quell’età, oppure entrare in un monastero come altre regine, per viverci da regina, o anche da penitente in preghiera, a scelta. Questo le suggerisce il confessore. Ma lei dà retta a voci francescane che si fanno sentire in Turingia, per dire da che parte si può trovare la “perfetta letizia”. E per i poveri offre il denaro della sua dote (si costruirà un ospedale). Ma soprattutto ai poveri offre l’intera sua vita. Questo per lei è realizzarsi: facendosi come loro. Visita gli ammalati due volte al giorno, e poi raccoglie aiuti facendosi mendicante. E tutto questo rimanendo nella sua condizione di vedova, di laica.
    Dopo la sua morte, il confessore rivelerà che, ancora vivente il marito, lei si dedicava ai malati, anche a quelli ripugnanti: «Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre, senza mettersi tuttavia in contrasto con suo marito». Collocava la sua dedizione in una cornice di normalità, che includeva anche piccoli gesti “esteriori”, ispirati non a semplice benevolenza, ma a rispetto vero per gli “inferiori”: come il farsi dare del tu dalle donne di servizio. Ed era poi attenta a non eccedere con le penitenze personali, che potessero indebolirla e renderla meno pronta all’aiuto. Vive da povera e da povera si ammala, rinunciando pure al ritorno in Ungheria, come vorrebbero i suoi genitori, re e regina.
    Muore in Marburgo a 24 anni, subito “gridata santa” da molte voci, che inducono papa Gregorio IX a ordinare l’inchiesta sui prodigi che le si attribuiscono. Un lavoro reso difficile da complicazioni anche tragiche: muore assassinato il confessore di lei; l’arcivescovo di Magonza cerca di sabotare le indagini. Ma Roma le fa riprendere. E si arriva alla canonizzazione nel 1235 sempre a opera di papa Gregorio. I suoi resti, trafugati da Marburgo durante i conflitti al tempo della Riforma protestante, sono ora custoditi in parte a Vienna.

    Autore: Domenico Agasso







    James Collinson, La rinuncia al regno da parte della Regina Elisabetta d'Ungheria, 1850, Johannesburg Art Gallery

    Philip Hermogenes Calderon, Il grande atto di rinuncia di S. Elisabetta d'Ungheria, 1891, Brooklyn Museum of Art

    Marianne Stokes, S. Elisabetta fila per i poveri, 1895, Collezione privata

    Simone Martini, SS. Chiara d'Assisi ed Elisabetta d'Ungheria, 1317, Cappella di S. Martino, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

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    Predefinito Galleria in onore di S. Elisabetta



    Sándor Liezen-Mayer, S. Elisabetta d'Ungheria, 1882, Hungarian National Gallery, Budapest

    Sándor Liezen-Mayer, Canonizzazione di S. Elisabetta d'Ungheria nel 1235, 1863, Hungarian National Gallery, Budapest

    François Guy (1578/79, Le Puy - 1650, Le Puy), Sacra Famiglia con S. Bruno e S. Elisabetta, 1623, Musée de l'Ain, Bourg-en-Bresse

    Simone Martini, SS. Elisabetta, Margherita ed Enrico d'Ungheria, 1318, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi.
    Una piccola annotazione critica su quest'ultimo affresco di Simone Martini. Si è soliti identificare il personaggio centrale di questa triade con S. Chiara d'Assisi. La più recente ricerca storica ed artistica ha, invece, identificato questa figura femminile centrale in S. Margherita martire, grazie alla scoperta di una piccola croce tra le mani. La terza effigie, identificata tradizionalmente con S. Luigi IX re di Francia, è in verità, con ogni probabilità, Enrico, Principe d'Ungheria, figlio di S. Stefano d'Ungheria. A tanto la critica è pervenuta a causa della mancanza di una corona. Se fosse stato S. Luigi IX, avrebbe dovuto avere almeno una corona, che, invece, manca.


    Marcos da Cruz (c. 1610-1683), S. Elisabetta d'Ungheria, 1673-74, Cappella del Terz'Ordine Francescano, Lisbona

    Bartholomäus Bruyn il Vecchio, S. Elisabetta d'Ungheria distribuisce i suoi beni, 1530 circa, collezione privata

    Martin Johann Schmidt, S. Elisabetta d'Ungheria distribuisce l'elemosina, 1778 circa, chiesa parrocchiale, Veresegyház

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    Predefinito Dalla «Lettera» scritta da Corrado di Marburgo, direttore spirituale di S. Elisabetta

    Al pontefice, anno 1232; A. Wyss, Hessisches Urkundenbuch I, Lipsia 1879, 31-35

    Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.
    Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
    Aveva preso l'abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
    Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l'elemosina di porta in porta. Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull'altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti.
    Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
    Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa si dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.

