User Tag List

Pagina 1 di 9 12 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 87

Discussione: Mazzini batte Marx

  1. #1
    Repubblicano (e basta)!
    Data Registrazione
    16 Mar 2002
    Messaggi
    232
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Mazzini batte Marx




    Da "Il Messaggero Veneto" del 9 aprile 2002

    **********

    MAZZINI BATTE MARX

    di CARLO SGORLON

    L’assassinio del professor Marco Biagi, ucciso per una folle utopia, ha riaperto molte piaghe nel nostro spirito. Anch’io mi sono sentito subito risucchiato dentro il burrone pauroso del lato assurdo del mondo.
    Ho una piccola ragione in più per essere vittima di questa sensazione. Infatti l’assassinio di Marco Biagi presenta coincidenze impressionanti con quello di Massimo D’Antona. È stato ucciso per le medesime ragioni e perfino con la stessa pistola.
    La sera del venti maggio 1999, al telegiornale delle diciannove, sullo schermo della terza rete vidi ciò che non mi sarei mai aspettato. Venne mostrata una lista di persone che il misterioso “Partito comunista combattente” aveva condannato a morte. In cima alla lista vi era il mio nome. Perché? Per il motivo che non appartengo al gruppo degli intellettuali progressisti? Perché non sono mai entrato nei territori della dogmatica marxista? Perché sono un uomo libero?
    Il nuovo delitto delle Brigate rosse nasce da ragioni ben precise, lo scontro di due concezioni, quella vetero-comunista e quella liberista. Benché il comunismo rivoluzionario abbia assistito alla sua bancarotta e sia stato pressoché dissolto dalla storia, vi sono ancora pochi individui che sognano la grande utopia dell’uguaglianza totale e forzata, conseguita con la lotta di classe, lo scontro armato, la dittatura del proletariato, l’abolizione della proprietà privata, e così via. Di intesa tra “operai” e “imprenditori” proprio non ne vogliono sentir parlare. Ma anche nelle sinistre perfettamente democratiche vi sono ancora residui di schemi marxisti e concezioni che, secondo me e secondo molti, contribuiscono in modi determinanti a creare climi di tensione sociale e dispute esasperate e infinite, in cui la violenza finisce sempre per inserirsi, in un modo o nell’altro. Lo sfruttamento dell’operaio nel Settecento e nell’Ottocento era disumano. Le dottrine di Marx furono allora perfettamente giustificate da situazioni reali. Marx da giovane non si occupava nemmeno del problema sociale. Cominciò a farlo quando il suo giornale lo mandò a osservare il mondo dei minatori di ferro e di carbone nella Ruhr.
    Ken Follett ce ne dà un’idea spaventosa nel romanzo Un luogo chiamato libertà. È vero che il libro è ambientato nel Settecento, ma un secolo dopo ancora quasi nulla era cambiato. Esule a Londra, Marx vide come venivano sfruttati nel lavoro bambini di sei o sette anni. Di orrori di quel genere vi è un riflesso non trascurabile anche in più romanzi di Dickens. Da queste esperienze scioccanti nacquero il Manifesto del Partito comunista (1848) e Il capitale (1863). Allora non si sarebbero potute formulare dottrine diverse dal marxismo, perché le ideologie nascono come reazione alla realtà.
    La storia però è mutazione perenne. Oggi le cose sono molto cambiate e le condizioni dell’operaio sono radicalmente differenti. Oggi esiste in Italia una legislazione del lavoro dalla quale l’operaio è superprotetto. Non vorrei essere capito male. La protezione in linea teorica non è mai eccessiva. Ma sul piano pratico lo diventa quando essa frena pesantemente l’economia, e quindi si rovescia dannosamente contro i lavoratori medesimi, e quando va al di là delle possibilità economiche reali di una determinata società. A questo mondo non si può ragionare e decidere secondo principi astratti, ma sulla base di ciò che la situazione reale consente di fare.
    Marx fu un grande pensatore, economista e sociologo, che costruì un’ideologia in difesa dell’uomo. Ma oggi non è più attuale. Per più di un secolo fu ritenuto un profeta dalle masse di tutto il pianeta. Oggi però nel mondo occidentale il suo pensiero è un meccanismo che perde i pezzi per la strada. Può essere ancora utilizzato nel Terzo mondo, dove, per esempio, il lavoro minorile avviene come nella Londra ottocentesca. Ma da noi il pensiero del grande di Treviri non riesce più a mordere la realtà. Non è più vero che operai e imprenditori debbano essere fatalmente nemici e affrontarsi in eterno. Sinceramente, provo un netto rifiuto spirituale per coloro che sostengono la necessità della lotta di classe.
    Che quella capitalista e borghese sia una classe “maledetta”, condannata “ab aeterno”, e per essa non ci possa esistere redenzione è una sorta di assurdo calvinismo applicato alle cose sociali. Per esempio al film Teorema, di Pier Paolo Pasolini, dove i borghesi sono tutti condannati senza appello, e chi si salva è soltanto una mistica servetta popolana, ho sempre pensato con fastidio. Tra l’altro grandi o piccoli imprenditori sono quasi sempre ex operai più dotati degli altri, più ambiziosi e ricchi di idee.
    Strano a dirsi: oggi, nella questione sociale, il vero profeta ottocentesco non appare più Marx, bensì Mazzini, che parlò non di “lotta” ma di “collaborazione” di classi. Nell’Ottocento, le polizie degli Stati assoluti, o assoluti a metà, temevano veramente non Marx, assai poco noto, bensì Mazzini. Il grande genovese era il nemico numero uno delle polizie ed era visto come temibile fomentatore di rivolte liberali. All’Internazionale socialista di Londra del 1864 Marx e Mazzini parteciparono entrambi. Si conobbero? Si parlarono? Polemizzarono tra di loro? Chi lo sa!
    Ma è certo oggi che i problemi sociali vanno risolti nella linea mazziniana. Operai e imprenditori devono intendersi, sforzarsi di capire ciò che è il meglio per ambedue e quindi per la società universale. Chi vuol restare legato agli schemi marxisti e leninisti fatalmente è oggi tagliato fuori dalla storia. E coloro che credono alla lotta armata di classe, alla conquista violenta del potere e alla dittatura del proletariato sono individui persi nella palude dell’utopia. Non sono presi sul serio da nessuno. Per sentirsi ancor vivi e far ancora parlare di sé, devono mettere mano alle armi e spegnere, in forza di un’idea astratta, uomini di grande ingegno, e gettare nel lutto le loro famiglie e l’intera società.

    Carlo Sgorlon

    **********

    Saluti

    Roberto

    .................................................. ................................

    Mazziniani in SARDEGNA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=73060
    Associazione Mazziniana Italiana
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=2011
    Bicentenario nascita Giuseppe Mazzini (1805-1872)
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=133506
    Mazziniani in PIEMONTE
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=15575
    Mazziniani nel VENETO
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=4105
    Mazziniani in SICILIA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=29799
    Il Risorgimento ..... e dintorni
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=2302
    Mazziniani in EMILIA e ROMAGNA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=11850
    Discussione su Mazzini e il Repubblicanesimo - consensi - immagine - visibilita'
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=21596
    Socialismo Mazziniano....per rafforzare il P.R.I ... dal Pensiero all'Azione ...
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=5260
    Un 20 Settembre di 132 anni fa...."la breccia di Porta Pia"
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=25441
    Mazziniani nel LAZIO
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=15218
    Mazziniani in Lombardia
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=3144
    Mazziniani in Friuli e nella Venezia Giulia
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=11489
    Mazzini e Garibaldi
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=27459
    Aurelio SAFFI...triunviro della Repubblica Romana ... con MAZZINI e ARMELLINI
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=5485
    Influenza del Pensiero Mazziniano sull'Azionismo
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=62791
    Mazzini in Chiesa ... e nella vita di tutti i giorni
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=7109
    Chi onora Mazzini / Garibaldi / Oberdan etc etc ... in ricordo dei nostri Eroi
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=14893
    Pisa & Domus Mazziniana
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=111677
    Mazziniani in CALABRIA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=18657
    Itinerari storico turistici : Le colline del Risorgimento
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=3072
    Il "fallimento" del Risorgimento....Montecitorio 14 novembre 2002
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=32035
    Garibaldi e Anita, benedette nozze
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=17719
    Mazzini batte Marx
    http://www.politicaonline.net/forum/...&threadid=5382
    Mazzini, osannato dai nemici della Chiesa
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=42789
    Mazziniani nelle MARCHE
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=15577
    Mazziniani in UMBRIA
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=145041
    Mazziniani in ABRUZZO
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=145000
    Mazziniani in TOSCANA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=11487
    Divagazioni su Mazzini ...
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=43038
    Mazziniani in Campania
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=15010
    Un pericoloso terrorista internazionale ... (Giuseppe Mazzini)
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=39360
    Mazziniani in LIGURIA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=13432
    Il PENSIERO MAZZINIANO
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=16664
    Mazziniani nel MOLISE
    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=129605
    Mazziniani in PUGLIA
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=11493
    Mazziniani in Basilicata
    http://www.politicaonline.net/forum/...threadid=51126

