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    Predefinito 11 novembre - S. Martino di Tours, vescovo

    L'11 novembre la Chiesa cattolica celebra la memoria di un grande Santo, S. Martino di Tours, reso famoso dal celebre episodio della condivisione del proprio mantello con un povero.
    Il Signore guardando quel gesto caritatevole volle ricompensarlo non facendogli patire i rigori della stagione autunnale. E' la famosa "estate di S. Martino".
    Si tratta di un episodio che, lungo i secoli, ha più volte ispirato innumerevoli artisti. Ma S. Martino è ricordato anche per essere stato uno dei primi soldati cristiani obiettore totale. Si tratta di un episodio della sua vita poco noto. Intorno al 350 d. C., Martino abbandonò il servizio militare con il celebre episodio noto agli agiografi come "scena di Worms", motivando tale rifiuto con l’obiezione "Sono soldato di Cristo: non mi è lecito combattere". All’imperatore Giuliano (l’Apostata), che lo accusava di viltà dinanzi all’imminente battaglia, egli replicò offrendosi di andare incontro ai nemici disarmato.
    A beneficio ed edificazione di tutti, posto un breve profilo biografico di questo Santo, traendolo dal sito SANTI E BEATI:

    San Martino di Tours, Vescovo

    11 novembre - Memoria

    Sabaria (ora Szombathely, Ungheria), 316-317 - Candes (Indre-et-Loire, Francia), 8 novembre 397

    Secondo la tradizione avrebbe dato prova della sua carità e anche per il prossimo tagliando in due il suo mantello e donandone metà ad un povero. Si ritirò a Ligugé, presso Portiers, dove con un gruppo di discepoli, fondò il primo monastero, divenendo presto famoso in tutta la Gallia. Eletto vescovo di Tours (371), diffuse il cristianesimo in tutta la Gallia occidentale. Martino fu uno dei santi più popolari dell’Europa occidentale; centinaia di parrocchie e di comuni presero il suo nome. E anche considerato il patrono dei soldati. Lottò con energia contro le eresie, l’idolatria e la supremazia.

    Patronato: Mendicanti

    Etimologia: Martino = dedicato a Marte

    Emblema: Bastone pastorale, Globo di fuoco, Mantello

    Martirologio Romano: Memoria di san Martino, vescovo, nel giorno della sua deposizione: nato da genitori pagani in Pannonia, nel territorio dell’odierna Ungheria, e chiamato al servizio militare in Francia, quando era ancora catecumeno coprì con il suo mantello Cristo stesso celato nelle sembianze di un povero. Ricevuto il battesimo, lasciò le armi e condusse presso Ligugé vita monastica in un cenobio da lui stesso fondato, sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato infine sacerdote ed eletto vescovo di Tours, manifestò in sé il modello del buon pastore, fondando altri monasteri e parrocchie nei villaggi, istruendo e riconciliando il clero ed evangelizzando i contadini, finché a Candes fece ritorno al Signore.

    Martirologio tradizionale (11 novembre): A Tours, in Francia, il natale del beato Martino, Vescovo e Confessore, la cui vita fu gloriosa per sì grandi miracoli che meritò di risuscitare tre morti.

    (4 luglio): A Tours, in Francia, la Traslazione di san Martino, Vescovo e Confessore, e la Dedicazione della sua Basilica in questo stesso giorno, nel quale altresì, alcuni anni prima, egli era stato ordinato Vescovo.

    Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
    Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
    Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
    Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora "il Dio che si adora nelle città". Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
    Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.

    Autore: Domenico Agasso






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    Predefinito Dalle «Lettere» di Sulpicio Severo (Lett. 3, 6. 9-10. 11. 14-17. 21; Sc 133, 336-343)

    Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d'accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l'armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.
    Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo, lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù».
    Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà.
    O uomo grande oltre ogni dire, invito nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l'intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino. Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie.
    Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio. Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso.