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    Oggi si celebra la memoria di S. Elisabetta d'Ungheria. La sorella di Sua madre era Santa Edvige, moglie del Duca Heinrich I, mentre Santa Elisabetta (Isabel) del Portogallo, che sposò il tirannico re portoghese Diniz e morì nel 1336, era Sua pronipote.
    Ella, fidanzata a quattro anni, sposa a quattordici, madre quindici, vedova a vent'anni, Elisabetta, principessa d Ungheria e duchessa di Turingia, concluse la sua vita a soli ventiquattro anni il 17 novembre 1231. Quattro anni dopo, papa Gregorio IX la elevava agli onori degli altari.
    Suo padre, re Andrea II di Ungheria, cugino dell'imperatore di Germania, l'aveva promessa sposa a Luigi (Ludwig) dei duchi di Turingia, di soli undici anni.
    Nel 1211, infatti, Hermann I di Turingia inviò alcuni ambasciatori in Ungheria allo scopo di combinare un matrimonio tra il maggiore dei suoi figli, Luigi, ed Elisabetta, che aveva appena 4 anni. Tale progetto matrimoniale era un'abile mossa politica, e la bambina fu portata alla corte di Turingia per crescere insieme al futuro marito.
    Ella divenne una ragazzina molto pia e religiosa, con un'evidente inclinazione per la preghiera e per i piccoli atti di auto-mortificazione. Nel 1221, appena nove anni dopo, Luigi ed Elisabetta si sposarono: egli aveva 21 anni e Lei ne aveva 14. Pur combinato dai genitori, fu un matrimonio d'amore e un felice connubio tra ascesi cristiana e umana felicità, tra diadema regale e aureola di santità. La giovane duchessa, suscitando l'animosità della suocera e della cognata, non volle recarsi in chiesa ornata dei preziosi monili del suo rango: «Come potrei - disse candidamente - cingere una corona così preziosa dinanzi a un Re coronato di spine?». Anche Isentrude insiste sul reciproco affetto dei due sposi, quasi per ribadire che la pietà divina non opprime né sopprime l'affetto umano. «Si amavano di un amore meraviglioso ‑ ella scrive ‑ e s'incoraggiavano dolcemente, l'uno con l'altra, nel lodare e servire Dio». Elisabetta amava teneramente Luigi, e Luigi amava lei, per la sua bellezza, la sua gentilezza e la sua grazia. Eppure non si rendeva seducente con mondani accorgimenti: anzi, tra le gentildonne della Turingia, ornate e superbe, la Duchessa era quasi disprezzata per la sua semplicità nel vestire e per la sua modestia nel vivere.
    Nel castello di Wartburg, non si distingueva quasi di tra le serve, sempre in faccende, quasi mai in divertimenti. Eppure non si rendeva seducente con mondani accorgimenti: anzi, tra le gentildonne della Turingia, ornate e superbe, la Duchessa era quasi disprezzata per la sua semplicità nel vestire e per la sua modestia nel vivere.
    Il marito, innamorato di lei, volle mostrarsi degno di una creatura bellissima nel volto e nell'anima, e prese per motto nel suo stemma tre parole che espressero anche in concreto il programma della sua vita pubblica: «Pietà, Purezza, Giustizia». Ludwig si rivelò all'altezza di sua moglie. La protesse nei Suoi atti di carità, nelle penitenze, nelle veglie, e spesso la tenne per mano mentre pregava inginocchiata di notte accanto al letto. Egli fu anche un abile governatore ed un soldato coraggioso. I tedeschi l'hanno soprannominato "San Ludwig", poiché fu uno degli uomini migliori della sua epoca, oltre che il pio marito di Santa Elisabetta. Il dolce e affettuoso connubio era durò poco, non offuscato da incomprensioni, benché qualche volta il marito trovasse eccessiva la devozione della moglie, come quando si faceva svegliare di notte, all'insaputa del marito, per pregare inginocchiata al letto coniugale. «Anche quando il marito viveva ‑ dichiarò poi Isentrude ‑ ella era come una religiosa: umile e caritatevole, tutta dedita alla preghiera. Com_piva tutte le opere di carità nella più grande gioia dell'anima e senza mai mutar di volto».
    Insieme crebbero nella reciproca emulazione, confortati e sostenuti dalla convinzione che il loro amore e la felicità che ne scaturiva erano un dono sacramentale: «Se io amo a tal punto una creatura mortale, - confidava la giovane duchessa alla domestica e amica Isentrude - come dovrei amare il Signore immortale, padrone della mia anima?».
    A quindici anni Elisabetta ebbe il primogenito, a 17 una bambina e a vent'anni un'altra bambina, quando ormai da tre settimane aveva perduto il marito, morto l'11 settembre 1227 di peste ad Otranto, durante la crociata alla quale aveva aderito con giovanile entusiasmo. La notizia raggiunse Elisabetta in ottobre, poco dopo il Suo terzo parto, ed ella esclamò: "Il mondo e le Sue gioie sono ormai morti per me". In quella occasione Elisabetta aveva dato il suo contributo, privandosi di quanto le apparteneva per erigere un ospedale a Marburg, in onore di S. Francesco, suo contemporaneo (morto da appena un anno). Rimasta vedova, contro di lei si scatenarono i malumori repressi dei cognati, che mal sopportavano la sua generosità verso i poveri. In particolare, suo zio Eckbert, Vescovo di Bamberg, progettò per Lei un secondo matrimonio, nonostante Elisabetta, mentre Suo marito era ancora vivo, avesse fatto un voto di castità da rispettare se egli fosse morto. Mentre difendeva tale convinzione dagli attacchi di Suo zio, i resti mortali di Luigi vennero portati a Bamberg da alcuni fedeli seguaci che li avevano recuperati in Italia. Piangendo amaramente, Ella seppellì il suo corpo nella cripta di famiglia dei Signori di Turingia, nel monastero di Reinhardsbrunn. Privata anche dei figli, cacciata dal castello di Wartemburg, poté vivere in pieno l'ideale francescano di povertà entrando nel Terz'ordine. Nel 1228, infatti, nella casa Francescana di Eisenach, Elisabetta rinunciò formalmente al mondo per dedicarsi, in assoluta obbedienza alle direttive di un rigido e intransigente confessore (che le imponeva la flagellazione per ogni piccola mancanza), alle attività assistenziali.
    Ella viene generalmente rappresentata come una donna che indossa una corona e si prende cura dei mendicanti, oppure una donna che indossa una corona e porta un fascio di rose nel mantello poiché una volta, mentre portava cibo ai poveri e agli ammalati, Suo marito la fermò e guardò sotto il Suo mantello - ma trovò solo rose, e non cibo. Le Sue donazioni di pane ai bisognosi, ed il grande quantitativo di grano che regalò alla Germania colpita dalla carestia, fecero di Lei la patrona dei panettieri. E' anche la santa patrona degli ospedali, case di cura e servizi infermieristici. Insieme a san Luigi re di Francia, è patrona dell'Ordine Francescano Secolare.

