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    Predefinito 4 novembre - S. Carlo Borromeo, cardinale e vescovo

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Carlo Borromeo, Vescovo

    Arona, Novara, 1538 - Milano, 3 novembre 1584

    Arcivescovo di Milano, dispiegò in una vita relativamente breve un'intensissima attività pastorale, consumando le sue energie nell'impegno ascetico, nella carità e nella riforma della Chiesa. E' fra i grandi promotori del rinnovamento nella fede e nei costumi sancito dal Concilio di Trento. Espresse attraverso i seminari e le disposizioni sinodali un nuovo modello di pastore d'anime, che unisce l'austerità e la preghiera allo zelo apostolico. La sua azione riformatrice si estese alla disciplina liturgica (del rito romano e ambrosiano), alla catechesi e alla cura dei poveri. La sua carità pastorale si manifestò specialmente nella famosa peste di Milano. (Mess. Rom.)

    Patronato: Catechisti, Vescovi

    Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico

    Emblema: Bastone pastorale

    Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
    (3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).

    Martirologio tradizionale (4 novembre): San Carlo Borromeo Cardinale, Vescovo di Milano e Confessore, il quale volò in cielo nel giorno precedente.

    (3 novembre): A Milano il natale di san Carlo Borromeo Cardinale, Vescovo di Milano e Confessore, il quale, illustre per santità e chiaro per miracoli, dal Papa Paolo quinto fu ascritto nel numero dei Santi. La sua festa però si celebra nel giorno seguente.

    Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.
    "Le anime - dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.
    Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle "Notti Vaticane". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, "più esecutore di ordini che consigliere". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
    Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
    Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
    Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano.
    Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
    Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
    Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
    Fino aIl'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
    Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio.

    Fonte: Archivio Parrocchia






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    Predefinito Galleria di S. Carlo



    Orazio Borgianni, S. Carlo Borromeo, 1611-1612, Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, Roma

    Carlo Dolci, S. Carlo Borromeo, XVII sec., Palazzo Pitti, Firenze

    Johann Michael Rottmayr, Glorificazione di S. Carlo, 1721, Residenzgalerie, Salisburgo

    Andrea Camassei, S. Carlo Borromeo e S. Filippo Neri, Museo civico, Bevagna

    Giovanni Ambrogio Figino, S. Carlo, 1618, Biblioteca Ambrosiana, Milano


  3. #3
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    Predefinito

    Giovanni Battista Crespi detto il Cerano, S. Carlo visita gli appestati, XVI sec., Duomo, Milano





    Francesco Trevisani, SS. Carlo Borromeo, Francesco di Sales e Filippo Neri, Museo Diocesano, San Severino Marche




  4. #4
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    Predefinito Alcune curiosità

    Al momento della morte, S. Carlo Borromeo godeva di una grande fama popolare.
    Il cugino Federico (1564-1631) - il famoso cardinal Federigo di manzoniana memoria - sostenne con decisione il processo di canonizzazione.
    Fu promotore della causa il barnabita Giovanni Francesco Bascapè Bascapè, futuro vescovo di Novara (1550-1615) e che più tardi assumerà il nome di Carlo (allorché entrò nell'ordine barnabita all'età di 28 anni). E non a caso i barnabiti erano grati al futuro Santo. L’Ordine, in effetti, fondato da S. Antonio M. Zaccaria (1502-1539), fu approvato il 18 febbraio 1533 da Clemente VII in Bologna, dove il papa si trovava per incontrare Carlo V. Le Costituzioni, destinate a ispirare e disciplinare la vita dei Barnabiti fino al concilio Vaticano II, furono promulgate nel 1579, con l’assistenza di san Carlo Borromeo. Il Borromeo, infatti, è venerato dai Barnabiti come loro patrono, insieme a san Francesco di Sales, il cui insegnamento ebbe non poco influsso nella spiritualità dell’Ordine, caratterizzata da semplicità, essenzialità, profondità, amabilità e discrezione.
    Nella fase romana, il giudizio fu seguito dall’oblato Marco Aurelio Grattarola.
    Il processo si concluse con la solenne proclamazione della santità di Carlo Borromeo a Roma il 1° novembre 1610.
    E la singolarità di questo processo di canonizzazione fu che S. Carlo non passò, come altri, attraverso una beatificazione, ma fu subito elevato agli onori degli altari quale Santo.



    Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, Sposalizio mistico di S. Caterina alla presenza di S. Carlo Borromeo, 1614-15 circa

    Pietro Paolo Sensini, San Carlo Borromeo, 1615, Sala Parrocchiale, Collazzone





    Carlo Saraceni, S. Carlo Borromeo comunica un appestato, 1618-19, Chiesa sei servi di Maria, Cesena

  5. #5
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    Predefinito Dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell'ultimo Sinodo

    Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178

    Tutti siamo certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. senza di essi però non sarà possibile tener fede all'impegno della propria vocazione.
    Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà costui essere all'altezza del suo ufficio?
    Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?
    Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua partecipazione interiore alla celebrazione corale, come rendere più gradita a Dio la tua lode e come progredire nella santità? Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili.
    Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico.
    Dà sempre buon esempio e cerca di essere il primo in ogni cosa. Predica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua predica tu perda ogni credibilità.
    Eserciti la cura d'anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.
    Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò (cfr. Sal 100, 1 volg.) Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16, 14). Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri.

  6. #6
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    Predefinito Dalle Omelie di S. Carlo

    Omelia tenuta da san Carlo Borromeo nel Duomo di Milano nella solennità del Corpus Domini, il 9 giugno 1583, in S. Carlo Borromeo, Omelie sull’Eucaristia e sul sacerdozio, Edizioni Paoline, Roma 1984

