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Discussione: schiavitù

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    Predefinito schiavitù

    I seguenti articoli sono lo spunto per discutere sul tema della schiavitù dal punto di vista storico e dell'attualità.

    La schiavitù è un'istituzione antichissima e quasi universale, e fa parte di molte culture tradizionali. Ha conosciuto diverse forme, e diversa diffusione nel corso del tempo, con una espansione enorme nell'antichità romana (II sec a.C.-III sec. d.C.) e durante i secoli XVII-XIX nelle americhe, durante i quali era alimentata dalla tratta degli schiavi africani.
    Solo da poco più di un secolo circa è stata via via eliminata dai paesi che ancora la praticavano, cominciando da quelli europei, con il buonismo abolizionista dei britannici al principio dell'ottocento sostenuto a suon di cannonate e pressioni politiche.
    Se non ci fosse stato l'abolizionismo, forse la schiavitù esisterebbe ancora. E forse non la condanneremmo oggi come un segno di barbarie, ma la accetteremmo come un'istituzione antica e rispettabile. In fondo il Cristianesimo potè convivere per quasi duemila anni con essa, così come l'ebraismo e l'Islam.
    La questione è dunque: era giusto abolire la schiavitù? se sì, per quali ragioni? e ancora, potremmo pensare al ripristino futuro dell'antica istituzione?

    Invece di rispondere "a petto", ripetendo la filastrocca buonista del "siamo tutti uguali, bla bla bla", pensiamo che:

    1.la schiavitù non significa necessariamente maltrattamenti e degradazione. È in principio un rapporto di subordinazione personale, affine allla relazione padri-figli.

    2.la schiavitù era un'istituzione vitale nelle più grandi civiltà del passato. La democratica Atene aveva il 30% della popolazione in schiavitù. Nell'Italia del Rinascimento c'erano gli schiavi.

    3.le religioni cristiana, ebraica e islamica non si oppongono esplicitamente ad essa.

    4.ci possono essere valide ragioni economiche per sostenere la condizione servile per garantire certe forme di produzione e servizi. Non è vero che la schiavitù sia antieconomica, ovvero ciò va dimostrato secondo le attività prese in esame.
    Inoltre potrebbe essere una soluzione per il problema della disoccupazione.

    5.la schiavitù può essere definita un contratto di lavoro ad vitam. Non implica quindi arbitrio assoluto ma reciproche responsabilità tra datore di lavoro (padrone) e lavoratore (schiavo).
    Si parte ovviamente dall'eliminazione del diritto di vita/morte da parte del padrone sullo schiavo, per aggregare alla condizione servile un codice di tutela garantito dalla Legge.

    Ovviamente si deve avere piena cconsapevolezza che durante certi periodi storici la schiavitù assunse caratteri di sfruttamento eccessivo e disumanità, che non potrebbero essere più tollerati al giorno d'oggi. Le atrocità della tratta o il superlavoro nelle piantagioni sono un qualcosa di irripetibile nella storia umana.

