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Dove Vola il Vicepremier
di Agazio Loiero
Fini è stato di parola e ha presentato il progetto di legge costituzionale che conferisce il voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative agli immigrati. Quel sorprendente fiotto d’orgoglio che aveva nei giorni scorsi tonificato la sua figura esangue, gli ha permesso di resistere, per la prima volta, alle perorazioni del premier.
Anche la resistenza eterodiretta di Gasparri, questa volta, ha fatto cilecca. Un buon colpo politico, quello di Fini, che gli restituisce d'incanto la leadership del suo partito e costringe il Presidente del Consiglio a rifugiarsi nell'artificiosa distinzione tra voto offerto ad un tema del programma di governo e ad un tema, come dire, improvvisato. La verità è che, indipendentemente dai tentativi di coprire sotto una coltre di understatement lo scontro interno, esso ha, in questi giorni, raggiunto picchi altissimi nella Casa delle libertà. Basterebbe la dichiarazione di Cé subito dopo la conferenza-stampa di An o quello che ha scritto, sempre ieri, “La Padania” per rendersene conto. D'altra parte, sul terreno delle minacce, Bossi, in questa settimana, le ha davvero tentate tutte. Avant’ieri è arrivato a dichiarare, per bocca del fido Calderoli, che era pronto a dimettersi dal governo se Fini fosse andato avanti nel proposito di tradurre in testo di legge le sue idee sul voto amministrativo agli immigrati, ma ha dovuto precipitosamente fare un passo indietro perché ha capito che questa volta il premier non era in grado di coprirlo. Insomma, da oggi salta lo schema abituale che nella Cdl ha consentito sempre al capo della Lega, in questi due anni e passa di governo, di godere di un'assoluta libertà di movimento: gli bastava essere docile ed ubbidiente con il premier, per potersi comportare da ribaldo con gli altri alleati. In tutte le “vertenze” interne insorte tra lui e gli altri partner, Berlusconi ha sempre compreso solo le ragioni del suo ministro prediletto. Con Fini e Follini ha infatti sempre usato due argomenti di indubbia efficacia: Bossi si sa da tempo immemorabile come è fatto e del bisogno che avverte di parlare ai suoi. Si sa bene che è un politico sui generis, che sbuffa, sbraita, usa un linguaggio inaccettabile, talvolta prende cappello, ma nei passaggi cruciali della maggioranza diventa ragionevole fino alla docilità. Un alleato vero, come li preferisce il premier. Il secondo elemento è sempre apparso ancora più convincente del primo: che facciamo di fronte alle sue intemperanze, lo sbattiamo fuori dall'alleanza e andiamo di filato alle elezioni. Ci conviene un'operazione del genere? Pur mugugnando, gli alleati, di fronte a tale discorso hanno sempre abbozzato. A partire dalle recenti amministrative in cui la Cdl, come coalizione, ha perso voti, questi due argomenti non reggono più. Per un fatto semplice perché in almeno due elezioni l'influenza di Bossi sul risultato finale è apparsa nefasta: la polemica non casuale di quest'ultimo su Roma ladrona ha nuociuto molto di più di quanto non si immagini al presidente uscente della provincia di Roma, Moffa, esponente di An, mentre in Friuli la candidatura imposta di Alessandra Guerra ha portato la coalizione di maggioranza al disastro. Gli alleati si sono fatti due conti. Finché la violenza verbale del capo della Lega viene vissuta dagli elettori come un irrilevante fenomeno di folclore, il problema non si pone, ma se essa è finalizzata a far perdere voti ai singoli partiti dell'alleanza, nessuno è disponibile al silenzio per un becero patriottismo di coalizione. Neanche lo spauracchio delle elezioni anticipate, usata al momento giusto da Berlusconi, regge più, perché risente di uno scenario mutato: vale certo per Fini e Follini, ma, in misura di gran lunga maggiore, per Berlusconi e Bossi. Il primo guida un partito particolare che, per gli interessi che rappresenta, non potrebbe in nessun caso tornare all'opposizione senza lasciare una quota altissima di consensi sul campo ed il secondo, dopo i tre strappi subiti dal proprio elettorato, sarebbe destinato a dissolversi definitivamente. Ma insieme a tutte queste motivazioni, ne esistono altre che per Fini assumono un carattere dirimente. La prima è tutta politica. Quel suo senso della moderazione “a prescindere” era diventato in questi anni una maschera che lo relegava in un cono d'ombra, mummificandolo in un ruolo di assoluta insignificanza. La seconda è di carattere psicologico. Il tasso di moderazione, talvolta di rassegnazione, esibita spesso al governo dal vicepremier, è apparso, alla lunga come un fenomeno di mollezza fortemente connaturato alla natura del personaggio. La qual cosa, in una formazione politica che porta nel proprio codice genetico la predilezione per le personalità forti, ha finito per suscitare il dileggio della stampa, dei vignettisti e, sottovoce, come capita nei partiti di governo, anche degli aderenti di An. Sotto tale aspetto le dichiarazioni di Donna Assunta Almirante, nume tutelare del partito, volte a cogliere gli umori del ventre profondo dell'ex Msi assumono un grande valore: nello scorso giugno sono state contrarie e persino irridenti nei confronti della politica di Fini, oggi sono tornate entusiastiche. A questo punto bisogna fare per onestà una precisazione. L'Unità è stata spesso molto critica con il vicepremier. Oggi bisogna ammettere che la presentazione di questo testo di legge restituisce Fini alla luce. Si tratta infatti di un gesto politico vero (come non capita ormai più di osservare in questa scialba stagione) destinato a fargli abbandonare il ruolo ancillare che si era scelto. Lo svincola infatti dalla Bossi-Fini, vissuta da quando si muove sul versante europeo, come una prigione che gli sottrae allure internazionale, a cui aspira in forma spasmodica. A dimostrazione che in politica basta talvolta invertire la marcia per ritornare protagonista sulla scena, Fini ha ieri indicato un percorso di destra moderna, di cui sa Iddio il bisogno che c'è in questo paese ed ha esibito davvero e, ripeto, per la prima volta, una politica moderata. La quale non è subire in silenzio le angherie di Bossi, ma avere una strategia per i prossimi anni.