    István Dorfmeister, Glorificazione di S. Martino, XVIII sec., Cattedrale, Szombathely

    S. Martino in un'antica stampa

    J.G.Bergmüller, S. Martino di Tours, 1712

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    Predefinito Galleria in onore di S. Martino



    Autore ignoto ungherese, S. Martino ed il povero, 1490 circa, Hungarian National Gallery, Budapest

    Autore ignoto ungherese, Miracolo della Messa, 1490 circa, Hungarian National Gallery, Budapest

    Autore ignoto tedesco, SS. Martino e Nicola di Bari, 1450, Art Gallery of South Australia, Victoria

    Sir Anthony Van Dyck, S. Martino divide il proprio mantello, 1618 circa, St Martin, Zaventem

    Gregorio Fernandez (o Hernandez), S. Martino, Museo diocesano, Valladolid

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    El Greco, S. Martino ed il povero, 1597-99, National Gallery of Art, Washington

    El Greco, S. Martino ed il povero, 1604 circa, National Gallery of Art, Washington

    Hans Holbein il giovane, Madonna Solothurn (tra i SS. Martino ed Orso), 1522, Museum der Stadt Solothurn, Solothurn

    Jacob Van Oost il vecchio, S. Martino ed il povero, Groeninge Museum, Bruges

    Maestro sconosciuto ungherese, S. Martino ed il povero, 1490 circa, Hungarian National Gallery, Budapest

    Edward Burne-Jones, S. Martino, disegno per una vetrata, XIX sec.

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    Simone Martini, L'investitura di S. Martino, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, S. Martino divide il mantello col povero, 1312-17, Cappella di S. Martino, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Sogno di S. Martino, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, S. Martino rinuncia alle armi, 1312-17, Cappella di S. Martino, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, S. Martino in meditazione, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Miracolo del fuoco, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

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    Simone Martini, Miracolo del bambino resuscitato, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Miracolo della Messa, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Morte di S. Martino, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Seppellimento di S. Martino, 1312-17, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

    Simone Martini, Il Card. Gentile rende omaggio a S. Martino, 1317, Basilica inferiore di S. Francesco, Assisi

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    Predefinito Dalla "Vita di san Martino" di Sulpicio Severo

    SC 133, 255‑259.263.273‑275.313‑315.339‑343.

    Martino nacque a Sabaria, in Ungheria, ma fu educato a Pavia, in Italia. I suoi genitori pagani seppero farsi un'alta posizione: suo padre, da soldato semplice, divenne tribuno militare. Da giovane Martino seguì la carriera delle armi, servendo nella guardia imperiale a cavallo, sotto l'imperatore Costanzo, poi sotto Giuliano. Tuttavia lo fece senza entusiasmo, perché fin dai primi anni questo nobile fanciullo aspirò al servizio di Dio. All'età di dieci anni, infatti, nonostante la resistenza famigliare, cercò rifugio in una chiesa dove domandò di diventare catecumeno. Ben presto volle consacrarsi totalmente all'opera di Dio e desiderò vivere nel deserto. Avrebbe seguito questo ardente desiderio se la debolezza dei suoi dodici anni non glielo avesse impedito. Tuttavia, il suo cuore si volgeva senza posa verso gli eremi e le chiese, e seppure fanciullo pensava costantemente a quello che più tardi avrebbe compiuto.

    Un giorno d'inverno più rigido del solito, tanto che la gente moriva assiderata, Martino, che aveva indosso solo le armi e una semplice mantella militare, incontrò alla porta della città di Amiens un mendicante mezzo nudo. Il poveretto aveva un bel supplicare i passanti di aver pietà della sua miseria; tiravano tutti diritto senza fargli caso. L'uomo di Dio comprese che quel povero era riservato alla sua compassione, dato che nessuno gliela mostrava. Ma che fare? Non aveva nulla, tranne il manto, poiché aveva già sacrificato il resto per un'analoga opera buona. Allora, sguainata l'arma, divise la clamide in due, ne dette una metà al povero mendico e con il resto si rivestì. Alcuni dei presenti si burlarono di lui, trovandolo ridicolo in quell'abbigliamento dimezzato. Molti altri però, dal giudizio più retto, provarono un profondo rincrescimento per non aver soccorso il mendicante, pur avendone i mezzi senza doversi ridurre alla nudità. La notte dopo, quando Martino si fu addormentato, gli apparve Cristo vestito della metà del manto donato al povero. Considerando più attentamente il Signore, il santo riconobbe la veste che portava Gesù. Poi lo udì esclamare con voce squillante ad un folto d'angeli che lo circondava: "Martino, un semplice catecumeno, mi ha coperto con questa veste".

