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  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Liberazione - Agli amici della comunità ebraica

    Alessandro Curzi

    Una lacerazione grave si è prodotta oggi nel tessuto democratico della Capitale. Alcune centinaia di persone facenti parte della comunità israelitica romana hanno inscenato una manifestazione davanti alla sede del Prc e del suo giornale, Liberazione, gridando insulti e slogan privi di senso nei nostri confronti. Ignari, o quel che è peggio, immemori del contributo decisivo dato dai militanti comunisti alla lotta antirazzista e antifascista, contributo costato torture, prigionia e morte, eguali per ferocia, se non per vastità, a quelli subito dagli ebrei italiani per mano dei nazisti e dei fascisti. Alcuni manifestanti, trascesi poi di fronte al nostro comportamento di non risposta alla provocazione, a vie di fatto, hanno lanciato sassi, infranto vetri, danneggiato le nostre auto in sosta, colpito e picchiato alcuni ignari passanti. Crediamo di sapere, o meglio speriamo, che l'accaduto sia stato opera di soli elementi estremisti. Ma quello che ci colpisce e allarma è che episodi simili a Roma non si erano mai verificati, e che sentimenti di stima e di amicizia hanno da sempre connotato i rapporti fra gli ebrei, non solo romani, e la sinistra politica italiana. Da sinistra sono sempre venuti atti concreti di solidarietà in occasione delle offese arrecate dai novelli antisemiti, comunque camuffati, alla comunità romana, ai suoi luoghi di culto, alle sue memorie.


    Dalla tragedia della Shoa abbiamo sempre detto e ripetuto che il mondo dovesse trarre lezione, non solo per risarcimento morale delle vittime e degli offesi, ma per restare in guardia contro ogni avvisaglia di nuovi razzismi. Chi ci conosce sa bene che contro il razzismo non abbiamo mai cessato di batterci, perché crediamo che i diritti sanciti dalla Costituzione, eretta anche grazie al sacrificio di centinaia di migliaia di comunisti, debbano essere in ogni momento garantiti ad ogni persona senza distinzione di razza, di censo, di religione o di idea.


    Di questo abbiamo lungamente parlato con la delegazione della comunità ebraica che ha chiesto di essere ricevuta, e di cui diamo ampia relazione in altra parte del giornale. Ma poiché sappiamo che gli estremisti si nutrono non di verità ma di pregiudizio e non hanno rispetto delle ragioni altrui, vogliamo rendere pubblico il nostro allarme: le forze democratiche romane, i cittadini, i tanti nostri compagni di religione ebraica sappiano prontamente riconoscere le provocazioni, sappiano denunciarle e disinnescarle. E rispondano con l'impegno di sempre affinché la lesione oggi provocata da alcuni provocatori che equivocano intenzionalmente sulla condanna che colpisce l'operato del governo Sharon da parte nostra e di ogni cittadino amante della pace e del rispetto di ogni popolo, non si approfondisca, ma venga anzi, pur nella diversità delle posizioni, prontamente ricucita.

    Liberazione 3 aprile 2002
    http://www.liberazione.it

  2. #2
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Una provocazione inutile

    Duecento appartenenti alla comunità ebraica manifestano davanti alla nostra sede. Ci accusano di antisemitismo perché condanniamo Sharon

    Salvatore Cannavò

    Questa è la cronaca dolorosa di una giornata dolorosa. Da una parte della comunità ebraica di Roma ci è stata infatti mossa un'accusa innominabile e perciò irricevibile, quella di essere antisemiti per il solo fatto di contrastare e condannare l'attuale politica di Israele. Ce lo hanno ricordato per circa tre ore, con malcelata ira, nell'incontro avuto con la delegazione di Rifondazione comunista e di Liberazione (che resocontiamo qui a lato) ma, putroppo, ce lo hanno voluto esprimere con una violenza inedita circa duecento manifestanti, sotto le nostre finestre, proponendo un'equazione risibile: se condannate Sharon, siete contro Israele e dunque a fianco dei terroristi. Quindi nostri nemici.

