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    Predefinito All'origine della pittura Il Mediterraneo di Mirò

    di ADRIANA POLVERONI
    A Salerno da sette anni lavora l'architetto catalano Oriol Bohigas, al cui nome è legata la rinascita di Barcellona dalle Olimpiadi del '92 in poi. Il suo incarico come responsabile del piano regolatore della città si fa sentire. Salerno, in pochi anni, è parecchio cambiata. Da città quasi invivibile è diventata una città normale, spesso una piacevole città mediterranea. E in omaggio a questa sua nuova identità e al legame con Barcellona, si è aperta pochi giorni fa una grande mostra dedicata all'artista catalano Mirò e intitolata significativamente "Mediterraneo" (fino al 16 gennaio, a cura di Luigi Fiorletta e Massimo Bignardi).

    Ma la notizia non è solo questa. "Mediterraneo" inaugura un nuovo luogo espositivo, ricavato da un ex chiesa e dall'adiacente complesso monastico, Santa Addolorata e Santa Sofia, incuneati nel centro cittadino e recuperati nell'ambito di un progetto europeo. Segno anche questo della vitalità della città che riesce ad aggiudicarsi i famosi finanziamenti Ue a differenza di tante altre realtà italiane.

    Dunque, perché sia stato scelto Mirò, si capisce facilmente. Meno semplice è in realtà l'idea di Mediterraneo. Si narra che un giorno Mirò, durante una riunione con altri surrealisti, scrittori e pittori, alla domanda circa che cosa ciascuno di loro odiasse di più, abbia risposto: "Il Mediterraneo!". Che voleva dire? Che non gli andava giù neanche un po' l'idea letteraria e un po' facilona di un Mediterraneo tutta luce e bellezza. Quello che lui amava, e lo amava davvero, era il Mediterraneo delle radici, un luogo più archetipo che geografico, un che di primigenio. Che poi è esattamente il Mediterraneo che ha cercato di tradurre in segni, uno degli elementi fondanti della sua pittura tenacemente rivolta a ritrovare l'originario, il segno essenziale. Infantile, se possibile, giudicato come il tratto più importante e per tornare al quale lui - diceva - "aveva impiegato molti anni".

    Mirò non era comunque nuovo quanto a frasi ad effetto. Una delle sue più celebri affermazioni estetiche era che bisognava "assassinare la pittura", tornare proprio a quella purezza delle origini, all'astrattismo opposto a un figurativismo retorico, che parlano da soli e a tutti. A volte con un solo segno tracciato come per caso sulla tela e pochi, squillanti colori, o pochi e sobri chiaroscuri.

    Tutto ciò è in mostra a Salerno, che dell'artista catalano ha cercato di presentare gli ultimi trenta anni della carriera: dal 1950 al 1983 (anno della morte), per lo più passati a Palma di Maiorca. Dove, come racconta la figlia Dolores, aveva un suo atelier il cui ingresso era rigorosamente proibito. Sono anni in cui Mirò, artista vorace nello sperimentare tutti i mezzi: "faccio il pittore - diceva - ma amo lavorare con tutte le tecniche che ho a disposizione", si dedica alla scultura, all'acquaforte, alla ceramica, alla pittura. E proprio qui, l'ambito artistico che lo ha reso più famoso, si confermano i suoi tratti tipici: le linee infantili e stilizzate, danzanti, i colori spesso primari e resi ancora più forti dai contorni neri. Ma sono anche gli anni in cui Mirò, a volte, sembra cancellare quasi del tutto il colore dalle sue tele. E anche i segni. Rimangono, sorprendentemente, superfici quasi vuote, silenziose, rispetto alle polifonie accecanti di un tempo. E a rendere il tutto ancora più incerto rispetto ai segni forti di prima, contribuisce anche l'uso del cartone al posto della tela, di cui a Salerno sono in mostra due bellissimi lavori.

    Segno tangibile di una ricerca che per l'artista non era mai conclusa. Il suo atelier abbondava di oggetti, frammenti presi ovunque, oltre a terre, carboncini, mezzi diversissimi con cui tentare ancora una volta una pittura diversa. E forse, più che la grandezza dell'arte, è proprio questa vitalità, che poi significa grande capacità di comunicazione, ad averlo reso famosissimo. Basti pensare che da un segno di Mirò è nato il logo con cui la Spagna vende la sua immagine all'estero e un suo grande mosaico si stagliava in quello che era ritenuto il punto più simbolico dell'Occidente: le Twin Towers di New York

  2. #2
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