  2. #2
    email non funzionante
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    36,452
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    ***************************************
    MAZZlNI SUPERA DEFINlTIVAMENTE MARX
    **************************************
    di Luigi Salvatorelli

    Relazioni personali fra i due non ce ne furono mai: non cre- do, anzi, si siano mai incontrati. Ove si pensi che per lunghi anni essi dimorarono contemporaneamente a Londra, e che
    per ambedue, nella seconda metà della loro vita, l'Inghilterra fu la seconda patria; se si riflette che ambedue furono agitatori rivoluzionari europei, questa totale assenza di rapporti perso-nali è significativa. Più significativa ancora del giudizio pacato, ma severo, pronunciato da Mazzini su Marx: «uomo d'inge-gno acuto, ma dissolvente: di tempra dominatrice, geloso del-l' altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo, con più elemento d'ira, s'anche giusta, che non d'amore
    nel core»; e dei termini violenti, fino alla volgarità, in cui Marx a sua volta si espresse sul conto di Mazzini. Vi fu tra i due una incompatibilità di spirito totale.
    Ciò è stato riconosciuto da un pezzo, e non vale la pena di insistervi. Ma anche il confronto fra i loro programmi, le loro i-deologie, i loro metodi politici, è stato fatto ripetutamente: ri-corderemo l'ottimo capitolo dedicato, più di trent'anni fa, da Alessandro Levi nella sua Filosofia politica di C. M., alla posi-
    zione di lui nei rispetti del socialismo in genere, del marxismo in specie. La conclusione del Levi in sostanza è questa: Mazzi-ni può dirsi socialista, ma di un socialismo radicalmente diffe-rente da quello marxista, e quindi da tutto il socialismo con-
    temporaneo, che dal marxismo deriva. E, al tempo in cui il Le-vi scriveva, non soltanto ciò ch'egli diceva era esatto (lo è an-che adesso); ma conteneva «in nuce» tutto quello che importa-va dire sull'argomento.
    Oggi, al lume di una più lunga esperienza storica, è possi-bile fare qualche passo ulteriore, partendo dalle conclusioni stesse del Levi. Possiamo, cioè, comprendere meglio l'intreccio e la lotta fra mazzinianesimo e marxismo, e valutare con qual-
    che diversità il valore attuale e le chances rispettive dei due sistemi.
    Se per socialismo s'intende la concezione, la fede, per cui u-nico ordinamento sociale legittimo è quello fondato sul lavoro, unico fondamento legittimo di proprietà è il lavoro, praticato nell'interesse non solo individuale, ma sociale; se si riassume la morale dell'economia sociale nel detto di S. Paolo: «chi non
    vuoI lavorare, non mangi»: se il programma socialista fonda-mentale è la riunione di capitale e lavoro nelle stesse mani: al-lora, bisogna dire che Mazzini è stato nettamente, cosciente-mente socialista, e che il socialismo fa parte integrante del suo credo, fino dal periodo anteriore al Quarantotto; potremmo,
    anzi, aggiungere: specialmente nel periodo anteriore al Qua-rantotto.
    Già lo statuto della Giovine Europa affermava che «l'Egua-glianza esige... che ogni uomo partecipi, in ragione del suo la-voro, al godimento dei prodotti, risultato di tutte le forze socia-li poste in attività». Ma specialmente nel primo periodo di di-mora inglese le affermazioni sociali, e diciamo pure socialiste,
    di Mazzini, si fanno precise nella sostanza, incalzanti nella for-ma: al cospetto delle condizioni sociali inglesi, specialmente degli operai, egli proclama che «la società attuale è non sola- mente una cosa senza senso, ma un'infamia»; e afferma addi-
    rittura: «non sono uomo d'opinioni o passioni politiche». Ac-centi questi che sono ancora più significativi (per chi conosca la psicologia mazziniana) di un programma socialista particola- reggiato, in articoli e paragrafi. Come significativo è il fatto, i-
    gnorato dai più, che a Londra egli sostenne (ed attuò) il princi-pio dell'organizzazione operaia, a parte, in seno all'organizza-zione generale della Giovine Italia, con la motivazione espressa
    del contrasto di classe fra capitalisti e operai: e a questo princi-pio, a questo metodo tenne fenno anche contro le obbiezioni degli operai italiani di Parigi, ai quali una simile organizzazio-ne a parte sembrava un trattamento d'inferiorità. Non riuscì
    tuttavia, in forza appunto della loro opposizione, a impiantare a Parigi una sezione dell'Unione operaia di Londra.
    Detto tutto questo, bisogna anche riconoscere che ne la socializzazione integrale e forzata delle proprietà apparteneva al programma mazziniano, ne la lotta sistematica di classe al suo metodo. La mira, per lui, non era la soppressione o divisione o
    collettivizzazione del capitale, ma l'unione di capitale e lavoro nelle stesse mani. Mezzo per arrivarvi, le associazioni di lavoro libere e volontarie (cooperative di produzione), assicuranti ai lavoratori stessi il frutto integrale del proprio lavoro. Ai capitali
    necessari per il loro impianto e mantenimento avrebbe dovuto contribuire direttamente in prima linea lo Stato, con la creazio-ne di banche di credito operaio, e la costituzione di un fondo
    nazionale formato dalle terre incolte e dai beni ecclesiastici e
    demaniali. Avrebbero poi dovuto agevolare le associazioni e
    migliorare le condizioni operaie la concessione di lavori da
    parte dello Stato alle associazioni medesime; una radicale rifor-
    ma tributaria, sopprimente i tributi indiretti e costituente un u-
    nico tributo sul reddito, con esenzione completa del minimo
    necessario alla vita; la semplificazione delle forme giudiziarie;
    lo sviluppo dell'istruzione obbligatoria per tutti e provveduta
    dallo Stato.
    A differenza del programma politico di Mazzini, che aveva
    carattere ideale, sintetico, rivoluzionario, il suo programma so-
    ciale era di riforme particolari e graduali.
    Certamente, la prima spiegazione di ciò -prima, almeno,
    sul piano psicologico -va ricercata nel primeggiante interesse
    nazionale, nella traboccante passione per la risurrezione unita-
    ria italiana. E quando sentiamo Mazzini (v. sopra) affermare la
    sua indifferenza per le questioni politiche, di fronte alle sociali,
    possiamo anche esser tentati di sorridere, visto che suprema-
    mente politici erano il suo programma e la sua azione per l'u-
    nità italiana. Ma il sorriso, appena abbozzato, vien meno, se si
    pensa che la questione nazionale per lui aveva, al fondo, carat-
    tere morale e religioso: e che nell'unità morale e religiosa -pos-
    siamo ben dire, nell'unificazione mistica -del popolo si risolve-
    va nel suo spirito anche la questione sociale.
    Sotto questo aspetto, il socialismo di Mazzini si distingue
    da quello di tutti i suoi contemporanei, salvo al più la Men-
    nais. Se ne distingue; ma non possiamo dire propriamente che
    -fino alla comparsa di Marx -vi si contrapponga, in vera e
    propria antitesi. L'ispirazione morale, l'affiato religioso non so-
    no estranei agli altri agitatori politico-sociali per periodo pre-
    quarantottesco e quarantottesco: si possono dire, anzi, una ca-
    ratteristica loro comune, sebbene in nessun altro raggiungano
    l'intensità, la fondamentalità di Mazzini.