    ____________

    LA SCHIAVITÙ NEL MONDO ANTICO

    Schiavi per razza o per rapina

    Marta Sordi

    La schiavitù è un fenomeno presente in tutto il mondo antico, sotto la duplice forma della schiavitù etnica, nota in Oriente anche in età ellenistica, di interi popoli sottomessi e ridotti in condizioni simili a quella dei «servi della gleba» (questa era, in Grecia, in età classica, la situazione degli Iloti spartani e dei Penesti tessali) e della schiavitù mercantile, in cui lo schiavo, per lo più prigioniero di guerra, o vittima dei pirati o nato in casa, veniva comprato o venduto.
    Che la prima fosse migliore della seconda è un'idea sostenuta a torto, in passato, dagli storici marxisti: la situazione degli Iloti spartani era certamente peggiore di quella degli schiavi «comprati» in Atene. É vero invece che fu proprio la liberazione della Messenia, i cui abitanti erano stati ridotti in condizione di Iloti, a rendere attuale, nel IV secolo in Grecia, il dibattito sulla natura della schiavitù, che era già iniziato alla fine del V secolo nella sofistica. Mentre Isocrate, nell'Archidamo, sostiene i diritti degli Spartani, Alcidamante, nel Messenico, di cui abbiamo solo un frammento conservato da Aristotele, sosteneva che «la natura non ha fatto schiavo nessuno... perché liberi tutti ci ha fatto Dio».
    Ma i Messeni erano Greci, come gli Spartani. L'idea della schiavitù per natura è affermata invece, soprattutto per i barbari, da Platone e da Aristotele, secondo i quali, come è giusto sottomettere alla parte divina e spirituale che è nell'uomo la parte bestiale e corporea che è in lui, così è giusto che colui, che non riesce a comandare all'animale che è in lui, sia schiavo di colui in cui comanda la parte divina e spirituale. La schiavitù inoltre è utile e necessaria e potrebbe essere evitata solo se, come dice Omero delle ancelle d'oro costruite da Efesto, ci fosse l'automazione: per Aristotele in mancanza dell'automazione gli schiavi sono «strumenti animati».
    L'idea dell'uguaglianza naturale di tutti gli uomini, già sostenuta dai sofisti, viene ripresa invece, nell'età ellenistica, dai cinici e dagli stoici, per i quali la virtù (areté) non è come per Platone e Aristotele, un fatto soprattutto intellettuale, la virtù della conoscenza, ma un fatto morale, il controllo delle passioni.
    Lo stoicismo, che predicando il controllo delle passioni si adattava assai bene all'austero ideale di vita vetero-romano divenne presto la filosofia «ufficiale» della classe dirigente di Roma. L'uguaglianza naturale degli uomini, liberi e schiavi, si ritrova nel più illustre rappresentante dello stoicismo romano, Seneca, il cui pensiero sulla schiavitù, soprattutto nella epistola 47 a Lucilio, presenta molte analogie con quello di Paolo. Ma i Romani non avevano avuto bisogno dello stoicismo per sapere che gli schiavi erano della stessa natura dei loro padroni: servitus est constitutio iuris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subicitur: La schiavitù nasce dal diritto positivo, non è un fatto naturale. Anzi, è contro la natura stessa dell'uomo. Questa affermazione, come molte altre dello stesso tenore, si trova nel «Digesto», che è di età imperiale, ma è una convinzione che scaturisce dalla pratica (che i Romani conoscono fin dalle origini della loro storia e che li differenzia dai Greci) della concessione della cittadinanza allo schiavo liberato.
    Il liberto romano diventa cittadino, un liberto ateniese (apeleutheros) diventa un meteco, uno straniero residente. Ma c'è di più: «figli di liberto hanno accesso alla magistratura» fa dire all'imperatore Claudio Tacito, parafrasando un famoso discorso del 48 d.C. giunto a noi nella Tabula di Lione, e «questo non è uso recente, ma molto antico». Noi sappiamo infatti che Cn. Flavio, liberto di Appio Claudio, fu edile alla fine del IV secolo a.C. e il macedone Filippo V, in guerra con Roma, attribuiva all'uso romano di integrare nella loro cittadinanza gli schiavi liberati la loro inesauribile disponibilità di uomini per la colonizzazione e per la guerra. Alla luce di questa disponibilità, originaria nei Romani, di integrare nella loro cittadinanza lo schiavo liberato, anche se straniero, si capisce l'uso certamente antico, attestato da Cicerone, (che utilizzando il termine «captivi» ci riporta all'origine della schiavitù dal diritto di guerra) liberare gli schiavi «onesti e diligenti» dopo il sesto anno (sexennio post, cioè nel settimo anno come nella legge mosaica).
    La condizione posta della moralità dello schiavo si ritrova nelle limitazioni opposte da da Augusto al dilagare delle manumissioni con le leggi Iunia Canina e Aelia Sentia, secondo cui lo schiavo che avesse avuto precedenti condanne non poteva divenire, se liberato, cittadino romano.
    Nonostante queste limitazioni la condizione degli schiavi sotto l'impero migliorò, soprattutto grazie agli interventi contro la crudeltà dei padroni da parte degli imperatori, decisi ad evitare torture e uccisioni arbitrarie.

    (Avvenire 29 ottobre 2000)


    ______________________

    SCHIAVITU': DIFFUSIONE E ABOLIZIONE



    "Il ne servirait a rien non plus de dissimuler nos propres résponsabilités dans les désastres qui se sont abattus ou continuent de s'abattre sur nous. Nos complicités dans la traite [en esclaves] sont bien établies, nos divisions absurdes, nos errements collectifs, l'esclavage comme institution endogene...."

    "Non servirebbe a niente dissimulare le nostre proprie responsabilità nei disastri che si sono abbattuti o continuano ad abbattersi su di noi. Le nostre complicità nella tratta [degli schiavi] sono ben stabilite, le nostre divisioni assurde, i nostri errori collettivi, la schiavitù come istituzione endogena..."

    Nicéphore Dieudonné Soglo (Presidente della Repubblica del Benin - Messaggio all'UNESCO del 1994)



    Nel 1842 il Console Generale Britannico in Marocco chiese al Sultano di abolire la schiavitù o per lo meno di interrompere il traffico di schiavi. Il Sultano rispose per lettera che "il traffico di schiavi è materia su cui tutte le religioni e tutte le nazioni sono d'accordo fin dal tempo dei figli di Adamo...fino ad oggi". Il Sultano continuava scrivendo che "non si sarebbe preoccupato del fatto che venisse proibito dalle leggi di qualche religione, nessuno doveva sollevare la questione, essendo manifesto a tutti e non richiedendo una maggiore dimostrazione della luce del sole".

    Il sultano aveva ragione riguardo al passato, ma aveva torto riguardo al presente.

    L'Occidente, che aveva eliminato la schiavitù al proprio interno alla fine del Medioevo, negli ultimi decenni del XVIII secolo iniziò a combattere il commercio degli schiavi e la schiavitù in tutti i paesi dove poteva far arrivare la propria influenza.

