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  1. #1
    allevatore
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    Predefinito Due poesie per riflettere

    Non è proprio veronese, e neanche mantovano, è il dialetto del posto in cui abito, che mi piace appunto perchè fonde queste due lingue, a loro volta senza un'identità chiara, poste come sono al confine tra Lombardia e Veneto.

    La prima è evocativa, ricorda i tempi andati, le sensazioni che oggi, anche per chi lavora ancora in stalla, sono difficili da immaginare.
    La seconda esprime invece il rammarico di chi "ha perso", chi non si sente più parte di questa terra, così cambiata nel giro di pochi anni, uno sguardo pessimista di fronte al "progresso".

    (Nota: prendo in prestito dalla grafia veneta la "x" anche se nel testo originale viene usato un carattere diverso)

    I vachèri de 'na olta

    Lontane note stelade,
    sòni popoladi de rumori,
    de paure,
    maro risveglio an de
    'na binèla fodrada de paia.

    Muxi straciadi
    de inproixe
    scoade spusolente.

    Dixegni de antiche boase
    tacade a le colone del solchèr,
    en smergolàr continoo de vache
    an de le rece.

    Trocoi strapegadi,
    bordèl de quèrcioi roersadi,
    fadighe de senpre
    e oci che pianxi.

    E departuto spusa de stala,
    odor de late, de vita.




    'n omo che ha perso

    Come 'n fantasma
    de le fole vèce de 'na olta,
    al sbuxa da la fumana,
    ancora intabarà,
    al brasente de la Valpadana:
    'l varda sospetoso an mondo
    che no l'è pu suo.

    Al gh'à mia streto in man
    al "personal compiuter",
    ma strumenti vèci de laoro
    che i parla de antiche fadighe
    e de tante soferense,
    encò fèri ruxenenti.

    L'è finì 'l so tenpo
    e desmentegade dai parolai d'encò
    le vece e mai sorade soferense.
    Sparida anca la so identià
    che'l le faxea orgoglioso.
    No 'l ghe l'arà mia
    al so monumento!

    L'è mai sta an gueriero
    che l'ha copà omini come lu
    e gnanca an sarvelon
    che l'ha seità a parlar a vanvera:
    l'ha sol laorà e tribulà

    Adeso che l'ha visto, l'ha capì:
    lu, al brasente, l'è mai existì.


    Fiorenzo Bertoli

  2. #2
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    Predefinito

    Belle entrambe.
    La loro lettura lascia un po di amaro a chi conosce perfettamente quel mondo di fatica, un tempo assai diffuso in tutta la Padania.

    Per dare un taglio al clima, te ne racconto una meno poetica (tratta da una scena realmente vissuta):
    - Anno 1946, finita da poco la guerra, si torna allegri e vogliosi di divertirsi.
    - La compagnia teatrale del mio paesino (facciamoooo... 500 anime, forse meno) si reca in un paesino vicino per recitare una farsa. Si spera ovviamente nel pieno della sala, ma......
    - Al momento di iniziare lo spettacolo non si presenta anima viva, tranne un gruppetto di ragazzini impazienti e scalmanati.
    - Il capocomico, dopo avere invano atteso l'arrivo degli spettatori, deluso dall'esito della serata, improvvisa la seguente libera composizione:

    "Si resta tra le quinte
    Con l'unte facce intente*
    Perchè non vien la gente?
    Perchè non vien la gente?
    Sono solo soli entrati
    Na ventina de tosati
    Tuti roti e scarmigliati
    Che ci gridan: scumissiè, scumissiè, scumissiè,............"

    *(unte con la carbonella)
    ______________________
    Quest'altra me l'ha insegnata un bellunese:

    "Nel giardin del sor Simon
    Sor Andrea coliea cotòn
    Nel giardin del sor Andrea
    Sor Simon coton coliea

    Stando bocconi
    Cogliendo cotoni
    Stando bocconi
    Cotoni cogliendo

    Stando bocconi
    Cotoni cogliendo
    Stando bocconi
    Cogliendo cotoni"

    Pregasi leggere e rileggere a grande velocità

    Serenissimi padani saluti

 

 

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