    Dopo aver abbandonato la milizia, Martino si recò da sant'Ilario, vescovo di Poitiers, che fin d'allora era un'autorità riconosciuta in materia teologica, e soggiornò qualche tempo presso di lui. Ilario cercò di legare il giovane più strettamente a se, consacrandolo diacono, per stabilirlo al servizio di Dio. Tuttavia Martino rifiutò ripetutamente, dichiarandosi indegno. Il saggio vescovo intui che l'unico modo per impegnarlo sarebbe stato conferirgli funzioni in apparenza piuttosto umilianti. Gli propose perciò d'essere esorcista. Il santo giovane non oso rifiutare l'invito per non aver l'aria di sdegnare quell'umile funzione. Poco tempo dopo, Martino ebbe in sogno l'ordine di visitare con sollecitudine la patria e la famiglia, ancora immerse nel paganesimo. Parti, dunque, con il consenso di sant'Ilario, il quale tra copiose lacrime e preghiere gli fece promettere di ritornare. Secondo quanto è stato tramandato, Martino si mise in viaggio col cuore mesto, dichiarando ai compagni che andava incontro a molte prove. Il seguito degli eventi l'avrebbe confermato.

    Più tardi, Martino fu richiesto come vescovo di Tours. Con perfetta fermezza egli seppe rimanere identico a quello di prima: medesima umiltà di cuore, identica povertà nel vestire. Egli compiva le funzioni di vescovo con prestigio e autorità, senza però tradire la professione e le virtù monastiche. Per un certo tempo abitò in una cella adiacente alla chiesa. Poi, non sopportando di essere disturbato da tanti visitatori, si trasferi in un eremo subito fuori di città. Era quello un ritiro talmente remoto che non aveva nulla da invidiare alla solitudine del deserto. Da una parte lo proteggevano rocce scoscese e sugli altri lati era racchiuso in un meandro della Loira. Un'unica strada, molto angusta, vi dava accesso. Martino occupava una cella in legno, e numerosi fratelli alloggiavano nel medesimo modo. Ma la maggioranza aveva preferito scavarsi un rifugio nelle rocce del monte sovrastante. Vi erano circa ottanta discepoli alla scuola di quel santo maestro.

    La vita interiore di Martino, la sua condotta quotidiana, quell'avere il cuore sempre proteso verso l'alto, nessun discorso potrà mai esprimerlo. Ci sarebbe da menzionarmela sua perseveranza, il suo senso della misura in materia di digiuno e astinenze, la sua capacità di vegliare in preghiera notte e giorno, senza lasciare l'opera di Dio se non per le esigenze della natura, ossia nutrirsi, dormire e lavorare. Infatti attendeva costantemente alla preghiera; poteva star leggendo o essere occupato in qualche attività, ma non sospendeva mai un istante di pregare. Non c'è da stupirsi: come i fabbri continuano a battere sull'incudine anche nei momenti in cui smettono di lavorare, cosi Martino pregava senza posa, anche quando aveva l'aria di far altro.

    Beato quest'uomo, senza inganno, incapace di giudicare o di condannare qualcuno, che a nessuno rendeva male per male. La sua pazienza era cosi forte da corazzarlo contro ogni offesa. Benché rivestito della pienezza del sacerdozio, egli si lasciava impunemente oltraggiare dall'ultimo dei chierici. Per quanto dipendeva da lui, non destituiva l'offensore dalle sue funzioni, anzi non gli ritirava la sua amicizia. Nessuno vide mai Martino incollerito, turbato, afflitto, o in preda al riso. Sempre uguale a se stesso, il viso radioso di gioia celestiale, aveva l'aria di appartenere ad un altro mondo. Sul suo labbro c'era soltanto Cristo, nel suo cuore unicamente bontà, pace e misericordia. Vivendo in pace perfetta nel suo ritiro, gli capitava spesso di deplorare le colpe che i suoi detrattori commettevano contro loro stessi, straziandolo con morsi di vipera e lingue avvelenate.

    Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Quando improvvisamente senti che le forze del corpo lo abbandonavamo, convoco i fratelli e li avverti della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora moltissimo, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: "Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo beneche tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù. Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si moveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, cosi parlò davanti a quelli che piangevano: "Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà".