    Mazzini, come gli altri socialisti premarxisti, è gradualista,
    umanitario, idealistico. la fraternità delle classi e non la lotta di
    classe è il loro ideale supremo: la società nazionale superante la
    divisione di classi, l'obbiettivo comune. Mazzini, insomma, va
    compreso -per chi vuoI confrontarlo con Marx su una base di
    fatto, entro un inquadramento storico -in quel socialismo «u-
    topistico» contro cui scese in campo proprio alla vigilia della ri-
    voluzione quarantottesca il Manifesto dei comunisti.
    A chi dette ragione la rivoluzione del Quarantotto? Bisogna
    distinguere la prima dalla seconda fase.
    Nella prima fase il socialismo mazziniano parve vittorioso,
    ove si guardi non tanto all'Italia -in cui prevalse su tutto la lot-
    ta nazionale -quanto alla Francia. La seconda repubblica fran-
    cese si presentò con una faccia «sociale»: il principio dell'inter-
    vento statale nell'economia, per l'elevazione del proletariato, e
    del diritto al lavoro furono proclamati ed ebbero un principio
    di attuazione. Reciprocamente, le classi lavoratrici si interessa-
    rono al programma democratico «borghese» come a cosa loro.
    E di questa associazione fra borghesia nazionale progressiva e
    proletariato fu proprio Carlo Marx uno dei più ardenti sosteni-
    tori, nel suo organo giornalistico, la Neue Rheinische Zeitung, an-
    che se per lui essa rappresentava un momento transitorio.
    La seconda fase capovolse le posizioni; annullando i risul-
    tati della prima. Dopo le giornate parigine del giugno '48 la
    reazione sociale in Francia fu completa, trascinandosi dietro, in
    larga misura, anche quella politica. Il socialismo fu un termine
    di maledizione; il proletariato, un oggetto di odio e di spaven-
    to. Qualsiasi idea di politica sociale fu bandita. Trionfò, quasi
    sghignazzando, l' egoismo tradizionalista borghese di Thiers,
    l'uomo per cui la proprietà doveva rimanere in perpetuo il
    “jus utendi et abutendi», e l'autorità statale esistere innanzi tut-
    to per l'assicurazione di quella.
    In tale reazione il socialismo prequarantottesco -idealistico,
    umanitario, gradualista, -il socialismo mazziniano, insomma,
    andò travolto. A Roma Mazzini triumviro gli rimase fedele e
    ne avviò l'applicazione; ma la caduta della repubblica romana
    troncò il tentativo in sul nascere. Per quasi venti anni non si
    sentì più parlare, in Europa, di socialismo. Mazzini stesso, pur
    mantenendo fede alle sue idee, pure impiantando e sviluppan-
    do la sua azione in senso alle associazioni operaie italiane, non
    ritrovò più gli spiccati accenti sociali prequarantotteschi. Più
    che mai straripante fu in lui la passione nazionale.
    Alla riscossa proletaria, iniziata con la fondazione della Pri-
    ma Internazionale a Londra nel 1864, il mazzinianesimo non
    fu estraneo. Nello statuto della nuova organizzazione, redatto
    da Carlo Marx, questi si adattò a introdurre un paio di frasi di
    sapore mazziniano; ma col deliberato intento di affogarne lo
    spirito in quello marxistico. E ci riusci’: l'influenza di Mazzini
    nella Internazionale fu nulla, ed egli se ne staccò, entrando infi-
    ne, negli ultimi anni di vita, in aperto conflitto con essa. In Ita-
    lia veramente la lotta si svolse non tanto fra Mazzini e Marx,
    quanto fra Mazzini e Bakunin; ma questo non cambiò sostan-
    zialmente la situazione, che fu quella di un conflitto aperto, a
    fondo, tra socialismo mazziniano, idealistico e solidaristico, e
    socialismo rivoluzionario, classistico-comunistico. E quando
    l'intemazionalismo bakuniniano in Italia (e fuori) venne meno
    di fronte alla vittoriosa socialdemocrazia marxistica, ciò signi-
    fico’ non una riviviscenza di socialismo mazziniano, ma anzi la
    sua sconfitta definitiva. Logicamente: poichè, fra Marx e Maz-
    zini l'incompatibilità era ancora maggiore, molto maggiore,
    che fra Mazzini e Bakunin.
    La sconfitta di Mazzini -travalicante i limiti della sua vita
    empirica -non va considerata isolatamente, ma inquadrata in
    quella più generale del vecchio socialismo idealistico per parte
    del nuovo, «scientifico». Tuttavia, con sue caratteristiche parti-
    colari. Accanto al «mito» nazionale dell'Unità repubblicana,
    mancò nel pensiero e nella propaganda di Mazzini un corri-
    spondente «mito» sociale. Colui che aveva visto in tutta la sua
    portata il movimento delle nazionalità, e aveva saputo collo-
    carvisi dentro, nel punto centrale, non valutò con altrettanta e-
    sattezza il movimento di classe del proletariato, e lo guardò
    sempre piuttosto dal di fuori. Tutto intento alla Santa Alleanza
    dei popoli, gli sfuggì la formazione dell'internazionale proleta-
    ria. Quando l' ebbe innanzi, non riuscì a fronteggiarla e a domi-
    narla. Anche un genio non può vedere e far tutto; e il movi-
    mento proletario crebbe e si avviò a divenire protagonista
    quando da lungo tempo Mazzini aveva concluso il suo svolgi-
    mento spirituale.
    La storia, però, non finisce qui. La fase marxista è stata an-
    ch'essa transitoria. Dopo un mezzo secolo, la socialdemocrazia
    marxista si è sdoppiata, in laburismo e leninismo. il laburismo
    ha sconfessato Marx, a parole e più ancora in fatto. il leninismo
    lo ha messo nel tabernacolo, ma l'ha interpretato a modo suo,
    sostituendo alla dittatura del proletariato quella di una ristretta
    oligarchia rivoluzionaria, trasformatasi in assolutistica burocra-
    zia statale.
    Lasciamo da parte il leninismo, che in Occidente non ha
    trionfato ne trionferà (salvo, tutt'al più, il caso di una terza
    guerra mondiale terminante in una catastrofe europea). il so-
    cialismo ancora vivo nell'Europa occidentale è il laburista: ma
    esso mostra pèr chiari segni la sua incompiutezza. Con empiri-
    smo a lungo andare insostenibile, esso vorrebbe accoppiare de-
    mocrazia e classismo, in un parlamentarismo riformistico che
    finisce per associare il privilegio di oligarchie sindacali alla
    consacrazione di un nazionalismo autoritario. Alla prova dei
    fatti esso risulta inadeguato alle esigenze interne non meno
    che a quelle internazionali: e non è un caso che l'attuale infelice
    periodo di politica estera inglese coincida con un governo la-
    burista.
    il punto fondamentale è che il socialismo oggi va inquadra-
    to nella democrazia, e non viceversa; che democrazia significa
    equilibrio e accordo di classi lavoratrici e produttive diverse -
    «multae sunt mansiones in domo Patris mei» -e non dittatura
    o privilegio di una sola; che pertanto il socialismo non può es-
    sere ormai se non un metodo per la vita economica e morale
    della nazione entro un ordinamento internazionale.
    Questi sono i principi stessi e gli ideali del socialismo maz-
    ziniano e del mazzinianesimo: formulati nei termini richiesti
    dalle nuove esigenze, adattati e sviluppati secondo le nuove
    realtà. Se nell'ultimo terzo del secolo decimonono Marx aveva
    sconfitto Mazzini, nella seconda metà del ventesimo Mazzini
    supera definitivamente Marx.

