Art. 18, un salto di qualità per le piccole imprese
Una battaglia contro la devastazione dei diritti
Per un attimo, dopo la notizia che quattro referendum su sei erano stati cassati, la sensazione che si fosse compiuto uno scippo si era fatta molto forte. Leggeremo le motivazioni ma l'idea che abbiano voluto impedire il dispiegarsi di una iniziativa complessa, che poneva le basi per un progetto di società alternativo, fondato sui diritti del lavoro, dell'ambiente, della scuola, non è proprio peregrina. Solo un attimo, però: poi è rapidamente cresciuta la consapevolezza che, comunque, siamo di fronte ad una opportunità straordinaria per dare uno sbocco reale, concreto, tangibile, alle lotte di questi ultimi tempi. Le lotte della Fiom, gli scioperi generali, Genova, Firenze.
Si: il referendum sull'estensione dell'articolo 18 rappresenta la base per una riarticolazione degli obiettivi per un altro mondo possibile. E ciò è vero in quanto rappresenta l'unico argine oggi possibile contro la totale devastazione dei diritti del lavoro. Una devastazione che si manifesta sia sulla restaurazione della libertà di licenziamento che nei contenuti della famigerata Legge delega sul mercato del lavoro che, tra le tante nefandezze, contiene pure il ricorso al lavoro interinale per i disabili: una vera regressione di civiltà.
Il referendum come nuova piattaforma sulla quale riedificare una architettura di diritti alternativi alla legge della giungla. Infatti esiste un legame intimo, fortissimo, tra diritti del lavoro e diritti universali di cittadinanza e di tutela: non è dato "in natura" godere dei primi, se i secondi sono cancellati, e viceversa. E sono ottimista. E' vero, sarà difficilissimo vincere ma possiamo farcela anche perchè sarà sempre più chiaro il discrimine politico, culturale, sociale, economico, dato da questo referendum e tutti saranno chiamato a sciegliere, con rigore e trasparenza, superando le ambiguità ed i cerchiobottismi di questi tempi. Anche la Cgil non potrà glissare. Anche il correntone Ds non potrà glissare. E penso che pure Sergio Cofferati, come ha già fatto sulla guerra (prima ha sostenuto la guerra contro la ex Jugoslavja definendola una "contingente necessità"), possa cambiare opinione schierandosi a favore del referendum. Quando, trentatre anni fa, è nato lo Statuto dei Lavoratori il peso della piccola e piccolissima impresa era incommensurabilmente più basso di oggi. Si ragionava sostanzialmente, e quasi esclusivamente, di lavoro artigiano nel senso proprio del termine (falegnami, fabbri, idraulici, tapezzieri…). Oggi non è più così: soprattutto in Italia e soprattutto nel falsamente mitico Nordest.
Laboratorio Nordest
Mentre le grandi economie mantenevano e rafforzavano il ruolo delle grandi imprese, trasformando addirittura le multinazionali in enormi Trans National Coorporate, mantenendo una forte capacità di investimento sulla ricerca e la innovazione di prodotto e, per questa via, affermando una totale egemonia su tutti i processi economici planetari, da noi - in Italia e nel Nordest - hanno scelto la strada della innovazione di processo, disarticolando, scomponendo, polverizzando il ciclo produttivo. E l'innovazione di processo, il decentramento, ha realizzato una riduzione dei costi che è rimasto l'unico "fattore di competitività" del sistema economico italiano ed anche nordestino, la riduzione dei costi, a partire da quello del lavoro. Il lavoro a tempo indeterminato è un costo, e allora vai con la precarietà diffusa, la sicurezza è un costo, lo stato sociale è un costo e allora via con la privatizzazione di tutto. Si sono moltiplicate le imprese (ed è nata una casta di borhesia industriale in troppi casi culturalmente rasoterra) ed oggi, queste, sono talmente piccole da essere tra le meno capitalizzate d'Europa, non in grado di sviluppare investimenti su ricerca e nuovi prodotti, e rappresentano, oggi, non tutte ma moltissime, il primo circuito del decentramento della grande industria, non solo di quella centroeuropea. Ciò che intendo dire è che la "filiera del valore" è unica; l'azienda madre, molto spesso una multinazionale estera, detiene il potere (i capitali, i brevetti), decide quali tecnologie usare, i costi di produzione per unità di prodotto e, molto spesso obbliga al rapporto di monofornitura. E così molti di quella "casta di imprenditori culturalmente rasoterra" si ritrovano ad essere esclusivamente dei "contoterzisti". Cosa accomuna tutto questo ragionamento al referendum sulla estensione dell'articolo 18?
L'estensione dei diritti
Oggi questo modello ha raggiunto un limite quantitativo non superabile, a partire dalla insostenibilità della occupazione del territorio ormai totalmente devastato. Oggi, se si vuole mantenere un trend di sviluppo accettabile, si deve piegare la quantità verso la qualità; qualità della ricerca, dell'innovazione, ma anche qualità del lavoro: e questa non è data solo dalla formazione ma, anche e soprattutto, dai diritti del lavoro. Il modello veneto (un insieme di sottosistemi) deve riorientarsi. Per farlo deve riappropiarsi della filiera del valore delle aziende. Per riappropiarsi della filiera del valore deve riaggregarsi: "piccolo è bello ma grande è meraviglioso" sosteneva un noto economista significando il grande decide e orienta, mentre il piccolo, al massimo, può ritagliarsi degli spazi negli interstizi del sistema. L'estensione dell'articolo 18 non solo rende giustizia, realizza realmente un diritto (che se non è di tutti non è) ritornando allo spirito originario della legge che non poteva prevedere, trentatré anni fa, l'esplosione - anche strumentale - della piccolissima impresa, rende i lavoratori realmente dei cittadini e non dei soggetti dimezzati nei loro diritti. Paradossalmente, l'estensione dell'articolo 18, riduce la convenienza a rimpicciolire le aziende, obbliga gli imprenditori ad essere "meno pigri" cercando la competitività nella qualità e non nella precarietà, può aumentare la propensione a riaggregare le aziende e, per questa via, a riqualificare un modello economico che avrà certamente arricchito qualcuno ma ha pure devastato l'ambiente, ridotto i diritti, sviluppato un egoismo senza freni che sta compromettendo anche le coscienze come è dimostrato dalle derive razziste, xenofobe, che attraversano il Veneto. E' allora per davvero una bella cosa, questo referendum. Una cosa alta che può scompaginare e riaggregare, che può ridare speranza in tutti quelli che, ad esempio a Firenze, hanno sostenuto che un altro mondo è possibile e per realizzarlo si deve ripartire dalla dignità degli esseri umani. E non c'è dignità possibile se i diritti vengono negati.