    O uomo grande oltre ogni dire, invitto nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per se. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto, nonostante la violenza della febbre che da vari giorni lo tormentava, il santo vescovo non smise di attendere all'opera di Dio. Trascorreva le notti in preghiera e costringeva le membra sfinite a servire lo spirito, disteso su un nobilissimo giaciglio: cenere e cilicio! I discepoli lo supplicavano di porre sotto il suo corpo almeno qualche povera coperta. "No egli rispose un cristiano deve morire sulla cenere; se vi lasciassi un esempio diverso, commetterei una mancanza". Sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l'intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo, mettendosi di fianco. Egli però rispose: "Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino". Detto questo, si accorse che il diavolo gli stava accanto. Gli disse allora: "Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie". Nel dire queste parole rese l'anima a Dio.

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    Predefinito Omelia dai Trattati di sant'Agostino sul vangelo di Giovanni

    In Io., tr. LXV, 1.2‑3, in PL 35, 1808‑1809.

    Cristo ci ha dato un comandamento nuovo: di amarci gli uni gli altri, come egli ci ha amati. Questo è l'amore che ci rinnova, perché noi diventiamo uomini nuovi, eredi della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo; esso è il corpo della nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio, della quale si parla nel Cantico dei cantici: Chi è colei che si alza splendente di candore (Ct 8, 5, LXX)? Certo splendente di candore perché è rinnovata. Da chi se non dal nuovo comandamento? Per questo i membri sono solleciti a vicenda; e se un membro soffre, con lui tutti soffrono, o se uno è onorato, tutti gioiscono con lui.

    Nessuno può giungere nella patria celeste, se non è morto a questo mondo; e non si tratta della morte comune a tutti, per cui il corpo è abbandonato dall'anima, ma della morte degli eletti, che consiste nel fissare il cuore sulle realtà dell'alto. A proposito di questa morte l'Apostolo dice: Voi siete morti, e la vostra vita e ormai nascosta con Cristo in Dio (Col 3, 3). In questo senso forse è stato detto: Forte come la morte è l'amore (Ct 8, 6). In forza di questo amore, mentre ancora viviamo con il corpo corruttibile, moriamo a questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; anzi, l'amore stesso per noi morte al mondo e vita con Dio. Se parliamo di morte quando l'anima esce dal corpo, perché non potremmo parlare di morte quando il nostro amore esce dal mondo? L'amore è dunque potente come la morte.

    Amiamoci gli uni gli altri, in maniera da stimolarci a vicenda ad attirare in noi il Dio d'amore, per quanto ci è possibile. Quest'amore ce lo da colui stesso che ha detto: Come io vi ho amato, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri. Per questo dunque ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto che ci trovassimo legati da reciproco amore, perché fossimo il Corpo del Capo supremo e membra strette da un cosi dolce vincolo. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. Come se Gesù dicesse: "Gli altri miei doni li hanno in comune con voi anche coloro che non sono miei; non soltanto la natura, la vita, i sensi, la ragione e la salute comune agli uomini e agli animali; essi hanno anche il dono delle lingue, i sacramenti, il dono della profezia, il dono della scienza e quello della fede; hanno la forza di distribuire i propri averi al poveri e coraggio di dare il corpo alle fiamme. Essi, però, non hanno la carità, per cui, a modo di cembali, fanno del chiasso, ma in realtà non sono niente e questi doni non giovano loro a niente. Per essere miei discepoli non basta, perciò, avere questi miei doni, quantunque eccellenti, posseduti magari da chi non mi appartiene, perché da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".

    O Sposa di Cristo, bella fra tutte le donne!
    O splendida creatura, che vieni avanti appoggiata al tuo diletto!
    Inondata dalla sua luce, appari fulgente;
    sostenuta da lui, non puoi cadere!
    Come vieni degnamente celebrata in quel Cantico dei cantici,
    che è il tuo epitalamio: L'amore fa le tue delizie (Ct 7, 6, LXX)!
    Questo amore preserva la tua anima dal perire con gli empi, perché sostiene la tua causa. Questo amore è tenace
    come la morte e forma l'unica sorgente della tua felicità.
    Questa morte per amore è mirabile!
    L'anima stimerebbe poca cosa l'assenza di pene e dolori,
    se non fosse presente anche la pienezza della gioia!