    ***************************************

  3. #3
    email non funzionante
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    36,452
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Comparazione Marx - Mazzini

    MAZZINI e MARX…..moltissimi ideali in comune….ma visioni molto diverse per realizzarli.

    La Lotta di Classe e la Dittatura del Proletariato fu sempre avversata dall’Apostolo Laico, fino alla sua morte……coerentemente con la condanna delle teorie marxiane pronunciata nei “Doveri dell’Uomo”, aveva tenuto il movimento operaio delle origine al riparo da ogni ispirazione classista, ma aveva anche trasformato completamente, ammodernandola, la fisionomia paternalistica e corporativa delle prime Societa’ Operaie sorte in Piemonte, ad opera di mazziniani, agli inizi degli anni cinquanta. Di piu’: aveva creato una struttura che, coordinando le Societa’ man mano che si venivano fondando, le aveva raccolte attorno ad un programma che era stato discusso in regolari congressi pubblici, dai quali era anche emersa una linea di decisa democratizzazione della Societa’ Italiana attraverso la partecipazione di tutti i lavoratori alla lotta politica e la rivendicazione di diritti (gia’ allora) quali il suffragio universale (votavano solo pochi eletti, nobili o ricchi e non le donne) e l’istruzione laica gratuita.
    Il pericolo del marxismo, che fino ad allora era stato per l’Italia, piu’ teorico che reale, comincio’ a concretizzarsi dopo la creazione, avvenuta a Londra nel 1864, della prima Internazionale. Nata sotto il controllo diretto di Mazzini, l’Internazionale non ne ricevette l’inconfondibile impronta UMANITARIA e religiosa solo perche’ fu Carlo Marx a redigerne lo Statuto, conferendogli quel carattere di preambolo ideologico all’affermazione del proletariato che discendeva in linea diretta dal Manifesto del Partito Comunista del 1848.
    Tra Mazzini e Marx, tra l’agitatore romantico e il lucido economista, tra l’italiano estroverso e il freddo tedesco la distanza culturale, temperamentale, filosofica e politica non poteva essere maggiore.
    “Quanto era delicata la sensibilita’ dell’uno – scrisse Nello Rosselli – tanto era pesante, sorda la sensibilita’ dell’altro, priva di quel senso accorato d’umanita’, di quella larga simpatia umana per cui Mazzini e’ sentito in ogni parte del mondo e, se pur lo si discute e nega, lo si comprende ed ama: Marx lo si studia (anzi lo si studiava) e si ammira. Mazzini, riluttante ad ogni disciplina scientifica, profondamente pervaso di spirito religioso, concquistava i suoi ascoltatori e i suoi lettori (ha scritto piu’ lui che 10 Montanelli, Bocca e Scalfari insieme) non tanto o non solamente con il calore della sua convinzione, con frequenti e sapienti ricorsi al sentimento, all’intuito, alla fede, col tono ispirato della parola…….
    Rovesciamo Mazzini ed avremo qualcosa di molto simile a Marx: freddo preciso, logicamente impeccabile, concreto (oggi si direbbe pragmatico); cervello assai piu’ acuto che non sensibile cuore. Dall’uno non poteva venire che predicazione di amore: il sogno della SOLIDARIETA’ fra le classi sociali (l’opposto della lotta di classe) con una dottrina di EDUCAZIONE e di ELEVAZIONE Morale. L’altro dalla secolare esperienza dell’Umanita’ doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d’ogni vicenda, legge che non nega, ma innegabilmente attenua l’influenza dei valori morali (infatti ammette la violenza a “fini” educativi)”.
    Cio’ fra parentesi quanto, riassunto, affermava Nello Rosselli…che si puo’ accettare o respingere ma, resta il fatto che Mazzini, mentre influenzo’ solo relativamente l’Internazionale, mantenne, come ho scritto sopra, il peso rilevante che gia’ si era assicurato sulla nascita e sullo sviluppo del movimento operaio italiano. Si dovette percio’ attendere la sua scomparsa, perche’ si profilasse sulla scena politica d’Italia la prima leva dei marxisti/socialisti, peraltro formatisi in gran parte alla scuola di chi – G.Carducci ad esempio – aveva sempre inteso valorizzare al massimo la tradizione mazziniana (saltando di palla in frasca…da ragazzo, alle medie, gia’ mazziniano, feci una china di Giosue’ che regalai alla Preside delle Medie a lui intitolate)…e fu un socialismo/marxismo in cui era ragguardevole la componente anarchiggiante (non quella nobile del pensiero) ma quella alla Mikhail Bakunin (diciamo prosaica e materialista) che gia’ aveva tentato di trasformare l’Internazionale in uno strumento dell’Italia arretrata e rurale di meta’ anni sessanta.
    Non a caso una buona conoscenza del marxismo si comincio’ ad avere solo dopo la parte finale dell’Ottocento, e cio’ perche’ l’ambiente continuava, nonostante tutto, ad essere permeato da una tradizione insurrezionalistica assai difficile da estirpare…..gia’ allora si cavalcavano le varie “tigri” legate alla poverta’ contadina ed operaia slegate pero’ dalla emancipazione culturale e morale di queste classi.
    Nel complesso quindi fu prevalente il messaggio mazziniano sino al 1871. Dopo tale periodo ci fu’ la Comune di Parigi (marzo-maggio 1871), un’evento che esercito’ un influsso e suggestione enorme sul proletariato, giovani, intellettuali, posti per la prima volta di fronte ad una esperienza di governo autenticamente popolare ed operaia e trascinati anche da una valutazione positiva di Garibaldi che aveva cominciato a “vacillare” rispetto ai suoi principi mazziniani “precedenti”.
    Per Mazzini, invece, l’esempio della Comune era da respingere perche’ non gli risultava accettabile una forma di governo il cui fondamento teorico e pratico postulava il MATERIALISMO ATEO, la LOTTA di CLASSE, l’abolizione della proprieta’ privata e la rottura della unita’ nazionale francese ( alle varie Patrie in concorso per formare l’Europa dei Popoli …. Mazzini gia’ allora era sensibile) il gtutto racchiuso in un programam che, alla luce dei collaudati parametri mazziniani, non era la fine del “vecchio mondo”…pre creare un “Mondo Tutto Nuovo”….ma era l’ultima conseguenza dell’antico principio dell’individualismo……..un po’ come oggi mi sembra di vedere nell’edonismo ed introversione della politica che proviene da certe vallate nebbiose del Po’.
    La “Roma del Popolo”, il settimanale che Mazzini fondo’ nel 1871, ospito’ per un anno i suoi articoli, gli ultimi in cui la sua voce risuonava, con una nota febbrile per opporre, alla minaccia incombente del socialismo/marxismo e al pericolo di una disgregazione morale e materiale che dalle lotte di classe conseguenti sarebbe derivato alla Societa’ Italiana,…..per opporre i principi sempre validi dell’associazione, della solidarieta’, del progresso civile. Il PATTO di FRATELLANZA, approvato a fine 1871, dalle Societa’ Operaie in Roma ,riprendeva queste idee da Mazzini, le raccoglieva organicamente in un documento finale che disegnava il futuro della CLASSE OPERAIA come opera collettiva da compiersi “dentro” e non “contro” la Nazione, per “perfezionarla” e non per “distruggerla”, in una direzione che, autodefinendosi umanitaria e patriottica, si confermava chiaramente incompatibile con l’internazionalismo.
    Mazzini mori’ consapevole che i semi da lui profusi nel campo operaio avrebbero dato dei frutti che “altri” avrebbero colto…….ed anche in questo fu profetico…..ad opera e per conto dei politici di questo dopoguerra gli Italiani misconoscono la verita’ storica e ritengono che la CLASSE OPERAIA sia la giusta organizzazione derivante dallo studio delle teorie marxiane……..
    Spero di non aver causato troppe incomprensioni con il tentativo di contemperare la brevita’ dello spazio con la lunghezza degli argomenti….nel caso, avremo modo di riparlarne.
    Un saluto agli amici di buona volonta’.

    nuvolarossa

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    36,452
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito tratto da IL TIRRENO del 25 maggio 2002

    Bilancio su Mazzini e Marx

    ORBETELLO.

    Interessante iniziativa culturale dell'Associazione Mazziniana Italiana che ha organizzato per oggi, con inizio alle ore dieci dibattito pubblico sul tema, assai stuzzicante: «Due proposte a confronto:
    Mazzini e Marx, quale bilancio?».

    Parteciperanno: il professor Massimo Scioscioli, saggista, membro della Direzione A.M.I. e il prof. Giacomo Marrameo, ordinario di filosofia politica dell'Università di Roma e direttore della Fondazione Basso. Moderatrice: dottoressa Claudia Aldi.
    Il dibattito si svolgerà presso l'Auditorium Comunale di Piazza della Repubblica in Orbetello sabato 25 maggio 2002 con inizio alle ore 10.00.


  5. #5
    Garibaldi
    Ospite

    Predefinito

    Che Mazzini vinca sumarx me lo ha dimostrato un caro amico di Manarola da anni professore all'universita' di Parma che mi ha detto che le tesi su marx sono quasi scomparse e adesso stanno uscendo tesi su mazzini, sui temi del repubblicanesimo ed anche sul risorgimento.
    I socialcomunisti devono mettersi il cuore in pace ma, purtroppo per loro, marx e' "opassato di moda".
    Ecco spiegato anche perche' gli ex-pci rinnegano marx e cercano di "fregarci" i nostri eroi repubblicani, antichi e moderni

  6. #6
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Il ritorno di Marx

    Per meglio comprendere il capitalismo ed il futuro, dagli Stati Uniti si leva un’esortazione a riconsiderare il pensiero di Marx. Molte delle contraddizioni notate dallo stesso Marx nel capitalismo vittoriano sono riapparse prepotentemente in questo fine secolo. Globalizzazione, disuguaglianza, corruzione politica e progresso tecnologico compaiono già nei suoi scritti e sono gli stessi temi con i quali si stanno confrontando gli attuali economisti, talvolta senza rendersi conto di camminare sulle orme del filosofo ed economista tedesco. Per quanto concerne la globalizzazione dei mercati, parola d’ordine di quest’ultima parte del XX secolo, Marx stesso ne ha delineato alcune possibili conseguenze negative. Il capitalismo è ormai sul punto di trasformare il mondo in un mercato globale. Ma, come intuiva Marx fin dalla metà del secolo scorso, a risentire di tali cambiamenti non sarà solo il mercato locale ma intere culture che rischiano di essere spazzate via dall’implacabile affermarsi delle forze di omologazione dei consumi e di integrazione internazionale. Testimonianza dell’attualità di queste considerazioni si trova nella recente costituzione di movimenti politici populisti e xenofobi in Francia, Russia e in molti altri paesi. Persino alcuni economisti, finora fermamente convinti della validità delle istanze della globalizazione, iniziano a considerare con maggiore attenzione i pericoli e le conseguenze che ne potranno derivare.

    The New Yorker" 1997

  7. #7
    Garibaldi
    Ospite

    Predefinito

    La parola "globalizzazione" non e' di per se una parola disdicevole.
    Noi mazziniani siamo per globalizzare il benessere e la crescita socoiale e civile di tutti i popoli e crediamo che, se ben gestiti, i fenomeni legati alla globalizzazione siano piu' positivi che negativi.
    Nutro parecchi dubbi che a cio' possa servire meglio il marxismo anche se riconosco che in certe realta' miserrime del globo terrestre il messaggio mazziniano, di fronte ai bisogni immediati della fame, sia difficilmente comprensibile come risulterebbe incomprensibile qualsiasi altro dettato ideale.
    Allora in questi casi non servono tanto gli idealismi di alcun tipo ma serve rimboccarsi le maniche, poche chiacchere da parte di tutti e tanta farina da impastare!

  8. #8
    Forumista senior
    Data Registrazione
    27 Oct 2009
    Messaggi
    2,580
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito roderigo

    Roderigo traduci il New yorker del '97? dì la verità dove lo hai letto?
    per quanto riguarda la globalizzazione, nell'ultimo anno sono usciti migliaia di libri, ognuno vuol dire la sua, ma quello che ne esce fuori è che le nazioni ricche sfornano migliaia di miliarid di dollari per le nazioni povere e non si sa dove vanno a finre quei soldi.
    Qualcuno dice in Svizzera, alle Caiman (Tortuga), Liechtenstein, alle Barbados e chissà in quali altri posti.
    I dittatori, a decine, delle nazioni povere si divertono un "mondo" bisogna incidere lì ase si vuol cambiare qualcosa.
    Ciao.