    La più grande potenza marinara del tempo, la Gran Bretagna, abolì il commercio di schiavi nel 1807. Ben presto venne seguita da tutti gli altri paesi europei.

    Il tentativo dell'Occidente di liberare gli schiavi in tutto il mondo si scontrò con gli interessi degli stessi paesi africani, che si arricchivano con il commercio degli schiavi, e con la cultura tradizionale islamica.

    Purtroppo ancora oggi l'ONU è costretto a intervenire per condannare i paesi che nel XXI secolo proteggono o tollerano la schiavitù in Africa e in Asia.




    Località: Africa - America - Europa - Asia

    Epoca: dal VII secolo d.C. ad oggi


    Schiavitù nei paesi islamici

    Tra il 650 d.C. ed il 1905 gli islamici portarono nel mondo musulmano in schiavitù circa 18 milioni di abitanti negri dell'Africa, di cui 5 milioni nel periodo tra il 1500 e il 1900. Principalmente donne e bambini.

    Nel 652 i musulmani dell'Egitto imposero ai re cristiani della Nubia un trattato che prevedeva la fornitura annuale di centinaia di schiavi maschi e femmine. Questo trattato restò in vigore fino al XII secolo quando la Nubia venne invasa.

    Trattati analoghi furono fatti dagli arabi con l'Iran e altri paesi asiatici.

    Gli arabi della Spagna e del Nord Africa importarono per secoli i Saqaliba, ossia gli schiavi bianchi europei, ottenuti principalmente con raid contro le coste europee del Mediterraneo, particolarmente la Dalmazia e l'Italia. Molti paesi situati in prossimità del mare furono costretti a ritirarsi nell'interno o per lo meno ad allontanarsi dalla costa. Per dare l'allarme vennero costruite le torri di guardia, che ancora adesso sono frequenti lungo le coste italiane, specialmente quelle del Meridione. Nel 1799, appena due secoli or sono, una flotta di saraceni attaccò l'isola del Giglio, ma venne respinta dalla popolazione che riuscì a rifugiarsi nel castello.

    Il califfato di Bagdad tra il VII secolo e il X secolo importò come schiavi decine di migliaia di militari dalla Sogdiana, dalla Khazaria e da altri paesi dell'Asia Centrale. Il califfato importava schiavi turchi e slavi a Derbent, Itil, Khorezm e Samarcanda; schiavi africani da Mombasa, Zanzibar, dal Sudan e dal Sahara.

    Tra il IX e il X secolo molte decine di migliaia di schiavi negri Zanj furono importati da Zanzibar nell'Iraq meridionale.

    Nell'Egitto medievale uno schiavo negro veniva venduto per 300 dirham, una schiava negra per 500 dirham, un eunuco negro 1000 dirham, una cantante brava poteva arrivare anche a 10.000 o 20.000 dirham. Un bianco valeva 500 dirham, una schiava bianca 1000 dirham.

    Il Canato di Crimea tra il 1475 e il 1783, quando ebbe termine per opera di Caterina la Grande, importò schiavi dai paesi slavi, dalla Moscovia e dal Caucaso per rivenderli nei vari mercati dell'Eurasia. La maggior parte della popolazione libera era impegnata nel catturare schiavi o nel rivenderli. il 75% della popolazione era costituita da schiavi o da liberti.

    L'Impero Ottomano, a partire dal XIV secolo, per oltre 500 anni importò schiavi bianchi dai paesi slavi e schiavi negri dall'Africa. La popolazione cristiana sottomessa ai musulmani doveva fornire ogni anno un tributo in figli, il devshirme. I fanciulli strappati alle famiglie venivano convertiti ed utilizzati dagli invasori a loro piacimento.



    Schiavitù in Africa

    I paesi islamici della costa orientale dell'Africa praticarono intensamente la schiavitù. Tra il 65 e il 90 % della popolazione di Zanzibar fu schiavizzata. Circa il 90 % della popolazione del Kenia e oltre la metà di quella del Madagascar.

    Il califfato islamico di Sokoto, formato da Hausa nell'Africa sub-sahariana (Nigeria del nord e Camerun) nel XIX secolo aveva in schiavitù almeno metà della popolazione.

    Altri stati nel Sudan occidentale e centrale tra il 1750 e il 1900 avevano una popolazione per uno o due terzi costituita da schiavi.

    Nel Ghana islamico,antico stato del Sudan occidentale, tra il 1076 e il 1600, circa un terzo della popolazione era in schiavitù. La stessa situazione nel Mali (1200-1500), nel Segou (1720-1861) e nel Songhai (1464-1720), nel Kanem (1600-1800), nel Bornu (1580-1890).

    Nella zona di Ouidah, famoso centro commerciale degli schiavi sulla costa del Golfo di Guinea, nel XIX secolo metà della popolazione era in schiavitù.