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    Predefinito

    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1264-1270

    11 NOVEMBRE

    SAN MARTINO, VESCOVO E CONFESSORE

    Popolarità di san Martino.


    Tremila seicento sessanta chiese dedicate a san Martino in Francia e altrettante nel mondo intero ci attestano la popolarità del grande taumaturgo. Nelle campagne, sui monti, nelle foreste, alberi, rocce, fontane, oggetto di culto superstizioso, quando l'idolatria traeva ancora in inganno i nostri padri, in mille luoghi ricevettero e conservano ancora il nome di colui che le strappò al demonio, per renderle al vero Dio. Cristo, ormai adorato da tutti, sostituì nella memoria riconoscente dei popoli l'umile soldato alle false divinità romane, celtiche o germaniche, spodestate per opera sua. La missione di Martino fu veramente quella di completare la disfatta del paganesimo, già cacciato dalle città dai martiri, ma ancora padrone di vasti territori ove l'influenza delle città non era sentita.
    Se tutto questo assicurò a san Martino le compiacenze di Dio gli attirò pure l'odio dell'inferno. Satana e Martino si erano incontrati e Satana aveva detto: "Mi troverai sulla tua strada dappertutto" (Sulpizio Severo, Vita, vi). Tenne fede alla parola e la tiene ancora, accumulando rovine sulla tomba gloriosa, che attirava a Tours il mondo intero. Nel secolo XVI mandò in fiamme per mano degli Ugonotti i resti venerati del protettore della Francia, nel XIX portò alcuni uomini a tanto di follia da distruggere essi stessi, in tempo di pace, la splendida basilica, che era ricchezza e gloria della città.
    Riconoscenza di Cristo e rabbia di Satana, che così si manifestano, ci dicono abbastanza quale sia stata l'inimitabile fatica del Pontefice, apostolo e monaco Martino.

    Il monaco.

    Fu monaco, di desiderio e di fatto, fino all'ultimo giorno della sua vita. "Dalla prima infanzia non desidera che dedicarsi al servizio di Dio. Catecumeno a dieci anni, a dodici se ne va nel deserto e pensa solo a monasteri e a chiese. Soldato a quindici anni, vive in modo da essere scambiato per un monaco (ivi c. ii). Dopo un periodo di vita religiosa in Italia, Ilario lo conduce nella solitudine di Ligugé, che diventa con lui culla della vita monastica nelle Gallie. Martino, per dire il vero, in tutta la sua vita si sentì dappertutto straniero fuorché a Ligugé. Monaco per desiderio, fu soldato per forza e diventò vescovo per costrizione, ma non abbandonò mai le sue abitudini monastiche. Conservò la dignità del vescovo, dice il suo biografo, senza abbandonare la regola e la vita del monaco. Ita implebat episcopi dignitatem, ut non tamen propositum monachi virtutemque desereret (Sulpizio Severo, Vita, x). Si era fatta a principio una piccola cella presso la sua Chiesa a Tours e poi, a qualche distanza dalla città, una seconda Ligugé col nome di Marmoutier o Gran Monastero (Card. Pie, Omelia in occasione del ristabilimento dell'Ordine di san Benedetto a Ligugé, 25 novembre 1853).
    La liturgia fa risalire alla direzione del vescovo di Poitiers le meravigliose virtù di cui Martino diede prova in seguito (Hilarium secutus est Martinus, qui tantum illo doctore profecit, quantum eius postea sanctitas declaravit. Festa di sant'Ilario, 2° Notturno). Per quali ragioni guidò per vie ancora sconosciute in Occidente l'ammirabile discepolo, che il cielo gli aveva mandato, Ilario non lo manifesta. Bisogna allora chiederlo all'erede più sicuro della sua dottrina e della sua eloquenza.

    Compito dell'Ordine monastico nella Chiesa.