  9. #9
    email non funzionante
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    36,452
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    GRANDEZZA ED EREDITA' DI MAZZINI
    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    di Egidio Reale

    Chi, a tanta distanza di tempi ed in un clima storico così
    diverso da quello in cui si svolsero la sua vita ed il suo aposto-
    lato, lontano dalle tempeste delle passioni, dagli odii e dagli a-
    mori che accompagnarono e seguirono l'azione, ricerchi, con
    animo pacato e mente serena, quale sia stata la vera grandez-
    za di Giuseppe Mazzini e quel che sopravviva del suo inse-
    gnamento e della sua opera, non può non restare perplesso e
    sorpreso. Teorie e dottrine che egli formulò e diffuse, con fer-
    vore e tenacia, appaiono -e talvolta sono -superate dall'e-
    voluzione e dalle mutate circostanze del tempo e degli eventi.
    Previsioni che al suo spirito si presentarono come sicure sono
    state smentite dalla realtà. Problemi che si ponevano alla sua
    mente come essenziali sono risoluti o non più appassionano i
    popoli, assillati da altre esigenze e da altre aspirazioni. Il corso
    della storia s'è svolto e si svolge seguendo in parte linee e di-
    rettive diverse da quel che il fondatore della «Giovine Italia»
    gli assegnava. Eppure, anche coloro che con maggiore severità
    o con più viva acredine ne hanno giudicato o ne giudichino il
    pensiero e l'azione non possono disconoscere l'enorme in-
    fluenza che Mazzini ha esercitato sulla vita e sui destini d'Ita-
    lia, nè ignorare la forza e l'efficacia del suo apostolato nè nega-
    re il fascino che il suo ricordo ed il suo esempio continuano e
    suscitano non solo fra coloro che più fedeli restano al suo pen-
    siero, ma anche fra molti che, per educazione e temperamen-
    to, per opinioni e dottrine professate, più lontani si sentono e
    sono da lui e dai suoi insegnamenti.
    Se l'unificazione dell'Italia si realizzò forse più per la forza
    delle armi e gli accorgimenti di uomini di governo e di diplo-
    matici, nel concorso di favorevoli circostanze internazionali,
    che per le cospirazioni e le insurrezioni mazziniane, pure non
    v'è dubbio che essa sarebbe rimasta un sogno od una vaga a-
    spirazione senza l'apostolato e la passione di chi primo ne su-
    scitò l'idea e l'impose agli Italiani. Che cosa era l’Italia, quan-
    do Mazzini apparve sulla scena politica, se non un'espressio-
    ne geografica, se non una terra di ricordi e di rovine, nella
    quale un popolo giaceva inerte, senza anima, senza impulsi di
    rivolta, senza sentimento di indipendenza, senza desiderio di
    libertà? Peregrino errante di un ideale che ai suoi contempora-
    nei doveva apparire tutto al più come la visione di una mente
    allucinata non d'altro patrimonio ricco e non d'altra potenza
    provvisto se non della fiamma inestinguibile della sua fede
    nella resurrezione della patria e della libertà, Giuseppe Mazzi-
    ni seppe farsi il profeta -idolatrato od odiato -di una nuova
    religione più forte di ogni dubbio e di ogni sconforto e quella
    religione riusci’ ad infondere negli Italiani. Parlando al cuore
    più che all'intelligenza, con poche e scarse formule che a chi le
    consideri freddamente appaiono vuote di un sostanziale con-
    tenuto, egli seppe dare un'anima ad un popolo di morti, far
    vibrare di entusiasmo intere generazioni, destare la fede che
    conduce al martirio. La sua «Giovine Italia» non fu dapprima
    che un soffio, un respiro, che sorprendevano gli Italiani agli
    angoli delle strade, mormoravano ad essi nei sogni, additava-
    no nuovi scopi alla vita, facevano vibrare gli spiriti, rendevano
    seducente persino la morte. Poi quando i tempi si volsero pro-
    pizi si trasformarono in tempesta, che astuzie di governi armi
    di polizia, forze di eserciti non riuscirono a placare, una tem-
    pesta nella quale l’Italia conquistò, con l'unità, l'indipendenza
    e la libertà.
    Sono la fiamma di passione e di fede che non si estingue se
    non con la morte, la dedizione più assoluta e completa di ogni
    pensiero e di ogni sentimento, d'ogni agio e d'ogni aspirazio-
    ne all'ideale propugnato, la perfetta continua rispondenza del-
    l'azione al pensiero, l'integrità della vita nella fiera dignità del
    carattere che, con l'intransigenza delle idee e la severità del co-
    stume privato e politico, costituiscono gli elementi essenziali
    della nobile figura di Mazzini e sole possono spiegarne l'irre-
    sistibile fascino. E' in quelle virtù -delle quali tanto maggiore
    bisogno si sente quanto più rare si fanno -che occorre ricerca-
    re il grande patrimonio ideale che Mazzini ha lasciato in ere-
    dità agli Italiani.
    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

  10. #10
    email non funzionante
    Data Registrazione
    05 Mar 2002
    Messaggi
    36,452
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    *************************************
    MAZZlNI DI FRONTE ALL'ECONOMIA
    E AL PROBLEMA SOCIALE