    Tutti i misteri del nostro salvatore Gesù Cristo, anime carissime, sono sublimi e profondi: noi li veneriamo in unione con la sacrosanta madre Chiesa. Tuttavia il mistero odierno, l’istituzione del santissimo sacramento dell’Eucaristia, attraverso il quale il Signore si è donato in cibo alle anime fedeli, è così sublime ed elevato da superare ogni comprensione umana. Così grande è la degnazione del sommo Dio, in esso riluce tale amore che ogni intelligenza viene meno; nessuno potrebbe spiegarlo a parole né comprenderlo con la mente. Siccome però è mio dovere parlarvene per l’ufficio e la dignità pastorale, vi dirò qualcosa anche di questo mistero. Brevemente, questa omelia sarà centrata soprattutto su due punti: quali siano le cause della istituzione di questo mistero e quali i motivi per cui ne facciamo memoria in questo tempo.
    Nel Vecchio Testamento è narrata la nobilissima storia dell’agnello pasquale che doveva essere mangiato dentro casa da ogni famiglia; qualora poi ne fosse avanzato e non potesse essere consumato, lo si doveva bruciare nel fuoco. Quell’agnello era figura del nostro Agnello immacolato, Cristo Signore, da offrire per noi all’eterno Padre sull’altare della croce. Giovanni, il precursore, vedendolo disse: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo»1. Quella meravigliosa prefigurazione ci ha insegnato che l’Agnello pasquale non poteva essere totalmente mangiato con i denti della contemplazione, ma doveva essere completamente bruciato nel fuoco dell’amore 2.
    Ma quando medito tra me e me che il Figlio di Dio si è completamente donato in cibo a noi, mi pare che non ci sia più spazio per questa distinzione: questo mistero è totalmente da bruciare nel fuoco dell’amore. Quale motivo, se non l’amore soltanto, poté spingere il Dio buonissimo e grandissimo a donarsi in cibo a quella misera creatura che è l’uomo, ribelle dal principio, espulso dal Paradiso terrestre, in questa misera valle fin dall’inizio della creazione per aver gustato il frutto proibito? Questo uomo era stato creato a somiglianza di Dio, posto in un luogo di delizie, messo a capo di tutta la creazione: tutte le altre cose erano state create per lui. Trasgredì al precetto divino, mangiando il frutto proibito e, «mentre era in una situazione di privilegio, non lo comprese»; perciò «fu assimilato agli animali che non hanno intelletto»3; per questo fu costretto a mangiare il loro stesso cibo.
    Ma Dio ha sempre così tanto amato gli uomini da pensare al modo di risollevarli quando essi erano appena caduti; e perché non si nutrissero dello stesso cibo destinato agli animali – contemplate l’infinita carità di Dio! – ha dato Sé stesso in cibo all’uomo. Tu, Cristo Gesù, che sei il Pane degli angeli, non hai sdegnato di divenire il cibo degli uomini ribelli, peccatori, ingrati. Oh grandezza della dignità umana! Per una evenienza singolare quanto è più grande l’opera della riparazione, quanto questa dignità sublime supera la sventura! Dio ci ha fatto un favore singolare! Il suo amore per noi è inesplicabile! Solo questa carità poté spingere Dio a fare tanto per noi. Perciò come è ingrato chi nel suo cuore non medita e non pensa sovente a questi misteri!
    Dio, creatore di tutte le cose, aveva previsto e conosciuto la nostra debolezza, e che la nostra vita spirituale avrebbe avuto bisogno di un cibo dell’anima così come la vita del corpo necessita di un cibo materiale; per questo ha disposto per noi che ci fosse abbondanza di ognuno di questi due nutrimenti: da una parte quello per il corpo; dall’altra quello di cui godono gli angeli in cielo e noi possiamo mangiare, qui in terra, nascosto sotto le specie del pane e del vino. La santissima serva di Dio, Elisabetta, avendo colto la venuta della Madre di Dio, non poté non esclamare: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?»4. Ma quanto più dovrebbe esclamare chi riceve in sé Dio stesso: «A che debbo che venga a me, peccatore, miserabile, ingrato, indegno, verme e non uomo, obbrobrio degli uomini e abiezione del popolo, che entri nella mia casa, nella mia anima che spesso ho ridotta a spelonca di malfattori, e vi abiti, il mio Signore, Creatore, Redentore e Dio mio, al cui cospetto gli angeli desiderano stare?».
    Veniamo al secondo punto di riflessione.
    Opportunamente la Chiesa oggi celebra la solennità di questo santissimo mistero. Poteva sembrare più opportuno celebrarla nella Feria quinta in Coena Domini, giorno nel quale sappiamo che il salvatore nostro, Cristo, ha istituito questo sacramento. Ma la santa Chiesa è come un figlio, corretto e ben educato, il cui padre è giunto al termine dei suoi giorni e, mentre sta per morire, gli lascia un’eredità vasta e ricca; non ha tempo di trattenersi a pensare al patrimonio ricevuto: è totalmente rivolto a piangere il padre. Così la Chiesa, sposa e figlia di Cristo, è talmente intenta a piangere in quei giorni di passione e di atroci tormenti da non essere in grado di celebrare come vorrebbe questa immensa eredità a lei lasciata: i Santissimi Sacramenti istituiti in questi giorni.
    Per tale motivo ha fissato questo giorno per la celebrazione: in esso, per l’immenso dono ricevuto, vorrebbe rendere in modo tutto particolare a Cristo quel meraviglioso ringraziamento che a causa della nostra povertà noi non siamo capaci di offrire. Perciò il Figlio di Dio, che conosce tutto dalla eternità, si è fatto incontro alla nostra debolezza con l’istituzione di questo Santissimo Sacramento: per noi «Egli rese grazie» a Dio, «benedisse e spezzò»5. Con questa istituzione ci ha insegnato a ringraziarlo quanto più possiamo per un dono così grande. Ma perché la santa madre Chiesa ha fissato proprio questo tempo per fare memoria di tale mistero? Perché proprio dopo la celebrazione degli altri misteri di Cristo: dopo i giorni del Natale, della Resurrezione, dell’Ascensione al Cielo e l’invio dello Spirito Santo? Figlio, non temere: tutto ciò non è senza motivo! Questo mistero santissimo è così collegato a tutti gli altri, ed è rimedio così efficace in vista di essi, che ben a diritto viene congiunto ad essi. Per mezzo di questo santissimo mistero dell’altare, attraverso la ricezione della vivificante Eucaristia, con questo Pane celeste i fedeli sono così efficacemente congiunti a Cristo da poter attingere con la loro bocca dal fianco aperto di Cristo gli sconfinati tesori di tutti i sacramenti.