    "È pensiero dominante di tutti i santi, in tutti i tempi, dice il Cardinal Pie, che a fianco del ministero ordinario dei pastori, costretti dal loro ufficio a vivere in mezzo al mondo, sia necessaria nella Chiesa una milizia separata dal mondo e arruolata sotto l'insegna della perfezione evangelica, che viva nella rinuncia e nell'obbedienza e notte e giorno adempia alla nobile, inimitabile missione della preghiera pubblica. È pensiero dei più grandi Pontefici e dei più illustri Dottori, che anche il clero secolare tanto sarà più adatto a diffondere e rendere popolari nel mondo le pure dottrine del Vangelo quanto più sarà preparato alle pastorali funzioni, vivendo la vita monastica o accostandosi ad essa il più possibile. Leggete la vita dei migliori uomini dell'episcopato nell'Oriente e nell'Occidente, nei tempi che precedettero o seguirono da vicino la pace della Chiesa come nel Medioevo, tutti hanno professato per qualche tempo la vita religiosa o vissuto in contatto con quelli che la praticavano. Ilario, il grande Ilario, con occhio sicuro ed esercitato, aveva capito questa necessità, aveva veduto quale posto doveva avere l'Ordine monastico nel cristianesimo e il clero regolare nella Chiesa. In mezzo alle battaglie, alle lotte, agli esilii, teste oculare dell'importanza dei monasteri in Oriente, desiderava ardentemente il suo ritorno nelle Gallie per gettarvi le fondamenta della vita religiosa. La Provvidenza non tardò a mandargli colui che era adatto a tanta impresa: un discepolo degno del maestro, un monaco degno del vescovo" (Card. Pie, u.s.).

    Il taumaturgo.

    "Lungi da me il pensiero che io conosca, continua il Cardinale, quale vitalità e potenza già possedesse nelle nostre regioni la religione di Gesù Cristo, per la predicazione dei primi apostoli, dei primi martiri, dei primi vescovi, la serie dei quali risale ai tempi più vicini al Calvario. Tuttavia non temo di dire che l'apostolo popolare delle Gallie, colui che convertì le campagne, rimaste in gran parte pagane, il fondatore del cristianesimo nazionale fu san Martino. Donde viene a san Martino, a preferenza di tanti altri vescovi e servi di Dio, questa preminenza nell'apostolato? Potremmo mettere Martino sopra il suo maestro sant'Ilario? Se si tratta della dottrina, certamente no; se si tratta dello zelo, del coraggio, della santità, non sono io competente a giudicare chi fu più grande tra il maestro e il discepolo; ma posso dire che Ilario fu soprattutto un dottore e Martino un taumaturgo. Per la conversione dei popoli, il taumaturgo supera il dottore e, per conseguenza, nel ricordo e nel culto dei popoli il dottore è eclissato, superato dal taumaturgo.
    Oggi si parla molto del ragionamento per persuadere delle cose divine, ma è dimenticare la Scrittura e la storia e, peggio, è venir meno alla propria dignità. Dio non ha giudicato conveniente ragionare con noi. Dio ha affermato, ha detto ciò che è; e ciò che non è; e, come esigeva la fede nella sua parola, così ha dato autorità alla sua parola. Come ha dato autorità? Non nell'uomo, ma in Dio, non nelle ragioni, ma nelle opere: non in sermone, sed in virtute; non per gli argomenti di una filosofia umanamente persuasiva: non in persuasilibus humanae sapientiae verbis, ma per lo spiegamento di una potenza tutta divina: sed in ostensione spiritus et virtutis. Perché? Ecco la ragione profonda: Ut fides non sit in sapientia hominum, sed in virtute Dei: perché la fede sia fondata sulla forza di Dio (1Cor 2,4) e non sulla saggezza umana. Oggi non si vuole più questo, si dice che in Cristo il teurgo fa torto al moralista, che il miracolo è una macchia in questo sublime ideale. Ma nessuno cancellerà il fatto, nessuno abolirà il Vangelo e la storia. Non dispiaccia ai letterati del secolo, non dispiaccia ai pusillanimi che sono loro compiacenti, ma Cristo non solo ha fatto miracoli, ma ha fondato la fede sui miracoli. E, ancora, lo stesso Cristo, non per confermare i suoi miracoli, che sono appoggio agli altri, ma per pietà verso di noi, che facilmente dimentichiamo e ci lasciamo impressionare di più da quello che vediamo che da quello che ascoltiamo da altri, ha posto nella Chiesa la virtù dei miracoli. Il nostro secolo ne ha veduti e ne vedrà, come il secolo quarto vide quelli di Martino".

    L'apostolo delle Gallie.