    Tratto a riadattato da La Lode

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    GIOVANNI PAOLO II

    LETTERA ALLA CHIESA DI UNGHERIA PER IL
    750° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI SANTA ELISABETTA


    Mi rivolgo di nuovo a voi con grande gioia, diletti fratelli e sorelle ungheresi, in occasione del 750° anniversario della beata morte di santa Elisabetta della dinastia di Arpád, figlia degna di ammirazione della Nazione e della Chiesa ungheresi. Desidero infatti rendermi spiritualmente presente tra di voi in Sarospatak, suo probabile luogo di nascita, dove in questi giorni e in quest’anno numerosi pellegrini festeggiano il fiore profumato, sbocciato dalla dinastia di santo Stefano.

    Mentre cantate “della vita di donna Elisabetta” e ricordate le sue “tante opere di bene”, evocate la splendida figura di una giovane donna e madre, che ha vissuto appena 24 anni. Assieme a voi osservo anch’io la bambina Elisabetta dal carattere vivace, che da sua madre dalla tragica sorte imparò presto ad amare Gesù e Maria. La vediamo presto in Turingia, nel castello di Wartburg, famoso per i Minnesanger, ove con il suo essere dinamico e con il suo amore senza pregiudizi conquista quanti le stanno attorno. Voleva solo assecondare la volontà di Cristo, l’amore di Cristo irradiava dalla sua persona. Davanti al Crocifisso tolse la propria corona dicendo: “Come potrei io portare la corona d’oro, quando il Signore porta la corona di spine? E la porta per me!”.

    La sua vita si realizza nell’amore del langravio Ludovico. Elisabetta, di appena 14 anni, e Ludovico di 21 anni, si amavano in Dio e si aiutavano a vicenda per amare sempre di più Dio. Accettavano con profonda gratitudine dal Creatore il dono della nuova vita. Chi potrebbe restare indifferente di fronte alla gioia avvincente di una madre di 15 anni e all’immenso amore di Ludovico e Elisabetta!

    La giovane madre, sollecitata dall’amore di Cristo, visitava i poveri, gli ammalati, i bambini abbandonati. Se san Paolo è diventato tutto per tutti perché tutti si salvino, Elisabetta è diventata madre di tutti per condividere la buona novella di Cristo. “Sub castro Warthberch altissimo erat magna domus, in qua plurimos ponebat infirmos. Consolans eos et tractans cum eis de patientia et salute anime ac singulorum desiderio tam in potu, quam cibariis in omnibus satisfaciebat, vedens etiam ornamenta sua in alimoniam eorum. In aedem domo habuit multos puerulos pauperes, quibus bene providit, tam benigne et dulciter se circa ipsos habent, ut eam omnes matrem appellarent, et circa eam intrantem domum se collocarent ad eam currendo. Inter eos scabiosos, infirmos, debiles et magis sordidos et deformatos specialius dilexit, capita eorum manibus attrectans et in sinu suo locans” (De dictis quattuor ancillarum, cap. II. 771ss).

    Il segreto della gioia e del servizio inesauribili rivela ella stessa alle sue ancelle: “Che grande fortuna per noi poter lavare il Signore e poter preparare il letto per Lui”. Come san Francesco d’Assisi, suo esempio, non ebbe paura dei lebbrosi, riteneva un privilegio poterli curare. Elisabetta e Ludovico con gli occhi dell’anima vedevano Cristo in ogni persona malata.

    Elisabetta con gli occhi bene aperti osservava le ferite causate dalle ingiustizie sociali. Nel periodo della carestia apriva senza esitazioni la dispensa del langravio per sfamare i poveri arrivati da terre lontane, e nello stesso tempo procurava anche un lavoro ad essi. Sorpassando le barriere della propria epoca ella stessa lavorava mentre educava i suoi figli e adempiva ai doveri del suo rango.

    La gioia non si è spenta mai dal suo cuore, donava con gioia evangelica: “Tutto ciò che possiamo dobbiamo donarlo con gioia e di buon grado”.

    In Elisabetta dobbiamo vedere anche la donna forte della Bibbia, che non viene distrutta dalla sofferenza, bensì ne venne resa partecipe del mistero pasquale. Elisabetta, che era in attesa di un altro figlio, dovette combattere una dura battaglia per lasciar andare il marito da crociato in Terra Santa. Gli sposi affezionati, nella preghiera chiedono e trovano la forza per accettare la volontà di Dio. Come simbolo della loro eterna unione sponsale, con comune volontà offrono al servizio di Dio il loro figlio nascente. La giovane madre di tre figli, appena ventenne, nel giro di poche settimane, perdeva il suo sposo fedele, mentre i suoi parenti la privavano dell’uso dei suoi beni materiali. Elisabetta, constatando di non poter vivere nel castello di Wartburg secondo la propria coscienza, lo lascia con libera decisione, affidando a Dio il futuro suo e dei figli. Voleva imitare Cristo, che “scelse di essere come servo.. Abbassò se stesso e fu ubbidiente a Dio sino alla morte in Croce” (Fil 2,7-8); ora nella luce della grazia scopriva che anche per lei era arrivato il momento benedetto del “kenozis”. Diseredata, abbandonata canta un Te Deum esultante. “Nudata enim omnibus temporalibus in multiplici corporis cruciata Christum sequebatur non cum aliis mulieribus de longe spectans, sed cominus glaudius tribulationum animam eius pertransivit” (De dictis quattuor ancillarum, Prol., 80-84).

    Dopo aver assicurato con saggia determinazione il futuro dei suoi figli, indossa il semplice saio grigio di san Francesco; il venerdì santo solennemente rinuncia alla propria volontà e come terziaria francescana, la prima in terra tedesca, vive esclusivamente per la preghiera e per il servizio del prossimo.