    Presso i Tuareg del Sahara e del Sahel, di religione islamica, la schiavitù si è mantenuta almeno fino al 1975.

    Nel Senegambia, tra il 1300 e il 1900, un terzo della popolazione era costituita da schiavi.

    Nella Sierra Leone, nel XIX secolo, metà della popolazione era in schiavitù.

    Tra gli Ahanti e gli Yoruba gli schiavi erano un terzo della popolazione.

    Tra i Duala del Camerun, nel XIX, metà della popolazione era schiava. Stessa situazione presso gli Ibo e altri popoli del basso Niger, nel Congo e nel regno di Kasanje e in Angola.

    Schiavitù in Asia

    In Cina la schiavitù è esistita dal XVIII secolo a.C. al XX.

    In Corea la schiavitù è attestata dal I secolo a.C. fino al XVIII, con una percentuale di schiavi oscillante tra un terzo e metà della popolazione.

    In India le leggi sanscrite di Manu trattano della schiavitù nel I secolo a.C. Nel 1841 c'erano in India 8 o 9 milioni di schiavi. Nel Malabar la percentuale di schiavi raggiungeva il 15 %.

    In Tailandia la schiavitù tra il XVII e il XIX secolo ammontava a un terzo della popolazione.

    In Birmania tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo gli schiavi erano un terzo.

    La schiavitù è stata praticata dall'antichità fino a tempi recenti nelle Filippine, nel Nepal, in Malesia, in Giappone.

    In molti paesi e popoli dell'Asia centrale convertiti all'Islam la schiavitù si è rapidamente diffusa: Sogdiana, Khorezem, Mongoli, Calmucchi, Kazaki, Turchi.

    Schavitù in America

    Nel Nuovo Mondo avevano schiavi i Klamath e i Pawnee, gli Yurok, che vivevano sulla costra tra l'Alaska e la California, i Creek della Georgia, i Comanche del Texas.

    Schiavisti erano anche i Callinago di Dominica, i Tupinamba del Brasile, i Maya della Meso-America, gli Aztechi del Messico, gli Incas delle Ande, i Tehuelche della Patagonia.

    Dall'Africa al Nuovo Mondo

    Del commercio di schiavi cominciarono ad occuparsi a metà del XV i portoghesi, seguiti dagli spagnoli nel 1479, gli inglesi nel 1562, il Nord America nel 1619, gli olandesi nel 1625, i francesi nel 1642, gli svedesi nel 1647, i danesi nel 1697.

    Nel 1713, con il trattato di Utrecht, gli inglesi ottennero il monopolio del commercio degli schiavi nelle colonie spagnole.

    Tra il 1500 e il 1850 gli occidentali portarono nel Nuovo Mondo in schiavitù 10 milioni di abitanti negri dell'Africa. Principalmente maschi adulti.

    Agli occidentali non era concesso entrare nell'interno dell'Africa. Gli schiavi venivano catturati direttamente dalle popolazioni locali e venduti sulla costa ai capitani europei.

    Gli africani cercavano in ogni modo di incoraggiare i capitani ad entrare nei loro porti per fare gli acquisti degli schiavi.

    I capitani venivano pagati solo per gli schiavi che arrivavano vivi a destinazione e quindi facevano di tutto per ridurre le perdite. Durante il viaggio morivano tra il 10 e il 20% degli schiavi. Ma la stessa percentuale di perdite subiva l'equipaggio della nave. Nel 1787 ritornarono vivi a Liverpool solo la metà dei marinai che erano partiti con le navi addette al trasporto degli schiavi.

    Abolizione della schiavitù

    Tra il XV e il XVI secolo la schiavitù scomparve dall'Europa occidentale. Rimasero solo gli schiavi addetti alle galee, ma con il diffondersi delle navi a vela ben presto scomparvero anche questi.

    Entro il XVII secolo la schiavitù scomparve anche dall'Europa orientale.

    Nel XV secolo il commercio di schiavi fu proibito in Polonia.

    Nel 1569 non esistevano più schiavi in Gran Bretagna.

    Nel 1588 il commercio di schiavi fu proibito in Lituania.

    Nel 1623 in Russia gli schiavi furono convertiti in servi.

    Nel 1777 il Vermont fu il primo degli Stati Uniti ad abolire la schiavitù.

    Nel 1792 la Danimarca abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1794 la Francia abolì la schiavitù. Nel 1802 Napoleone la reintrodusse. Nel 1833 venne definitivamente abolita.

    Entro il 1804 tutti gli stati a nord del Maryland avevano abolito la schiavitù.

    Nel 1807 la Gran Bretagna abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1810 Venezuela e Messico abolirono il commercio degli schiavi.

    Nel 1811 il Cile abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1812 l'Argentina abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1815 al Congresso di Vienna Gran Bretagna, Olanda, Francia, Spagna e Portogallo concordarono di abolire il commercio degli schiavi.

    Nel 1815 la Francia abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1817 la Spagna abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1823 il Cile liberò gli schiavi neri.

