Intervista allo storico e giornalista Giancarlo Zizola. I dubbi che restano
«Quelli che allargano la cruna dell'ago per farci passare i potenti»
F. F.
L'altra sera Giancarlo Zizola, giornalista e scrittore esperto di Chiesa e cattolico conciliare, è stato invitato da Vespa a "Porta a porta" come unica voce critica in mezzo ad autorevoli supporter di Escrivà de Balaguer. Lo hanno fatto parlare pochissimo, quel tanto che bastava - come dice lui - «a legittimare le tesi prefissate, per far comparire un dibattito che non c'è stato». E «non è la prima volta» che il potente salotto televisivo fa «agiografia». Zizola avrebbe dovuto illustrare le molte critiche che hanno riguardato l'Obra. Abbiamo voluto dargli la parola.
L'Opus si dichiara in linea con il Concilio perché promuove il ruolo dei laici. Credibile?
Gli obiettivi originari dell'Opus sono sviluppare il ruolo del laicato e la chiamata universale della santità soprattutto nel lavoro ordinario, però rimangono sullo sfondo alcune evidenze pratiche. Ad esempio, solo il clero può assurgere alle cariche di governo ed è molto dubbia l'adesione ai principi dell'uguaglianza tra i diversi membri e carismi della Chiesa. La premura principale di Escrivà, come emerge dai testi fondamentali, è di ancorare la testimonianza cristiana all'efficacia e ad un'obbedienza di tipo militare. Tutto questo non so quanto sia consono al Concilio che è critico verso certo paternalismo e attivismo ecclesiastico e basa il cammino alla santità sulla maturità religiosa dei soggetti, non sul servilismo clericale.
Tutto questo resta vero, nonostante che dal 1982, quando l'Opus ottenne la Prelatura personale, ci sia stato un mutamento anche nel disciplinamento interno, per cui si sono attenuati alcuni dei motivi più gravi che avevano suscitato le opposizioni della plenaria dei cardinali nell'81 e le inchieste, come quella del cardinale di Westminster Hume.
L'Opus porta in piazza il suo popolo. Ma resta ancorata alle classi dominanti?
Sì, anche negli Stati uniti sviluppa la sua vocazione originaria di accrescere l'influenza nei settori dominanti del sapere, del potere e dell'avere. Ciò ha messo a disagio quei cristiani che, sulla scorta del Vaticano II, credono all'apostolato con mezzi poveri, non mondani. Diceva Gesù che è più facile che un cammello passi per la cruna dell'ago che un ricco entri nel Regno dei cieli, mentre qui molti sembrano impegnati ad allargare la cruna per farci passare intere carovane, con teologi organici e cappellani di corte. Si è prestata come strumento efficace, non dico crudele, nella lotta alle correnti ispirate alla teologia della liberazione e alla Chiesa dei poveri, un'operazione ingaggiata da pezzi di episcopato tedesco già nell'ultimo pontificato di Paolo VI: un reale carisma dell'Opus nel conciliare il cristianesimo con i poteri dominanti. Vescovi legati all'Opus sono stati piazzati nei posti più simbolici dell'opzione per i poveri: il successore di Romero a Salvador, quello di Camara a Recife. Proprio Camara, prima di morire, mi raccontò con lacrime di rammarico di aver avuto assicurazione dal Papa che nulla sarebbe cambiato nella gestione della diocesi e per questo di averne ceduto il bastone del governo.
Perché Wojtyla appoggia tanto l'Opus?
Prima di tutto per un legame antico. Fin dal tempo di Cracovia, fu ospite di istituzioni opusdeiste all'estero, rapporti dovuti alla presenza dell'Opus nei paesi dell'Est, un particolare che, tra l'altro, investiva le tensioni tra Escrivà e Paolo VI. Papa Montini, infatti, aveva aperto una ostpolitik verso gli stati d'oltrecortina e questo confliggeva con l'operato dei gruppi cattolici clandestini. Altra tensione riguardava la Spagna: mentre uomini dell'Opus erano organici al franchismo, Paolo VI, in linea conciliare, voleva superarlo anche per assicurarsi nella nomina dei vescovi che era sottoposti ai diritti patronali della corona spagnola. Dopo l'era montiniana, però, è intervenuto il secondo conclave del '78 dove, in base a molte testimonianze, un ruolo centrale fu giocato dal cardinale dell'Opus Pietro Palazzini, che riuscì a far convergere su Wojtyla i due gruppi che si erano paralizzati sui candidati Benelli e Siri. Ma il motivo fondamentale del rapporto tra il Papa e l'Opus è l'oggettiva convergenza di obiettivi: fare in modo che la Chiesa forzi l'assedio della società secolare riportandola ad una presenza forte nella società e nelle istituzioni.
C'è chi spera che l'Opus, giunta all'apogeo, perda potere.
Non so, però voglio sperare che con la canonizzazione, Giovanni Paolo II abbia adempiuto a tutto ciò che doveva fare per l'Opus e sia quindi più "libero" nei suoi confronti. Negli ultimi mesi ci sono stati momenti di freddezza, ad esempio sono emersi giudizi non entusiasti di ambienti Opus sulla politica pacifista e sul dialogo interreligioso del Papa. Contemporaneamente sono state annunciate le beatificazioni di Madre Teresa e di Bartolomeo de Las Casas, difensore degli indios. Ciò sembra indicare una volontà di riequilibrio tra le aureole più legate a funzioni di potere religioso e altre segnate dalla carità e dal servizio agli oppressi. Auspicabilmente, l'Opus potrebbe restare un gruppo nella Chiesa come tanti. Un gruppo con origini precise, che vanno storicizzate nella guerra civile spagnola, e ha oggi un ruolo di presenza cristiana presso le classi dominanti. Ogni eccesso interpretativo, come quello legato alla canonizzazione odierna, trova bilanciamento in altri eventi, non è insomma espressivo dell'intero pontificato di Giovanni Paolo II.
Liberazione 6 ottobre 2002
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