    Sono circa le 14 quando un piccolo gruppetto, una decina di persone in tutto, appende una bandiera di Israele sul grande muro della caserma di fronte alle nostre finestre. Accanto si leggono a malapena due cartelli: sul primo c'è scritto «Bertinotti antisemita», mentre l'altro ci accusa di sostenere Arafat, «un terrorista». Rimaniamo increduli, ma ci sembra comunque una manifestazione legittima, per quanto discutibile. Nel giro di quindici minuti, però, la situazione degenera. Un po' alla volta, a piccoli gruppi, si radunano quasi cento persone che poco dopo raddoppieranno: molti hanno la tradizionale kippa sulla testa, sembrano voler organizzare pacificamente una manifestazione più grande di quella che ci eravamo immaginati. Scorgiamo tra loro Riccardo Pacifici uno dei consiglieri della comunità con il quale abbiamo regolari rappporti: ci dice subito dell'intenzione di chiedere un incontro ufficiale a Rifondazione comunista. Ma accanto a questi giungono, molto più minacciosi, altre figure: qualcuno di noi ne riconosce alcuni: «sono quelli con cui abbiamo manifestato insieme durante il processo Priebke e poi alla manifestazione contro la visita di Haider». Altri esponenti della comunità, dunque, non c'è dubbio. Ma particolarmente violenti e aggressivi, come non ci saremmo mai aspettati. Iniziano a volare insulti e urla nei nostri confronti. Rifondazione comunista diventa «nazista», Bertinotti «un infame, antisemita e razzista», il nostro giornale, un covo di «venduti». Il rispetto per il legittimo dissenso inizia a lasciare il posto a una rabbia sorda, tenuta a bada e perciò ancora più inaccettabile. Decidiamo subito di non rispondere a nessun tipo di provocazione e chiudiamo le finestre, scuri compresi. Pur nella incredulità della situazione, istintivamente portiamo rispetto per una manifestazione ebraica, o comunque per una manifestazione simile a quelle che abbiamo più volte animato. Ma abbiamo capito male. Dalla strada si levano insulti e urla scomposte. Le nostre redattrici vengono chiamate «puttane», i redattori «zecche». Il nostro fotografo cerca di fare il suo lavoro, ma viene bersagliato da uova e sassi. Un vetro va in frantumi. Non ce la facciamo proprio a capire, ci guardiamo in faccia smarriti.

    Nel frattempo arrivano tre cellulari della polizia e dei carabinieri. Non siamo stati noi a chiamarli, ma si mettono davanti al portone per evitare il peggio. Il peggio non arriva, nessuno cerca di entrare, ma è evidente che si cerca la provocazione. E la tensione scoppia tra gli stessi manifestanti: quelli più "moderati" cercano di calmare gli esagitati, ma questi non ci stanno a farsi tappare la bocca. Per ben tre volte assistiamo, dalle finestre del primo piano, a un parapiglia tra i giovanotti ben palestrati. Vola qualche ceffone, ma tutto si ricompone rapidamente.

    La strada però è completamente bloccata: quattro corsie ad intensissimo scorrimento vengono chiuse al traffico da una manifestazione non autorizzata che le forze di polizia fanno fatica a contenere. Alcuni automobilisti e motociclisti, evidentemente insofferenti per il blocco del traffico, provano a forzare il presidio e vengono aggrediti, ma un'auto viene distrutta, una ragazza in motorino con la kufia viene fatta cadere. E poi si passa alle auto e ai motorini parcheggiati sotto la nostra sede. Solo verso le 16, Riccardo Pacifici e il presidente della comunità romana, Leone Paserman, finora impegnati nell'incontro al terzo piano, scendono e sciolgono la manifestazione. Improvvisamente come sono arrivati i duecento - come chiamarli? - se ne vanno.

    Resta il sapore amaro di una giornata dolorosa che per poche ore ha ricreato, nel piccolo imbuto di una strada romana, quel clima di guerra che sta sconquassando la Palestina e la stessa Israele. Un clima di odio e di aggressione verso coloro - spesso gli unici - che non hanno mai rinunciato a considerare parte della propria identità fondativa il rifiuto dell'antisemitismo e la comprensione, dentro la propria storia e il proprio futuro, dell'ignominia dell'Olocausto. La guerra - spinta a un punto di non ritorno dalla politica di Sharon, continuiamo a ripeterlo - si è insinuata in questo tessuto di memoria e di relazioni consolidate, cercando di lacerarlo. Noi faremo di tutto perché non accada. Speriamo che la comunità ebraica non si faccia trascinare nella spirale della disperazione che sta già attanagliando un altro popolo.