    Venivano da lei a torrenti gli ammalati, i disperati ed ella – vivendo incessantemente nella presenza di Dio – a molti ridava la salute e la pace di Dio. “Vedete, io ve l’ho detto: bisogna rendere felici gli uomini”. Dopo aver dato senza riserve “la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13) sul letto di morte confida: “Devi sapere che sono stata molto felice”.

    750 anni fa, nella notte tra il 16 e 17 novembre, nel 1231 con un sorriso felice è andata incontro a sorella morte, la quale l’ha unita per l’eternità con il Cristo e con i suoi.

    Erano trascorsi appena 4 anni, quando nel 1235 Papa Gregorio IX canonizzava la famosa langravia.

    Diletti fratelli e sorelle ungheresi!

    Santa Elisabetta da allora è una fiaccola luminosa per quanti imitano il Cristo nel servizio per il prossimo. Ma prima di tutto ella è un fulgido esempio per voi, cattolici ungheresi del XX secolo, per voi, giovani, per voi, sposi, messaggeri odierni dell’amore di Dio.

    Mi rivolgo a voi, giovani cattolici. Osservate Elisabetta d’Ungheria e cercate di scoprire il mistero della sua vita. Incontrerete il Cristo, che già conoscete, ma forse non amate abbastanza. Ascoltate la chiamata divina che viene dal profondo del vostro cuore, “siate saldamente radicati e stabilmente fondati nell’amore” (Ef 3,17). Abbiate il coraggio di dare la vita a Cristo e in Lui ai fratelli. “I poveri li avete sempre con voi” (Gv 12,8); guardate attorno attentamente; nell’ambiente in cui vivete, poi negli ospedali, nei focolari familiari spenti, negli istituti di carità, troverete un fratello anziano, un malato solitario, un invalido rifiutato dai parenti, un malato nel corpo e nella mente; in essi potrete servire il Cristo. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me” (Mt 25,40)

    Perché voi possiate accettare questa missione apostolica nello spirito di santa Elisabetta, dovete approfondire la vostra fede in Cristo usando regolarmente i mezzi di grazia offerti dalla Chiesa.

    “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ef 3,17). Siate rappresentanti dell’amore misericordioso del Padre, perché assieme ai vostri fratelli credenti e a quanti stanno cercando in Dio il senso della loro esistenza “siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,18-19).

    Meditate in quest’anno giubilare sulla vita familiare felice di santa Elisabetta voi sposi, madri e padri di famiglia! Siate vicini gli uni agli altri con fedeltà irremovibile. Siate convinti che l’amore di Dio e la vita cristiana coerente non solo non è un ostacolo, bensì è una fonte inesauribile dell’amore coniugale. Santificatevi vicendevolmente, aiutatevi vicendevolmente nell’imitazione di Cristo.

    Ricordatevi che il popolo della Turingia considera santo oltre Elisabetta anche Ludovico! Pregate tutti i giorni anche insieme, sapendo che Cristo è presente con voi. In Cristo potete diventare quello che in virtù del sacramento del matrimonio dovete essere: un corpo solo e un’anima sola. Accettate con gratitudine il più bel dono del Dio Creatore: il dono della vita che è sacra sin dal primo istante del concepimento. Trasformate il vostro focolare in chiesa domestica, educate i vostri figli alla fede.

    “L’azione catechetica della famiglia ha un carattere particolare e, in un certo senso, insostituibile” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 68).

    Santificate i vostri figli, insegnate loro ad amare Cristo e la sua Chiesa, a servire disinteressatamente il Popolo di Dio. Approfondite in voi la convinzione che con l’esempio della vostra vita e con la trasmissione della vostra fede date il meglio ai vostri figli. Potete diventare genitori di futuri santi, come anche la terza figlia di Elisabetta, Gertrude, è venerata come beata dai Premostratensi. Conservate l’intima atmosfera della chiesa domestica, ma nello stesso tempo siate aperti verso il grande compito di costruire il Regno di Dio. Siate un centro irradiante d’amore universale.

    La società moderna ha particolarmente bisogno di uomini e donne rivestiti di Cristo, i quali con gioia e disinteresse si dedicano al servizio del prossimo, i quali come madri e come padri abbracciano e aiutano i poveri dei nostri tempi bisognosi di affetto, di comprensione, di fede, di beni materiali e spirituali. Siate convinti che partecipate attivamente nell’unica missione apostolica della Chiesa.

    Guardate tutti Santa Elisabetta, diletti Fratelli e Sorelle ungheresi! Riconoscete in lei la meravigliosa chiamata dell’amore di “Dio, ricco di misericordia” (Ef 2,4). Siate orgogliosi che Elisabetta, figlia della terra magiara, sia diventata una santa conosciuta e amata in tutto il mondo. Ella ha pensato in dimensioni che superano la sua epoca, con cuore geniale ha intuito la forza unificatrice dell’amore e la profonda esigenza dell’unità. La verità di Cristo l’ha resa libera affinché potesse costruire l’unità tra due popoli, innalzare un ponte tra classi sociali contrastanti, unire in sé varie manifestazioni dell’ideale di santità e infine armonizzare i cuori umani.

    Chiedete dunque l’intercessione della grande santa Elisabetta, di questa santa così attuale, per la vostra diletta Nazione, per il nobile Popolo ungherese, per l’unità tra i popoli costruita sull’amore e rispetto mutui.

    “Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, nello spirito della sua missione messianica, che continua nella storia dell’umanità, eleviamo la nostra voce e supplichiamo perché, in questa tappa della storia si riveli ancora una volta quell’amore che è nel Padre, e per opera del Figlio e dello Spirito Santo si dimostri presente nel mondo contemporaneo. Supplichiamo per intercessione di Colei che non cessa di proclamare “la misericordia di generazione in generazione”, e anche di coloro per i quali si sono compiutamente realizzate le parole del Discorso della montagna: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 15).