    Ma c’è un’altra ragione per questo. Tra i misteri del Figlio di Dio che finora abbiamo meditato, l’ultimo fu l’Ascensione al Cielo. Essa è avvenuta perché Egli ricevesse a titolo suo e nostro il possesso del Regno dei Cieli e venisse manifestata quella signoria della quale poco prima aveva affermato: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra»6. Come un qualsiasi re, nell’atto di ricevere il possesso di un regno, si reca prima che in ogni altra città in quella che è capitale e metropoli del regno (e come un magistrato o principe che si appresta ad amministrare un regno in nome del re), così anche Cristo: insignito della signoria più ampia e di ogni diritto in cielo e in terra, per prima cosa prese possesso del Cielo e da lì, quasi a dimostrazione, effuse sugli uomini i doni dello Spirito Santo. Ma avendo scelto di regnare anche in terra, ha lasciato Sé stesso qui, nel sacratissimo sacrificio dell’altare, in questo santissimo mistero che oggi veneriamo. Per questo motivo straordinario la Chiesa ordina che da tutti sia portato in processione in forma solenne per città e villaggi.
    Quando il potentissimo re Faraone volle onorare Giuseppe, comandò che lo si conducesse lungo le vie della città e, perché tutti conoscessero la dignità di colui che aveva spiegato i sogni del Faraone, gli disse: «Tu stesso sarai il mio maggiordomo e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te. Ecco io ti metto a capo di tutto il Paese di Egitto. Il Faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe, lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d’oro. Poi lo fece montare sul suo secondo carro e prima di lui un araldo gridava, in modo che tutti si inginocchiassero davanti a lui. E così lo stabilì su tutto il Paese di Egitto»7.
    Anche Assuero, quando volle onorare Mardocheo, gli fece indossare le vesti regali, lo fece montare sul suo cavallo e a tale scopo comandò ad Aman di condurlo per la città e di gridare: «Ciò avviene all’uomo che il re vuole onorare»8.
    Dio vuole essere il Signore del cuore dell’uomo; vuole essere onorato, come conviene, da tutti gli uomini. Per questo, oggi, in forma solenne, condotto dal clero e dal popolo, dai prelati e dai magistrati, percorre le vie delle città e dei villaggi. Per questa ragione la Chiesa professa pubblicamente che questi è il nostro Re e Dio, da cui tutto abbiamo ricevuto e al quale tutto dobbiamo.
    O figli carissimi nel Signore, mentre poc’anzi camminavo per le vie della città, pensavo a quella così grande moltitudine e varietà di persone che fino a oggi, ai nostri giorni, è oppressa dalla miseria della schiavitù e per lungo tempo ha dovuto servire padroni così vili e crudeli. Intravvedevo un certo numero di giovani che si sono lasciati dominare da lascivia e libidine e, come dice l’Apostolo9, ha proclamato dio il proprio ventre. (Chiunque pone qualche cosa come fine della propria esistenza, costui vuole che tale cosa sia il suo dio. Dio infatti è al termine di tutto). Rinuncino, costoro, alla carne, alla lussuria, a frequentare le bettole e le osterie, le cattive compagnie; rinuncino ai peccati e riconoscano il vero Dio che la Chiesa professa per noi. Piangevo sulla intollerabile superbia e sulla vanità di alcune donne che sono idoli a sé stesse e che dedicano quelle ore del mattino che dovrebbero consacrare alla preghiera al trucco del loro volto e alla arricciatura dei capelli; che chiedono ogni giorno nuovi vestiti, così da rendere dei poveri infelici i loro mariti e mendichi i loro figli e da consumare i loro patrimoni. Da qui vengono mille mali, i contratti illeciti, il non pagare i debiti, il non adempiere ai pii legati; da qui la dimenticanza del Dio buonissimo e grandissimo, la dimenticanza della nostra anima. Vedevo tanti avari, mercanti di inferno, gente che a così caro prezzo compra per sé il fuoco eterno; di essi l’Apostolo ben a ragione disse: «L’avarizia è una forma di idolatria»10. Al di là del denaro non hanno altro Dio; le loro azioni e parole sono indirizzate a pensare e decidere come meglio guadagnare, acquistare campi, confrontare ricchezze.
    Non potevo non vedere l’infelicità di alcuni che si dichiarano esperti nella scienza del governare e hanno solo questo davanti ai loro occhi. Sono coloro che non dubitano di schiacciare sotto i piedi la legge di Dio che essi dichiarano contraria a quella del loro governare (miseri e sventurati loro!) e costringono Dio a ritirarsi. Uomini da compiangere! E sono da chiamare cristiani costoro che stimano e dichiarano pubblicamente sé stessi e il mondo più importanti di Cristo?
    Il Signore è venuto, con questa santa istituzione dell’Eucaristia, a distruggere tutti questi idoli cosicché, con il profeta Isaia, oggi possiamo gridare al Signore: «Solo in Te è Dio; non ce n’è altri, non esistono altri dei. Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, Salvatore»11. O Dio buono, fino a ora siamo stati asserviti alla carne, ai sensi, al mondo; fino a ora è stato dio per noi il nostro ventre, la nostra carne, il nostro oro, la nostra politica. Noi vogliamo rinunciare a tutti questi idoli: onoriamo Te solo come vero Dio, veneriamo Te che ci hai tanto beneficato e, soprattutto, hai lasciato Te stesso in cibo per noi. Fa’, ti scongiuro, che d’ora in poi il nostro cuore sia tuo, e nulla più ci strappi dal tuo amore. Preferiamo morire mille volte che offenderti anche minimamente. E così, migliorando in forza della Tua grazia, godremo in eterno della Tua gloria. Amen.