    Liberazione 3 aprile 2002
    http://www.liberazione.it

  3. #3
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito «Aggressione inaccettabile»

    Il CdR e la Rsu di Liberazione

    I lavoratori e le lavoratrici di Liberazione respingono con sdegno toni e contenuti della manifestazione "pro Israele" che si è tenuta davanti alla sede del giornale e del partito. E' inaccettabile e offensivo infatti che il diritto/dovere di informare, anche in modo schierato, da parte di un quotidiano venga confuso in modo strumentale con l'antisemitismo. Lanciare accuse di razzismo palesemente infondate, come in questo caso, serve solo a nascondere la debolezza degli argomenti di chi ci contesta. I giornalisti e i poligrafici di Liberazione rifiutano il ricatto di chi oggi ci dice "o state con Sharon o con i terroristi". Continuiamo invece a pensare che il raggiungimento di una pace giusta in terra santa sia nell'interesse non solo del popolo palestinese ma anche di quello ebraico. E che questo obiettivo possa essere ottenuto sulla base del principio "due popoli in due stati", come sostiene una risoluzione approvata recentemente dalle Nazioni Unite.

    Da sempre il nostro giornale è impegnato nella battaglia politico-culturale per denunciare ogni forma di antisemitismo e per sottolineare l'importanza di non dimenticare l'orrore della Shoah: consideriamo il ricordo dello sterminio di milioni e milioni di ebrei, zingari, omosessuali e comunisti un pezzo di memoria fondante della nostra identità. Una verità storica che Liberazione ha difeso in ogni occasione da qualsiasi tentazione revisionista e negazionista.

    Continueremo a sostenere in modo chiaro la linea della pace e del dialogo nonostante l'aggressione, non solo verbale, subita oggi da parte di manifestanti muniti di bastoni e coltelli: un vetro della redazione è stato rotto, mentre a un fotografo veniva strappata e distrutta la macchina fotografica. Alcune nostre colleghe, che hanno avuto il "torto" di affacciarsi alla finestra per vedere cosa stava succedendo, sono state inoltre bersaglio di insulti sessisti e di gesti volgari e osceni. Episodi per i quali le rappresentanze sindacali di Liberazione pretendono le scuse ufficiali degli esponenti della comunità ebraica romana.

    Liberazione 3 aprile 2002
    http://www.liberazione.it

  4. #4
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito Dialogo per superare la logica della guerra.

    Guido Caldiron

    Una improvvisata tavola rotonda ha messo a confronto Rifondazione con una delegazione dei manifestanti guidata dal presidente degli ebrei romani Leone Paserman


    Ha il senso doloroso di una ferita che accenna a rimarginarsi solo alla fine del confronto, quando il dialogo riesce a conquistarsi uno spazio nell'angusta logica della contrapposizione frontale, verrebbe quasi da dire nella "logica della guerra". L'incontro tra alcuni esponenti della Comunità ebraica di Roma, tra cui il presidente degli ebrei capitolini Leone Paserman, con Il Prc e Liberazione si svolge al terzo piano di viale del Policlinico mentre ancora per strada continua la manifestazione, tra slogan in favore di Israele e momenti di forte tensione. La delegazione entra nel palazzo che ospita sia la direzione nazionale di Rifondazione che il nostro quotidiano dopo le 14, e ne uscirà solo alle 17, dopo un lungo e serrato confronto. A un certo punto Paserman è addirittura costretto ad abbandonare questa improvvisata tavola rotonda per intervenire a calmare i manifestanti e invitarli a sciogliere l'assembramento. Il modo stesso in cui questo incontro ha luogo, mentre dalla strada arrivano urla e slogan, indica tutta la gravità del momento e la stessa difficoltà con cui ci si confronta.