    "Operare prodigi per lui sembrava un gioco e tutta la natura si piegava ai suoi comandi. Gli animali gli erano sottomessi e il santo un giorno esclamava: - Mi ascoltano i serpenti e gli uomini non mi ascoltano! - Tuttavia lo ascoltavano anche gli uomini e, per parte sua, lo ascoltò la Gallia intera e, non solo l'Aquitania, ma la Gallia Celtica, la Belgica. Come resistere ad una parola resa autorevole con tanti prodigi. In tutte le province egli rovesciò ad uno ad uno gli idoli, ridusse in polvere le statue, distrusse i boschi sacri, bruciò e demolì i templi e tutti i rifugi dell'idolatria. Mi chiederete se tutto ciò era legale? Se studio la legislazione di Costantino e di Costanzo forse sì. Quello che posso dire però è che Martino, divorato dallo zelo per la casa di Dio, obbediva soltanto allo spirito di Dio. Quello che devo dire è che Martino, contro il furore della popolazione pagana aveva la sola arma dei suoi miracoli, il concorso visibile degli Angeli, qualche volta a lui concesso e, infine e soprattutto, le preghiere e le lacrime che versava davanti a Dio, quando l'ostinazione delle moltitudini resisteva alla potenza della sua parola e dei suoi prodigi. Con questi mezzi Martino cambiò la faccia del nostro paese e là dove appena era un cristiano prima del suo passaggio, restava appena un pagano quando egli era passato. I templi del Dio vivente sostituivano i templi degli idoli, perché, dice Sulpizio Severo, appena aveva rovesciati i rifugi della superstizione, costruiva chiese e monasteri. L'Europa si coprì così di Chiese che hanno preso il nome da Martino" (Card. Pie, Discorso tenuto nella cattedrale di Tours, nella festa patronale della domenica 14 novembre 1858).

    Le feste di san Martino.

    La morte non interruppe la serie dei suoi benefici e ciò soltanto spiega il concorso dei popoli alla sua tomba benedetta. Le numerose feste in suo onore nel corso dell'anno, non bastavano alla pietà dei fedeli. Di precetto dappertutto (Concilio di Magonza, 813, c. xxxvi), favorita dal ritorno momentaneo di giorni belli, che i nostri vecchi chiamavano estate di san Martino, la solennità dell'undici novembre gareggiava con san Giovanni, per la gioia che diffondeva nella cristianità latina. Martino era la gioia di tutti, il rifugio di tutti.

    Il patrono della Francia e del mondo.

    Anche Gregorio di Tours vede nel suo beato predecessore, il patrono speciale del mondo intero (De miraculis sancti Martini, iv, in prol.). Tuttavia monaci e chierici, soldati, cavalieri, viaggiatori e osti, in memoria dei suoi lunghi pellegrinaggi, associazioni di carità in tutte le forme, in ricordo del mantello di Amiens, hanno sempre rivendicato un titolo particolare alla benevolenza del grande vescovo. L'Ungheria sua patria a buon diritto gli dà un posto tra i suoi potenti protettori: ma la Francia lo ebbe padre e come l'unità della fede fu in Francia opera sua, egli ancora formò l'unità nazionale e veglia sulla sua durata. Come il pellegrinaggio di Tours precedette quello di Campostella, la cappa di san Martino precedette l'orifiamma di san Dionigi nel condurre le armate al combattimento [1]. Dove può essere speranza di vittoria, diceva Clodoveo, se qualcuno offende il beato Martino? (Gregorio di Tours, Storia dei Franchi). Ai nostri tempi Dio manifestò la protezione del beato Martino sul nostro paese, disponendo che l'armistizio, dopo la grande guerra, fosse firmato nel giorno della sua festa, 11 novembre 1918 e il Maresciallo Foch volle esprimere la sua riconoscenza con un ex voto, che collocò presso la sua tomba nella basilica di Tours.