    Affinché l’anno giubilare di santa Elisabetta possa essere per tutti un anno di rinnovamento che trasforma la vostra esistenza, diletti fratelli e sorelle Ungheresi, vi affido alla protezione della “Magna Domina Hungarorum” e vi invio con affetto particolare la mia benedizione apostolica.

    Dal Vaticano, 19 novembre 1981

    GIOVANNI PAOLO II

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    da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1282-1287

    19 NOVEMBRE

    SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA,
    Duchessa di Turingia

    Le famiglie dei santi.


    Sebbene tutti gli eletti brillino in cielo di splendore proprio, Dio si compiace raggrupparli per famiglie, come avviene in natura per gli astri del cielo. Presiede a questo raggruppamento di costellazioni nel cielo dei santi la grazia, ma Dio pare talvolta volerci ricordare che natura e grazia lo hanno autore comune, e, invitandole ad onorarlo insieme nei suoi santi fa della santità un patrimonio augusto che, di generazione in generazione, si trasmette nei membri di una stessa famiglia della terra.

    La stirpe regale di Ungheria occupa un posto di grandezza singolare fra queste stirpi benedette e il gioco delle alleanze consentì di portare a tutte le famiglie regali di Europa il prestigio di una santità conquistata da molti suoi figli.

    Particolarmente illustre ed amabile è santa Elisabetta. Dopo Stefano, gli Emeric, i Ladislao, essa ci appare come armonia di grazia e di natura che rapisce, insieme con la figlia Gertrude di Turingia, la zia Edvige di Slesia, le cugine e nipoti e pronipoti Agnese di Boemia, Margherita di Ungheria, Cunegonda di Polonia ed Elisabetta del Portogallo.

    Modello di virtù.

    "È la gloria del suo popolo, scriveva Pio XI, la donna forte, par a quella che l'autore dei Proverbi colma di lodi e della quale si devono richiamare le splendide virtù" (Lettera di Pio XI Felix faustumque eventum del 10 maggio 1931). Dio ci presenta santa Elisabetta come un esempio perfetto di carità verso i piccoli e verso i poveri, di umiltà e di unione con Dio.

    Già nell'infanzia trovava la sua delizia nel provvedere ai bisogni degli sventurati e, giunta all'età nella quale le era possibile disporre della sua fortuna, la pose a disposizione dei malati, che di persona si recava a curare nell'ospedale che aveva fondato, delle vedove e degli orfani, che visitava nei loro poveri tuguri.

    Umilissima, fu la prima in Germania ad entrare nel Terz'Ordine di san Francesco e volle vivere povera, nell'esempio del serafico Padre, consentendo di essere spogliata di tutti i suoi beni, e continuò a vivere in un'umile capanna, quando i beni gli furono restituiti, per rassomigliare maggiormente a Gesù Cristo, fattosi povero per gli uomini.

    Nella molteplicità delle sue opere di misericordia, e in mezzo alle molte prove, custodì l'anima sua intimamente unita a Dio per mezzo di una preghiera fervente. Meglio che a qualsiasi altro, la Liturgia può applicare a lei l'Antifona dell'Ufficio delle donne Sante: "Disprezzai i troni del mondo, per amore del mio Signore Gesù Cristo. Vedo Lui, amo Lui, ho scelto Lui e in Lui ho posto la mia fiducia".

    VITA. - Figlia di Andrea II, re d'Ungheria, Elisabetta nacque nel 1207. A quattro anni andò alla corte di Turingia, ove sposò nel 1221 il langravio Luigi. Fu un matrimonio fortunato, perché il principe comprese benissimo la giovane sposa e la lasciò libera di praticare le sue devozioni e penitenze, aprendo volentieri la borsa alla sua inesauribile carità. Sposa e madre esemplare, soleva alzarsi la notte, per restare lunghe ore in orazione.

    Cominciarono le prove con la partenza del duca Luigi per la Crociata. Ebbe presto notizia della sua morte (1327) e poi il fratello del langravio, Enrico Raspan, fece man bassa degli stati del defunto.

    Cacciata dalla sua casa con quattro bambini, dei quali il più piccolo aveva appena qualche mese, senza risorsa alcuna, in pieno inverno dovette cercare un alloggio che il cognato proibiva agli abitanti di darle. Conobbe in quel tempo la miseria più nera e fu felice di ottenere per ricovero una stalla.

    Gli fu poi restituita la sua fortuna, ma preferì restare fra i suoi poveri e in mezzo ad essi, in una casetta di paglia e fango. Morì, il 17 novembre 1231, in età di 24 anni. Quattro anni dopo, Gregorio IX la canonizzava e il suo culto si è esteso a tutta la Chiesa.

    Preghiera.

    Salendo al cielo, quale insegnamento lasci alla terra, o santa Elisabetta! Chiediamo, con la Chiesa, per noi e per i nostri fratelli di fede, che le tue preghiere possano ottenere da Dio misericordioso che i nostri cuori si aprano alla luce degli insegnamenti della tua vita e disprezzino la felicità del mondo, per apprezzare solo le consolazioni celesti. Il Vangelo, in tuo onore, oggi ci ricorda: Il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto, a una perla inestimabile, che l'uomo saggio e avveduto acquista, vendendo tutto quello che possiede, per assicurarsi il tesoro o la perla. Buon affare, che tu hai apprezzato, assicura l'Epistola, e che attorno a te costituì la fortuna di tutti; dei tuoi sudditi felici, per i quali fu aiuto al corpo e sollievo all'anima: del tuo sposo, che per merito tuo sedette fra i principi che seppero cambiare una corona peritura con la corona eterna; di tutti i tuoi infine, perché per essi sei la gloria più bella e molti di essi ti seguirono così da vicino sul cammino delle rinunce che portano al ciclo. Intercedi per il tuo sventurato paese, che oggi subisce una persecuzione atroce. Dà a tutti i sacerdoti e ai fedeli la grazia di seguire l'esempio e di raccogliere i frutti del sacrificio del suo primo pastore e di restare fedeli alla fede cattolica, apostolica, romana. La tua preghiera abbia la potenza di ottenere dal cuore di Dio che i giorni della prova siano abbreviati e che l'Ungheria, liberata da tutti i suoi nemici, riveda i giorni belli della sua storia passata e inoltre che "la Germania, essa pure tanto provata, impari che solo dalla carità di Cristo si deve attendere la salvezza delle nazioni" (Lettera di Pio XI Felix faustumque eventum del 10 maggio 1931).