    Sotto le finestre della sala dove ha luogo l'incontro i manifestanti agitano dei cartelli di appoggio a Israele e che dicono «no al pacifismo a senso unico». E' questo uno dei temi che ricorre in tutti gli interventi dei rappresentanti della Comunità ebraica: si chiede che, nell'analizzare il conflitto in corso, venga dato spazio anche alle "ragioni" di Tel Aviv, si ricordino le vittime degli attentati suicidi, la paura in cui vive la popolazione israeliana, tra cui quasi tutti qui possono contare un parente o un amico. L'altro filo che si dipana attraverso questo dialogo riguarda l'antisemitismo, l'ombra oscura che torna talvolta ad affaciarsi anche quando si affronta il conflitto del Medio Oriente. Dire che il discorso, che scorre ininterrotto per quasi tre ore, sia però sempre chiaro e traducibile; è davvero difficile. C'è nelle parole degli esponenti dell'ebraismo romano la disperazione per quella che considerano come un'ora decisiva per la sopravvivenza stessa dello stato di Israele, e questa sensazione che si stia consumando un'ora così drammatica pesa terribilmente sui termini del confronto, sulla possibilità di dialogare al di là delle reciproche posizioni politiche. Ma c'è anche il desiderio che il filo del dialogo si riannodi con quella sinistra, in particolare Rifondazione, che molti sentono vicina. Il senso di questa manifestazione dura e a tratti aggressiva si traduce però in realtà, quasi in modo contraddittorio, in una ricerca di un nuovo confronto, o perlomeno delle condizioni che potranno tornare a determinarlo fino in fondo.

    Il primo a parlare è Riccardo Pacifici, consigliere della Comunità di Roma e vicepresidente dell'Associazione amici della Shoah, che mette in guardia sul rischio che nella critica a Israele trovino posto anche accenti antisemiti. Pacifici sembra segnalare anche il disagio che attraversa la Comunità romana: «Vi invito a fare attenzione ai toni e al contenuto di certe prese di posizione su Israele, ad esempio quando la stella di David è paragonata alla svastica». Sono cose terribili e non credo possano fare piacere a nessuno, spiega ancora Pacifici, che mostra un volantino scritto a mano dove il simbolo di Rifondazione è stato coperto da una svastica e il nome di Bertinotti è seguito dalle parole «razzista e antisemita»: «questo lo ho sequestrato ad alcuni dei nostri ragazzi qui sotto, proprio perché lo ritengo offensivo e ingiusto». «C'è bisogno di analizzare in modo più equilibrato la situazione del Medio Oriente, si deve esprimere solidarietà anche alle vittime degli attentati e non solo invece, come fanno oggi i pacifisti, ad Arafat». Dobbiamo ritrovare con la sinistra anche su questi temi le forme del dialogo che ci hanno sempre uniti, nelle mobilitazioni contro il razzismo, durante il processo Priebke, in mille occasioni, dice ancora Pacifici prima di aggiungere quello che suona quasi come un appello: «non metteteci nelle mani della destra».

    Anche Leone Paserman, da pochi mesi eletto alla guida della Comunità romana, usa dei toni addolorati e critica con durezza quella che definisce come «un'opposizione non a questo o a quel governo di Tel Aviv e alle sue posizioni, come ad esempio a quelle sostenute da Sharon, ma indirizzata contro lo stato di Israele tout court». Nelle parole di tutti gli esponenti della Comunità ritorna questo accenno al rischio che la critica alla politica israeliana si trasformi in una messa in discussione dell'esistenza dello stato ebraico. Paserman usa toni duri nel ricordare quella che considera come la miopia della sinistra di fronte «alle responsabilità di Arafat nel non aver voluto la pace e nel sostenere oggi il terrorismo». Ma poi, quando il direttore di Liberazione Sandro Curzi si dice preoccupato e inquieto per la fiammata antisemita che arriva dalla Francia, dove ci sono stati una lunga serie di attentati contro sinagoghe e centri ebraici, e ricorda quanto fatto dai comunisti romani, e da lui in prima persona, per salvare gli ebrei della città, il presidente della Comunità di Roma non si lascia sfuggire il segnale. «Come potrei dimenticare quanto hanno fatto i comunisti e l'Armata rossa per liberare quanti erano nei campi di sterminio - spiega Paserman Ñ Non abbiate dubbi su questo, proprio io in una recente iniziativa al Portico d'Ottavia ho tenuto a sottolineare come non sia in alcun modo lecito fare, come spesso accade oggi, una equiparazione tra il comunismo e il nazismo. E questo discorso lo ho fatto davanti a Tajani e altri esponenti del centro destra che non erano proprio contenti di sentirmelo dire...». «Su questo tema bisogna essere chiari - aggiunge Roberto Stender - un simile confronto intorno a un tavolo comune non sarebbe mai potuto accadere con degli esponenti di Alleanza Nazionale». Alberto Sonnino spiega di aver avuto la tessera di Rifondazione fino a poco tempo fa, ma di non essersi più iscritto proprio per quello che lui considera il silenzio dei comunisti sulla posizione israeliana.