    ***************************************
    di Oliviero Zuccarini

    Collocare Mazzini tra gli economisti non è certo possibile.
    E' invece interessante vedere quale fosse la sua posizione di
    fronte alla economia, agli economisti e ai problemi sociali del
    suo tempo. Credo che ne risulti un Mazzini più vivo e attuale
    di quello che ci è stato sin qui presentato. Non perchè siano
    mancati studi sulle sue idee sociali. Anzi se ne è scritto molto
    con spirito di comprensione e alle volte addirittura di esalta-
    rione. Che egli non fosse affatto indifferente alla questione so-
    ciale è stato largamente riconosciuto. Scrittori autorevoli di
    parte socialista gli hanno perfino accordato un posto tra i pre-
    cursori della loro idea. Tutti però si sono lasciati guidare dalla
    preoccupazione, alle volte esclusiva, di stabilire le relazioni, le
    derivazioni, le affinità del suo pensiero con le varie scuole di
    socialismo, da quelle degli utopisti a quella marxista, conside-
    rata come scientifica. E in tal modo non sono riusciti a metter-
    lo in giusta luce. E' avvenuto cioè che si desse maggiore risal-
    to, e quindi maggior peso, a quanto a quelle scuole poteva av-
    vicinarlo che a ciò che da esse lo allontanava e lo differenzia-
    va. E dove si vollero rilevare i dissensi si finì col presentare un
    Mazzini esitante, moderato nelle soluzioni e perfino un po'
    conservatore. Altra profonda deformazione di Mazzini che
    non si sarebbe verificata ove al socialismo nella sua più comu-
    ne e conosciuta interpretazione non si fosse assegnata senz'al-
    tro la dizione più radicale e avanzata. Ad una migliore valu-
    tazione servirebbe assai più stabilire dove e in che consistesse-
    ro le differenze. E potrebbe accadere di trovare sulla questione
    economico-sociale la dizione assunta da Mazzini più in a-
    vanti che indietro, diversa ad ogni modo, e corrispondente ad
    una visione meno unilaterale di tutto il problema verso una
    soluzione più ampia, più armonica e più umana.
    Non è qui il caso, appunto per le ragioni dette sopra, di un
    esame di tutto ciò che si è scritto sulle idee sociali ed economi-
    che di Mazzini. Essendosene scritto molto e da molti, un lavo-
    ro del genere, fatto con intenti critici, sarebbe troppo lungo e
    non so se e quanto potrebbe riuscire conclusivo. Cercherò
    quindi di limitarmi a indicare del suo pensiero economico e
    sociale, e colle sue stesse parole, alcuni tratti caratteristici.
    Il primo è che Mazzini sente vivissirna la esigenza e la im-
    minenza di una grande rivoluzione sociale. il problema è per
    lui il problema dell'epoca: un aspetto, ma il più vivo e preoc-
    cupante dell'altra, in corso, della libertà politica. E' una affer-
    mazione a cui ricorse spessissimo durante la sua predicazione
    e che è al centro delle sue preoccupazioni. Vede l'irrefrenabile
    potenza del moto operaio. Ne prevede gl'inevitabili sviluppi.
    E ne paventa i pericoli quando una idea, in principio, non lo
    ispiri e diriga. La rivoluzione non può essere esclusivamente
    politica, o sarà anche sociale e riuscirà ad una trasformazione
    profonda nei rapporti economici della società, o non sarà. Sarà
    sommossa, rivolta, insurrezione. Rivoluzione, no. «Se non si
    trattasse -dichiara -in una Rivoluzione di un ordinamento ge-
    nerale in virtù di un principio sociale, di una dissonanza da
    cancellarsi, negli elementi dello Stato, di un'armonia da rista-
    bilirsi, di una unità morale da conquistarsi, noi, lungi dal di-
    chiararci rivoluzionari~ crederemmo debito nostro di opporci
    con ogni sforzo al moto rivoluzionario (1836»>. Esiste per lui
    una esigenza di riordinamento politico in quanto ne esiste una
    di riorganizzazione sociale. Le rivoluzioni non devono più
    «consumarsi in questioni di forme meramente politiche a be-
    neficio di una sola classe». Non quindi rivoluzione a carattere
    esclusivamente politico ma politico e sociale ad un tempo. La
    sua democrazia, il suo Stato, la sua Repubblica è la libertà rea-
    lizzata nella giustizia sociale, in comunità e in eguaglianza di
    diritti e di doveri. Chiama gli operai alla riscossa, e li vuole al-
    la testa del movimento rivoluzionario. «Avete combattuto -
    dice ad essi -per le altre classi, date ora il vostro program-
    ma» e non combattete se non per quello. Nessun dubbio e
    nessuna titubanza in lui in tale impostazione: dagli inizi alla
    fine del suo apostolato. Gli ultimi anni della sua vita lo vedo-
    no fervidamente e quasi esclusivamente occupato verso gli o-
    perai cercando alloro moto una iniziativa in Italia.
    E' in relazione alla profonda trasformazione che nei rap-
    porti economici e sociali determinerà la fatale ascesa del moto
    operaio, che può stabilirsi quale sia la posizione di Mazzini di
    fronte all'economia, come dottrina, e agli economisti del suo
    tempo. Si è posto in dubbio che egli abbia conosciuto e ap-
    profondito le opere degli economisti maggiori. Approfondito
    forse no, salvo forse che per l' opera fondamentale di A. Smith;
    conosciuto sufficientemente certo sì. E' possibile stabilirlo at-
    traverso i suoi scritti, anche se in materia di economia si pre-
    sentino in modo frammentario. Tale frammentarietà si riscon-
    tra del resto, anche per il suo pensiero etico-politico. E non è
    da far meraviglia se egli vede l'economia in funzione ispiratri-
    ce e direttiva, dal momento che l' economia era allora riguar-
    data e trattata come politica economica: non si era arrivati alla
    separazione netta tra scienza pura ed economia applicata che
    è avvenuta invece molto più tardi. L'economista allora, se an-
    che pretendeva di voler rimanere estraneo alla politica per
    considerare il fenomeno economico in se stesso, finiva poi
    sempre col fare politica, contribuendo molto spesso a invali-
    dare o a convalidare quanto intanto esisteva o avveniva. Maz-
    zini non concepisce invece l'economia come scienza pura, che
    fosse fine a se stessa. Lo studio economico, lo sviluppo delle
    dottrine economiche dovrebbe, secondo lui, intendersi e vol-
    gersi in funzione dell'avvenire. «L'economia -egli lamenta,
    proprio per stabilire che la intende diversamente -non è nella
    sua essenza se non una esposizione scientifica del fatto esi-
    stente senza valore al futuro (1849»>. E parlando degli econo-
    misti, già nel '36, li definisce cosi: «secte impuissante dont tou-
    te la science se reduit à procIamer qu'elle n'a rienà faire si ce
    n'est de laisser faire». E' appunto tale posizione d'indifferenza
    di fronte alla realtà economica esistente che a Mazzini riesce
    incomprensibile e inammissibile. Che quando invece gli eco-
    nomisti mettono la loro scienza o il loro consiglio a servizio di
    una politica economica attiva in senso liberale e per modifica-
    re una situazione, non esita a riconoscere, per esempio, che «la
    scuola pacifica di Manchester, la scuola di Cobden e di Brist
    ebbe, per servizi importanti resi al paese nella questione eco-
    nomica, influenza predominante» (1867). E' in questo senso
    infatti che egli vuoI vedere la scienza economica. “Una rifor-
    ma sociale è viziata ~i suoi principii -scrive nel '32 -se non
    comprende e rappresenta i bisogni di tutte le classi”. E ciò non
    può che essere compito della scienza economica! «Non so -
    dirà più tardi, nel '38 -se i nostri giorni vedranno sorgere urta
    nuova scienza economica che insegni a distruggere o a scema-
    re almeno con una più giusta distribuzione della ricchezza, le
    sorgenti della miseria»: E, nel 71 “senza una determinata dot-
    trina economica che la renda capace di agire... non esiste poli-
    tica”. Non mi sembra che possano cader dubbi sul suo modo
    di concepire la economia, e cioè non come -sono sue parole
    del' 49 –“fredda, arida e imperfetta” indagine scientifica, ma
    come dottrina, volta ad apportare un contributo di esperienze
    e di soluzioni nella preparazione dell'avvenire.
    Per quanto le sue attitudini mentali male potessero adat-
    tarsi alle esigenze degli accertamenti minuti e delle pazienti
    investigazioni, egli ne seppe valutare l'importanza e non vi ri-
    fuggì quando gli sembrò che potessero contribuire ad un' ope-
    ra di critica e di preparazione costruttiva, o alla sua battaglia
    politica. Lo dimostrano gli studi che nel'44 pubblicò in ingle-
    se e su giornali inglesi intorno alle condizioni economiche,
    amministrative e finanziarie degli Stati pontifici e quelli, pub-
    blicati, nel'45 riguardanti il Lombardo- Veneto. Non è quindi a
    pensare che non desse peso e valore alle ricerche e agli accer-
    tamenti fatti con metodi scientifici. Valutava tanto l'importan-
    za di certe indagini che perfino nella sua scuola di Londra -
    che in fondo era solo una scuola elementare e gratuita -stabili-
    sce che s'insegni «la geografia connessa con la statistica». Ne è
    a dire che gli mancasse il senso della realtà e delle cose possi-
    bili. Quando si trattò per lui di trasformarsi in uomo di gover-
    no -sia pure per un periodo di pochi mesi e in circostanze e di
    fronte a necessità eccezionali come quelle in cui si svolse la
    breve e luminosa vita della Repubblica Romana -dimostrò
    eccezionali qualità d'intuito e di prontezza nel concretare nella
    legislazione provvedimenti conformi al suo modo d'intendere
    la politica economica. Il manifesto-programma della Repub-
    blica è mirabile di precisione e di saviezza per un governo che
    voleva essere degno della istituzione repubblicana. E' difficile
    trovarne un altro altrettanto preciso e sintetico, segno d'idee
    chiare in chi si accinge a governare: “economia negli impieghi;
    moralità nella scelta degli impiegati; capacità accertata dovun-
    que si puo’”; “ordine e severità di verificazione e censura”;
    «tendenza continua al miglioramento materiale del paese”;
    «poche e caute leggi; mà vigilanza decisa nell'esecuzione”. u-
    no dei primi provvedimenti, il primo anzi, è quello relativo al-
    le abitazioni sottoposte ai danni, di abitazioni troppo ristrette e