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    Daniel Gran, S. Elisabetta d'Ungheria distribuisce l'elemosina ai poveri, 1736, Museum of Fine Arts, Budapest

    Giambattista Pittoni, S. Elisabetta d'Ungheria distribuisce l'elemosina ai poveri, 1734, Museum of Fine Arts, Budapest

    Maestro tedesco sconosciuto, S. Elisabetta veste i poveri ed assiste i malati, 1390 circa, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

    Raymond Balze, La carità di S. Elisabetta d'Ungheria, 1866, Musée des Beaux-Arts, Lione

    Edmund Blair Leighton, La carità di S. Elisabetta d'Ungheria, XIX sec., Collection of Fred and Sherry Ross

    Károly Senyei, S. Elisabetta d'Ungheria, 1890, Basilica di S. Stefano, Budapest

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    BENEDETTO XVI

    LETTERA AL PRIMATE DI UNGHERIA, EM.MO CARD. PÉTER ERDŐ, IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI PER L’VIII CENTENARIO DELLA NASCITA DI SANTA ELISABETTA DI TURINGIA O D’UNGHERIA


    Al Venerato Fratello

    PÉTER Card. ERDŐ

    Arcivescovo degli Strigoni

    Primate di Ungheria

    Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa

    Con vivo compiacimento ho appreso che si stanno predisponendo speciali festeggiamenti per l’VIII centenario della nascita di santa Elisabetta di Turingia o d’Ungheria, che ricorre quest’anno. In tale felice circostanza Le chiedo di rendersi interprete presso i fedeli d’Ungheria e dell’intera Europa della mia spirituale partecipazione alle celebrazioni previste: esse saranno opportuna occasione per proporre all’intero Popolo di Dio e specialmente all’Europa la splendida testimonianza di questa Santa, la cui fama ha varcato i confini della propria Patria, coinvolgendo moltissime persone anche non cristiane in tutto il Continente.

    Santa "europea", Elisabetta nacque in un contesto sociale di fresca evangelizzazione. Andrea e Gertrude, genitori di tale autentica gemma della nuova Ungheria cristiana, si preoccuparono di formarla alla consapevolezza della propria dignità di figlia adottiva di Dio. Elisabetta fece proprio il programma di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che facendosi uomo, "spogliò se stesso assumendo la condizione di servo" (Fil 2,7). Grazie all'aiuto di ottimi maestri, si pose sulle orme di san Francesco d'Assisi, proponendosi come personale e ultimo obiettivo quello di conformare la sua esistenza a quella di Cristo, unico Redentore dell'uomo.

    Chiamata ad essere sposa del Langravio di Turingia, non cessò di dedicarsi alla cura dei poveri, nei quali riconosceva le sembianze del Maestro divino. Seppe unire le doti di sposa e di madre esemplare all'esercizio delle virtù evangeliche, apprese alla scuola del Santo di Assisi. Si rivelò vera figlia della Chiesa, offrendo una testimonianza concreta, visibile e significativa della carità di Cristo. Innumerevoli persone, lungo il corso dei secoli, hanno seguito il suo esempio, guardando a lei come a modello di specchiate virtù cristiane, vissute in modo radicale nel matrimonio, nella famiglia e pure nella vedovanza. A lei si sono ispirate anche personalità politiche, traendone incitamento a lavorare alla riconciliazione tra i popoli.

    L'anno internazionale elisabettiano, iniziato a Roma lo scorso 17 novembre, sta recando nuovi stimoli a meglio comprendere la spiritualità di questa figlia della Pannonia, che richiama ancora oggi ai suoi concittadini e agli abitanti del Continente europeo l’importanza dei valori imperituri del Vangelo.

    Signor Cardinale, formulo fervidi voti affinché la conoscenza approfondita della personalità e dell'opera di Elisabetta di Turingia possa aiutare a riscoprire con sempre più viva consapevolezza le radici cristiane dell’Ungheria e della stessa Europa, spingendo i responsabili a sviluppare in modo armonico e rispettoso il dialogo tra la Chiesa e le società civili, per costruire un mondo realmente libero e solidale. Possa l’anno internazionale elisabettiano costituire per gli Ungheresi, i Tedeschi e per tutti gli Europei occasione quanto mai propizia per evidenziare l'eredità cristiana ricevuta dai padri, sì da continuare ad attingere da quelle radici la linfa necessaria per un'abbondante fruttificazione nel nuovo millennio da poco iniziato.

    Mentre invoco su tutti la costante protezione di Maria, Magna Domina Hungarorum, di santo Stefano e di santa Elisabetta, imparto a Lei, Signor Cardinale, all'Episcopato, al clero, ai religiosi e ai fedeli tutti una speciale Benedizione Apostolica, pegno di copiosi favori celesti.

    Dal Vaticano, 27 Maggio 2007

    BENEDICTUS PP. XVI

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    St. Elizabeth of Hungary

    Also called St. Elizabeth of Thuringia, born in Hungary, probably at Pressburg, 1207; died at Marburg, Hesse, 17 November (not 19 November), 1231.