    Tutte posizioni che, come appare subito evidente rivendicano la vicinanza e l'internità a una cultura di sinistra, ma che esprimono nel contempo la propria difficoltà, se non la vera e propria rabbia, a capire la posizione apertamente filopalestinese che caratterizza proprio la sinistra.

    Per Rifondazione, Franco Giordano, capogruppo alla Camera, si dice sorpreso e amareggiato, come tutta la delegazione del Prc, perché una manifestazione del genere abbia preso di mira proprio il partito che più si è battutto, e continua a battersi, «contro ogni rigurgito antisemita e a difesa della memoria dell'Olocausto». Per Loredana Fraleone, responsabile scuola del Prc, «criticare e opporsi alle scelte del governo di Israele non significa in alcun modo criticare una intera religione, una cultura», e questa differenza deve essere molto chiara per tutti. Walter De Cesaris, segretario particolare di Fausto Bertinotti, ribadisce come il Prc abbia sempre indicato anche le responsabilità dei regimi arabi che, come quello siriano, violano sistematicamente i diritti umani. De Cesaris ricorda anche come lo stesso Bertinotti abbia sempre condannato il terrorismo contro Israele e ribadito che l'unica soluzione al conflitto sia quella di «2 stati per 2 popoli». Roberto Musacchio, della direzione nazionale del Prc, invita i responsabili della Comunità romana a riaprire un dialogo «da cittadini della capitale con il resto dei cittadini, ritrovando le parole della democrazia». Salvatore Cannavò, vicedirettore di Liberazione, parla della manifestazione davanti alla sede del Prc come di una frattura dolorosissima che deve essere sanata e superata attraverso il rispetto reciproco e la ripresa di un pieno e franco confronto anche per il futuro.

    Sarà Paolo Ferrero, della segreteria nazionale del Prc, a sintetizzare quello che in ogni caso questo incontro lascia dietro di sé. Ferrero sottolinea come si debba partire dal riconoscimento reciproco dell'interlocutore e come, in questo senso, Rifondazione accolga come parte della propria identità l'invito a vigilare affinché l'antisemitismo non trovi alcuno spazio nelle mobilitazioni a sostegno della lotta dei palestinesi. «Ma questo - precisa Ferrero - non significa modificare la nostra politica». «Con il vostro gesto estremo di oggi voi ci segnalate una difficoltà nel dialogo che forse oggi attraversa la stessa comunità ebraica. Anche se la manifestazione che c'é stata qui sembra esprimere la stessa logica disperata di chi in Medio Oriente continua a soffiare sul conflitto. Il filo del dialogo e del confronto deve nutrirsi di un maggiore riconoscimento dell'interlocutore che si ha di fronte, che si sottragga alla formula nemico/amico per cui ci si può confrontare solo se si hanno le stesse posizioni...». «Oggi - replica Leone Paserman - siamo venuti qui anche perché vogliamo ricucire questo filo...».

    L'incontro si chiude annunciando prossime iniziative di dibattito comune anche presso i centri culturali della comunità. Un pomeriggio romano che era iniziato davvero male si chiude con un timido, ma valido, segnale di confronto.

    Liberazione 3 aprile 2002
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  5. #5
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    L'editoriale di Curzi è letteralmente vergognoso.

    Così, quando si manifesta contro il giornale del PRC si produce una "lacerazione nel tessuto democratico della capitale".