    Nel 1829 il Messico abolì la schiavitù.

    Nel 1831 la Gran Bretagna affrancò gli schiavi e nel 1833 li emancipò.

    Nel 1839 il Portogallo abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1850 il Brasile abolì il commercio degli schiavi.

    Nel 1854 il Perù abolì la schiavitù.

    Nel 1863 gli Stati Uniti abolirono la schiavitù.

    Nel 1873 Puerto Rico abolì la schiavitù.

    Nel 1880 Cuba abolì la schiavitù.

    Nel 1885 il Congresso di Berlino condannò la schiavitù come contraria ai diritti dell'uomo.

    Nel 1888 il Brasile fu l'ultimo ad abolire la schiavitù nel Nuovo Mondo.

    Nel 1894 la Corea abolì la schiavitù che però rimase in uso fino al 1930.

    Nel 1906 la Cina abolì la schiavitù con effetto dal 1910.

    Nel 1926 con la Convenzione internazionale sulla schiavitù di Ginevra la Società delle nazioni proibì il commercio di schiavi e condanno la schiavitù in tutte le sue forme.

    Alla fine degli anni 30 la schiavitù fu abolita in Etiopia.

    Nel 1948 nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell'ONU la schiavitù venne nuovamente condannata ufficialmente.

    Nel 1962 l'Arabia Saudita abolì la schiavitù.

    Nel 1981 la Mauritania dichiarò illegale il commercio degli schiavi.

    La schiavitù oggi

    Nell'agosto del 2001 l'agenzia UN Research Institute for Social Development (UNRISD), una struttura dell'ONU, ha rilasciato un rapporto intitolato "Race, discrimination, slavery and citizenship in the Afro-Arab borderlands". Sudan, Mauritania e altri stati islamici sono accusati di continuare a praticare la schiavitù a danno principalmente delle altre popolazioni africane.

    Schiavitù e colonialismo

    In molti paesi, dove gli europei avevano acquisito una posizione dominante, riuscirono a far abolire la schiavitù.

    Nel 1834 776.000 schiavi furono liberati nelle colonie britanniche.

    Nel 1838 gli inglesi abolirono la schiavitù in tutte le colonie.

    Nel 1848 i francesi abolirono la schiavitù in tutte le colonie.

    I russi eliminarono la schiavitù dal Caucaso e dall'Asia centrale a partire dal 1860 con la conquista dei canati di Bukara, Samarcanda e Khiva.

    Nel 1861 la schiavitù fu abolita in India e in Nigeria, su intervento degli inglesi.

    Nel 1863 gli olandesi abolirono la schiavitù in tutte le le colonie.

    Nel 1870 i missionari cristiani arrivarono nel Malawi e cominciò la lotta alla schiavitù, difesa invece dagli islamici.

    Nel 1890 gli inglesi abolirono la schiavitù a Zanzibar, il massimo centro islamico del commercio di uomini sulla costa orientale dell'Africa.

    Nella seconda metà dell'800 i francesi riuscirono a eliminare la schiavitù dal Dahomey (odierno Benin), altro grande centro del commercio degli schiavi, sulla costa occidentale dell'Africa.

    Gli stati rimasti indipendenti, come l'Etiopia, continuarono a paraticare la schiavitù legalmente.

    Schiavitù e Chiesa Cattolica

    L'Ordine religioso dei Trinitari, fondato nel 1198, riscattò 900.000 cristiani dalla sua fondazione al 1797. I trinitari nel XVI e XVII secolo riuscirono a costruire degli ospedali per gli schiavi a Tunisi e ad Algeri.

    L'Ordine religioso dei Mercedari, fondato nel XIII secolo, riscattò circa 500.000 schiavi cristiani tra il 1218 e il 1632.

    Papa Pio II nel 1462 dichiarò che la schiavitù era "un grande crimine" (magnum scelus).

    Papa Paolo III nel 1537 proibì la schiavitù degli indiani. Proibizione rinnovata da Urbano VIII nel 1639 e da Benedetto IV nel 1741.

    Pio VII nel 1815, al Congresso di Vienna, chiese la proibizione del commercio degli schiavi.

    Il triste commercio venne condannato nuovamente da Gregorio XVI nel 1839.

    Pio IX definì summum nefas il commercio degli schiavi.

    Leone XII nel 1888 scrisse ai vescovi del Brasile affinché eliminassero completamente la schiavitù dal loro paese.

    Nel 1888 il cardinale Lavigerie fondò a Bruxelles, con l'appoggio di Papa Leone XII, la Société Antiesclavagiste.

    Schiavitù ed economia

    Nel 1776 l'economista inglese Adam Smith, nel suo libro Ricerca sopra la natura e sulla causa della ricchezza delle nazioni giudicò antieconomica la schiavitù e dimostrò che era più costoso mantenere uno schiavo anziché pagare il salario ad un bracciante libero. Le sue considerazioni, oltre ovviamente a quelle umanitarie, ebbero un peso significativo nella abolizione del commercio degli schiavi.