    She was a daughter of King Andrew II of Hungary (1205-35) and his wife Gertrude, a member of the family of the Counts of Andechs-Meran; Elizabeth's brother succeeded his father on the throne of Hungary as Bela IV; the sister of her mother, Gertrude, was St. Hedwig, wife of Duke Heinrich I, the Bearded, of Silesia, while another saint, St. Elizabeth (Isabel) of Portugal (d. 1336), the wife of the tyrannical King Diniz of that country, was her great-niece.

    In 1211 a formal embassy was sent by Landgrave Hermann I of Thuringia to Hungary to arrange, as was customary in that age, a marriage between his eldest son Hermann and Elizabeth, who was then four years old. This plan of a marriage was the result of political considerations and was intended to be the ratification of a great alliance which in the political schemes of the time it was sought to form against the German Emperor Otto IV, a member of the house of Guelph, who had quarrelled with the Church. Not long after this the little girl was taken to the Thuringian court to be brought up with her future husband and, in the course of time, to be betrothed to him.

    The court of Thuringia was at this period famous for its magnificence. Its centre was the stately castle of the Wartburg, splendidly placed on a hill in the Thuringian Forest near Eisenach, where the Landgrave Hermann lived surrounded by poets and minnesingers, to whom he was a generous patron. Notwithstanding the turbulence and purely secular life of the court and the pomp of her surroundings, the little girl grew up a very religious child with an evident inclination to prayer and pious observances and small acts of self-mortification. These religious impulses were undoubtedly strengthened by the sorrowful experiences of her life.

    In 1213 Elizabeth's mother, Gertrude, was murdered by Hungarian nobles, probably out of hatred of the Germans. On 31 December, 1216, the oldest son of the landgrave, Hermann, who Elizabeth was to marry, died; after this she was betrothed to Ludwig, the second son. It was probably in these years that Elizabeth had to suffer the hostility of the more frivolous members of the Thuringian court, to whom the contemplative and pious child was a constant rebuke. Ludwig, however, must have soon come to her protection against any ill-treatment. The legend that arose later is incorrect in making Elizabeth's mother-in-law, the Landgravine Sophia, a member of the reigning family of Bavaria, the leader of this court party. On the contrary, Sophia was a very religious and charitable woman and a kindly mother to the little Elizabeth.

    The political plans of the old Landgrave Hermann involved him in great difficulties and reverses; he was excommunicated, lost his mind towards the end of his life, and died, 25 April, 1217, unreconciled with the Church. He was succeeded by his son Ludwig IV, who, in 1221, was also made regent of Meissen and the East Mark. The same year (1221) Ludwig and Elizabeth were married, the groom being twenty-one years old and the bride fourteen. The marriage was in every regard a happy and exemplary one, and the couple were devotedly attached to each other. Ludwig proved himself worthy of his wife. He gave his protection to her acts of charity, penance, and her vigils, and often held Elizabeth's hands as she knelt praying at night beside his bed. He was also a capable ruler and brave soldier. The Germans call him St. Ludwig, an appellation given to him as one of the best men of his age and the pious husband of St. Elizabeth.

    They had three children: Hermann II (1222-41), who died young; Sophia (1224-84), who married Henry II, Duke of Brabant, and was the ancestress of the Landgraves of Hesse, as in the war of the Thuringian succession she won Hesse for her son Heinrich I, called the Child; Gertrude (1227-97), Elizabeth's third child, was born several weeks after the death of her father; in after-life she became abbess of the convent of Altenberg near Wetzlar.

    Shortly after their marriage, Elizabeth and Ludwig made a journey to Hungary; Ludwig was often after this employed by the Emperor Frederick II, to whom he was much attached, in the affairs of the empire. In the spring of 1226, when floods, famine, and the pest wrought havoc in Thuringia, Ludwig was in Italy attending the Diet at Cremona on behalf of the emperor and the empire. Under these circumstances Elizabeth assumed control of affairs, distributed alms in all parts of the territory of her husband, giving even state robes and ornaments to the poor. In order to care personally for the unfortunate she built below the Wartburg a hospital with twenty-eight beds and visited the inmates daily to attend to their wants; at the same time she aided nine hundred poor daily. It is this period of her life that has preserved Elizabeth's fame to posterity as the gentle and charitable chételaine of the Wartburg. Ludwig on his return confirmed all she had done. The next year (1227) he started with the Emperor Frederick II on a crusade to Palestine but died, 11 September of the same year at Otranto, from the pest. The news did not reach Elizabeth until October, just after she had given birth to her third child. On hearing the tidings Elizabeth, who was only twenty years old, cried out: "The world with all its joys is now dead to me."

    The fact that in 1221 the followers of St. Francis of Assisi (d. 1226) made their first permanent settlement in Germany was one of great importance in the later career of Elizabeth. Brother Rodeger, one of the first Germans whom the provincial for Germany, Caesarius of Speier, received into the order, was for a time the spiritual instructor of Elizabeth at the Wartburg; in his teachings he unfolded to her the ideals of St. Francis, and these strongly appealed to her. With the aid of Elizabeth the Franciscans in 1225 founded a monastery in Eisenach; Brother Rodeger, as his fellow-companion in the order, Jordanus, reports, instructed Elizabeth, to observe, according to her state of life, chastity, humility, patience, the exercise of prayer, and charity. Her position prevented the attainment of the other ideal of St. Francis, voluntary and complete poverty. Various remarks of Elizabeth to her female attendants make it clear how ardently she desired the life of poverty.

    After a while the post Brother Rodeger had filled was assumed by Master Conrad of Marburg, who belonged to no order, but was a very ascetic and, it must be acknowledged, a somewhat rough and very severe man. He was well known as a preacher of the crusade and also as an inquisitor or judge in cases of heresy. On account of the latter activity he has been more severely judged than is just; at the present day, however, the estimate of him is a fairer one. Pope Gregory IX, who wrote at times to Elizabeth, recommended her himself to the God-fearing preacher. Conrad treated Elizabeth with inexorable severity, even using corporal means of correction; nevertheless, he brought her with a firm hand by the road of self-mortification to sanctity, and after her death was very active in her canonization. Although he forbade her to follow St. Francis in complete poverty as a beggar, yet, on the other hand, by the command to keep her dower she was enabled to perform works of charity and tenderness.

    Up to 1888 it was believed, on account of the testimony of one of Elizabeth's servants in the process of canonization, that Elizabeth was driven from the Wartburg in the winter of 1227 by her brother-in-law, Heinrich Raspe, who acted as regent for her son, then only five years old. About 1888 various investigators (Börner, Mielke, Wenck, E. Michael, etc.) asserted that Elizabeth left the Wartburg voluntarily, the only compulsion being a moral one. She was not able at the castle to follow Conrad's command to eat only food obtained in a way that was certainly right and proper. Lately, however, Huyskens (1907) tried to prove that Elizabeth was driven from the castle at Marburg in Hesse, which was hers by dower right. Consequently, the Te Deum that she directed the Franciscans to sing on the night of her expulsion would have been sung in the Franciscan monastery at Marburg. Accompanied by two female attendants, Elizabeth left the castle that stands on a height commanding Marburg. The next day her children were brought to her, but they were soon taken elsewhere to be cared for.

    Elizabeth's aunt, Matilda, Abbess of the Benedictine nunnery of Kitzingen near Würzburg, took charge of the unfortunate landgravine and sent her to her uncle Eckbert, Bishop of Bamberg. The bishop, however, was intent on arranging another marriage for her, although during the lifetime of her husband Elizabeth had made a vow of continence in case of his death; the same vow had also been taken by her attendants.

    While Elizabeth was maintaining her position against her uncle the remains of her husband were brought to Bamberg by his faithful followers who had carried them from Italy. Weeping bitterly, she buried the body in the family vault of the landgraves of Thuringia in the monastery of Reinhardsbrunn. With the aid of Conrad she now received the value of her dower in money, namely two thousand marks; of this sum she divided five hundred marks in one day among the poor. On Good Friday, 1228, in the Franciscan house at Eisenach Elizabeth formally renounced the world; then going to Master Conrad at Marburg, she and her maids received from him the dress of the Third Order of St. Francis, thus being among the first tertiaries of Germany. In the summer of 1228 she built the Franciscan hospital at Marburg and on its completion devoted herself entirely to the care of the sick, especially to those afflicted with the most loathsome diseases. Conrad of Marburg still imposed many self-mortifications and spiritual renunciations, while at the same time he even took from Elizabeth her devoted domestics. Constant in her devotion to God, Elizabeth's strength was consumed by her charitable labours, and she passed away at the age of twenty-four, a time when life to most human beings is just opening.

    Very soon after the death of Elizabeth miracles began to be worked at her grave in the church of the hospital, especially miracles of healing. Master Conrad showed great zeal in advancing the process of canonization. By papal command three examinations were held of those who had been healed: namely, in August, 1232, January, 1233, and January, 1235. Before the process reached its end, however, Conrad was murdered, 30 July, 1233. But the Teutonic Knights in 1233 founded a house at Marburg, and in November, 1234, Conrad, Landgrave of Thuringia, the brother-in-law of Elizabeth, entered the order. At Pentecost (28 May) of the year 1235, the solemn ceremony of canonization of the "greatest woman of the German Middle Ages" was celebrated by Gregory IX at Perugia, Landgrave Conrad being present. In August of the same year (1235) the corner-stone of the beautiful Gothic church of St. Elizabeth was laid at Marburg; on 1 May, 1236, Emperor Frederick II attended the taking-up of the body of the saint; in 1249 the remains were placed in the choir of the church of St. Elizabeth, which was not consecrated until 1283.

    Pilgrimages to the grave soon increased to such importance that at times they could be compared to those to the shrine of Santiago de Compostela. In 1539 Philip the Magnanimous, Landgrave of Hesse, who had become a Protestant, put an end to the pilgrimages by unjustifiable interference with the church that belonged to the Teutonic Order and by forcibly removing the relics and all that was sacred to Elizabeth. Nevertheless, the entire German people still honour the "dear St. Elizabeth" as she is called; in 1907 a new impulse was given to her veneration in Germany and Austria by the celebration of the seven hundredth anniversary of her birth.

    St. Elizabeth is generally represented as a princess graciously giving alms to the wretched poor or as holding roses in her lap; in the latter case she is portrayed either alone or as surprised by her husband, who, according to a legend, which is, however, related of other saints as well, met her unexpectedly as she went secretly on an errand of mercy, and, so the story runs, the bread she was trying to conceal was suddenly turned into roses.

    Bibliography

    The original materials for the life of St. Elizabeth are to be found in the letters sent by CONRAD OF MARBURG to Pope Gregory IX (1232) and in the testimony of her four female attendants (Libellus de dictis quatuor ancillarum) taken by the third papal commission (January, 1235). The best edition of the testimony is to be found in HUYSKENS, Quellenstudien zur Geschichte der hl. Elisabeth, Landgräfin von Thüringen (Marburg, 1908),110-40. For the Acts of the process of canonization see HUYSKENS, Quellenstudien, 110-268; Vita S. Elisabethae des Caesarius von Heisterbach O. Cist. (1236), ed. HUYSKENS, in Annalen des historischen Vereins für den Niederrhein (Cologne, 1908), Pt. LXXXV; the hagiography of St. Elizabeth was greatly influenced by DIETRICH OF APOLDA, Vita S. Elisabeth (written 1289-97), published in CANISIUS, Antiquae lectionis (Ingolstadt, 1605), V, Pt. II, 147-217, and in BASNAGE, Thesaurus Monumentorum Ecclesiasticorum (Amsterdam, 1723). IV. 115-152.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. V, New York, 1909

 

 
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