    Invece, suppongo che, per Curzi, nessuna lacerazione abbia prodotto la manifestazione filoaraba di un mese fa, nel corso della quale il segretario del PdCI Diliberto ha equiparato terrorismo e lotta di liberazione.

    Nessuna lacerazione si è prodotta quando Arafat è stato ricevuto in visita a Roma dalle autorità politiche e dal papa.

    Nessuna lacerazione si produsse quando, nel 1982, il corteo promosso dai sindacati depositò una bara davanti alla sinagoga di Roma.

    Ci vuole veramente una gran faccia tosta per scrivere quel che scrive Curzi.

  6. #6
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    Mah, hanno ben ragione gli RC a protestare per vandalismi e aggressioni, anche verbali, ma una manifestazione di civile dissenso se la sarebbero meritata, e sono certo che la grande maggioranza di coloro che erano lì c'erano proprio per questo.
    La prossima volta è il caso di isolare i facinorosi, dare il preavviso alla Questura e protestare a una certa distanza, magari con un cordone di PS, dalle sedi "prese di mira".
    Ad ogni modo non sono tanto alcune decine di scalmanati a creare una spaccatura ebrei-sinistra, quanto la linea pregiudizialmente antisraeliana che prevale nella SX di questo paese, nonchè il carattere caritatevole e strumentale antidestra della lotta all' antisemitismo condotta da molta SX italiana, all' insegna de "l' ebreo mi piace, purche sia di sinistra e antisraeliano".

  7. #7
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    Poveri sinistri, ma come fate ad essere così gonzi?!
    Cosa ci vuole a capire che gli ebrei vi hanno usati, pompando il vostro "antirazzismo" e "antinazionalismo" finché si trattava di demolire la compattezza delle etnie europee goy, ma appena la loro creatura ha ingenuamente applicato allo stato ebraico i princìpii di cui sopra, ecco che viene scaricata, e demolita.
    Evidentemente, la storia non vi ha proprio insegnato nulla.

  8. #8
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    Ai giudei non gliene frega un fico secco dell'amicizia dei comunisti! Li hanno usati e ora li buttano via.

    Palestina libera
    $hoah business stop
    Forza Arafat
    2010:

  9. #9
    Roderigo
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    Originally posted by Jan Hus
    Così, quando si manifesta contro il giornale del PRC si produce una "lacerazione nel tessuto democratico della capitale".
    Manifestare contro Liberazione non è una lacerazione democratica.
    Aggredire la sede di un giornale, spaccare vetri, chiamare "troie" le giornaliste, picchiare un fotografo, o una ragazza che porta la kefiah, accusare di "antisemitismo" chi si permette di criticare la politica di guerra del governo Sharon, tutto questo è una lacerazione democratica. Non irrimediabile, come si può leggere dal resoconto della riunione che è seguita tra i dirigenti di Rifondazione ed i rappresentanti della Comunità ebraica.

    R.

  10. #10
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    Predefinito

    Originally posted by Roderigo

    Manifestare contro Liberazione non è una lacerazione democratica.
    Aggredire la sede di un giornale, spaccare vetri, chiamare "troie" le giornaliste, picchiare un fotografo, o una ragazza che porta la kefiah, accusare di "antisemitismo" chi si permette di criticare la politica di guerra del governo Sharon, tutto questo è una lacerazione democratica. Non irrimediabile, come si può leggere dal resoconto della riunione che è seguita tra i dirigenti di Rifondazione ed i rappresentanti della Comunità ebraica.
    Su questo non c'è alcun dubbio.

    Niente giustifica la violenza a fini politici.

    Ma Curzi si riferiva al semplice fatto che gli ebrei romani abbiano "inscenato una manifestazione" davanti al giornale che dirige.

    Certo, dare a Sharon del boia non è un insulto; scrivere che Israele sta perpetrando un genocidio, che sta sterminando gli arabi, che Israele è come i nazisti, non è un insulto.

    Sono insulti solo le critiche che gli vengono rivolte.

    Come, del resto, per te sono "insulti" le affermazioni di Pieffebi che ripete quelle di Ostellino, al punto da spingerti a chiudere ua discussione.

 

 
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