    Schiavitù e commercio estero africano

    Nel corso del XIX secolo il commercio di schiavi diminuì con il progredire della legislazione abolizionista promossa dall'Occidente. L'effetto immediato sugli stati africani, coinvolti in tale tipo di commercio, fu una diminuzione delle entrate derivanti dal commercio estero.

    I governanti africani reagirono cercando altre merci da vendere agli europei. Venne incrementata la produzione agricola, ovviamente con il contributo degli schiavi, ma i profitti non risultarono nemmeno lontanamente paragonabili al commercio degli schiavi. In poco tempo le economie africane entrarono in crisi e si ebbe un lungo periodo di depressione che durò fino alla fine del secolo.

  2. #2
    SENATORE di POL
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    Predefinito

    mah.....

  3. #3
    libero pensatore
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    nel 700 vivevo a Milano
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    Predefinito

    Felix,
    la schiavitù non è più legale ma di fatto esiste ancora nel mondo criminale.

    Molte prostitute sono schiave dei loro protettori.
    Se ti può essere utile una schiava o uno schiavo, a seconda dei gusti, sai quali canali percorrere...

    Se non ti va di rivolgerti a qualche pappone puoi contattare qualche sito Sado-Maso.
    Sappi che in questa particolare variante dell'erotismo c'è chi ama essere trattato da "schiavo" e chi da "padrone": scegli un po' tu ma stai attento che qualche volta a navigare in mari pericolosi si possono fare brutti incontri..... ma brutti, brutti!!!

    In base a quale criterio sociologico si dovrebbe decidere quale parte della popolazione destinare alla schiavitù?
    Tu per es. potresti essere definito uno schiavo potenziale?

  4. #4
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    Predefinito ipse dixit

    bene per prima cosa, leggiamo l'opinione del Maestro di color che sanno...



    ARISTOTELE SULLA SCHIAVITÙ

    Nell’Etica nicomachea Aristotele aveva affermato che lo schiavo e il figlio sono come una parte di noi, “e nessuno sceglie deliberatamente di danneggiare se stesso” (1134b 10-13). Nella Politica egli riprende il concetto di proprietà come appartenenza, e lo schiavo è definito come colui che “non appartiene a se stesso, ma ad un altro”. Inoltre Aristotele ammette una diversità naturale fra gli uomini e fra l’uomo e la donna, cosa che permette di giustificare la schiavitú e la discriminazione fra i sessi. C’è poi una schiavitú come fenomeno legale: si tratta della schiavitú costituita dai prigionieri di guerra. Secondo la tradizione dei popoli antichi, il vincitore aveva il diritto di rendere schiavo lo sconfitto.

    Aristotele conclude l’argomento con alcuni dubbi e perplessità, che però non mettono in crisi la sua convinzione di fondo.



    Politica, 1254a 8-1255a 2; 1255a 5-12; 1255b 5-15



    1 [1254a] [...] Il termine “oggetto di proprietà” si usa allo stesso modo che il termine “parte”: la parte non è solo parte d’un’altra cosa, ma appartiene interamente a un’altra cosa: cosí pure l’oggetto di proprietà. Per ciò, mentre il padrone è solo padrone dello schiavo e non appartiene allo schiavo, lo schiavo non è solo schiavo del padrone, ma appartiene interamente a lui.

    2 Dunque, quale sia la natura dello schiavo e quali le sue capacità, è chiaro da queste considerazioni: un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato.

    [...]

    3 Se esista per natura un essere siffatto o no, e se sia meglio e giusto per qualcuno essere schiavo o no, e se anzi ogni schiavitú sia contro natura è quel che appresso si deve esaminare. Non è difficile farsene un’idea con il ragionamento e capirlo da quel che accade. Comandare ed essere comandato non solo sono tra le cose necessarie, ma anzi tra le giovevoli e certi esseri, subito dalla nascita, sono distinti, parte a essere comandati, parte a comandare. E ci sono molte specie sia di chi comanda, sia di chi è comandato (e il comando migliore è sempre quello che si esercita sui migliori comandati, per esempio su un uomo anziché su un animale selvaggio, perché l’opera realizzata dai migliori è migliore e dove c’è da una parte chi comanda, dall’altra chi è comandato, allora si ha davvero un’opera di costoro). In realtà in tutte le cose che risultano di una pluralità di parti e formano un’unica entità comune, siano tali parti continue o separate, si vede comandante e comandato: questo viene nelle creature animate dalla natura nella sua totalità e, in effetti, anche negli esseri che non partecipano di vita, c’è un principio dominatore, ad esempio nel modo musicale. Ma ciò probabilmente appartiene a una ricerca che esula dal nostro intento: il vivente, comunque, in primo luogo, è composto di anima e di corpo, e di questi la prima per natura comanda, l’altro è comandato. Bisogna esaminare quel che è naturale di preferenza negli esseri che stanno in condizione naturale e non nei degenerati, sicché, anche qui, si deve considerare l’uomo che sta nelle migliori condizioni e di corpo e d’anima, e in lui il principio fissato apparirà chiaro, [1254b] mentre negli esseri viziati e che stanno in una condizione viziata si potrebbe vedere che spesso il corpo comanda sull’anima, proprio per tale condizione abietta e contro natura.

    4 Dunque, nell’essere vivente, in primo luogo, è possibile cogliere, come diciamo, l’autorità del padrone e dell’uomo di stato perché l’anima domina il corpo con l’autorità del padrone, l’intelligenza domina l’appetito con l’autorità dell’uomo di stato o del re, ed è chiaro in questi casi che è naturale e giovevole per il corpo essere soggetto all’anima, per la parte affettiva all’intelligenza e alla parte fornita di ragione, mentre una condizione di parità o inversa è nociva a tutti. Ora gli stessi rapporti esistono tra gli uomini e gli altri animali: gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti è giovevole essere soggetti all’uomo, perché in tal modo hanno la loro sicurezza. Cosí pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio in questo modo. Quindi quelli che differiscono tra loro quanto l’anima dal corpo o l’uomo dalla bestia (e si trovano in tale condizione coloro la cui attività si riduce all’impiego delle forze fisiche ed è questo il meglio che se ne può trarre), costoro sono per natura schiavi, e il meglio per essi è star soggetti a questa forma di autorità, proprio come nei casi citati. In effetti è schiavo per natura chi può appartenere a un altro (per cui è di un altro) e chi in tanto partecipa di ragione in quanto può apprenderla, ma non averla: gli altri animali non sono soggetti alla ragione, ma alle impressioni. Quanto all’utilità, la differenza è minima: entrambi prestano aiuto con le forze fisiche per la necessità della vita, sia gli schiavi, sia gli animali domestici. Perciò la natura vuol segnare una differenza nel corpo dei liberi e degli schiavi: gli uni l’hanno robusto per i servizi necessari, gli altri eretto e inutile a siffatte attività, ma adatto alla vita politica (e questa si trova distinta tra le occupazioni di guerra e di pace): spesso però accade anche il contrario, taluni, cioè, hanno il corpo di liberi, altri l’anima, ché certo, se i liberi avessero un fisico tanto diverso quanto le statue degli dèi, tutti, è evidente, ammetterebbero che gli altri meritano di essere loro schiavi: e se questo è vero nei riguardi del corpo, tanto piú giusto sarebbe porlo nei riguardi dell’anima: invece non è ugualmente facile vedere la bellezza dell’anima e quella del corpo. [1255a] Dunque, è evidente che taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi.

    [...]

    5 [1255a] [...] Tuttavia non è difficile vedere che quanti ammettono il contrario in qualche modo dicono bene. “Schiavitú” e “schiavo” sono presi in due sensi: c’è in realtà uno schiavo e una schiavitú anche secondo la legge e questa legge è un accordo per cui ciò che si è vinto in guerra dicono appartenere al vincitore. Ora questo diritto molti giuristi accusano d’illegalità come si accusa un oratore: essi trovano strano che, se uno è in grado di esercitare violenza ed è superiore in forza, l’altro, la vittima, sia schiavo e soggetto. E anche tra i dotti c’è chi la pensa in questo modo, chi in quello.

    [...]

    6 [1255b] [...] È chiaro dunque che la discussione ha un certo motivo e non <sempre> ci sono da una parte gli schiavi per natura, dall’altra i liberi e che in certi casi la distinzione esiste e che allora agli uni giova l’essere schiavi, agli altri l’essere padroni e gli uni devono obbedire, gli altri esercitare quella forma di autorità a cui da natura sono stati disposti e quindi essere effettivamente padroni: al contrario esercitare male l’autorità comporta un danno per tutt’e due (la parte e il tutto, come il corpo e l’anima, hanno gli stessi interessi e lo schiavo è una parte del padrone, è come se fosse una parte del corpo viva ma separata: per ciò esiste un interesse, un’amicizia reciproca tra schiavo e padrone nel caso che hanno meritato di essere tali da natura: quando invece tali rapporti sono determinati non in questo modo, ma solo in forza della legge e della violenza, è tutto il contrario).



    (Aristotele, Opere, Laterza, Bari, 1973, vol. IX, pagg. 9-12; pag. 14)

  5. #5
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    quindi il grande filosofo greco giustificava pienamente l'istituzione della schiavitù, e sosteneva che era benefica prima di tutto per gli schiavi, che ad essa erano destinati dalla Natura.

    Quali categorie includere nella schiavitù? Non parlerei propriamente di categorie o classi sociali, ma di soggetti sociali:

    1.delinquenti
    2.debitori
    3.disadattati sociali (drogati, vagabondi, fannulloni, mendicanti)
    4.minori abbandonati non dati in affidamento/adozione

    e inoltre: gli schiavi volontari, i nati in schiavitù ed eventualmente gli schiavi acquistati sul mercato estero.
    Insomma ci sono "fonti" potenziali per costituire una categoria abbastanza amplia di lavoratori servili.