    Note
    1 Gv 1,29.
    2 Cfr. Es 12,10ss.
    3 Sal 49,13.
    4 Lc 1,43.
    5 Mt 26,26; Lc 24,30.
    6 Mt 28,18.
    7 Gn 41,40ss.
    8 Est 6,11.
    9 Cfr. Fil 3,19.
    10 Ef 5,5; Col 3,5.
    11 Is 45,14ss.

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    Audi quid dicam. Si divini amoris igniculus aliquis in te accensus iam est, noli illum statim prodere, noli in ventum exponere; occlusum tene clibanum ne frigescat et calorem amittat; fuge, hoc est, quantum potes, distractiones; remane cum Deo collectus, vana colloquia devita (ex Sermone Sancti Caroli episcopi in ultima synodo habito in Acta Ecclesiae Mediolanensi, Mediolani 1599, 1177-1178)

  8. #8
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    Giambattista Tiepolo, S. Carlo Borromeo con il Crocifisso, 1767-69 circa, Art Museum, Cincinnati

    Giambattista Tiepolo, S. Carlo Borromeo in meditazione sul Crocifisso, 1767, Courtauld Institute of Art Gallery, Londra


    Guercino, Un miracolo di S. Carlo Borromeo, 1613-14, Comune di Cento

    Orazio Borgianni, S. Carlo Borromeo, 1610-16, Hermitage, San Pietroburgo

  9. #9
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    Francesco Solimena, S. Carlo Borromeo, XVII-XVIII sec.

    Jacob Jordaens, S. Carlo Borromeo intercede per la fine della peste di Milano, 1655, Sint-Jacobskerk, Antwerp

    Domenico Cresti da Passignano, Michelangelo presenta a papa Paolo IV il modello per il completamento dell'edificio e della cupola di San Pietro, Galleria Buonarroti, Firenze. In primo piano a sinistra uno degli allievi di Michelangelo (Jacopo Duca operò fedelmente nella scia del suo Maestro) guarda devoto e ammirato il grande architetto. Nei due volti ai lati del Papa si riconoscono quelli dei Cardinali nipoti, S. Carlo Borromeo e Giov. Antonio Serbelloni.

    Antiveduto Gramatica, S. Carlo Borromeo con due angeli e segni della Passione, 1619-21, Van Ackeran Collection of Religious Art, Greenlease Gallery, Rockhurst University

    Pierre Mignard, S. Carlo Borromeo tra gli appestati di Milano, 1647 circa, Musée des Beaux-Arts, Caen

    Antica stampa con ritratto di S. Carlo Borromeo

    Pierre Leber, S. Carlo Borromeo patrono de la Pointe-Saint-Charles, 1722, Maison Saint-Gabriel

  10. #10
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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1245-1248

    4 NOVEMBRE

    SAN CARLO BORROMEO, CONFESSORE

    Missione e grazia di san Carlo.


    Per comprendere bene un santo, è necessario rendersi conto della missione che Dio gli ha affidata nel mondo, dell'opera alla quale ha consacrato la sua vita e delle grazie dategli, per portarla a compimento.

    La missione provvidenziale di san Carlo Borromeo e l'opera a lui affidata da Dio nel mondo è la riforma della santa Chiesa cattolica con la stesura definitiva e l'applicazione dei decreti disciplinari del Concilio di Trento. Per compiere questa missione egli ricevette la grazia della pienezza del Sacerdozio e la pienezza dello spirito sacerdotale. È tutto qui il dono soprannaturale ricevuto da san Carlo, dono che è ragione di tutti gli altri e distingue lui da tutti gli altri santi e da tutti i vescovi che Dio diede alla Chiesa.

    Il vescovo.

    "Altri vescovi santi lo hanno uguagliato e forse superato in qualche dono soprannaturale, ma forse nessuno riunì nella medesima perfezione i doni naturali e soprannaturali che fanno il santo vescovo.

    Tutta la sua vita si riassume in questa sola parola. Nel mondo egli non volle che fare il vescovo e la sua vita, perfettamente ordinata da questa unica volontà, nel vescovo ha cancellato completamente l'uomo, sicché lo splendore radioso della sua santità sembra venire non dalla persona, ma dal ministero. Pare, per dire tutto in breve, che Dio abbia voluto fare di lui il tipo, l'ideale del vescovo" (P. Gonthier, O. P., Opere oratorie, t. i, 15).

    Il "Segretario di Stato".

    Pio IV, eletto Papa il 26 dicembre 1559, subito chiamò a sé e associò al governo della Chiesa il nipote Carlo Borromeo. Carlo aveva allora 22 anni, ma la sua amministrazione rivelò tosto le sue doti: una resistenza straordinaria al lavoro, una volontà energica e perseverante, un saper ascoltare e chiedere consiglio prima di agire coraggiosamente. Viveva una vita austera, e, in mezzo a occupazioni opprimenti, cercava riposo nella preghiera, nello studio della teologia e nella predicazione.

    Per le sue insistenze, Pio IV riaprì, nel 1560, il Concilio di Trento ed egli divenne tosto l'intermediario tra il Papa e il Concilio e, terminato finalmente il Concilio stesso, si impegnò a farne conoscere la dottrina e le disposizioni, vigilò sulla redazione del "Catechismo del Concilio di Trento" e diede, per il primo, l'esempio di una totale sottomissione alle riforme imposte.

    San Carlo a Milano.

    Succeduto allo zio Pio IV san Pio V, cercò di lasciare Roma, per andare ad amministrare la sua diocesi di Milano e il nuovo Papa cedette alle insistenze.

    Le prime sue cure furono per il clero e fondò seminari e collegi, chiedendo l'aiuto degli Ordini religiosi, particolarmente dei Gesuiti e riformò i monasteri. Poi organizzò l'immensa diocesi, nominando visitatori con l'incarico di tenerlo informato, riformò Arcivescovado e Capitolo, cercando di occuparsi direttamente del più gran numero possibile di questioni e tenendosi a contatto con il popolo, fermo contro tutti gli intrighi del potere civile. La sua attività superò i confini della diocesi, si estese a tutta la provincia di Milano, per mezzo di Concili da lui regolarmente presieduti, giunse anche alle province vicine, che visitò in qualità di Legato.

    La peste di Milano.

    Nel 1576 scoppiò a Milano la peste e presto si diffuse. Per l'arcivescovo fu occasione di manifestare la sua energia e la sua inesauribile carità. In mancanza di autorità locali, organizzò il servizio sanitario, fondò o rinnovò ospedali, cercò denaro e vettovaglie, decretò misure preventive. Soprattutto provvide ad assicurare il soccorso spirituale, l'assistenza ai malati, il seppellimento dei morti, l'amministrazione dei Sacramenti agli abitanti confinati nelle loro case, per misure prudenziali. Senza temere il contagio, pagò di persona, visitando ospedali, guidando le processioni di penitenza, facendosi tutto a tutti come un padre e come un vero pastore. Tutta la sua vita è prova di attaccamento ai poveri e ai dimenticati e, morendo, lasciò a loro i suoi beni.

    VITA. - Nacque il 2 ottobre 1538 nel castello di Arona sul Lago Maggiore, da famiglia di fede profonda e di grande bontà. Ricevuta la Tonsura a otto anni, seguì gli studi classici a Milano, studiò Diritto a Pavia, dove ottenne il grado di Dottore nel 1559. Nel 1560 il Papa lo chiamò a Roma e lo fece Cardinale. Nel 1562 fu ordinato Sacerdote e il 7 dicembre 1563 consacrato Vescovo. Nel 1566, con l'elezione di san Pio V, lasciò Roma e si stabilì nella sua diocesi di Milano, dove morì nella notte dal 3 al 4 novembre del 1584. Papa Paolo V lo canonizzò il primo novembre 1610.

    Modello di virtù.

    Con tutta la Chiesa, cantiamo le tue lodi e godiamo della tua gloria. Prevenuto dalla grazia divina fin dall'infanzia, seguito da essa in tutta la tua vita, sempre le fosti fedele. Forte delle ricchezze deposte nell'anima dal Battesimo e dai Sacramenti, pervenisti al termine della tua vocazione, senza nulla mai rifiutare a Dio, meritando così di essere nostro modello. Aiutaci ad imitare le tue virtù, dà a noi la solida devozione e lo zelo della preghiera che erano per te sorgente di forza per condurre la buona battaglia. Fa' che imitiamo la tua carità, la dolcezza e l'affabilità con tutti, dà a noi lo spirito di povertà che ti rese così caro l'Ordine di san Francesco, dacci la devozione e sottomissione alla Santa Sede, l'amore per la Chiesa alla quale consacrasti tante fatiche e te stesso.

    Modello dei pastori.

    Tu eri destinato particolarmente ad essere modello dei pastori di anime. "Un vescovo, dicevi, è obbligato alla perfezione" e comprendevi che "maggiore santità è richiesta dove l'elemento soprannaturale e divino maggiormente si accumula" (Mons. Pie, Discorso per la consacrazione di Mons. Gay). Noi vediamo brillare in te tutte le virtù dei pontefici e tu degnati comunicarle in abbondanza ai vescovi del nostro tempo. Esortali come li esortavi nei tuoi Concili, risuscita oggi "la sollecitudine pastorale che ti rese glorioso" (Colletta della Messa). Prega il Padrone delle Messe di mandare operai numerosi (Lc 10,2) formati sul tuo esempio, divorati da uno zelo che lo studio approfondito della dottrina e la sottomissione alle leggi della Chiesa renderanno meravigliosamente fecondo.

    Preghiera.

    Proteggi in modo particolare la Chiesa di Milano della quale sei, insieme con sant'Ambrogio, il migliore ornamento e conserva in essa la luce che vi predicasti e il gusto della santa Liturgia che da te fu restaurata.

    Si compia oggi per le tue preghiere, come un giorno si compì per le tue fatiche, la parola della Scrittura: "Inebrierò di grazia le anime sacerdotali e il mio popolo sarà riempito dei miei doni" (Ger 31,14).

 

 
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