TERRORISMO E COMUNISMO.
Le obiezioni classiche del marxismo rivoluzionario "ortodosso" alle posizioni del terrorismo "individuale", ma che possono in qualche modo estendersi ad ogni "terrorismo" di sinistra, non sono certamente di carattere morale o "umanitario". L'aspetto principale riguarda essenzialmente la relazione fra azione terroristica e coscienza di classe.
In "Che fare?" (1902) Lenin critica il terrorismo sotto il profilo di quella che oggi si chiamerebbe "propaganda armata", rilevando come l'educazione del proletariato alla coscienza socialista e il suo trascinamento alla lotta abbia ben altri argomenti.
Lenin nella sostanza rileva che se la classe operaia non è trascinata alla lotta dalle proprie condizioni di sfruttamento e dalle ingiustizie che subisce non si vede il perchè dovrebbe farlo a seguito dell'assassinio politico perpetrato da una qualche mano "rivoluzionaria".
La concezione leniniana dello sviluppo della coscienza politica di classe distingue fondamentalmente fra coscienza tradeunionistica (sindacale), ancora sostanzialmente soggetta all'ideologia borghese (in quanto ideologia della classe dominante), e la coscienza socialista.
Mentre la prima si impone spontaneamente alla classe durante le lotte economiche e sindacali, la seconda deve essere portata "dall'esterno", ossia dall'attività politica del partito rivoluzionario, dalla sua capacità di operare come avanguardia cosciente del movimento operaio.
La lotta armata presuppone la coscienza politica di classe e può positivamente attuarsi soltanto come lotta per il potere, ossia come rivoluzione, avendo già la maggioranza della classe dietro di sè.
E la classe non la si conquista di certo con la lotta armata, ma con la pratica saldatura delle lotte sociali del popolo lavoratore e sfruttato con la dottrina socialista mediante la strategia e la tattica rivoluzionarie.
Per questo il terrorismo è da Lenin assimilato alla piccola borghesia e al suo inferocimento.
Il leninismo difende e afferma un altro terrorismo, quello esercitato dalla dittatura rivoluzionaria per spezzare la resistenza del "nemico" di classe: il Terrore rosso.
Altro elemento critico verso il terrorismo è fondato su motivazioni "pragmatche" che attengono all'effetto del terrorismo sulla politica dello Stato borghese e dal prevedibile restringimento degli spazi di agibilità politica per il movimento operaio e il suo partito rivoluzionario. Ma in quanto pragmatiche dette motivazioni non sono "dogmi" e possono variare al variare delle situazioni, per cui non si deve affatto escludere, da questo punto di vista, l'opportunità di ricorrere ad azioni armate, magari per finanziare il partito...
I movimenti che, richiamandosi al leninismo, hanno scelto il terrorismo e la lotta armata, in contrasto con alcune indicazioni del "maestro" lo hanno fatto in ragione di un'analisi dell'evoluzione della lotta politica durante l'era dell'imperialismo che si può definire parente con le analisi del Bucharin del 1916/17, contro cui pur polemizzò Lenin.
Si tratta non solo di una valutazione del ruolo della "democrazia imperialistica" e del restringimento dell'attività politica legale per i rivoluzionari nella fase delle "guerre e rivoluzioni" in cui l'alternativa che si pone è solo quella "fra dittatura e terrore rosso e dittatura e terrore bianco", ma anche di una diversa fase della storia del movimento operaio, corrotto dal riformismo espressione degli "agenti borghesi" e delle "aristocrazie operaie" che per "un piatto di lenticchie" vendono la loro primogenitura rivoluzionaria integrandosi nel sistema. Il riformismo diventato dapprima da ala destra del proletariato ad ala sinistra della borghesia è ora sempre più un'arma formidabile della borgheisa imperialistica per inebetire la classe operaia e per promuovere l'adeguamento continuo dei rapporti sociali e della produzione agli interessi complessivi dell'imperialismo.
La lotta armata diventa dunque, nel delirio "marxista-leninista" riformato dei comunisti combattent,i uno strumento della guerra di classe per ostacolare i processi di strutturazione del "potere borghese" (che sempre più impone una macelleria sociale al servizio dell'imperialismo con l'appoggio delle burocrazie riformiste, che anzi sono il principale sostegno del capitalismo in quanto ne assicurano la "copertura a sinistra" e il consenso di ampi strati popolari) ma anche un momento della guerra di classe in cui l'avanguardia rivoluzionaria si presenta come tale indicando alla classe apertamente i suoi nemici e stimolando uno scontro sociale sempre più radicale in cui gli spazi per il compromesso e il riformismo vengono irrimediabilmente bruciati. La prevedibile reazione borghese erode gli spazi di "democrazia formale" rappresentativa, mediante la quale la dittatura del capitale si esprime, e mostra al proletariato la reale natura dei rapporti sociali capitalistici e delle istituzioni dello Stato borghese. In questo quadro l'avangiuardia comunista può adempiere al compito di portare alla classe operaia la coscienza rivoluzionaria, divenendo stato maggiore dell'esercito proletario nella guerra mortale contro il capitalismo imperialistico.
La democrazia falsa e fascistizzata dell'era dell'imperialismo non solo non è il terreno dello scontro fra il proletariato e la borghesia, non solo non può essere gradualmente spinta in avanti nei suoi contenuti sociali ("democrazia progressiva") come pensava il PCI togliattiano, ma diventa il nemico principale della classe operaia nella misura in cui non permette alla stessa di avere immediata coscienza della natura reale della dittatura capitalistica. La lotta armata è dunque anche un rimedio contro il "cretinismo parlamentare" e contro ogni superstizione democraticista, ed un modo per riprendere la Resistenza partigiana, tradita per l'essere stata fermata alla fase della lotta antifascista, senza essere spinta verso la rivoluzione comunista, e per non essere stata neppure in grado di costruire quella "democrazia progressiva" prevista da Togliatti, vista l'espulsione delle sinistre dal potere nel 1947 e il successivo allineamento dello Stato democratico italiano alle politiche imperialistiche occidentale, in posizione di sostanziale sudditanza verso gli Stati Uniti.
Il comunista combattente è dunque, in questa visione delirante del terrorismo rosso,....il nuovo partigiano...l'erede politico e morale dello slancio rivoluzionario della "resistenza rossa", e il faro autocritico della coscienza comunista capace di riprendere il processo laddove fu interrotto, indicando ai lavoratori gli obiettivi concreti del processo di liberazione dal fascismo e dal capitalismo, che sono ormai indissolubilmente un tutt'uno nell'imperialismo.
La folle coerenza di questa visione è del tutto indifferente all'umanità dei soggetti in campo, tanto dei propri "combattenti" quanto dei "nemici di classe" individuati come obiettivi da eliminari. Ciascuno non è più un essere umano vivente con la propria dignità insopprimibile, ma un simbolo o un esponente o una sinapsi dei rapporti e delle razioni sociali, interpretate in modo freddamente astratto e analizzate secondo schemi dogmaticamente impermeabili ad ogni diversa visione, come ad ogni critica morale, umana e umanistica.
La politica rivoluzionaria terroristica non è più POLITICA, non si occupa della vita reale degli uomini concreti se non come manifestazione delle strutture economiche sociali individuate dalla dottrina marxista-leninista. Al più si occupa delle masse e delle classi, mai degli individui che sono insignificanti parti del tutto. Dunque... che cosa vale una vita umana?
Cordiali saluti.