    insalubri, e s'inizia con la considerazione che “dovere e tutela
    di una bene ordinata repubblica è il provvedere al progressivo
    miglioramento delle classi più disagiate”. Ed è in adempimen-
    to dei fini e dei doveri sociali della repubblica che seguono su-
    bito dopo gli altri decreti, come quello per la distribuzione di
    terre ai contadini (immediato inizio di quella riforma agraria
    di cui stiamo discorrendo da anni) e quelli riguardanti l'ali-
    mentazione del popolo coll'abolizione della tassa sul sale. La
    von Meysenbug, nei suoi ricordi su Mazzini col quale ebbe a
    discutere spesso di questioni sociali (è lei che lo dice) parla del
    «socialismo pratico» che Mazzini aveva cercato d'instaurare a
    Roma. E si riferisce evidentemente alla legislazione e agli altri
    provvedimenti con cui la Repubblica, per iniziativa e volontà
    di Mazzini, si preoccupava di modificare migliorandola la si-
    tuazione economica delle classi più numerose e più povere.
    Lo Stato, nella concezione di Mazzini, è infatti la Nazione
    stessa democraticamente organizzata, il suo compito sociale è
    di portare i cittadini ad uno stesso livello, quindi di elevare
    quelli che sono in basso in modo che tutti siano resi egual-
    mente liberi e responsabili nell'esercizio dei loro diritti come
    dei loro doveri. L'azione dello Stato non può essere repressiva
    o restrittiva, ma liberatrice. Se c'è una funzione sociale dello
    Stato è in tal senso; come ce n'è una morale, educativa, spiri-
    tuale. Allo stesso modo che c' è una missione di ogni nazione
    nel mondo, nella unità e nella eguaglianza di tutte le patrie.
    Lo Stato deve agire e facilitare la strada all'ascesa delle classi
    che lavorano, non imporla. I poteri e i doveri dell'operaio qua-
    le cittadino non dovrebbero trovarsi in alcun modo menomati
    per una particolare posizione d'inferiorità, di subordinazione
    o di soggezione. E il progresso economico non deve in nessun
    caso ottenersi col sacrificio della libertà politica o della dignità
    umana. la legislazione del lavoro stessa non deve in nessun
    caso risolversi in una menomazione dei diritti dell'operaio. A
    questo riguardo Mazzini ha parole assai vivaci per quanto si
    era verificato in Francia, nel' 49 e '50, con Luigi Filippo. Panem
    et circenses, dice, no! Nel presentarsi poi, l'azione dello Stato
    volta a dirimere le disuguaglianze sociali Mazzini si spinge
    molto innanzi. Non solo fa sua la formula: “Lo Stato deve l'e-
    sistenza e il lavoro per essa a ciascuno dei suoi membri”, Co-
    me in altra occasione aveva detto: «pane e lavoro per tutti, O-
    zio e fame per nessuno”. Arriva a concepire e a propugnare la
    costituzione, attraverso una “imposta della democrazia”, di
    un Fondo Nazionale del Lavoro destinato ad aiutare il sorgere e
    lo svilupparsi di organizzazioni volontarie, operaie natural-
    mente, manifatturiere, agricole, artigiane. Una idea questa che,
    nel modo e per gli scopi a cui Mazzini la voleva destinata,
    può considerarsi veramente rivoluzionaria e che ancora, no-
    nostante gli sviluppi raggiunti dalla politica sociale, deve tro-
    vare proposte e tentativi di applicazione.
    Quello che è comunque caratteristico della politica econo-
    mica e sociale dello Stato quale la pensava Mazzini è che essa
    non è volta a rafforzare il potere politico (come sempre è avve-
    nuto e si è voluto) e tanto meno a dar vita ad un sistema pro-
    tezionistico nazionale. A torto qualcuno ha pensato di riavvici-
    nare il pensiero mazziniano, per ciò che si riferisce alla conce-
    zione delle funzioni economiche dello Stato, a quella scuola e-
    conomica tedesca che ebbe a fondatore in Germania Federico
    List e che tanto ha contribuito alla degenerazione nazionalista
    ed imperialistica di quel paese. Nel pensiero di Mazzini il fine
    economico e sociale dello Stato è quello di allargare il campo
    delle libertà, di tutte le libertà. Scrive a Kossuth nel 1851: “vo-
    gliamo uno Stato nel quale ad ogni uomo sia aperta la via per
    lo sviluppo ordinato delle sue facoltà morali e fisiche, aperta
    la via perchè tutte le sorgenti di educazione e di ricchezza gli
    siano, secondo le opere sue, accessibili, aperta la via a sicuro e
    perenne lavoro, liberamente scelto a misura dei suoi godimen-
    ti». Il compito dello Stato cioè non è quello di elevare barriere
    o di stabilire limiti alle attività del cittadino; è quello di elimi-
    nare i vincoli, di spezzare i monopoli, di distruggere i privile-
    gi, di lasciare libero campo alla iniziativa, alla capacità, alla di-
    versità di attitudini e di scelta nella produzione e negli scambi.
    Una concezione del tutto diversa da quella ora prevalente del
    dirigismo di Stato, secondo la quale si vorrebbe assegnare allo
    Stato proprio quella funzione esecutiva, determinatrice e rego-
    latrice degli atti economici che Mazzini invece gli voleva nega-
    ta. Limiti, barriere, dazi erano da rifiutarsi ai confini come al-
    l'interno degli Stati. Mazzini voleva la diversità delle patrie in-
    sieme alla unità delle patrie. Egli è perciò aperto fautore della
    libertà di commercio e di scambio. “Un peuple ne peut vivre
    dans l'isolement», scrive nel '36. E aggiunge «nous croyons
    q'une plus grande unite est dans l'interet de notre commerce,
    de notre industrie, menacee de toutes parts, de nos communi-
    cations errtravees a l'interieur et à l'esterieur”. Si riferisce con
    queste parole alla situazione d'Italia. Ed è piena di efficacia, e
    di evidenza riguardo al modo come considerava il problema
    doganale, la descrizione che egli faceva nel' 45 della situazione
    allora esistente dovuta alle varie dominazioni che dividevano
    territorialmente l'Italia: «Otto linee doganali, senza numerare
    gl'impedimenti che spettano alla triste amministrazione inter-
    na di ogni Stato, dividono i nostri interessi materiali, inceppa-
    no il nostro progresso, ci vietano ogni incremento di manifat-
    tura, ogni vasta attività commerciale. Proibizioni o enormi di-
    ritti colpiscono l'importazione e l'esportazione. Prodotti terri-
    toriali o industriali abbondano in una provincia d’Italia o di-
    fettano in un'altra, senza che si possa per noi ristabilire l'equi-
    librio, vendere o permutare il superfluo». Sulla politica doga-
    nale Mazzini è ritornato molto spesso, nelle più diverse occa-
    sioni, perchè possano cadere dubbi sul suo modo di pensare
    in una materia che ha formato sempre oggetto di vivaci e forti
    contrasti tanto su essa s'imperniano due concezioni anche
    dottrinalmente opposte. Ai fautori di protezioni doganali os-
    serva (1839): La Svizzera fa a meno di proibizioni e di restri-
    zioni. La Russia ne fa senza. La Francia non ne aveva nel XIV
    e XV secolo e prosperò. In Francia le grandi manifatture degli
    scialli, il commercio della carta da parati, di ebanisteria, quello
    della moda e degli articoli di galanterie, degli strumenti ottici,
    bronzi e porcellane ne fanno a meno e sono fiorenti. il com-
    mercio della lana fiorì in Francia mercè il libero scambio con la
    Spagna, ma declinò dal momento che fu applicato un dazio
    Protettore”. Sulla interdipendenza delle produzioni e degli
    scambi economici tra nazione e nazione, rivolgendosi agli O-
    perai nel '60, avverte: “Voi vivete di scambi, d'importazione e
    di esportazione. Una nazione straniera che s'impoverisca, nel-
    la quale diminuisca la cifra dei consumatori, è un mercato di
    meno per voi. Un commercio straniero che, in conseguenza di
    cattivi ordinamenti ( donde la necessità secondo lui di buoni
    ordinamenti, che è interesse europeo) soggiaccia a crisi o a ro-
    vina, produce crisi e rovina nel vostro. I fallimenti d'Inghilter-
    ra e d' America trascinano fallimenti italiani. il credito è in oggi
    istituzione non nazionale, ma europea”. Non si può dire dopo
    ciò -e mi si perdonerà l' abbondante citazione dal momento
    che ha un valore probativo -che Mazzini non avesse idee
    chiare su uno dei problemi fondamentali della vita economica
    che anche oggi si presenta di viva e immediata attualità. I pro-
    getti in corso per ricostituire l'economia delle nazioni su piani
    di solidarietà e di collaborazione, non hanno purtroppo sapu-
    to fino a questo momento eliminare le cause della controver-
    sia e non è affatto detto che quei piani non si trovino già com-
    promessi in partenza per i sistemi doganali e che i particolari-
    smi economici che ciascuna nazione si ostina a mantenere e a
    sviluppare in casa sua non minaccino di demolire da un lato
    quanto dall'altro ci si mostra infervorati a costruire.
    il pensiero di Mazzini sul problema economico in generale
    e alla funzione che di fronte ad esso spetta allo Stato trova poi
    particolare rilievo e conferma nel suo modo di voler soddisfar-
    re le aspirazioni sociali del moto Operaio. E' a questo riguardo
    che egli si pone su un terreno diverso, anzi in netto contrasto,
    con le varie scuole di socialismo le quali tutte, o attraverso l'i-
    deazione di complicati e artificiosi sistemi o per una conquista
    violenta del potere resa possibile coll'inasprimento della divi-
    sione e della lotta di classe, pensano di poter determinare dal-
    l'alto le nuove basi della società. Vede e denuncia il fonda-
    mento autoritario di quelle dottrine e ne teme gl'inevitabili
    sviluppi. E le combatte ugualmente tutte per questo. Non cre-
    de alle improvvisazioni “Penso, dice, che il problema nostro è
    meno quello di definire le forme del progresso futuro che non
    quello di collocare l'individuo in condizioni siffatte che gli ren-
    dano agevole l'intenderlo e il compierlo” La sua originalità sta
    appunto in questo, nel non aver pensato, anzi nell'essersi ri-
    fiutato di offrire un sistema in un'epoca in cui di sistemi se ne
    inventavano tanti e ci si rifiutava di ammettere che potesse ar-
    rivarsi al socialismo senza un sistema prestabilito. La stessa
    critica marxista, che poneva il problema del proletariato in ter-
    mini di lotta di classe portata all'estremo doveva infatti nella
    interpretazione di coloro che se ne affermavano seguaci, con-