    VITA. - Martino nacque in Pannonia (Ungheria) nel 316. Arruolato assai giovane nelle armate romane, ancora catecumeno divise il suo mantello alle porte di Amiens con un povero. Battezzato, lasciò le armi e andò alla scuola del grande dottore delle Gallie, Ilario, vescovo di Poitiers. Il desiderio di convertire i suoi genitori, rimasti pagani, lo riportò al loro fianco. Tornato nelle Gallie, fondò il monastero di Ligugé, vicino a Poitiers. I miracoli operati lo resero celebre e i discepoli popolarono la sua solitudine. Alla morte di Ilario, si allontanò da Poitiers, dove lo volevano vescovo, ma non poté sfuggire ai fedeli di Tours, che, più astuti, si impadronirono di lui nel 371 e lo fecero consacrare. Il dovere pastorale non gli fece dimenticare le lunghe ore di contemplazione gustate a Ligugé e perciò a tre chilometri da Tours, fondò Marmoutiers, monastero che diventò centro di studi, seminario e vivaio di vescovi. In quella solitudine, ove sovente si rifugiava, gli apparve la Madonna, ma dovette anche sostenere l'assalto del demonio, che cercò di scoraggiarlo perseguitandolo in ogni modo. Il suo zelo lo portò fuori dei confini della diocesi e la sua parola, sostenuta dalla carità, operò meraviglie nelle diocesi vicine fino ad Artois, nella Piccardia e a Treviri, in Belgio, nella Spagna. Nel novembre del 397, la carità lo spinse a Candes, per ristabilirvi la concordia tra i monaci e ivi morì nella pace di Dio, ultraottantenne.

    La protezione di san Martino.

    Nel momento del tuo felice trapasso, i tuoi monaci in lacrime, tentano di trattenerti sulla terra: "Perché, Padre, ci abbandoni? lupi rabbiosi vogliono gettarsi sul tuo gregge". E tu, pieno di tenerezza, dicevi al Signore: "Se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: si faccia secondo la tua volontà". Ma l'ora della ricompensa era arrivata e Dio, assicurandotela, non ci privò della tua protezione. La Francia e il mondo lo hanno sperimentato nel corso dei secoli e la parola del tuo successore, Gregorio di Tours resta vera: tu sei patrono del mondo intero.

    Ci uniamo oggi ai pellegrini che visitano la tua tomba gloriosa; ci uniamo alle preghiere che, dopo tanti secoli, ancora in quel luogo, ti sono rivolte; a tutti i fedeli, che vengono ad implorare il tuo soccorso, a chiedere a Dio le grazie più preziose, confidando nei tuoi meriti.

    "O beato Pontefice, che amasti Cristo Re con tutte le fibre del tuo cuore e non avesti paura delle potenze del mondo; anima santissima, che la spada del persecutore non poté separare dal corpo, ma che meritò egualmente la palma del martirio", conserva nel nostro cuore l'amore a Cristo e alla Chiesa. Benedici i soldati dei quali sei modello, i religiosi dei quali vivesti la vita santa, i sacerdoti e i vescovi dei quali sei esempio e gloria, i poveri e gli umili dei quali fosti il padre, la Francia della quale fosti l'apostolo. Suscita fra noi dei santi, che ci restituiscano la fede da te predicata con tanto ardore e successo.

    Aiuta la nostra preghiera tu, che "mani e occhi levasti continuamente al cielo, e non avesti tregua nelle tue orazioni". Fa' che, sul tuo esempio, "nulla rifiutando, né la vita, né la morte", viviamo e moriamo da buoni cristiani per poter venire con te a "glorificare la Santa Trinità della quale quaggiù, con la parola e la vita, fosti il perfetto confessore".
    _________________________________________________

    NOTE

    [1] L'oratorio dei re di Francia prese il nome di cappella della cappa di san Martino e in seguito gli oratori furono chiamati appunto cappelle.

  10. #10
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    Bella e ricca, quanto degna memoria di un Santo tanto amato per secoli dalla cristianità latina. Di tale importanza ne conserva appieno i segni pure il nuovo ordo dell'Uffcio Divino al quale mancano solo i Primi Vespri. Quasi una antica "Solennità" ora declassata a Memoria che nella sua singolarità in riferimento al Proprio ed al Comune tanto ancora conserva di quello che è stata un tempo sentita e vissuta.

    Quali le ragioni storiche, culturali, nella specifico svolgersi dei tempi che hanno influenzato la pietas devozionale e la liturgia in questo movimento ? In quali secoli ebbe il suo apogeo ? Quando iniziò la decadenza ?
    OPUS DEI, BELLUM DOMINI, GESTA DEI.

 

 
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