    Ovvio che nè io ne te saremmo mai schiavi, non ti preoccupare.

  6. #6
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    Originally posted by Felix
    quindi il grande filosofo greco giustificava pienamente l'istituzione della schiavitù, e sosteneva che era benefica prima di tutto per gli schiavi, che ad essa erano destinati dalla Natura.

    Quali categorie includere nella schiavitù? Non parlerei propriamente di categorie o classi sociali, ma di soggetti sociali:

    1.delinquenti
    2.debitori
    3.disadattati sociali (drogati, vagabondi, fannulloni, mendicanti)
    4.minori abbandonati non dati in affidamento/adozione

    e inoltre: gli schiavi volontari, i nati in schiavitù ed eventualmente gli schiavi acquistati sul mercato estero.
    Insomma ci sono "fonti" potenziali per costituire una categoria abbastanza amplia di lavoratori servili.

    Ovvio che nè io ne te saremmo mai schiavi, non ti preoccupare.

    A parte il fatto che ideologicamente la schiavitù mi ripugna, ma poi figurati se mi metto tra le palle un deliquente a farmi da schiavo che se mi va bene alla prima occasione mi fa fuori!

    L' Humanitas come tutti i valori positivi nasce anche dall'istinto di sopravvivenza e dall'egoismo.

    Alla fine gli uomini hanno capito che conviene pagare un dipendente piuttosto che diventare schiavo di uno schiavo...

  7. #7
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    i delinquenti non dovrebbero essere venduti a chiunque. Sarebbe auspicabile che fossero "schiavi di stato", oppure che fossero acquistati da grandi imprese dotate di un apparato di sicurezza proprio (guardie, celle...).
    In generale proporrei che l'acquisto degli schiavi fosse subordinato al conseguimento di uno speciale patentino di idoneità, come la patente di guida o il porto d'armi.

    Sull'economicità o meno della schiavitù non mi pronuncio, non essendo economista. Dipenderebbe comunque dal settore produttivo considerato, e non tutta la produzione potrebbe essere affidata a manodopera servile: quella di precisione o pericolosa dovrebbe essere garantita con manodopera libera.
    Lo schiavismo eserciterebbe comunque effetti benefici per scardinare la tirannia sindacale, garantista e welfariana che ha infettato le società occidentali negli ultimi cinquant'anni. Posti in concorrenza con gli schiavi, i lavoratori modereranno le loro pretese esagerate, e si dedicheranno con più applicazione al compito loro preposto: lavorare.

  8. #8
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    la società schiavista, ed ancor più la società di casta che include al fondo gli schiavi, deve porsi come la vera meta da raggiungere per liquidare definitivamente il movimento storico dell'emancipazione. Quello sciagurato movimento che ha portato la civiltà occidentale sull'orlo del baratro della Decadenza, a partire dalla Riforma calvinista, passando per le folli teorie dei Philosophes, incarnate nel demonio rivoluzionario dell'89 e del '17, e quindi nella catastrofica esperienza del comunismo e nella parallela ma non meno deleteria esperienza liberal-socialdemocratica in occidente. Il risultato nichilista di quel movimento è la società decadente e disorientata dei nostri giorni, sradicata dal terreno della Storia e della Tradizione, scardinata nell'Ordine gerarchico e spirituale che l'aveva sostenuta, schiacciata sotto il peso del Nulla, senza orizzonti nè axis mundi, sorda al messaggio sempiterno del Destino e cieca di fronte al Supremo Volere divino.
    È venuto il momento di riprendere il giusto cammino, di annunciare la Verità eterna scolpita nelle rocce, nel vento, nella folgore lucente e nel ruggire del mare infuriato, di scrostare la ruggine egalitaria per divelare il ferro lucente della Gerarchia. Di mostrare allo schiavo ed al padrone il rango di ciascuno, di insegnare all'uno la virtù dell'obbedienza e all'altro la virtù del comando. Non più rivolte servili, non più il sordo brontolio dell'odio di casta, di sangue, di classe, ma l'armonia organica nel seno dalla Tradizione.
    Ciascuno al proprio posto, il sacerdote orando ed invocando il favore divino, il guerriero preparandosi all'agone glorioso, il
    lavoratore aprendo a fatica il solco nella terra generosa, lo schiavo servendo ubbidiente e mansueto. Ciascuno cosciente del
    proprio Destino, felice di compiere la Missione terrena a lui assegnata.

  9. #9
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    Consiglio la lettura di

    Kevin Bales, "I nuovi schiavi", ed. Feltrinelli

    Ne parlerò prossimamente, quando avrò tempo.

    Saluti
    Franzele


    Dalla copertina:
    In passato il valore degli schiavi era tale che c'era rischio di vederseli rubare. Oggi gli schiavi costano così poco che sono diventati una merce usa e getta

  10. #10
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    *non sono ammessi insulti ad personam. Si può criticare o anche fare dell'ironia senza scadere in volgarità*

 

 
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