    cludersi in un sistema, il collettivismo, di società disciplinata e
    governata dall'alto e in cui tutta la proprietà sarebbe passata
    allo Stato. A tale sistema di cui prevede le conseguenze e i di-
    fetti -con preciso intuito economico, anche quando i bisogni
    economici fossero per sortirne meglio soddisfatti, Mazzini non
    pensa si possa arrivare. In esso, osserva, “la vita fisica può es-
    sere soddisfatta; la vita morale, la vita intellettuale sono can-
    cellate, e con esse, l'emulazione,la libera scelta del lavoro, la li-
    bera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della pro-
    prietà, le cagioni tutte che adducono a progredire. La famiglia
    umana è in quel sistema un armento al quale basta essere con-
    dotto a una sufficiente pastura» (1860). In questo senso «chiu-
    de la via al progresso e impietra, per cosi dire,la società”.
    Mazzini intuì quello che tutti i teorici del socialismo, Marx
    stesso, non hanno mai compreso e si rifiutano (come nel siste-
    ma di Lenin) di comprendere: che il problema sociale è pure
    un problema di libertà e che agli effetti economici non potrà e-
    sistere vera libertà senza strutture politiche che la esprimano,
    la realizzino e la garantiscano, per una recisione di vincoli dal-
    l' alto e per una progressiva ascesa dal basso. Come, su quali
    basi, con quali mezzi, attraverso quale sviluppo di capacità e
    di volontà, con quali forme di solidarietà, questo era il proble-
    ma.Il presupposto ne era intanto l' organizzazione dei lavora-
    tori.
    Nessuno ha parlato agli operai con tanto appassionato fer-
    vore come Mazzini. Li chiama a uniirsi, a darsi un programma
    e a non combattere se non per quello. Nell'associazione degli
    uomini del lavoro, nel suo progressivo sviluppo, vede il fulcro
    della società futura, la quale non poteva sorgere che così. Non
    già per l'improvvisazione di un giorno, o come risultato di un
    colpo di forza, bensì per lo sforzo di elevazione, metodico,
    consapevole, continuato del proletariato nelle sue associazioni
    libere, volontarie, facilitate, aiutate, sorrette nel loro cammino
    anzichè ostacolate e combattute. Ecco, secondo lui, la funzione
    sociale della Repubblica.
    E' significativo -ed è indicativo del suo orientamento oltre
    che della sua fede nel moto operaio -il fatto che dopo il '59,
    quando il problema dell'unità nazionale era vicino a risolver-
    si, Mazzini abbia decisamente puntato sulle classi lavoratrici
    per le sorti stesse della libertà italiana. Da allora la sua attività
    si volge principalmente, e più tardi quasi esclusivamente, a
    promuovere l'organizzazione degli operai a.diffondere fra essi
    le sue idee, a farle penetrare tra le associazioni apolitiche già e-
    sistenti. L’Italia ha visto, per merito suo, moltiplicarsi il nume-
    ro delle associazioni operaie: si forma un movimento organiz-
    zativo colle Fratellanze artigiane i congressi delle quali saran-
    no, durante un ventennio, la sola manifestazione visibile del-
    l'attività mazziniana. il movimento s'imposta su finalità politi-
    che e sociali ben precise di cui le principali sono la indissolubi-
    lità della questione sociale da quella politica (cioè democrazia
    sociale e politica) e l'associazione come principio base di ogni
    trasformazione sociale. l' associazione intesa cioè come mezzo
    e come fine (società economica in formazione) e la trasforma-
    zione sociale come risultato di uno sforzo di elevazione consa-
    pevole e progressiva dei lavoratori stessi associati per questo.
    Nella formula «libertà e associazione» Mazzini vede il
    principio costruttivo di una nuova società: liberamente orga-
    nizzata ed economicamente produttiva. Tale società, come egli
    la vagheggia, si presenta costituita da una vasta e fitta rete di
    associazioni di produttori ugualmente liberi, padroni degli
    strumenti della produzione e dei frutti del loro lavoro. L'aboli-
    zione del salariato, l'unione del capitale e del lavoro nelle stes-
    se mani è quanto con essa verrebbe a realizzarsi ed è il fine
    che gli operai debbono proporsi e riuscire a raggiungere. Lo
    Stato deve aiutare, facilitare il raggiungimento di quel fine.
    “Vidi che a voi bisognava sottrarsi al giogo del salario e fare a
    poco a poco, con la libera associazione padrone il lavoro del
    suolo e dei capitali d'Italia”. E' chiaro. Non dunque associa-
    zione del capitale da una parte e del lavoro dall'altra, come
    qualcuno ha, alle volte, creduto d'intendere. «il diritto ai frutti
    del lavoro è lo scopo dell'avvenire» -scrive allo spagnolo Gar-
    rido nel '62. E spiega: “La riunione del capitale e dell'attività
    produttiva sarà un vantaggio immenso, non solo per gli ope-
    rai ma per l'intera società perchè aumenterà la solidarietà, la
    produzione ed il consumo». Più tardi, rivolgendosi agli ope-
    rai, Mazzini dirà: “L'emancipazione degli operai è una rivolu-
    zione che si compierà, in nome del principio di associazione,
    nell'epoca nostra. Esso darà, compiendosi, un nuovo elemen-
    to di vita al progresso morale delle affiacchite generazioni, un
    nuovo pegno di forza al nostro sviluppo politico, un nuovo
    impulso alla produzione». Il carattere dell'economia nuova che
    egli auspica e della quale vuole contribuire a gettare le basi -
    a parte il lato sociale che ha pure la sua straordinaria anzi de-
    cisiva importanza -è appunto in questo maggiore impulso
    che la produzione ne avrebbe ritratto: Mazzini si rende cioè
    conto, altrettanto esattamente di un economista della scuola
    più ortodossa, che l'abbondanza dei prodotti da ripartire e de-
    cisiva per la loro ripartizione sia «il lavoro ordinato ad unifor-
    mità di decreti» non contribuisce alla maggiore produzione,
    ma “perde ogni stimolo di emulazione e di progresso, d'inte-
    resse legittimo”.
    Nelle parole “libertà e associazione” è il principio informa-
    tore dell'idea sociale di Mazzini, la formula base della nuova
    economia come egli la vagheggia. Egli stesso spiega perchè vi
    faccia così insistente richiamo. «L' epoca dovendo sommini-
    strare un grado di sviluppo maggiore all'associazione civile, è
    necessaria 'l'esistenza e l'ammissione di un principio nella cui
    fede gli uomini possano riconoscersi affratellarsi, associarsi -
    che questo principio dovendo porsi a base della riforma sociale
    deve essere necessariamente ridotto ad assioma: e, dimostrato
    una volta, sottrarsi all'incertezza e all'esame individuale che
    potrebbe, ricavandoli in dubbio ad ogni ora, distruggere ogni
    stabilità di riforme: -che a rimanere inconcusso, è d'uopo ri-
    vesta aspetto di verità di un ordine superiore, indistruttibi-
    le...». Quanto al valore che alla formula «libertà e associazione
    così ridotta, ad assioma, può attribuirsi esso è certamente
    grande. Non è una formula negativa. E' invece costruttiva. Si
    può accettare o rifiutare. Ma quando fosse accettata e applica-
    ta come principio di vita segnerebbe un cammino sul quale si
    troverebbero anche le soluzioni, tutte le soluzioni.
    Il mondo non ha camminato secondo le idee e verso le so-
    luzioni pensate da Mazzini. Un esperimento di socialismo di
    Stato, anzi di capitalismo di Stato, è praticamente in atto in u-
    na parte assai larga del mondo, con il naufragio di ogni princi-
    pio di libertà, con la soppressione di ogni forma di autonomia,
    d'indipendenza individuale così politica come sociale. Nulla
    autorizza ancora a concludere che con esso si realizzi almeno
    un più largo ed effettivo benessere: se si realizzasse ciò avreb-
    be riferimento allo stomaco mentre il problema sociale non
    può ridursi ad un problema di cucina. Sono queste, espressio-
    ni di Mazzini. Anche così considerato il problema, non si trat-
    terebbe di una cucina molto variata. Mazzini aveva prevedu-
    to, come si è detto, a quali risultati avrebbe condotto lo svilup-
    po delle dottrine socialiste del suo tempo e come si sarebbe
    con esse arrivati ad una nuova schiavitù, forse più assoluta ed
    esclusiva dell'antica. Se si pone fin dal principio in netta oppo-
    sizione con quelle dottrine, è non già nel fine, e lo dice, ma sul
    metodo, sulla via da seguire, sui mezzi e sui modi. La sua
    concezione della società economica -fondata sul principio del-
    l'associazione e governata dalla libertà -è infatti una concezio-
    ne democratica, anzi la sola democratica possibile. Economi-
    camente è tutt'altro che imprecisa: risponde, oltre che ad una
    tendenza naturale e sviluppatasi nonostante tutto, alle molte..
    plici esigenze di una società produttiva e che voglia esserlo
    progressivamente. Che la proprietà si diffonda, si generalizzi e
    ogni cittadmo acquisti il diritto di possederla, non costituisce
    una soluzione meno avanzata dell'altra che vuole che tutti ne
    siano spogliati perchè venga assegnata allo Stato. La organiz-
    zazione della vita economica in innumerevoli società di pro-
    duttori e di consumatori non offre d'altra parte maggiori diffi-
    coltà di attuazione di quella che si pensa di organizzare e di
    governare burocraticamente dall'alto. Ed è la sola forma di or-
    ganizzazione che può salvare il mondo dal despotismo.
    ************************************

 

 
Pagina 1 di 9 12 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Marx , Bakunin , Garibaldi , Mazzini : Quali rapporti ?
    Di giorgio1000 nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 04-03-08, 22:40
  2. [Libri] Da Marx a Marx?
    Di Outis nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 13-06-07, 23:27
  3. [Libri] Bellofiore Riccardo (a cura di), Da Marx a Marx?
    Di Outis nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 10-03-07, 13:42
  4. "Pensare con Marx, ripensare Marx" - 25/26 gennaio - Roma
    Di Outis nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 1
    Ultimo Messaggio: 24-01-07, 16:04
  5. "Pensare con Marx, ripensare Marx"
    Di Outis nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 05-01-07, 12:36

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito